Albachiara conobbe Marcello ad un convegno e se ne invaghì subito.

di
genere
sentimentali

Albachiara conobbe Marcello ad un convegno e se ne invaghì subito.
In realtà se ne era invaghita sei mesi prima, seguendo il suo corso, ma in tutto il semestre si era nascosta in fondo all’aula senza il coraggio di partecipare al dibattito. Aveva tentato, varie volte, ma diamine, Marcello assomigliava al professor Henry Jones Jr. e appena si voltava dalla sua parte le si seccavano le parole in gola. Per come la vedeva lei, tra loro c’era uno schermo. Lei era sulla terra, seduta sul divano con un plaid sulle ginocchia e i calzettoni di lana, e lui sullo schermo, come le star, in un universo marvel alternativo.
Anche Albachiara si vedeva carina, non fosse stato per il seno. Aveva i capelli castani lunghi e lisci gli occhi celesti. Da ragazza aveva giocato a pallavolo e le piaceva schiacciare. Era brava, ma verso i 16 anni aveva smesso di crescere e non si era più mossa dai 168 cm. Inoltre le era cresciuto un seno troppo grande, una coppa C (quasi D), con cui non era mai andata d’accordo. Le dava fastidio quando correva, quando saltava. Così aveva lasciato, anche perché il liceo l’aveva assorbita. Il fisico da pallavolista le era rimasto: le spalle e la schiena avevano mantenuto un’eleganza da atleta, pur senza essere più tirate. Jeans e maglioni erano il suo habitat e il trucco era solo per quando usciva con Miriam, la sua compagna di corso e di bisbocce. Neanche quando aveva conosciuto Filippo era cambiata, neanche dopo averci fatto sesso. Certo, le piaceva ogni tanto uscire, farsi qualche canna e un martini alla James Bond, ballare, flirtare e magari infilare la lingua in bocca a qualche ragazzo nell’antibagno di qualche locale, ma tutto sommato il sesso – tutto quello strano ansimare di Filippo, quella sua fissa per il suo seno che leccava e impastava con le mani sudate – l’aveva un po’ delusa. L’aveva lasciato. Da più di un anno si concedeva tutt’al più qualche ditalino e negli ultimi mesi ne aveva dedicato più di qualcuno al professor Marcello Gatti.
A quel convegno, il suo gruppo di studio l’aveva incaricata di una domanda, frutto di una sua idea. Così, dopo una gomitata di Miriam, si era alzata e aveva parlato per la prima volta a Marcello: lui aveva iniziato ad ascoltare e prendere appunti come al solito, ma poi aveva alzato gli occhi interessato. Albachiara era riuscita a finire, ma non ad ascoltare la risposta. Si era seduta, paonazza. Miriam la aveva sussurrato “brava” e lei aveva badato solo a non sciogliersi mentre Marcello le parlava dal microfono, direttamente a lei, davanti a tutti.
E poco dopo l’aveva incrociato al buffet.
Si era avvicinato lui e le aveva chiesto se era una delle sue studentesse. Lei aveva balbettato di sì, sperando che non notasse lo chardonnay nel suo bicchiere di plastica. Le disse che non aveva potuto rispondere granché alla sua domanda perché avrebbe avuto bisogno di un convegno a parte. Le disse che anzi, tra tre giorni avrebbe trattato proprio di quello, a Lubiana, dove si sarebbe recato per un paio di giorni di dibattito e incontro con Timo, in seno al suo corso. Albachiara aveva spalancato gli occhi.
“Timo… Jurcic?”
“Sì certo” rispose lui afferrando un’oliva ascolana.
Albachiara finì lo chardonnay d’un sorso. Se Marcello era un divo al di là dello schermo, Timo Jurcic era proprio pura mitologia. C’erano Eraclito, Nietsche, Lacan, gente del genere tra cui Timo Jurcic. Aveva scritto delle cose fantastiche, di quelle che si studieranno nei manuali per secoli.
“Vuole venire?” le chiese a bruciapelo, sorridendo e ammiccando con quegli occhi che da vicino eran verdi.
“C...cosa?”
“Sì, se è interessata, può accompagnarmi. Doveva venire Gisella, ma mi ha dato buca. E’ tutto pagato.”
“Ma… non so…”
Sugli occhi, sui suoi occhi verdi, passò un’ombra di delusione. Lei la vide e quasi urlò “Sì, va bene. Perchè no?”

