Chiara - cap.02 - Il gioco dei ruoli
di
jaco69
genere
dominazione
Era giunta l’ora della grande svolta. Erano mesi che ci pensavo, la osservavo, studiavo le sue movenze, i suoi atteggiamenti che nel tempo, dopo tanti incontri e tante esperienze, si erano evoluti in modo così sorprendente. Il suo ruolo di schiava era ormai perfettamente delineato, inequivocabile, vissuto e interpretato nel profondo del suo essere e dei suoi desideri. Era ora di andare oltre.
L’ispirazione mi venne proprio da lei, un giorno in cui, dopo la nostra ennesima sessione di dominazione/sottomissione, al risveglio si era messa per scherzo i miei abiti e si era presentata in cucina così abbigliata mentre le preparavo la colazione. Ci scherzammo un po’ su – il nostro rapporto non era fatto solo di perversioni – ma inconsciamente vidi qualcosa alla quale lì per lì non feci caso, ma che nelle settimane successive emerse e prese la forma di desiderio fino a diventare un vero e proprio programma da realizzare. La sua dolcezza femminile risultò arricchita e stravolta da quei pantaloni maschili, i lineamenti forti del suo volto presero una forma diversa, ibrida, su quella camicia di troppe taglie più grande. Fu allora che riconobbi in lei il tratto efebico dell’essere intermedio, ambiguo, addirittura più simile al ragazzetto androgino piuttosto che alla donna mascolina. Restai sconvolto, piacevolmente in verità. E così cominciai a lavorarci sopra.
Ora finalmente era il momento. Quando entrò in casa ero in boxer ad attenderla. Gettò il borsone per terra e stava per spogliarsi e inginocchiarsi per leccarmi i piedi, come di consueto, ma la fermai. Restò sorpresa, delusa e quasi spaventata.
- C’è qualcosa che non va? – mi disse con voce tremante, timorosa.
- Oggi ti farò un regalo, il più sorprendente che tu abbia mai ricevuto. Stai tranquilla e sorridi, ti piacerà.
Così dicendo le consegnai una valigetta, poco più grande di una 24 ore.
- Ti aspetto in camera, fai con calma, capirai cosa fare quando la aprirai.
Conteneva solo quattro semplici cose: un paio di pantaloni da uomo, neri; una camicia da uomo della sua taglia, bianca; una cravatta arancione; e infine la cosa più importante, uno strapon con un meraviglioso e ultrarealistico fallo di gomma.
Avevo dedicato molta attenzione nella ricerca di quest’ultimo oggetto, senza dubbio il più importante nel kit che le avevo appena fornito. Dopo lunghe analisi, letture di recensioni, visioni di filmati, ero arrivato alla scelta. Un’imbragatura nera, sottile ma robusta con attacco a 4 punti che lasciava liberi gli organi genitali e il culo. Il grosso pene era di un materiale morbido in superficie ma consistente e riproduceva alla perfezione un organo reale. Il mio scopo era ovvio: iniziare Chiara all’esplorazione di uno status che non aveva mai immaginato di poter vivere, la trasformazione in uomo, in essere maschile e dominante, uno scambio di ruoli inaspettato e imprevisto per lei, costantemente sottomessa. Naturalmente il gioco valeva anche per me: l’esperienza avrebbe avuto successo solo se si fosse realizzata a 360° e sapevo che mi sarei dovuto immedesimare nel ruolo opposto al suo, in ciò che per mesi lei era stata per me e che avevamo raggiunto dopo lunghissime e sconvolgenti esperienze di dominazione.
Ma la cosa era sottile. Facendole vivere questa esperienza in realtà andavo a rafforzare il mio dominio su di lei, ribadendo in sostanza il mio totale arbitrio e la sua dipendenza da ogni mia scelta o decisione. In ogni caso dovevo prepararmi e la cosa non fu per nulla sgradevole, sebbene parecchio impegnativa. Era da tempo che desideravo esplorare la mia potenziale bisessualità e in ogni caso la stimolazione anale e prostatica mi era sempre risultata gradita. Fu per questo piacevole allenarmi con quel fallo realistico che, durante le mie serate solitarie, si fece strada dentro di me aiutato da abbondanti dosi di lubrificante. Dopo un paio di settimane di allenamento entrava senza alcuno sforzo e capii che ero pronto.
Attesi comodamente sul letto leggendo un libro con noncuranza. La sentii armeggiare un po’, percepivo la sua titubanza anche dall’altra stanza ma ero fiducioso. Le avevo insegnato tante cose ma soprattutto avevo aperto la sua mente in modo che potesse imparare anche da sola. E così fu.
Scivolò alla porta, fermandosi sulla soglia e nascondendosi in parte dietro lo stipite, lasciando sporgere soltanto una spalla e il viso. Mi guardò sorridendo:
- come va il nodo della cravatta? Non sono molto brava a farlo....
Era sufficientemente imperfetto da risultare perfetto. Come lei, d’altronde. La invitai a entrare, mi obbedì accompagnando i suoi passi con un timido sorriso. Finsi di non fare caso all’imgombrante gonfiore che tradiva la presenza del suo nuovo, inspiegabile organo sessuale maschile. Mentre posavo distrattamente il libro sul comodino mi venne immediatamente duro: quella visione si stava rivelando inaspettatamente irresistibile ai miei occhi, scatenando dentro di me un moto emotivo, una serie di fantasie perverse che mi stupivano. Immediatamente mi venne voglia di un pompino, mi alzai, la feci inginocchiare ai miei piedi, le presi la testa tra le mani e feci scivolare il mio cazzo nella sua bocca già spalancata in devota attesa del premio. Le scopai la gola con una tale passione che dovetti improvvisamente smettere per non raggiungere l’orgasmo.
La presi per mano e la feci alzare; il suo sorriso di gratitudine, i suoi occhi arrossati e lucidi furono per l’ennesima volta fonte di piacere e soddisfazione per me e per il mio ego di padrone attento al benessere della sua serva.
