Espiazione X
di
Rot43
genere
pulp
Mi risveglio supina su di un letto che forse posso definire tale: niente paglia o stracci, un materasso vero. Mi accorgo di essere assicurata alla spalliera in ferro tramite delle strette fasce che mi cingono braccia, collo e piedi. Il solo tentativo di issarmi mi provoca un dolore terrificante le scapole si dilatano e avverto un bruciare intenso correre lungo la pelle. Il male mi ricorda ciò che sto vivendo e sul resto del corpo porto i segni inequivocabili di quanto avvenuto nella cappella ieri o forse qualche ora fa? Non lo so più … mi guardo intorno e non riesco a distinguere elementi in grado di darmi una risposta sul tempo, la stanza è simile a molte in cui sono stata alloggiata e a parte la comodità del materasso non vedo altri agi, il muro davanti a me è crepato e il pavimento appare rivestito malamente. Distendo più che posso il petto sul materasso per non tenere in tensione la schiena, sicuramente mi avranno legata in questo modo per non farmi voltare sulla schiena, si saranno resi conto di avermi conciata male. Al solito mi ritrovo spogliata, ma almeno ho il capo libero da quella orrenda maschera e spostando le gambe non sento la presenza del cilicio, anche se attorno alla vite percepisco nuovamente un peso e comprendo che mi è stata applicata un'altra volta la cintura di astinenza. Sulla lingua percepisco dei piccoli tagli dovuti alla lamina e la schiena è un fuoco e ora spero che mi abbiano disinfettato le ferite e ripulita dal sangue per evitare infezioni. Un rumore di ferraglia annuncia l’apertura della porta, mi si avvicina un frate con in mano uno specchio, mi dice subito che mi è stata revocata la possibilità di espressione e che dovrò solo rispondere alle domande. Mi porge lo specchio all’altezza della mia spalla destra e mi fa vedere come la frusta mi ha ridotta. Ho la pelle gonfia e violacea, le nervature dell’attrezzo hanno prodotto delle sporgenze sulla pelle e ci vorrà qualche giorno prima che queste si ridimensionino. Vengo informata che si stanno prendendo cura delle ferite, infatti non noto tracce di sangue sul corpo, e mi promette che verrò curata prima di dare inizio al rito di purificazione. Mi avvicina lo specchio in modo che io possa guardare per bene la mia carne martoriata, con lo sguardo cerco di intravedere la zona interna della coscia sinistra al frate non sfugge il tentativo e mi spiega che ne sono stata liberata anche dal cilicio per permettere la medicazione. Assicuratosi del mio stato psico-fisico, prima di lasciarmi sola nella stanza, mi cosparge una polvere sulla schiena. La polvere pare innocua, ma dopo qualche minuto brucia tantissimo, strido per il dolore, ma dopo qualche minuto passa come se nulla fosse stato fatto. Per giorni, non so quanto, vengo medicata nel silenzio imposto dalla regola di obbedienza, non posso parlare e per questo nessuno mi aggiorna sui tempi del recupero. Avverto però che il dolore alla schiena viene sempre meno e ora riesco anche a distendere le spalle senza sentire tanto male. Anche l’effetto della polvere adoperata sulle mie ferite nei non è più così amaro da sopportare. I giorni si alternano noiosi tra pasti e cure mediche, ma il silenzio mi sta facendo impazzire e per non farlo prego con tutte le mie forze giorno e notte. Le fasce che mi assicurano al letto sono morbide, ma ben fisse e quindi trascorro gran parte delle giornate distesa e per questo sono costretta a far scivolare i miei bisogni attraverso la cintura tra le lenzuola. Ogni sera un frate sordo-muto viene a ripulire i miei escrementi, mi aiuta ad alzarmi e a fare delle camminate nella mia cella, dopo mi assicura su di una sedia a rotelle con le manette e procede alla pulizia delle mie deiezioni. Una volta ripulito il mio schifo mi slega e mi assicura nuovamente al letto per poi sparire oltre le sbarre. Nei giorni seguenti mi sento meglio e anche i miei aguzzini se ne accorgono, così a sera al posto del solito frate, autorizzato alla mia medicazione, viene a continuare l’opera l’abate in persona che prese posto accanto a me:
:-Come stai Maddalena? Come và la tua schiena?