Aspettarono il volo in una saletta riservata ai frequent flyers, tra manager intenti a sferruzzare sui propri tablet. Anche Marcello si scusò, dicendo che aveva da rivedere un saggio che doveva consegnare a breve. Aveva una giacca di buona marca, ma c’entrava poco con la camicia e quando era assorto nel testo spingeva leggermente il mento in fuori, socchiudendo le labbra. Albachiara, seduta sul divanetto accanto, distoglieva lo sguardo e cercava di pensare ad altro. Decisamente Filippo non l’aveva mai fatta sentire così turbata. Lui lavorò anche in aereo. Lei guardava eccitata fuori dal finestrino. Era il suo primo volo.
A Lubiana c’era ad aspettarli un’auto che li condusse in hotel. Lungo la strada lui aveva voglia di chiacchierare e le chiese del suo percorso di studi. Sparlarono e risero di altri professori di cui Marcello aveva in genere scarsa stima, con l’esclusione di Gisella Re, con cui infatti avava curato vari testi, e di altri autori che lui conosceva di persona e che per lei erano solo nomi sui libri che studiava con avidità.
Il clima era fresco, più fresco che in città, ma si stava bene e anche lì la primavera era ormai prossima all’estate. Le camere erano bellissime, quasi un salottino, e con sorpresa scoprì che erano comunicanti. Marcello le diede appuntamento per cena.
Un’ora dopo lei scese in reception. Si era cambiata gli abiti da viaggio, ma non aveva mollato i soliti jeans e il solito giaccone. Lui invece si alzò dal divano e indossò un cappotto facendolo roteare come un mantello. Aveva un completo e l’aria allegra. La portò ad un kaiten-zushi che sosteneva essere il migliore di tutta la Mitteleuropa. Da fuori le parve un posto caro ma lui le ripetè che era tutto pagato. Mangiarono e bevvero. Per lei era la prima volta con le bacchette e lui le insegnò come tenerle. Risero assieme dei suoi tentativi, e risero quando Albachiara dovette rassegnarsi a succhiare gli spaghetti, dopo esserseli portati alla bocca, come aveva visto fare all’ispettore Zenigata.
“Posso farti una domanda?”
Erano passati al tu con naturalezza, al terzo bicchierino di sakè.
“Certo” rispose lei, già pensando di aver sbagliato qualcosa.
“Ce l’hai un vestito da sera?”
Lei sobbalzò. Aveva qualche abito decente a casa dei suoi, e nell’armadio in appartamento qualche straccetto buono per rimediare qualche giro gratis in discoteca con Miriam. Anzi, ripensandoci, era proprio tutta roba di Miriam.
“No… perché?”
“Beh, non preoccuparti. Dovevo avvertirti, ma domani sera, c’è una specie di ricevimento. Rettori... professori… insomma gentaglia. Vorrei che tu venissi.”
Ora Albachiara era parecchio imbarazzata. Era partita per un convegno e in genere erano tutti piuttosto informali tra studenti.
Marcello ci pensò su il tempo di tirare fuori dalla catena una ciotola di hosomaki al salmone.
“Senti: e se domattina vai a comprati qualcosa? Ho un’amica che ha una boutique…”
“Ma come faccio?”
Lui capì di averla messa in difficoltà.
“Senti, non devi svaligiare il negozio. Pago tutto io.”
“No, no posso accettare...” disse Albachiara quasi offesa.
“E’ un prestito. Ti spiego: di solito di queste cose si arrangia Gisella. Per me è solo una gran seccatura. Tra domani e dopo domani ci saranno una decina di ore di discussioni e dibattiti. Ci vuole qualcuno che registri tutto e poi trascriva. Ne faremo un saggio, o qualcosa del genere. Il registratore ce l’ho, ma poi ci vogliono diversi giorni di lavoro. Lavoro palloso. Se lo faccio fare a pagamento, mi partono 500 euro. Fallo tu e siamo pari.”