- Ora tocca a te. Da questo momento sei libera, libera di sperimentare cosa si prova nella mia posizione, libera di vivere una nuova esperienza, libera di invertire i nostri ruoli abituali. Per stasera è questo il tuo compito, il mio regalo; queste sono le istruzioni che io ti do e che tu, come mia serva, devi ottemperare.
- Grazie mio padrone, lo farò con devozione come sempre. Ogni tuo regalo è per me occasione di crescita. E la strada che devo fare è ancora lunga. Il mio padrone vuole inginocchiarsi ai miei piedi? Ho una sorpresa per lui.
Mi scoprii emozionato nell’obbedire per la prima volta a una sua richiesta. Iniziavo ad avere la sensazione che lo scambio di ruoli sarebbe stata un’esperienza rivoluzionaria e arricchente anche per me, molto più di quanto avevo programmato. Mentre la osservavo si allentò la cravatta, senza toglierla, quindi si sbottonò la camicia i cui lembi, aprendosi, lasciavano intravedere le tettine morbide e naturali. Osservavo con attenzione il contrasto creato da dettagli così irresistibilmente femminili inseriti in un contesto di abiti maschili, dalle curve sinuose dei suoi fianchi con il gonfiore fallico del suo pube. La cosa mi eccitava sempre più e senza accorgermene stavo scivolando inesorabilmente nel mio nuovo ed estemporaneo ruolo di schiava sottomessa della mia androgina Chiara. Lei percepì l’emozione e colse l’occasione per iniziare la sua trasformazione parallela e opposta alla mia. Con fare lento, tremolante, slacciò la fibbia della cintura, sbottonò i pantaloni e vi infilò la mano, iniziando a massaggiarsi l’uccello. Mi osservava con attenzione, assicurandosi che il mio sguardo non si distraesse da quella scena. Con calma finalmente sfilò il suo membro imponente impugnandolo con fermezza. I pantaloni le scivolarono ai piedi, liberando le sue lunghe, affusolate cosce. Iniziò a segarsi con la mano destra, mentre la sinistra afferrava il fallo alla base per far si che restasse ben saldo al suo posto. Mentre la sua mano scivolava su e giù lungo l’asta il piacere di Chiara sembrava crescere, lento ma inesorabile come il ritmo dei suoi abili colpi di mano. Stava prendendo confidenza con la sua nuova natura, il suo sbalorditivo organo sessuale, e stava entrando nella parte con trasporto mentre io osservavo con attenzione e con un certo orgoglio la sua opera di masturbazione. Ad un certo punto, continuando a segarsi con la sinistra, tese la destra verso di me e accarezzandomi la guancia la fece scivolare dietro alla nuca, scompigliandomi i capelli con le dita. Poi, dolcemente, la tirò verso di se.
- Leccami mio padrone, fammi sentire che sei la mia troia, fammi vedere come me lo succhi da brava pompinara.
Fui scosso da un fremito che mi attraversò la spina dorsale. Ricevere ordini e sentirmi chiamato troia dalla mia schiava che continuava a definirmi il suo padrone era una situazione ossimorica e travolgente che volevo gustarmi in ogni minimo dettaglio. Nei giorni precedenti mi ero concentrato sulla penetrazione anale ma non avevo previsto questa ovvia circostanza. Iniziai a leccare la cappella, con una certa titubanza, a baciarla, ma lei con decisione spinse tutto quell’enorme cazzo dentro la mia bocca, senza lasciarmi modo di reagire, e iniziò a scoparmi ritmicamente accompagnando ogni affondo con un sospiro, uno sbuffo a metà tra il piacere e la sottile violenza. L’esperimento stava riuscendo appieno e, soddisfatto, mi godetti quell’opportunità mai sperimentata prima, dedicandomi con passione e curiosità a spompinarla per bene. Il suo ansimare stava crescendo in modo incontrollato, l’eccitazione derivante dal ruolo dominante unita alle ritmate pressioni della base del suo cazzo sul pube la stava conducendo a una forma di piacere inattesa. Feci scivolare una mano tra le sue cosce e le infilai due dita nel culo, dopo averle lubrificate rapidamente con i suoi umori vaginali che stavano sgocciolando copiosamente. Questo ulteriore stimolo la portò in pochi istanti ad un’incredibile esplosione orgasmica, accompagnata da urla faticosamente strozzate, mentre durante i suoi ultimi colpi d’anca ebbi quasi la sensazione di sentirmela sborrare in bocca. Fu travolgente, ma era solo l’inizio.
Mi fece alzare e mi cacciò la lingua in bocca in un bacio carico di passione, mentre ancora ansimava tentando di riprendere fiato.
- Sei proprio una brava pompinara, la mia troietta succhiacazzi. Così brava che ti meriti molto di più, vero?
Da tempo l’avevo iniziata alla tecnica dell’orgasmo multiplo, e sapevo che non si sarebbe accontentata di venire solo una volta e peraltro così rapidamente. Inoltre il culmine del piacere non era derivato da stimoli fisiologici quanto in massima parte dall’aspetto mentale, dalla sua nuova posizione di dominanza psicologica in cui le avevo concesso, o meglio ordinato, di mettersi. In sostanza, per continuare il suo percorso di crescita avevo scelto di indossare i panni dello schiavo dominato concedendo a lei l’esperienza di dominatrice. E sembrava che l’esperimento stesse riuscendo meglio del previsto.
In quei brevi istanti rividi l’immagine della goffa e timida ragazza che era quando la incontrai per la prima volta durante una cena a casa di amici. In quell’occasione avevo subito riconosciuto in lei le potenzialità di ciò che, dopo lunghi mesi, dopo infinite sessioni educative ora stava prendendo forma.
Mi spinse sul letto, su cui caddi di schiena, mi girò con decisione a pancia in giù e afferrandomi i fianchi e tirandoli a sé mi mise a pecorina. Sentivo la sua eccitazione crescere, la sua fantasia frullare così come stava già frullando la sua lingua nelle profondità del mio culo. Questa era una pratica per noi frequente, un gesto di devozione e sottomissione nei miei confronti che vivevamo abitualmente, ma in questo caso si stava trasformando in una forma di dominazione su di me, suo nuovo oggetto di piacere. Adoravo sentire la sua lunga lingua muoversi potente dentro di me, rilassarmi lo sfintere, lubrificarlo, spingersi fin quasi a stimolare il punto P provocandomi quella sensazione simile al preorgasmo ma continua, costante, apparentemente infinita. Andò avanti così per lunghissimi minuti, al punto che il mio culo non solo era completamente rilassato ma talmente eccitato da desiderare di essere finalmente sfondato da lei e dal suo uccello.
