Chiara - cap.04 - L'iniziazione

di
genere
dominazione

Invitai la mia cagnetta tra le lenzuola per poter gustare insieme la colazione che le avevo preparato con amore. Osservavo la dolcezza e l’eleganza con cui portava la forchetta alla bocca, i piccoli bocconi di waffle che si insinuavano lievi tra le soffici e carnose labbra appena dischiuse. Faticai a resistere all’erotismo intrinseco in quella scena innocente, mentre tra me e me ringraziavo il fato che aveva fatto sì che le nostre strade si incrociassero. Ancora una volta, come pochi minuti prima, la mia mente andò al passato, rievocando l’incontro che segnò l’inizio di una nuova vita, per entrambi.
***
L’episodio degli schiaffi sulle natiche, in occasione del nostro primo rapporto anale, aveva creato in noi una nuova fantasia, una nuova consapevolezza. I ruoli tra noi stavano evolvendo e così come lei si stava trasformando da allieva a schiava, io da maestro iniziavo a rivestire il ruolo di padrone. Era un percorso nuovo per entrambi, non mi ero mai trovato in una situazione simile e la mia fantasia non aveva mai esplorato il terreno della sottomissione e del BDSM; ma era chiaro a entrambi che quella doveva essere l’evoluzione naturale del nostro rapporto. La cosa bella è che non c’era violenza, non c’era forzatura né prevaricazione: l’equilibrio, l’armonia tra noi era immutata se non addirittura amplificata. Le cose si stavano semplicemente collocando al loro posto, secondo natura.
La sera dell’iniziazione, non pianificata ma tacitamente voluta da entrambi, la feci entrare in casa quindi, mantenendo una certa distanza, le intimai di spogliarsi.
- Ora mettiti in ginocchio ai miei piedi, e posa le mani sulle cosce. Ho un regalo per te.
Era il suo primo collare. Aveva mille significati intrinseci: l’anello di fidanzamento, il possesso, la promessa da parte mia di prendermi sempre cura di lei, la sua devozione nei miei confronti, suo maestro e ora anche padrone. Era in morbidissima pelle nera, con rivestimento interno scamosciato, impreziosito da due sottili file di brillantini; ma soprattutto non poteva mancare la medaglietta rossa a forma di cuore su cui erano incisi il suo nomignolo prediletto, Troia, e il mio numero di telefono. Glielo mostrai per qualche secondo, restò estasiata dalla vista, onorata e impaziente di indossarlo.
- Ferma! Non muovere le mani dalle ginocchia! Non ti ho chiesto di farlo.
Restò ammutolita, con lo sguardo abbassato mi chiese scusa, poi rialzò la testa e sorrise.
- Il mio padrone vorrebbe farmelo indossare? La sua Troietta è impaziente di provarlo....
Glielo feci scivolare intorno al collo e strinsi con delicatezza la fibbia. Vederla così, nuda, in ginocchio sotto il mio controllo, con quel meraviglioso accessorio al collo mi fece eccitare come raramente mi era successo in passato. Mi tolsi i pantaloni e iniziai a masturbarmi a pochi centimetri dal suo viso. Lei cercava di avvicinarsi, vogliosa, affamata del mio cazzo, desiderosa di riceverlo tra le labbra ma glielo impedii con fermezza. Presi due mollette da bucato, mi piacevano quelle in legno per il loro aspetto naturale e per la sensazione che davano tenendole in mano; due oggetti semplici ma, visti sotto un’ottica differente, affascinanti. Le applicai la prima ad un capezzolo, già bello inturgidito per l’eccitazione dovuta alla situazione ambigua: nessuno di noi due sapeva come sarebbero evolute le cose e questo era estremamente stimolante. Quando la piccola morsa le strinse il capezzolo Chiara emise un sibilo di dolore e osservai i muscoli della sua schiena e delle cosce contrarsi leggermente per alcuni istanti. Quando tornò rilassata applicai la seconda molletta: il sibilo ora più che dolore sembrava esprimere soddisfazione, piacere, a piena conferma delle impressioni che avevo avuto nei giorni precedenti.
Ora Chiara appariva immobile nella sua posizione genuflessa ma in realtà era continuamente mossa da microcontrazioni muscolari, come dei movimenti di assestamento. In realtà si stava dimostrando più che mai a suo agio nella posizione quindi ripresi in mano l’uccello e proseguii nella mia opera. Il mio respiro si faceva sempre più intenso, i colpi di mano sempre più frequenti e profondi e Chiara era guidata dal mio ritmo, respirava con me, si muoveva con me, trasportata dal moto delle mie mani, dal pulsare del mio cazzo, pur restando apparentemente ferma. Le sue spalle si stavano arrossando, irrorate dalla pressione capillare sempre più intensa, la sua pelle si imperlava di minute goccioline di sudore; continuai a segarmi fissandola negli occhi finché, eccitatissimo, sentii fluire dentro di me l’eruzione di piacere e iniziai a scaricarle sul viso caldi schizzi di nettare dolce. Mentre emettevo sospiri strozzati sentii il suo respiro farsi profondo, sonoro fino a trasformarsi in un lungo urletto sibilante che terminò in uno sbuffo di soddisfazione. Fu per me un orgasmo repentino, intenso, anomalo rispetto alle mie abitudini; non sono mai stato uno da sveltine o da sesso fugace tipo ascensore, ho sempre dedicato attenzioni prima di tutto alla mia donna e solo dopo averla fatta godere mi lascio andare. Ma quella volta andò così, era un messaggio chiaro che definiva in modo univoco i nostri ruoli: comandavo io.