Albachiara scoprì così che non le era facile dire di no a Marcello. Ogni cosa le pareva logica e naturale, se detta da lui. Finirono di mangiare, finirono il sakè e se ne uscirono nella sera di Lubiana. Fecero una passeggiata per il centro e alla fine si ritrovarono fuori dall’hotel.
Lui si fermò lì, aspettando che Albachiara finisse un suo discorso su quanto mangiare con le bacchette fosse meno classista di coltello e forchetta, visto che chiunque trova un bastoncino.
“Senti una cosa, Albachiara”, la interruppe. “Ora prevedo due sviluppi per la serata, e te ne parlo con franchezza perché mi pare che siamo due adulti liberi e vaccinati.”
“Ho fatto qualcosa che non va?”
“Non hai fatto nulla che non va. Anzi. Sei una giovane donna meravigliosa e la serata è stata piacevolissima.”
“Uh.”
“Sì. Ti dicevo: ora saliamo in camera. La mia. Ordiniamo un’altra bottiglia di vitovska, ci facciamo una doccia e più tardi, quando ci va, facciamo l’amore. Ok? Altrimenti non fa niente. Ognuno per la sua strada e ci si rivede domattina a colazione.”
Albachiara lo guardò a bocca aperta. Ok: solo la sera prima per placare l’emozione di quella due giorni con lui aveva dovuto toccarsi furiosamente. E sì, era euforica con lui vicino, eccitata come non si era mai sentita. Ma le era parso di sentirlo schioccare le dita mentre le diceva che se la voleva scopare come se le proponesse un gelato. L’aveva presa per una troietta? Per una cagnetta scodinzolante da portarsi in giro per scaldargli il letto?
Albachiara voltò sui tacchi delle Converse e passò le porte a scorrimento dell’hotel. In camera, prima di spogliarsi, si assicurò che la porta che collegava le due camere fosse chiusa a chiave. Se la fece da sola la doccia.

La svegliò al mattino una risata di donna. Una risata cristallina. Albachiara aprì gli occhi e guardò l’ora sul telefonino. La sua sveglia sarebbe comunque suonata a minuti. Così si alzò, andò in bagno e poi si vestì per la colazione. Uscì e proprio in quel momento si aprì la porta della camera di Marcello. Ne uscì una donna, con un vestito piuttosto corto, vistoso, incongruo a quell’ora. La donna, una bella donna bionda, resa ancora più alta dai tacchi delle scarpe piuttosto a punta, portava al braccio un soprabito. Si scambiarono uno sguardo e la donna, sovrappensiero, le disse “dober dan” e passò oltre. Alle sue spalle uscì Marcello. Le sorrise allegro dandole anche lui il buon giorno. La donna si voltò interrogativa e lui le presentò Albachiara come ‘la studentessa’ di cui le aveva parlato. Le si chiamava Anika: “una cara amica”.
Albachiara era furente. Mentre dissimulava e facevano colazione assieme, pensò di avercela con lui perché si era rivelato solo un puttaniere, poi con Anika che era di sicuro una troia rimediata in un bar, poi pensò di essere gelosa. Ma alla fine dovette arrendersi. Ce l’aveva solo con se stessa per l’occasione persa. “Dannazione! Ma quanto sono stupida!” si disse.
“Albachiara?” la interruppe Marcello. “Tutto ok?”
“Sì, certo” disse quasi disgustata.
“Allora ci hai pensato? Alla cena di stasera… al vestito?”
“Sì certo, perché no?” disse Albachiara, convinta a non rifare due volte lo stesso errore.
“Perfetto! Allora ti lascio ad Anika. E’ lei l’amica della boutique.”
Anika le sorrise. Pareva una persona trasparente.

La boutique non era lontana ed Anika parlava un discreto italiano. Con poche domande si sincerò dei suoi gusti e alla fine le propose due abiti molto semplici, ma davvero graziosi. Ne scelse uno blu, che a detta di Anika faceva pendant con i suoi occhi. Era elegante ma semplice, lungo al ginocchio e poco scollato. Al solito dovette faticare a trovare la taglia per via del seno, ma quando si vide allo specchio, con i collant color carne e le scarpe nere e alte, si trovò abbastanza bella.