Mi domanda mentre passa sulle mie spalle un pezzo di ovatta imbevuto di qualche medicinale
:- Molto meglio
:-Bene
E procede per tutta la schiena percossa e dopo aver finito, continua:
:-Ricordi le ammissioni e confessioni della settimana scorsa fatte da te al cospetto di Dio, e dei tuoi fratelli, vero?
:- Si!
Sei pronta ad affrontare la tua purificazione?
:-No, non voglio, ho paura!
:-Devi averne, indegna puttana, devi averne!
Il suo linguaggio mi fa rabbrividire, sento le sue piccole mani premere con fastidio contro la schiena ferita ma la pressione ma non mi causa più male. Gli basta ciò per rendersi conto della mia guarigione e mi slaccia le fasce che mi tengono ancorate nuca, braccia e piedi e mi aiuta ad alzarmi. Aggrappata a lui faccio la solita passeggiata nella mia cella. Mi abbandona d’un tratto vuole rendersi conto se ho la forza per restare in piedi, ci riesco e questo lo soddisfa, poi fa cenno di entrare al solito frate fermo sull’uscio della cella e che si occupa del mio letto. Lui entra e cambia le coperte sporche del mio giaciglio mentre il priore squadra il mio corpo nudo immobile davanti a sé. Una volta terminato il suo lavoro il frate ci abbandona chiudendo la cella. L’abate mi fa segno di prendere posto sul letto pulito, eseguo. Dalla sacca della sua tonaca estrae un documento recante la firma della badessa e senza fiatare lo porge davanti ai miei occhi. E’ il documento che dieci anni fa la badessa si è rifiutata di farmi firmare per evitare di ridurmi ad un oggetto nelle mani della chiesa. Se firmo quel foglio accetto spontaneamente di divenire “un’ubbidiente” e allora chiunque con un grado nell’istituzione potrebbe disporre della mia persona a proprio piacimento. Mi rifiuto di firmare e allontano il foglio. Il padre mi guarda senza proferire parola, poi si alza prende il documento e guadagna l’uscio, ma prima di farlo interrompe il glaciale silenzio tra noi:
:- Vedrai che finirai per firmarlo quel documento schifosa invertita. Tornerò fra tre giorni, fino a quel giorno augurati di essere rientrata nel pieno delle tue forze.
Mi siedo agitata e inizio a capire che sono spacciata, nessuno mi salverà, anche perché sono sola, sono sempre stata sola nella mia vita ed è per questo che chiunque può abusare di me. Nei due giorni seguenti ricevevo fulminee visite dei frati al mattino e a sera solo per la consegna dei pasti. Il resto del lo passo in isolamento. Fortunatamente non sono più legata al letto, le ferite ormai cicatrizzate non fanno più male e inoltre sto riacquisendo tutto il pieno possesso delle mie forze. Al terzo giorno già annunciato due frati mi svegliano mentre riposo, mi obbligano a distendere le gambe e mi tingono di rosso unghie di piedi e mani. Una volta finito mi porgono trucco e specchio e mi ordinano di truccarmi. Ubbidisco e mi trucco con rimmel e rossetto. Ultimato mi fanno alzare in piedi e mi fanno specchiare nella mia libertina appariscenza: i capelli ricci esaltano un viso da gran baldracca, le labbra tumide e le rosee areole dei miei seni gonfi suscitano lussuria che traspare sui loro volti compiaciuti. Terminano l’opera invitandomi a indossare un paio di scarpe rosse, ovviamente con il tacco,e mi indicano di seguirli. Su questi trampoli cammino sbilenca non sono abituata, e infatti cado, mi sostengo alla parete ma rovino ancora. Mi viene indicato il percorso da seguire, esso passa per il corridoio dove sono alloggiati tutti i frati dell’eremo i quali richiamati dal rumore dei tacchi, escono dalle loro porte a godersi la mia sfilata. Vorrei svanire per la vergogna, invece perdo l’equilibrio, e scivolo addosso ad uno dei tanti spettatori che mi agguanta al volo brandendo le mie chiappe, le palpa vigorose e mi rimette in passerella con un ghigno famelico. Riprendo a sfilare attenta e cerco di mantenere un’andatura corretta. Attraversati gli alloggi il defilé termina e vengo scortata in una nuova stanza, davanti ad un grande confessionale. Mi viene riferito che c’è una visita per me e vengo invitata a prendere posto all’interno del confessionale. La panca è in marmo e mi raggela subito il culo. Dopo alcuni minuti di attesa dai buchi delle grate un voce femminile e familiare:
:-Suor Chiara!
