E.R. (dedicato a)

di
genere
trio

(Parodia erotica della notissima serie anni '90. Dedicato anche al nostro caro sito E.R. - Erotici Racconti)

La dottoressa Susan Lewis se l’era presa quando l’avevano mandata ad Atlanta per il convegno di chirurgia infantile. Passi per Peter Benton, si era detta, e il suo schiavetto Jim Carter, o come si chiamava lo studentello appena arrivato al Emergency Room: erano chirurghi e ci sta. Ma che al posto di Doug avessero mandato lei, solo perché per il primario in quanto donna doveva essere interessata ai bambini, l’aveva fatta incazzare.
Ma poi si era detta anche ‘chi se ne frega’. Era comunque un viaggio ad Atlanta pagato e avrebbe fatto curriculum.
Così, dopo il convegno (che le era pure piaciuto), si era infilata in uno dei suoi vestitini da battaglia e si ritrovata nel bar dell’Hotel a bere Manhattan con i due colleghi. Quando era arrivata, loro erano già lì. Carter non aveva alzato lo sguardo oltre le sue ginocchia. Era diventato rosso intenso e aveva ficcato gli occhi dentro al bicchiere, mentre Benton se la rideva e aumentava la tonalità del suo padawan prendendolo in giro. Lei si era seduta, aveva accavallato le gambe e aveva chiesto: “che bevete?”
Al terzo Manhattan aveva deciso che era stanca di sparlare con Peter di colleghi e ospedali. Gli aveva fatto l’occhiolino e aveva puntato gli occhi verdi, sottolineati dal mascara, sullo studentello, quindi se ne era uscita con un “E allora, Jim, come ti trovi al E.R.? E’ come te lo aspettavi quando giocavi al dottore con le tue amichette?”
Benton, che conosceva Susan da parecchio, sapeva che non era il tipo da accontentarsi. Aveva capito il suo gioco e aveva deciso di starci. Carter invece si era sentito il personaggio di una cartoon con il vapore che gli usciva dalle orecchie.
Aveva balbettato qualcosa, ma lei l’aveva interrotto.
“Sei così dolce, coccolone… Peter, non credi sia ora di svezzarlo un po’?”