- La mia troietta è pronta per farmi godere? – e mentre lo disse la vidi riflessa nell’enorme specchio a parete che arredava la camera mentre si impugnava il cazzo e me lo puntava sul culo. Feci appena in tempo a prendere con la mano del gel con cui lo lubrificai, improvvisando una breve masturbazione manuale, quindi la sentii spingere e scivolare dentro di me con un gesto accompagnato da un duplice sospiro, mio e suo allo stesso tempo. Mi lasciai sbattere passivamente, godendomi l’inedia dell’essere un suo oggetto di piacere, un buco da sfondare e un essere sul quale far prevalere il proprio dominio. E parimenti lei si impegnava, si lasciava andare al suo ruolo, schiaffeggiandomi di tanto in tanto, accompagnando i suoi gesti con dolcissimi insulti ed espressioni di superiorità. E io la osservavo dallo specchio vedendo nei suoi occhi una luce nuova, mai vista prima, mentre i suoi colpi d’anca disegnavano un movimento esperto, fluido, esteticamente perfetto.
Mi girò a pancia in su, mettendomi un voluminoso cuscino sotto alla schiena, e continuò a scoparmi con forza, divaricandomi le gambe e spingendomi le ginocchia alle spalle. Ora potevo osservarla meglio, studiare il suo entusiasmo, la sua eccitazione, i suoi occhi esterrefatti mentre osservava l’asta del suo membro scivolare dentro di me. Ne approfittai per massaggiarle le dolci tettine ma non mi lasciò fare, spingendomi le mani dietro alla testa e intimandomi di non muoverle. Poi prese due mollette e me le applicò ai capezzoli. Il brivido di dolore durò pochi istanti, trasformandosi immediatamente in una scarica di piacere che dal mio petto si irradiò come corrente elettrica fino al perineo. La stimolazione prostatica violenta a cui ero sottoposto stava portando ad un crescendo di piacere che non avevo alcuna intenzione di controllare. Stavo vivendo degli stimoli nuovi, sconosciuti, a tratti fastidiosi, come se dovessi impellentemente fare pipì ma senza riuscirci; poi ad un tratto il piacere prese una forma differente, irradiandosi in tutto il corpo, e fu in quel momento che, con mia sorpresa, iniziai ad eiaculare. Lenti flussi di sperma uscivano e si depositavano caldi sulla mia pancia, al ritmo dei suoi colpi d’anca; non sembrava un vero e proprio orgasmo, non stavo vivendo un picco di piacere destinato a concludersi; sembrava piuttosto una sensazione continua, così come continui erano i lenti schizzi di sborra che mi scivolavano sul ventre. Mi prese un desiderio incontrollato: stavo si godendo ma con la sensazione di dover ancora godere, e in quel momento volli gustare il sapore del mio nettare che raccolsi con la mano e mi portai alla bocca, leccando avidamente e con gusto. Era delizioso.
Alla vista di questa scena Chiara fu presa da un moto incontrollabile, i suoi colpi aumentarono di frequenza e intensità, il suo respiro si fece affannoso fino a che esplose in un urlo interminabile, acuto, espressione dell’orgasmo che la stava sconvolgendo. Feci appena in tempo ad afferrarmi l’uccello e con pochi colpi di mano trasformai l’orgasmo anale in un orgasmo completo, esplosivo, con schizzi di sborra che mi raggiunsero il viso e oltre, la testata del letto. Eravamo esausti, Chiara senza sfilare il suo uccello dal mio culo si dedicò a leccarmi il petto, fino a risalire per baciarmi appassionatamente e per godere insieme del sapore ibrido delle nostre salive e del mio sperma.
Crollammo e dormimmo così per una buona mezz’ora; al risveglio ci fissammo negli occhi con un sorriso nuovo, con la consapevolezza di aver percorso un nuovo passo del nostro cammino.
- Ho voglia di uscire. Fa ancora caldo, usciamo a bere qualcosa in questa splendida nottata umida.
Chiara sfilò finalmente il suo ingombrante fallo dal mio culo, ero piuttosto provato ma estremamente rilassato. Avere un cazzo nel culo mi rilassava, questa era una bella novità. Ci rivestimmo senza farci una doccia: volevamo conservare addosso il profumo del sesso. Il mio armadio era in parte dedicato all’abbigliamento di Chiara; scelsi con cura un miniabito color bianco panna, aderentissimo, cortissimo, sbracciato e a girocollo. Chiara aggiunse orgogliosamente il suo collare da cagnetta con i brillantini, che esaltava la perfezione delle sue spalle nude, mentre io le completai l’outfit con un paio di stivali neri lucidi alti sopra al ginocchio, con zeppa e tacco da 13 cm. Era tardi, quasi notte, e i tavolini dei bar all’aperto non più affollati; la situazione ideale per essere notati, come piaceva a noi. Stuzzicare le fantasie delle persone con il nostro incedere deciso, fiero. Ci sedemmo sugli alti sgabelli di un bar lungo la passeggiata, dove sorseggiammo un whisky irlandese di qualità. Chiara riusciva, in quella posizione, ad essere provocatoria restando sempre elegante, mai volgare. Non solo con me, ovviamente: era parte del suo compito quello di dimostrare a tutti la sua natura di vera troia e soprattutto di mia cagnetta schiava devota. Per questo non usciva mai senza il collare, mettendo sempre ben in mostra la medaglietta rossa a forma di cuore su cui era inciso il suo appellativo preferito.