Non ci posso credere.
:-Suor chiara, sono io!
La voce mi ripete, mentre la mia si rompe in gola e biascico il suo nome
:-Ger…trude? Sse sei tu? Come stai?
Sono così tante le domande che vorrei farle, ma lei ribatte dicendo che non ha molto tempo, mi manifesta che l’atto d’accusa contro di me l’è stato estorto con la minaccia e che lei non mi avrebbe mai accusata di sua spontanea volontà. Provo a scoprire cosa le hanno fatto o come l’hanno minacciata, ma capisco che preferisce non parlarne. E’ risoluta e mi domanda di negare le accuse da lei rivoltemi e che è pronta a ritrattare tutto e pagare per me. Provo a inserire le dita dentro le piccole grate, voglio toccarla e sentire il contatto con lei ma non posso le grate sono impenetrabili. Allora le urlo di amarla. E dall’altra parte dopo qualche secondo di silenzio odo ciò che più vorrei ascoltare al mondo:
:- Anche io Chiara! Ma loro approfitteranno di te.
:-Chi?
:- I frati, ti puniranno per la tua omosessualità
:-Per questo mi hanno agghindato come una puttana? Non capisco…
Ti voglio vedere Chiara!
Le sue parole mi incoraggiano, esco dal confessionale, e corro dall’’altra parte ad aprire l’anta che ci separa, ma scopro che è chiusa a chiave, disperata colpisco il pannello con le mani, ma non si apre. Gertrude mi chiede di stare calma che è tutto inutile e che questo è il nostro destino lo dobbiamo accettare e che la devo perdonare. Voglio osservarla per assicurarmi che stia bene. Mentre cerco di devastare l’anta, la odo ammettere che se io non accetto tutto ciò che lei ha firmato contro di me il suo processo dovrà essere rivisto
:-Rivisto? Cosa vuol dire?
:-Vuol dire che la mia pena verrà riabilitata.
:-Quale pena? Cosa ti hanno fatto?
:- Per guarire dalla mia omosessualità …
Si interruppe angosciata e in lacrime
:-Cosa?
:-Non voglio che facciano a te la stessa cosa…
Piangeva a singhiozzi, svelarmi il piano le era costato molto. Tra un singulto e l’altro la sentivo implorare il mio perdono. Cerco di forzare quella maledetta porta in cui è segregata, voglio liberarla e scappare con lei lontano da questa follia. Adocchio in fondo alla stanza qualcosa di pesante da usare come ariete è una pesante sedia, la sollevo e la impiego contro il confessionale come ariete. Urlo a Gertrude di pararsi all’interno della strettoia con le mani e inizio a colpire con tutte le mie forze la portiera che dopo diversi colpi si lacera permettendomi di sganciare la serratura e tirarla fuori. Lei impaurita sguscia fuori coprendosi l’addome con gli occhi carichi di pianto, vederla mi regala un’improvvisa gioia e mi getto al suo collo per abbracciarla. Urlo il suo nome come una madre apprensiva che ritrova una figlia smarrita, la cingo così forte da percepire una morbida protuberanza schiacciarsi contro il mio addome. Mi separo dal suo corpo e la ispeziono, ha uno sguardo felice di vedermi ma malinconico, non parla. Le alzo la tunica e rimango di sasso. Lei mi guarda immobile senza proferire parola . E’ in cinta e a giudicare dalla consistenza da almeno tre - quattro mesi, non comprendo e indietreggio adagio. Lei mi viene incontro e mi abbraccia in lacrime. Le tocco il pancione, poi tremando:
:-Chi ti ha fatto questo?