La sessione del pomeriggio fu fantastica. Marcello le aveva chiesto se poteva presentarla come la sua assistente, visto che doveva registrare gli interventi, e lei non aveva realizzato subito che di lì a poco lui l’avrebbe presentata a Timo Jurcic, uno dei più autorevoli intellettuali mondiali. Così prese il taxi fino all’auditorium universitario e seguì Marcello all’interno, tenendo il piccolo registratore che le aveva affidato in mano come credenziale. Marcello pareva conoscere tutti. Anzi: pareva che tutti lo conoscessero, giovani barbuti e maturi baroni, e corressero a stringergli la mano. Lui rispondeva cortese, a tratti calorosamente, a volte con una battuta, ma Albachiara ormai aveva capito che in quelle situazioni indossava la faccia “da lavoro” perché in realtà non amava tutte quelle attenzioni. A Marcello piaceva essere ascoltato quanto ascoltare, ma detestava essere idolatrato.
La ragazza rimase nella sua scia e ad un certo punto lo sentì esclamare “Timo!” e, come Marcello si fece da parte lasciandole un po’ di spazio nella folla, Albachiara si trovò davanti Timo Jurcic.
“Timo, lei è Albachiara Orlandi, la mia assistente.”
Jurcic le strinse la mano, ma pareva assorto dalla gioia di vedere Marcello. Le disse frettolosamente “piacere Timo” e subito chiese a Marcello se aveva visto un certo articolo uscito su una certa rivista. I due scoppiarono a ridere complici. Albachiara era abbindolata come Cenerentola al ballo.

Dopo 4 ore in prima fila a sentire Marcello e Timo a discutere di semiotica e cultura pop, Rojava e Cortina, ecologia sociale e metaverso sollecitati dalle domande del moderatore, Albachiara si sentiva la mente trapassata da fasci di luce diamantina. Ad un tratto Marcello aveva raccontato che alcuni giorni prima una sua brillante studentesse gli aveva chiesto se… e aveva ripetuto la domanda fatta da lei. Timo era intervenuto per dire che quella sua domanda era fondamentale, che era alla base di un saggio su cui stava lavorando. Alla fine, mentre tutti applaudivano e i due salutavano, lei continuava a fissarli, gravida di questioni, pensieri, parole.
Appena scesi dal palco, Marcello fu sommerso da richieste di strette di mano, richieste di autografi su suoi libri, richieste di contatti, richieste di ogni tipo. Ci mise un’oretta buona a divincolarsi. Per tutto il tratto in taxi Marcello rimase silenzioso, esausto, come una rockstar in down dopo un concerto.

In hotel, Albachiara fece una doccia, si asciugò e poi guardò il vestito steso sul letto. Anika aveva insistito per farle prendere anche un completo di intimo. Le aveva proposto delle mutandine alla brasiliana, visto che quelle che aveva addosso le segnavano il sedere sotto al vestito piuttosto fasciante, ma alla fine avevano contrattato per un reggiseno più culotte di pizzo bordeaux. Le culottes non si vedevano sotto al vestito e il reggiseno faceva davvero egrergiamente il suo lavoro. Sosteneva la sua coppa C (quasi D) in un modo che ad Albachiara pareva esagerato. Però era davvero comodo.
Quando scese nella reception, dopo essersi messa un filo di trucco, poca matita e un rossetto che la aveva dato Anika, trovò Marcello in smoking. Ad Albachiara parve subito chiara una cosa: quella sera, se lui l’avesse voluta, sarebbe stata sua. Sentiva le farfalle in pancia, e per lei fino a quel momento quella era stata solo un’espressione letta su qualche libro.
“Sei molto graziosa, Albachiara.”
“Grazie Marcello.”

A volte certe situazioni non sono che un inutile segmento tra un punto A e un punto B. Albachiara ci pensò nelle settimane successive a quel ricevimento, al palazzo in cui si era svolto, alla gente che aveva conosciuto, alle luci, agli abiti, alla babele di lingue, ma sul momento non sapeva che altro fare, a parte seguire Marcello, ascoltarlo, guardare i suoi occhi vivaci, le rughe d’espressione ai lati degli occhi, le sue labbra.