Mentre rientravamo a casa soddisfatti e la osservavo da dietro fui per l’ennesima volta folgorato dal fascino della sua camminata, dalle spalle squadrate, dalle gambe lunghissime, e sentii rinascere tra le gambe l’eccitazione. Entrati in casa la afferrai da dietro, mordendole il collo e i lobi delle orecchie, stringendo le tettine e appoggiandole il pacco già duro sul culo. Poi le afferrai le mani portandole dietro la schiena, mi allentai la cravatta ma senza sciogliere il nodo e gliela strinsi ai polsi, quindi la spinsi in ginocchio sul divano. Il collo appoggiava allo schienale, rendendole difficile la respirazione, ma non poteva reagire avendo le mani legate dietro la schiena. Le sollevai la gonnellina di quel poco che bastò a scoprirle il culo. La figa già si stava bagnando per l’emozione di essere posseduta e dominata, e ne sentivo il profumo intenso. Mi slacciai la cintura e la sfilai; uno schiocco secco, improvviso, la fece esclamare. Sapevo come era capace di trasformare il dolore in piacere e amavo soddisfarla frustandole le natiche senza preavviso. Mi fermai dopo tre o quattro colpi, quando vidi un rigagnolo luccicante e appiccicoso scenderle lungo la coscia.
Mi inginocchiai dietro di lei e iniziai a leccarle il buco del culo, infilando in profondità la lingua e lubrificando il più possibile; quindi mi alzai e, calati frettolosamente i pantaloni, le appoggiai la cappella al buco, spennellando accuratamente la saliva. Quindi spinsi con violenza a fondo, senza attendere che lo sfintere si dilatasse e si adeguasse alla penetrazione. Fu un gesto violento, volutamente provocatorio e prepotente, oltre che estremamente doloroso per lei. Ma il suo urlo di dolore fu soffocato dalla pressione del collo sullo schienale; faticava a respirare e così le afferrai i capelli con una mano e le sollevai la testa, per permetterle di ossigenarsi a sufficienza ma soprattutto per imporle con maggiore enfasi il ritmo dei miei colpi d’anca, che le stavano violentando lo sfintere. Più soffriva e più godeva, più le facevo male e più le donavo piacere, più ero violento e più sentivo di essere desiderato. Eravamo ormai in preda ad una specie di convulsione, ritmo impazzito di due corpi che diventavano uno solo, connessi dalla fusione di sentimento e fisicità.
Raggiungemmo insieme il culmine dell’orgasmo, le pulsazioni del suo sfintere accompagnavano i getti caldi di sperma dentro di lei mentre la schiaffeggiavo in modo incontrollato, confuso e inebriato dal piacere fisico ma soprattutto psicologico. L’essere nuovamente presa con violenza, oggetto di sottomissione, era ciò che più desiderava in quel momento e fu per me un piacere e un dovere donarle la meritata soddisfazione.
Eravamo davvero esausti, le gambe mi tremavano e faticavo a reggermi in piedi; le sciolsi la cravatta dai polsi e mi lasciai cadere all’indietro, sprofondando nella poltrona alle mie spalle. Lei, finalmente libera, sollevò la testa e girandosi verso di me mi fissò negli occhi con uno sguardo soddisfatto e fiero, mentre si accasciava sul divano. Percepivo nel suo orgoglio una sottile vena di sfida, come a dire si, sono la tua schiava troia e tu sei il mio padrone, ma solo perché io lo voglio e te lo concedo. La cosa mi turbava e mi intrigava allo stesso tempo: forse era davvero così. Ma non era finita lì: come a volermi dimostrare che l’allievo supera il maestro sollevò una gamba sul bracciolo del divano e puntò l’altra sul basso tavolino di fronte, mostrandomi a gambe spalancate il suo sesso umido, come una sensuale orchidea selvaggia appena sbocciata. Con la mano destra si accarezzava il seno mentre con la sinistra iniziò a massaggiarsi il pube, facendo scivolare le dita tra i petali carnosi, portandosele poi alla bocca per gustare il dolce sapore del suo nettare. Iniziò così una lenta opera di masturbazione: osservavo le sue dita scomparire, inghiottite da quel roseo fiore carnivoro, vorace, mai sazio di piacere; studiavo la fluida ritmicità dei movimenti delle sue anche, le contrazioni degli addominali, il respiro sempre più intenso e profondo, le pulsazioni del suo sfintere caldo e appiccicoso da cui iniziava a fuoriuscire un bianco rigagnolo. Tutto ciò in una sinusoidale armonia di frequenze sempre più intense che sfociò dopo poco in un ulteriore, spettacolare orgasmo, siglato dalla sua tipica smorfia di sforzo/piacere, una specie di contrazione alla sinistra del labbro superiore, che accompagnava sempre l’apice del suo godimento. Non aveva mai staccato gli occhi dai miei ma ora i suoi erano sorridenti, senza più quell’aria di sfida; sapeva che non era una gara, tra noi, ma solo una fusione.
Sul divano, proprio sotto al suo culo, si era formata una vistosa chiazza biancastra: le contrazioni anali avevano espulso durante l’ultimo orgasmo tutto il dolce succo che poco prima le avevo scaricato nel culo. Si inginocchiò sul pavimento e con cura leccò tutto il mio sperma, che aveva fino ad allora tenuto in caldo dentro di sé, e ripulì per bene il tessuto del divano con la lingua. Quindi mi prese per mano e mi sorrise, consapevole di aver superato le mie aspettative. Sapeva che il compito della brava schiava è quello di sorprendere sempre il suo padrone andando oltre alle sue istruzioni. Queste devono essere previste e soddisfatte prima che vengano esplicitate, in questo modo si gratifica il maestro ma soprattutto sé stessa. In effetti ero stupito, estasiato dalla sua opera; ma anche consapevole che l’aveva fatto in primis perché ne aveva voglia, aveva ancora voglia di godere tanto da arrivare a procurarsi questo quarto orgasmo della serata. E di mostrarmi con fierezza la sua voglia.
- Sono la tua Troia. – disse sottovoce mentre salivamo le scale tenendoci per mano. Mi infilai nudo tra le lenzuola mentre lei, spogliatasi di tutto tranne che del collare, si accovacciò come sempre nella sua cuccia ai piedi del letto. Ma dentro di me qualcosa era successo, sentivo il desiderio di averla al mio fianco, nel letto. Ma forse non era ancora ora.