:- E’ il rito per guarire il male che ho dentro!
Urla piangendo.
In lacrime mi vomita addosso tutte le sevizie subite: la detenzione nel monastero per settimane poi il trasferimento in questo eremo con tutte le torture e il processo per omosessualità e la confessione estorta per raggiungere un compromesso.
:-Quale compromesso?
Piange e ansima, non riesce a guardarmi negli occhi. L’abbraccio e le accarezzo il volto dolce e le ripeto che va tutto bene. Poi prende fiato e coraggio e ammette quanto pattuito con il monsignore: se lei avesse firmato un foglio d’accusa nei miei confronti l’avrebbero reintegrata come suora evitandole di organizzare su di lei il rito di purificazione, inoltre l’avrebbero messa su un aereo e mandata in Africa dove avrebbe potuto definitivamente svolgere l’incarico di suora missionaria espiando così le sue pene. Ma non l’ho fatto, non volevo essere causa delle tue pene e mi sono rifiutata, così ho subito il rito di purificazione.
:-In cosa consiste il rito ?
Mi spiegò che consisteva in mesi di appagamenti carnali con diversi uomini. Lei era stata spedita in un monastero isolato dove vi erano molti frati novizi ancora incerti sulla vocazione e quindi non ancora convinti di proseguire la vita monastica per via dell’astinenza dal sesso. Da diversi rapporti ricevuti dalla Santa sede, il Sinodo diocesano venne informato che in quel monastero spesso si ricorreva alla sodomia per solitudine e diletto. Ovviamente per fare ammenda a questi imprevisti e non perdere adepti, alcuni vescovi avevano trovato la soluzione al problema. L’omosessualità doveva essere combattuta utilizzando il chiodo schiaccia chiodo. La soluzione era quella di utilizzare le suore coinvolte in rapporti saffici con altre sorelle all’interno dei monasteri. I priori chiesero alle badesse di tutte le zone interessate di fornire informazioni su chi avesse commesso questo peccato. In breve tempo la lista venne fornita e le suore malcapitate spedite nei monasteri per ovviare al problema. Mi hanno sbattuta lì dopo circa una settimana il nostro peccato con addosso un unico indumento: una vestaglia corta trasparente di colore bianco. Alloggiata in una stanza con un grande letto, ad ogni ora del giorno ricevevo la visita di frati arrapati che giacevano con me. Finché non mi hanno messo in cinta e mandata in un convento in un luogo sperduto in attesa di partorire. Dopo il parto mi hanno promesso la partenza per l’Africa assieme a mio figlio dove potrò crescerlo nei veri valori della chiesa.
:- Tutto ciò è orribile! Dobbiamo scappare via!
Terminata la frase il priore rientrò accompagnato da alcuni frati
:- Bene, mia indegna! Ora conosci la verità! Anche se forse, questa giovincella continua a professare la menzogna, vero? Ora ti racconto per bene la storia
La puttanella accanto a te andrà in Africa ma senza suo figlio. Lui rimarrà qui e sarà il suo ricatto, potrà portarlo con sé solo se tu lurida e putrida femmina, firmerai l’atto di sottomissione diventando un’ubbidiente.
Mi volto verso Gertrude, la sua disperazione mi fa percepire che è questa la verità.
:-Mi dispiace, non volevo essere causa della tua sottomissione.
:- Ora sarai te a decidere della vita della creatura della tua amata. Portatela via!
I frati prendono di peso Gertrude e la por trascinano via provo a mettermi tra loro, ma una pedata in pieno petto mi fa barcollare a terra rovinosamente. Sputo saliva dalla bocca per il colpo subito e rimango per terra dolorante mentre odo le grida di Gertrude, trascinata via con forza, invocare disperata il mio nome. Vengo riportata nella mia vecchia cella e lì rinchiusa.