Quando rientrarono, stavolta lui non le chiese nulla. Le porse la mano, mentre usciva dal taxi, le sorrise ed entrarono. In ascensore trovarono una coppia di anziani che stavano salendo forse dal parcheggio sotterraneo. Marcello la guardava allo specchio e sorrideva. Albachiara lo guardava e si mordeva il labbro.
Al loro piano Marcello le cedette il passo, ma arrivato alla sua camera aprì la porta col budge e si fermò. Albachiara gli sorrise, inebriata da tutto, e poi entrò.
In Marcello, tutto pareva soggetto ad un ritmo inesorabile. Raffinato eppure tribale, lento eppure incalzante. Del tutto privo di fretta, di tensione verso il futuro. Ogni gesto, ogni carezza, ogni bacio, ogni sguardo, pareva presente a se stesso. Presente in eterno.
Albachiara avrebbe voluto tutto immediatamente, in un istante, come abbuffarsi, come farla finita subito. Marcello, fin da quando la prese per la vita e la tirò a sé, fin da quando le impose una frazione di secondo di pausa estatica, un attimo per guardarsi negli occhi, desiderarsi, cercarsi, la costrinse ad accettare che ogni attimo andava invece vissuto come fosse l’ultimo, come se non finisse mai. Marcello, prima ancora di baciarla, prima ancora di riempirsi le mani del suo corpo giovane, dei suoi seni duri che gli premevano sul petto, sapeva che lei si era già concessa completamente, senza alcun dubbio, senza alcuna paura.
Poco dopo le labbra dell’uomo cercarono quelle della donna e subito lei capì che non era mai stata baciata, che non era mai stata scopata. Le sua mani su di sé furono sconvolgenti. La fecero sentire unica e desiderata, oscena e aperta. Le mani di Marcello sulle cosce, le mani di Marcello sotto la sua gonna, sul suo sedere. Mani forti, bollenti, capaci, rassicuranti ed eccitanti al contempo. Albachiara non lo sapeva, e lo imparò lì, in quel momento, ma il suo corpo era quello di una giovane donna dalle forme vitali, solide e morbide. Aveva le cosce lunghe, le ginocchia perfette, il sedere da atleta, la schiena diritta, le spalle feline. Imparò tutto ciò dalle mani di lui. Si ritrovò senza abito senza accorgersene, e solo allora si avventò anche lei sul vestito di lui, sulla sua camicia. Aveva un petto non troppo villoso, ma forte, e la sua bocca ne saggiò l’odore, lei vi si strinse contro. Lui le sganciò il reggiseno e i suoi seni se ne uscirono liberi, con i capezzoli appuntiti come non mai. Albachiara si sentì libera e felice come il suo seno. Lui si chinò e le diede una bacio su un capezzolo. Lei gridò e si lasciò andare all’indietro, come trafitta.
Con una piroetta si ritrovò sul letto. Lui le tolse lentamente le calze, poi le culotte. La prese con la bocca e in pochi secondi la fece sentire come un lago di montagna che esplode colpito da un asteroide, un diamante caduto dal cielo. Gridò, mentre la lingua di lui le rovistava dentro.
Poi lui finalmente le fu sopra, le fu dentro. La sua fica fresca e bollente lo accolse come una foresta vergine accoglie i monsoni. Eppure era una giovane giumenta da domare, e Marcello la domò, insegnandole che come andatura non c’era solo il galoppo sfrenato. Lei piombò in uno stato in cui non le era più possibile distinguere gli orgasmi uno dall’altro, che arrivarono come le onde di un unico mare. Quando lui uscì, evidentemente a sua volta incapace di resistere oltre, rotolò di lato e lei, che ne voleva ancora, si buttò affamata sul suo cazzo, lo prese tutto in bocca, e lo fece esplodere, padrona del suo piacere, come lui era stato del suo poco prima.

-

[Commenti e critiche sono molto graditi. Il vecchio Joe vi aspetta all'indirizzo https://raccontiviola.wordpress.com/]
scritto il
2022-07-26
1 . 4 K
visite
0
voti
valutazione
0
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.