L’ispirazione mi venne proprio da lei, un giorno in cui, dopo la nostra ennesima sessione di dominazione/sottomissione, al risveglio si era messa per scherzo i miei abiti e si era presentata in cucina così abbigliata mentre le preparavo la colazione. Ci scherzammo un po’ su – il nostro rapporto non era fatto solo di perversioni – ma inconsciamente vidi qualcosa alla quale lì per lì non feci caso, ma che nelle settimane successive emerse e prese la forma di desiderio fino a diventare un vero e proprio programma da realizzare. La sua dolcezza femminile risultò arricchita e stravolta da quei pantaloni maschili, i lineamenti forti del suo volto presero una forma diversa, ibrida, su quella camicia di troppe taglie più grande. Fu allora che riconobbi in lei il tratto efebico dell’essere intermedio, ambiguo, addirittura più simile al ragazzetto androgino piuttosto che alla donna mascolina. Restai sconvolto, piacevolmente in verità. E così cominciai a lavorarci sopra.
Ora finalmente era il momento. Quando entrò in casa ero in boxer ad attenderla. Gettò il borsone per terra e stava per spogliarsi e inginocchiarsi per leccarmi i piedi, come di consueto, ma la fermai. Restò sorpresa, delusa e quasi spaventata.
- C’è qualcosa che non va? – mi disse con voce tremante, timorosa.
- Oggi ti farò un regalo, il più sorprendente che tu abbia mai ricevuto. Stai tranquilla e sorridi, ti piacerà.
Così dicendo le consegnai una valigetta, poco più grande di una 24 ore.
- Ti aspetto in camera, fai con calma, capirai cosa fare quando la aprirai.
Conteneva solo quattro semplici cose: un paio di pantaloni da uomo, neri; una camicia da uomo della sua taglia, bianca; una cravatta arancione; e infine la cosa più importante, uno strapon con un meraviglioso e ultrarealistico fallo di gomma.
Avevo dedicato molta attenzione nella ricerca di quest’ultimo oggetto, senza dubbio il più importante nel kit che le avevo appena fornito. Dopo lunghe analisi, letture di recensioni, visioni di filmati, ero arrivato alla scelta. Un’imbragatura nera, sottile ma robusta con attacco a 4 punti che lasciava liberi gli organi genitali e il culo. Il grosso pene era di un materiale morbido in superficie ma consistente e riproduceva alla perfezione un organo reale. Il mio scopo era ovvio: iniziare Chiara all’esplorazione di uno status che non aveva mai immaginato di poter vivere, la trasformazione in uomo, in essere maschile e dominante, uno scambio di ruoli inaspettato e imprevisto per lei, costantemente sottomessa. Naturalmente il gioco valeva anche per me: l’esperienza avrebbe avuto successo solo se si fosse realizzata a 360° e sapevo che mi sarei dovuto immedesimare nel ruolo opposto al suo, in ciò che per mesi lei era stata per me e che avevamo raggiunto dopo lunghissime e sconvolgenti esperienze di dominazione.
Ma la cosa era sottile. Facendole vivere questa esperienza in realtà andavo a rafforzare il mio dominio su di lei, ribadendo in sostanza il mio totale arbitrio e la sua dipendenza da ogni mia scelta o decisione. In ogni caso dovevo prepararmi e la cosa non fu per nulla sgradevole, sebbene parecchio impegnativa. Era da tempo che desideravo esplorare la mia potenziale bisessualità e in ogni caso la stimolazione anale e prostatica mi era sempre risultata gradita. Fu per questo piacevole allenarmi con quel fallo realistico che, durante le mie serate solitarie, si fece strada dentro di me aiutato da abbondanti dosi di lubrificante. Dopo un paio di settimane di allenamento entrava senza alcuno sforzo e capii che ero pronto.
Attesi comodamente sul letto leggendo un libro con noncuranza. La sentii armeggiare un po’, percepivo la sua titubanza anche dall’altra stanza ma ero fiducioso. Le avevo insegnato tante cose ma soprattutto avevo aperto la sua mente in modo che potesse imparare anche da sola. E così fu.
Scivolò alla porta, fermandosi sulla soglia e nascondendosi in parte dietro lo stipite, lasciando sporgere soltanto una spalla e il viso. Mi guardò sorridendo:
- come va il nodo della cravatta? Non sono molto brava a farlo....
Era sufficientemente imperfetto da risultare perfetto. Come lei, d’altronde. La invitai a entrare, mi obbedì accompagnando i suoi passi con un timido sorriso. Finsi di non fare caso all’imgombrante gonfiore che tradiva la presenza del suo nuovo, inspiegabile organo sessuale maschile. Mentre posavo distrattamente il libro sul comodino mi venne immediatamente duro: quella visione si stava rivelando inaspettatamente irresistibile ai miei occhi, scatenando dentro di me un moto emotivo, una serie di fantasie perverse che mi stupivano. Immediatamente mi venne voglia di un pompino, mi alzai, la feci inginocchiare ai miei piedi, le presi la testa tra le mani e feci scivolare il mio cazzo nella sua bocca già spalancata in devota attesa del premio. Le scopai la gola con una tale passione che dovetti improvvisamente smettere per non raggiungere l’orgasmo.
La presi per mano e la feci alzare; il suo sorriso di gratitudine, i suoi occhi arrossati e lucidi furono per l’ennesima volta fonte di piacere e soddisfazione per me e per il mio ego di padrone attento al benessere della sua serva.
- Ora tocca a te. Da questo momento sei libera, libera di sperimentare cosa si prova nella mia posizione, libera di vivere una nuova esperienza, libera di invertire i nostri ruoli abituali. Per stasera è questo il tuo compito, il mio regalo; queste sono le istruzioni che io ti do e che tu, come mia serva, devi ottemperare.
- Grazie mio padrone, lo farò con devozione come sempre. Ogni tuo regalo è per me occasione di crescita. E la strada che devo fare è ancora lunga. Il mio padrone vuole inginocchiarsi ai miei piedi? Ho una sorpresa per lui.