:-Come stai Maddalena? Come và la tua schiena?
Mi domanda mentre passa sulle mie spalle un pezzo di ovatta imbevuto di qualche medicinale
:- Molto meglio
:-Bene
E procede per tutta la schiena percossa e dopo aver finito, continua:
:-Ricordi le ammissioni e confessioni della settimana scorsa fatte da te al cospetto di Dio, e dei tuoi fratelli, vero?
:- Si!
Sei pronta ad affrontare la tua purificazione?
:-No, non voglio, ho paura!
:-Devi averne, indegna puttana, devi averne!
Il suo linguaggio mi fa rabbrividire, sento le sue piccole mani premere con fastidio contro la schiena ferita ma la pressione ma non mi causa più male. Gli basta ciò per rendersi conto della mia guarigione e mi slaccia le fasce che mi tengono ancorate nuca, braccia e piedi e mi aiuta ad alzarmi. Aggrappata a lui faccio la solita passeggiata nella mia cella. Mi abbandona d’un tratto vuole rendersi conto se ho la forza per restare in piedi, ci riesco e questo lo soddisfa, poi fa cenno di entrare al solito frate fermo sull’uscio della cella e che si occupa del mio letto. Lui entra e cambia le coperte sporche del mio giaciglio mentre il priore squadra il mio corpo nudo immobile davanti a sé. Una volta terminato il suo lavoro il frate ci abbandona chiudendo la cella. L’abate mi fa segno di prendere posto sul letto pulito, eseguo. Dalla sacca della sua tonaca estrae un documento recante la firma della badessa e senza fiatare lo porge davanti ai miei occhi. E’ il documento che dieci anni fa la badessa si è rifiutata di farmi firmare per evitare di ridurmi ad un oggetto nelle mani della chiesa. Se firmo quel foglio accetto spontaneamente di divenire “un’ubbidiente” e allora chiunque con un grado nell’istituzione potrebbe disporre della mia persona a proprio piacimento. Mi rifiuto di firmare e allontano il foglio. Il padre mi guarda senza proferire parola, poi si alza prende il documento e guadagna l’uscio, ma prima di farlo interrompe il glaciale silenzio tra noi:
:- Vedrai che finirai per firmarlo quel documento schifosa invertita. Tornerò fra tre giorni, fino a quel giorno augurati di essere rientrata nel pieno delle tue forze.
Mi siedo agitata e inizio a capire che sono spacciata, nessuno mi salverà, anche perché sono sola, sono sempre stata sola nella mia vita ed è per questo che chiunque può abusare di me. Nei due giorni seguenti ricevevo fulminee visite dei frati al mattino e a sera solo per la consegna dei pasti. Il resto del lo passo in isolamento. Fortunatamente non sono più legata al letto, le ferite ormai cicatrizzate non fanno più male e inoltre sto riacquisendo tutto il pieno possesso delle mie forze. Al terzo giorno già annunciato due frati mi svegliano mentre riposo, mi obbligano a distendere le gambe e mi tingono di rosso unghie di piedi e mani. Una volta finito mi porgono trucco e specchio e mi ordinano di truccarmi. Ubbidisco e mi trucco con rimmel e rossetto. Ultimato mi fanno alzare in piedi e mi fanno specchiare nella mia libertina appariscenza: i capelli ricci esaltano un viso da gran baldracca, le labbra tumide e le rosee areole dei miei seni gonfi suscitano lussuria che traspare sui loro volti compiaciuti. Terminano l’opera invitandomi a indossare un paio di scarpe rosse, ovviamente con il tacco,e mi indicano di seguirli. Su questi trampoli cammino sbilenca non sono abituata, e infatti cado, mi sostengo alla parete ma rovino ancora. Mi viene indicato il percorso da seguire, esso passa per il corridoio dove sono alloggiati tutti i frati dell’eremo i quali richiamati dal rumore dei tacchi, escono dalle loro porte a godersi la mia sfilata. Vorrei svanire per la vergogna, invece perdo l’equilibrio, e scivolo addosso ad uno dei tanti spettatori che mi agguanta al volo brandendo le mie chiappe, le palpa vigorose e mi rimette in passerella con un ghigno famelico. Riprendo a sfilare attenta e cerco di mantenere un’andatura corretta. Attraversati gli alloggi il defilé termina e vengo scortata in una nuova stanza, davanti ad un grande confessionale. Mi viene riferito che c’è una visita per me e vengo invitata a prendere posto all’interno del confessionale. La panca è in marmo e mi raggela subito il culo. Dopo alcuni minuti di attesa dai buchi delle grate un voce femminile e familiare:
:-Suor Chiara!