Chiara si portò le mani al viso per raccogliere il frutto appiccicoso del mio orgasmo e finalmente potè gustarne la dolcezza fino all’ultima goccia. Sotto di lei, sul parquet tra le cosce, c’era una grossa chiazza umida che testimoniava l’orgasmo che anche lei aveva vissuto, animato dalle sue impercettibili contrazioni pelviche, dallo stimolo delle mollette sui capezzoli, dal piacere degli schizzi di sborra sul viso. Ero estasiato.
Il mio uccello reclamava un po’ di riposo ma sapevo che la cosa non valeva per lei; mi aveva ben più di una volta dimostrato di essere multiorgasmica, direi piuttosto insaziabile, ed era sempre meraviglioso vedere che anche subito dopo un orgasmo aveva già voglia di cazzo. Dovevo quindi trovare il modo di soddisfare la sua fame. La presi per i capelli e la trascinai carponi sul parquet fino al divano e le feci appoggiare la testa e il buso sulla seduta. Poi le portai le mani dietro la schiena e legai i polsi con la cintura che mi ero sfilato dai pantaloni; si girò verso di me a fatica, in silenzio, ma il suo sguardo eccitato, curioso, solare e profondo era più eloquente di qualsiasi parola. Questa era una cosa che accadeva spesso tra noi: parlavamo molto su diversi argomenti, ma per ciò che riguardava il sesso, l’erotismo, il piacere, non servivano le parole; bastava uno sguardo e ci capivamo al volo.
Tra i falli di gomma che le avevo regalato per l’allenamento presi il più grosso, lo lubrificai per bene e glielo puntai contro lo sfintere; iniziai a spingere lentamente e questo scivolò dentro di lei senza alcuna resistenza, provocandole però qualche giustificato fremito di piacere. Mi fermai a metà e rimasi ad osservare la base che svettava orizzontale tra le sue natiche, girandole attorno per godere di quella vista affascinante da ogni angolazione. L’interno delle cosce era umido, luccicante a causa degli umori vaginali appiccicosi che non smettevano di colare. Presi una spatola da cucina in silicone e con quella iniziai a picchiettare la base del dildo: ad ogni colpetto il grosso fallo entrava di qualche millimetro e dopo lunghi, rilassanti minuti l’orlo a ventosa della base aderiva perfettamente ai muscoletti dello sfintere e tutta l’asta era scomparsa nel suo retto. Fu allora che, invece di smettere di battere, intensificai i colpi della spatola trasformandoli in veri e propri schiaffetti, alternati tra natica sinistra e destra; mantenni una cadenza costante ma i colpi erano sempre più forti e anche i sospiri lamentosi di Chiara seguivano un crescendo di intensità che mi rassicurava. Di tanto in tanto schiaffeggiavo le sue grandi labbra che facevano capolino tra le cosce, appena sotto alla base del fallo; ritraendo lentamente la spatola mi piaceva osservare il filamento appiccicoso e trasparente, sottile come un filo di ragnatela, che si tendeva tra la vulva e la paletta da cucina finché non si spezzava lasciando cadere alcune gocce del suo succo sul parquet. Queste gocce, così come la grossa chiazza di poco prima, macchiarono in modo indelebile il legno e a distanza di mesi sono ancora ben visibili, deliziosa testimonianza del piacevole evento.
Continuando a colpirla la portai a ridosso del suo imminente orgasmo al ché, inaspettatamente, mi fermai. Si girò verso di me guardandomi perplessa, delusa da quella sadica interruzione. Le sciolsi i polsi, liberandola, e le diedi in mano un altro grosso cazzo di gomma.
- Mia dolce troietta, ora tocca a te: fammi vedere cosa sai fare.
Mi sorrise, come per accettare di buon grado una sfida che non poteva che essere piacevole. Impugnò il secondo fallo con la sinistra che fece scivolare sotto alla pancia, sempre restando a pecora appoggiata al divano, mentre portò la destra dietro la schiena e raggiunse il cazzone che aveva nel culo. Iniziò immediatamente una doppia penetrazione masturbatoria, muovendo ritmicamente i due cazzi nelle sue due voraci cavità, vaginale e anale. A volte in modo alternato, altre insieme, ma sempre gemendo in versi che sapevano di piacere e di sofferenza allo stesso tempo, in un impegno a dare il meglio per dimostrarmi tutte le sue qualità. Mi accorsi che prossima all’orgasmo rallentò il ritmo, come per prolungare quel momento estatico che precede il climax; intervenni con decisione schiaffeggiandola all’improvviso con la spatola sul culo. Un colpo potente e inaspettato che la fece esplodere in un urlo, preludio ad un sonoro, intenso e travolgente orgasmo. Urlò fino a non avere più fiato, gemendo e lamentandosi per il piacere incontrollabile, quindi, esausta, si lasciò cadere a terra.
***
Mi girai verso di lei, i waffle erano finiti e stavamo sorseggiando insieme il cafffè.
- A cosa stavi pensando? – mi chiese. Le sorrisi e la baciai con dolcezza, accarezzandole il seno. Poi la guardai negli occhi, lei capì al volo e chinandosi iniziò a succhiarmi l’uccello finché non le donai l’ultimo ingrediente, il più prezioso, della sua colazione.
di
scritto il
2022-09-02
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