Mi scoprii emozionato nell’obbedire per la prima volta a una sua richiesta. Iniziavo ad avere la sensazione che lo scambio di ruoli sarebbe stata un’esperienza rivoluzionaria e arricchente anche per me, molto più di quanto avevo programmato. Mentre la osservavo si allentò la cravatta, senza toglierla, quindi si sbottonò la camicia i cui lembi, aprendosi, lasciavano intravedere le tettine morbide e naturali. Osservavo con attenzione il contrasto creato da dettagli così irresistibilmente femminili inseriti in un contesto di abiti maschili, dalle curve sinuose dei suoi fianchi con il gonfiore fallico del suo pube. La cosa mi eccitava sempre più e senza accorgermene stavo scivolando inesorabilmente nel mio nuovo ed estemporaneo ruolo di schiava sottomessa della mia androgina Chiara. Lei percepì l’emozione e colse l’occasione per iniziare la sua trasformazione parallela e opposta alla mia. Con fare lento, tremolante, slacciò la fibbia della cintura, sbottonò i pantaloni e vi infilò la mano, iniziando a massaggiarsi l’uccello. Mi osservava con attenzione, assicurandosi che il mio sguardo non si distraesse da quella scena. Con calma finalmente sfilò il suo membro imponente impugnandolo con fermezza. I pantaloni le scivolarono ai piedi, liberando le sue lunghe, affusolate cosce. Iniziò a segarsi con la mano destra, mentre la sinistra afferrava il fallo alla base per far si che restasse ben saldo al suo posto. Mentre la sua mano scivolava su e giù lungo l’asta il piacere di Chiara sembrava crescere, lento ma inesorabile come il ritmo dei suoi abili colpi di mano. Stava prendendo confidenza con la sua nuova natura, il suo sbalorditivo organo sessuale, e stava entrando nella parte con trasporto mentre io osservavo con attenzione e con un certo orgoglio la sua opera di masturbazione. Ad un certo punto, continuando a segarsi con la sinistra, tese la destra verso di me e accarezzandomi la guancia la fece scivolare dietro alla nuca, scompigliandomi i capelli con le dita. Poi, dolcemente, la tirò verso di se.
- Leccami mio padrone, fammi sentire che sei la mia troia, fammi vedere come me lo succhi da brava pompinara.
Fui scosso da un fremito che mi attraversò la spina dorsale. Ricevere ordini e sentirmi chiamato troia dalla mia schiava che continuava a definirmi il suo padrone era una situazione ossimorica e travolgente che volevo gustarmi in ogni minimo dettaglio. Nei giorni precedenti mi ero concentrato sulla penetrazione anale ma non avevo previsto questa ovvia circostanza. Iniziai a leccare la cappella, con una certa titubanza, a baciarla, ma lei con decisione spinse tutto quell’enorme cazzo dentro la mia bocca, senza lasciarmi modo di reagire, e iniziò a scoparmi ritmicamente accompagnando ogni affondo con un sospiro, uno sbuffo a metà tra il piacere e la sottile violenza. L’esperimento stava riuscendo appieno e, soddisfatto, mi godetti quell’opportunità mai sperimentata prima, dedicandomi con passione e curiosità a spompinarla per bene. Il suo ansimare stava crescendo in modo incontrollato, l’eccitazione derivante dal ruolo dominante unita alle ritmate pressioni della base del suo cazzo sul pube la stava conducendo a una forma di piacere inattesa. Feci scivolare una mano tra le sue cosce e le infilai due dita nel culo, dopo averle lubrificate rapidamente con i suoi umori vaginali che stavano sgocciolando copiosamente. Questo ulteriore stimolo la portò in pochi istanti ad un’incredibile esplosione orgasmica, accompagnata da urla faticosamente strozzate, mentre durante i suoi ultimi colpi d’anca ebbi quasi la sensazione di sentirmela sborrare in bocca. Fu travolgente, ma era solo l’inizio.
Mi fece alzare e mi cacciò la lingua in bocca in un bacio carico di passione, mentre ancora ansimava tentando di riprendere fiato.
- Sei proprio una brava pompinara, la mia troietta succhiacazzi. Così brava che ti meriti molto di più, vero?
Da tempo l’avevo iniziata alla tecnica dell’orgasmo multiplo, e sapevo che non si sarebbe accontentata di venire solo una volta e peraltro così rapidamente. Inoltre il culmine del piacere non era derivato da stimoli fisiologici quanto in massima parte dall’aspetto mentale, dalla sua nuova posizione di dominanza psicologica in cui le avevo concesso, o meglio ordinato, di mettersi. In sostanza, per continuare il suo percorso di crescita avevo scelto di indossare i panni dello schiavo dominato concedendo a lei l’esperienza di dominatrice. E sembrava che l’esperimento stesse riuscendo meglio del previsto.
In quei brevi istanti rividi l’immagine della goffa e timida ragazza che era quando la incontrai per la prima volta durante una cena a casa di amici. In quell’occasione avevo subito riconosciuto in lei le potenzialità di ciò che, dopo lunghi mesi, dopo infinite sessioni educative ora stava prendendo forma.
Mi spinse sul letto, su cui caddi di schiena, mi girò con decisione a pancia in giù e afferrandomi i fianchi e tirandoli a sé mi mise a pecorina. Sentivo la sua eccitazione crescere, la sua fantasia frullare così come stava già frullando la sua lingua nelle profondità del mio culo. Questa era una pratica per noi frequente, un gesto di devozione e sottomissione nei miei confronti che vivevamo abitualmente, ma in questo caso si stava trasformando in una forma di dominazione su di me, suo nuovo oggetto di piacere. Adoravo sentire la sua lunga lingua muoversi potente dentro di me, rilassarmi lo sfintere, lubrificarlo, spingersi fin quasi a stimolare il punto P provocandomi quella sensazione simile al preorgasmo ma continua, costante, apparentemente infinita. Andò avanti così per lunghissimi minuti, al punto che il mio culo non solo era completamente rilassato ma talmente eccitato da desiderare di essere finalmente sfondato da lei e dal suo uccello.