Non ci posso credere.
:-Suor chiara, sono io!
La voce mi ripete, mentre la mia si rompe in gola e biascico il suo nome
:-Ger…trude? Sse sei tu? Come stai?
Sono così tante le domande che vorrei farle, ma lei ribatte dicendo che non ha molto tempo, mi manifesta che l’atto d’accusa contro di me l’è stato estorto con la minaccia e che lei non mi avrebbe mai accusata di sua spontanea volontà. Provo a scoprire cosa le hanno fatto o come l’hanno minacciata, ma capisco che preferisce non parlarne. E’ risoluta e mi domanda di negare le accuse da lei rivoltemi e che è pronta a ritrattare tutto e pagare per me. Provo a inserire le dita dentro le piccole grate, voglio toccarla e sentire il contatto con lei ma non posso le grate sono impenetrabili. Allora le urlo di amarla. E dall’altra parte dopo qualche secondo di silenzio odo ciò che più vorrei ascoltare al mondo:
:- Anche io Chiara! Ma loro approfitteranno di te.
:-Chi?
:- I frati, ti puniranno per la tua omosessualità
:-Per questo mi hanno agghindato come una puttana? Non capisco…
Ti voglio vedere Chiara!
Le sue parole mi incoraggiano, esco dal confessionale, e corro dall’’altra parte ad aprire l’anta che ci separa, ma scopro che è chiusa a chiave, disperata colpisco il pannello con le mani, ma non si apre. Gertrude mi chiede di stare calma che è tutto inutile e che questo è il nostro destino lo dobbiamo accettare e che la devo perdonare. Voglio osservarla per assicurarmi che stia bene. Mentre cerco di devastare l’anta, la odo ammettere che se io non accetto tutto ciò che lei ha firmato contro di me il suo processo dovrà essere rivisto
:-Rivisto? Cosa vuol dire?
:-Vuol dire che la mia pena verrà riabilitata.
:-Quale pena? Cosa ti hanno fatto?
:- Per guarire dalla mia omosessualità …
Si interruppe angosciata e in lacrime
:-Cosa?
:-Non voglio che facciano a te la stessa cosa…
Piangeva a singhiozzi, svelarmi il piano le era costato molto. Tra un singulto e l’altro la sentivo implorare il mio perdono. Cerco di forzare quella maledetta porta in cui è segregata, voglio liberarla e scappare con lei lontano da questa follia. Adocchio in fondo alla stanza qualcosa di pesante da usare come ariete è una pesante sedia, la sollevo e la impiego contro il confessionale come ariete. Urlo a Gertrude di pararsi all’interno della strettoia con le mani e inizio a colpire con tutte le mie forze la portiera che dopo diversi colpi si lacera permettendomi di sganciare la serratura e tirarla fuori. Lei impaurita sguscia fuori coprendosi l’addome con gli occhi carichi di pianto, vederla mi regala un’improvvisa gioia e mi getto al suo collo per abbracciarla. Urlo il suo nome come una madre apprensiva che ritrova una figlia smarrita, la cingo così forte da percepire una morbida protuberanza schiacciarsi contro il mio addome. Mi separo dal suo corpo e la ispeziono, ha uno sguardo felice di vedermi ma malinconico, non parla. Le alzo la tunica e rimango di sasso. Lei mi guarda immobile senza proferire parola . E’ in cinta e a giudicare dalla consistenza da almeno tre - quattro mesi, non comprendo e indietreggio adagio. Lei mi viene incontro e mi abbraccia in lacrime. Le tocco il pancione, poi tremando:
:-Chi ti ha fatto questo?