Così si erano ritrovati davanti alla porta della in camera a nome “Susan Lewis, M.D. - County General Hospital”. Lei era entrata sui suoi tacchi alti e Carter era rimasto rimbambino sulla porta, finché Benton, alzando gli occhi al cielo, gli aveva rifilato una bella spinta.
Mentre Benton si allentava il nodo della cravatta, la dottoressa Lewis si era lasciata scivolare a terra la giacchetta lasciando scoperte le spalle, poi era andata al mobile del bar. Aveva versato un abbondante goccio di scotch in un tumbler e si era voltata verso il povero Carter, che non sapeva davvero dove guardare. Non le gambe della dottoressa Lewis, non le sue spalle o il decolletè, non le sue labbra segnate da un sorrisetto assurdo, mai visto prima se non in tv, non i suoi occhi che al di fuori dell’ambiente lavorativo avevano preso una luce sinistra.
La dottoressa Lewis gli si era avvinato piano, ancheggiando come un serpente. Gli era arrivata a pochi centimetri, fino quasi a posargli i seni addosso.
“Lo sai come bevono il whiskey le dottoressa in trasferta, Jim?” aveva sussurrato da sotto in su.
“Dottoressa Lewis…”
“Chiamami Susan, stasera” disse la donna, poi gli portò il tumbler alle labbra, costringendolo a bere un bel sorso per poi ficcargli subito la lingua in bocca, prima che lui potesse riprendersi.
Mentre ancora lo baciava, con le mani andò in cerca di altro. Quando lo trovò, si staccò e si inginocchiò: poco dopo il cazzo del dottorino le sprofondò in bocca. “Il suo studente promette bene, dottor Benton” disse dopo un attimo, facendo una rapida pausa.
Peter vide la faccia di Carter e quasi sghignazzò, ma si trattenne perché quell’imbranato era in trance, e se ne usciva rischiava di mandare a monte la scopata. Sapeva da fonte sicura (cioè Doug Ross, ch c’era passato assime al suo inseparabile ‘Ciccio’) che lei amava giocare a tria e che bisognava lasciarla fare. Così si era sfilato lentamente la camicia guardando la bionda dottoressa darsi da fare con passione sul cazzo del pivello, che peraltro smentiva il solito stereotipo sui cazzi dei bianchi. Trovò strano che avesse cominciato dal gusto panna, perché le donne bianche sono sempre parecchio curiose di provare un po’ di ciccia nera, ma probabilmente Susan si era tolta già lo sfizio al college. Per lui invece era diverso. Nel suo quartiere e nel suo liceo, c’erano pochi bianchi, ed erano tutti dei poveracci peggio dei Benton, spazzatura bianca finita in un quartiere nero. Ai fratelli anche solo guardare una ragazza bianca poteva scatenare un delirio shakespeariano con morti sparati da auto in corsa. E lui non amava le rogne. Lui voleva solo diventare il miglior chirurgo del mondo da quando aveva 5 anni e andarsene da lì. All’Università dell’Illinois, poi non cambiò granchè. Lì l’epidermide contava meno, ma a tenerlo lontano delle colleghe bianche era un altro tipo di pelle: quella del suo portafoglio liso e vuoto. Quindi gli era rimasto sempre un certo senso di rivalsa verso una bellezza come Susan. Anche ora che era assistente di chirurgia e aveva cambiato quartiere, sapeva come dato implicito, nessuno l’avrebbe mai detto, che dottoresse o infermiere bianche erano roba dei vari wasp come Doug e Mark. Ma lì, ad Atlanta…
Così si era avvicinato con il suo affare tosto. La dottoressa Lewis gli aveva sorriso e se l’era ingoiato, senza perdere di mano il cazzo del dottorino.
Ed era vero: alla dottoressa Susan Lewis, diligente e professionale medica specializzata in medicina d’emergenza (costantemente sottovalutata dai capi per la sua scarsa aggressività professionale), quando poteva amava accontentare due bei cazzi per volta. Se li ciucciò ben bene entrambi sentendo l’eccitazione crescere, quindi si alzò e, imperiosa, spinse il piccolo Carter verso il letto. Lo sbattè lì e poi lo riprese in bocca, salendo in ginocchio sul letto, lea gonna che si alzava tanto da mostrare l’orlo delle autoreggenti e ai piedi ancora i tacchi. Le piaceva tenerli, mentre scopava. La faceva sentire in parte. Si staccò dal cazzo di Carter solo per sollevarsi del tutto la gonna sul culo e ordinare a Benton di ficcargli la lingua in fica.
Lui ci sapeva fare. Mettendosi dietro di lei, le calò le mutandine e la slinguazzò fino al clitoride lavorandola di dita, anche dietro, con le sue mani da chirurgo.
“Ora scopami, Peter!” gridò Susan all’improvviso.
Lui non si fece pregare e lei iniziò a sentire che tanto lei che il dottorino non erano lontani dall’apice. Sentì Carter agitarsi e chiamarla ‘Susan’ con voce roca, e si sentì riempita bene in fica dal cazzo di Benton. Accellerò le succhiate profonde al dottorino e come lo sentì schizzarle in bocca e urlare, venne anche lei, succhiando e ingoiando, poco prima che Benton si sfilasse le schizzasse sul culo.
La bella dottoressa bionda rotolò sul letto ansimante, le guance imporporate, le labbra lucide di sperma. Guardò Peter che la guardava soddisfatto, accarezzandosi il cazzo. Gli fece cenno di avvicinarsi e mentre lui stava per ridarglielo in bocca, lei guardò il dottorino.
“Hei, Jim, vedi di non collassare, che abbiamo appena iniziato. Vi voglio dentro entrambi...”
“Solo un secondo, dottoressa Lewis. E comunque... io mi chiamo John.”


[Altri racconti di Joe Cabot sul blog https://raccontiviola.wordpress.com/]
scritto il
2022-10-04
1 . 9 K
visite
0
voti
valutazione
0
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.