- La mia troietta è pronta per farmi godere? – e mentre lo disse la vidi riflessa nell’enorme specchio a parete che arredava la camera mentre si impugnava il cazzo e me lo puntava sul culo. Feci appena in tempo a prendere con la mano del gel con cui lo lubrificai, improvvisando una breve masturbazione manuale, quindi la sentii spingere e scivolare dentro di me con un gesto accompagnato da un duplice sospiro, mio e suo allo stesso tempo. Mi lasciai sbattere passivamente, godendomi l’inedia dell’essere un suo oggetto di piacere, un buco da sfondare e un essere sul quale far prevalere il proprio dominio. E parimenti lei si impegnava, si lasciava andare al suo ruolo, schiaffeggiandomi di tanto in tanto, accompagnando i suoi gesti con dolcissimi insulti ed espressioni di superiorità. E io la osservavo dallo specchio vedendo nei suoi occhi una luce nuova, mai vista prima, mentre i suoi colpi d’anca disegnavano un movimento esperto, fluido, esteticamente perfetto.
Mi girò a pancia in su, mettendomi un voluminoso cuscino sotto alla schiena, e continuò a scoparmi con forza, divaricandomi le gambe e spingendomi le ginocchia alle spalle. Ora potevo osservarla meglio, studiare il suo entusiasmo, la sua eccitazione, i suoi occhi esterrefatti mentre osservava l’asta del suo membro scivolare dentro di me. Ne approfittai per massaggiarle le dolci tettine ma non mi lasciò fare, spingendomi le mani dietro alla testa e intimandomi di non muoverle. Poi prese due mollette e me le applicò ai capezzoli. Il brivido di dolore durò pochi istanti, trasformandosi immediatamente in una scarica di piacere che dal mio petto si irradiò come corrente elettrica fino al perineo. La stimolazione prostatica violenta a cui ero sottoposto stava portando ad un crescendo di piacere che non avevo alcuna intenzione di controllare. Stavo vivendo degli stimoli nuovi, sconosciuti, a tratti fastidiosi, come se dovessi impellentemente fare pipì ma senza riuscirci; poi ad un tratto il piacere prese una forma differente, irradiandosi in tutto il corpo, e fu in quel momento che, con mia sorpresa, iniziai ad eiaculare. Lenti flussi di sperma uscivano e si depositavano caldi sulla mia pancia, al ritmo dei suoi colpi d’anca; non sembrava un vero e proprio orgasmo, non stavo vivendo un picco di piacere destinato a concludersi; sembrava piuttosto una sensazione continua, così come continui erano i lenti schizzi di sborra che mi scivolavano sul ventre. Mi prese un desiderio incontrollato: stavo si godendo ma con la sensazione di dover ancora godere, e in quel momento volli gustare il sapore del mio nettare che raccolsi con la mano e mi portai alla bocca, leccando avidamente e con gusto. Era delizioso.
Alla vista di questa scena Chiara fu presa da un moto incontrollabile, i suoi colpi aumentarono di frequenza e intensità, il suo respiro si fece affannoso fino a che esplose in un urlo interminabile, acuto, espressione dell’orgasmo che la stava sconvolgendo. Feci appena in tempo ad afferrarmi l’uccello e con pochi colpi di mano trasformai l’orgasmo anale in un orgasmo completo, esplosivo, con schizzi di sborra che mi raggiunsero il viso e oltre, la testata del letto. Eravamo esausti, Chiara senza sfilare il suo uccello dal mio culo si dedicò a leccarmi il petto, fino a risalire per baciarmi appassionatamente e per godere insieme del sapore ibrido delle nostre salive e del mio sperma.
Crollammo e dormimmo così per una buona mezz’ora; al risveglio ci fissammo negli occhi con un sorriso nuovo, con la consapevolezza di aver percorso un nuovo passo del nostro cammino.
- Ho voglia di uscire. Fa ancora caldo, usciamo a bere qualcosa in questa splendida nottata umida.
Chiara sfilò finalmente il suo ingombrante fallo dal mio culo, ero piuttosto provato ma estremamente rilassato. Avere un cazzo nel culo mi rilassava, questa era una bella novità. Ci rivestimmo senza farci una doccia: volevamo conservare addosso il profumo del sesso. Il mio armadio era in parte dedicato all’abbigliamento di Chiara; scelsi con cura un miniabito color bianco panna, aderentissimo, cortissimo, sbracciato e a girocollo. Chiara aggiunse orgogliosamente il suo collare da cagnetta con i brillantini, che esaltava la perfezione delle sue spalle nude, mentre io le completai l’outfit con un paio di stivali neri lucidi alti sopra al ginocchio, con zeppa e tacco da 13 cm. Era tardi, quasi notte, e i tavolini dei bar all’aperto non più affollati; la situazione ideale per essere notati, come piaceva a noi. Stuzzicare le fantasie delle persone con il nostro incedere deciso, fiero. Ci sedemmo sugli alti sgabelli di un bar lungo la passeggiata, dove sorseggiammo un whisky irlandese di qualità. Chiara riusciva, in quella posizione, ad essere provocatoria restando sempre elegante, mai volgare. Non solo con me, ovviamente: era parte del suo compito quello di dimostrare a tutti la sua natura di vera troia e soprattutto di mia cagnetta schiava devota. Per questo non usciva mai senza il collare, mettendo sempre ben in mostra la medaglietta rossa a forma di cuore su cui era inciso il suo appellativo preferito.