:- E’ il rito per guarire il male che ho dentro!
Urla piangendo.
In lacrime mi vomita addosso tutte le sevizie subite: la detenzione nel monastero per settimane poi il trasferimento in questo eremo con tutte le torture e il processo per omosessualità e la confessione estorta per raggiungere un compromesso.
:-Quale compromesso?
Piange e ansima, non riesce a guardarmi negli occhi. L’abbraccio e le accarezzo il volto dolce e le ripeto che va tutto bene. Poi prende fiato e coraggio e ammette quanto pattuito con il monsignore: se lei avesse firmato un foglio d’accusa nei miei confronti l’avrebbero reintegrata come suora evitandole di organizzare su di lei il rito di purificazione, inoltre l’avrebbero messa su un aereo e mandata in Africa dove avrebbe potuto definitivamente svolgere l’incarico di suora missionaria espiando così le sue pene. Ma non l’ho fatto, non volevo essere causa delle tue pene e mi sono rifiutata, così ho subito il rito di purificazione.
:-In cosa consiste il rito ?
Mi spiegò che consisteva in mesi di appagamenti carnali con diversi uomini. Lei era stata spedita in un monastero isolato dove vi erano molti frati novizi ancora incerti sulla vocazione e quindi non ancora convinti di proseguire la vita monastica per via dell’astinenza dal sesso. Da diversi rapporti ricevuti dalla Santa sede, il Sinodo diocesano venne informato che in quel monastero spesso si ricorreva alla sodomia per solitudine e diletto. Ovviamente per fare ammenda a questi imprevisti e non perdere adepti, alcuni vescovi avevano trovato la soluzione al problema. L’omosessualità doveva essere combattuta utilizzando il chiodo schiaccia chiodo. La soluzione era quella di utilizzare le suore coinvolte in rapporti saffici con altre sorelle all’interno dei monasteri. I priori chiesero alle badesse di tutte le zone interessate di fornire informazioni su chi avesse commesso questo peccato. In breve tempo la lista venne fornita e le suore malcapitate spedite nei monasteri per ovviare al problema. Mi hanno sbattuta lì dopo circa una settimana il nostro peccato con addosso un unico indumento: una vestaglia corta trasparente di colore bianco. Alloggiata in una stanza con un grande letto, ad ogni ora del giorno ricevevo la visita di frati arrapati che giacevano con me. Finché non mi hanno messo in cinta e mandata in un convento in un luogo sperduto in attesa di partorire. Dopo il parto mi hanno promesso la partenza per l’Africa assieme a mio figlio dove potrò crescerlo nei veri valori della chiesa.
:- Tutto ciò è orribile! Dobbiamo scappare via!
Terminata la frase il priore rientrò accompagnato da alcuni frati
:- Bene, mia indegna! Ora conosci la verità! Anche se forse, questa giovincella continua a professare la menzogna, vero? Ora ti racconto per bene la storia
La puttanella accanto a te andrà in Africa ma senza suo figlio. Lui rimarrà qui e sarà il suo ricatto, potrà portarlo con sé solo se tu lurida e putrida femmina, firmerai l’atto di sottomissione diventando un’ubbidiente.
Mi volto verso Gertrude, la sua disperazione mi fa percepire che è questa la verità.
:-Mi dispiace, non volevo essere causa della tua sottomissione.
:- Ora sarai te a decidere della vita della creatura della tua amata. Portatela via!
I frati prendono di peso Gertrude e la por trascinano via provo a mettermi tra loro, ma una pedata in pieno petto mi fa barcollare a terra rovinosamente. Sputo saliva dalla bocca per il colpo subito e rimango per terra dolorante mentre odo le grida di Gertrude, trascinata via con forza, invocare disperata il mio nome. Vengo riportata nella mia vecchia cella e lì rinchiusa.
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