Mentre rientravamo a casa soddisfatti e la osservavo da dietro fui per l’ennesima volta folgorato dal fascino della sua camminata, dalle spalle squadrate, dalle gambe lunghissime, e sentii rinascere tra le gambe l’eccitazione. Entrati in casa la afferrai da dietro, mordendole il collo e i lobi delle orecchie, stringendo le tettine e appoggiandole il pacco già duro sul culo. Poi le afferrai le mani portandole dietro la schiena, mi allentai la cravatta ma senza sciogliere il nodo e gliela strinsi ai polsi, quindi la spinsi in ginocchio sul divano. Il collo appoggiava allo schienale, rendendole difficile la respirazione, ma non poteva reagire avendo le mani legate dietro la schiena. Le sollevai la gonnellina di quel poco che bastò a scoprirle il culo. La figa già si stava bagnando per l’emozione di essere posseduta e dominata, e ne sentivo il profumo intenso. Mi slacciai la cintura e la sfilai; uno schiocco secco, improvviso, la fece esclamare. Sapevo come era capace di trasformare il dolore in piacere e amavo soddisfarla frustandole le natiche senza preavviso. Mi fermai dopo tre o quattro colpi, quando vidi un rigagnolo luccicante e appiccicoso scenderle lungo la coscia.
Mi inginocchiai dietro di lei e iniziai a leccarle il buco del culo, infilando in profondità la lingua e lubrificando il più possibile; quindi mi alzai e, calati frettolosamente i pantaloni, le appoggiai la cappella al buco, spennellando accuratamente la saliva. Quindi spinsi con violenza a fondo, senza attendere che lo sfintere si dilatasse e si adeguasse alla penetrazione. Fu un gesto violento, volutamente provocatorio e prepotente, oltre che estremamente doloroso per lei. Ma il suo urlo di dolore fu soffocato dalla pressione del collo sullo schienale; faticava a respirare e così le afferrai i capelli con una mano e le sollevai la testa, per permetterle di ossigenarsi a sufficienza ma soprattutto per imporle con maggiore enfasi il ritmo dei miei colpi d’anca, che le stavano violentando lo sfintere. Più soffriva e più godeva, più le facevo male e più le donavo piacere, più ero violento e più sentivo di essere desiderato. Eravamo ormai in preda ad una specie di convulsione, ritmo impazzito di due corpi che diventavano uno solo, connessi dalla fusione di sentimento e fisicità.
Raggiungemmo insieme il culmine dell’orgasmo, le pulsazioni del suo sfintere accompagnavano i getti caldi di sperma dentro di lei mentre la schiaffeggiavo in modo incontrollato, confuso e inebriato dal piacere fisico ma soprattutto psicologico. L’essere nuovamente presa con violenza, oggetto di sottomissione, era ciò che più desiderava in quel momento e fu per me un piacere e un dovere donarle la meritata soddisfazione.
Eravamo davvero esausti, le gambe mi tremavano e faticavo a reggermi in piedi; le sciolsi la cravatta dai polsi e mi lasciai cadere all’indietro, sprofondando nella poltrona alle mie spalle. Lei, finalmente libera, sollevò la testa e girandosi verso di me mi fissò negli occhi con uno sguardo soddisfatto e fiero, mentre si accasciava sul divano. Percepivo nel suo orgoglio una sottile vena di sfida, come a dire si, sono la tua schiava troia e tu sei il mio padrone, ma solo perché io lo voglio e te lo concedo. La cosa mi turbava e mi intrigava allo stesso tempo: forse era davvero così. Ma non era finita lì: come a volermi dimostrare che l’allievo supera il maestro sollevò una gamba sul bracciolo del divano e puntò l’altra sul basso tavolino di fronte, mostrandomi a gambe spalancate il suo sesso umido, come una sensuale orchidea selvaggia appena sbocciata. Con la mano destra si accarezzava il seno mentre con la sinistra iniziò a massaggiarsi il pube, facendo scivolare le dita tra i petali carnosi, portandosele poi alla bocca per gustare il dolce sapore del suo nettare. Iniziò così una lenta opera di masturbazione: osservavo le sue dita scomparire, inghiottite da quel roseo fiore carnivoro, vorace, mai sazio di piacere; studiavo la fluida ritmicità dei movimenti delle sue anche, le contrazioni degli addominali, il respiro sempre più intenso e profondo, le pulsazioni del suo sfintere caldo e appiccicoso da cui iniziava a fuoriuscire un bianco rigagnolo. Tutto ciò in una sinusoidale armonia di frequenze sempre più intense che sfociò dopo poco in un ulteriore, spettacolare orgasmo, siglato dalla sua tipica smorfia di sforzo/piacere, una specie di contrazione alla sinistra del labbro superiore, che accompagnava sempre l’apice del suo godimento. Non aveva mai staccato gli occhi dai miei ma ora i suoi erano sorridenti, senza più quell’aria di sfida; sapeva che non era una gara, tra noi, ma solo una fusione.
Sul divano, proprio sotto al suo culo, si era formata una vistosa chiazza biancastra: le contrazioni anali avevano espulso durante l’ultimo orgasmo tutto il dolce succo che poco prima le avevo scaricato nel culo. Si inginocchiò sul pavimento e con cura leccò tutto il mio sperma, che aveva fino ad allora tenuto in caldo dentro di sé, e ripulì per bene il tessuto del divano con la lingua. Quindi mi prese per mano e mi sorrise, consapevole di aver superato le mie aspettative. Sapeva che il compito della brava schiava è quello di sorprendere sempre il suo padrone andando oltre alle sue istruzioni. Queste devono essere previste e soddisfatte prima che vengano esplicitate, in questo modo si gratifica il maestro ma soprattutto sé stessa. In effetti ero stupito, estasiato dalla sua opera; ma anche consapevole che l’aveva fatto in primis perché ne aveva voglia, aveva ancora voglia di godere tanto da arrivare a procurarsi questo quarto orgasmo della serata. E di mostrarmi con fierezza la sua voglia.
- Sono la tua Troia. – disse sottovoce mentre salivamo le scale tenendoci per mano. Mi infilai nudo tra le lenzuola mentre lei, spogliatasi di tutto tranne che del collare, si accovacciò come sempre nella sua cuccia ai piedi del letto. Ma dentro di me qualcosa era successo, sentivo il desiderio di averla al mio fianco, nel letto. Ma forse non era ancora ora.
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Chiara - cap.01 - Il sottile fascino della sottomissioneracconto sucessivo
Chiara - cap.03 - L'origine di tutto
Commenti dei lettori al racconto erotico