Alcol, sesso e…
di
Giu!!!
genere
etero
Erano i tempi di sesso, droga, alcol e rock’n roll. Non in questo particolare ordine. I tempi dei mercoledì universitari. I tempi dove c’era un locale notturno ad ogni dove e angolo della città. I tempi dove si ballava tutta la settimana, per chi poteva farlo ovviamente. I mercoledì dove se eri uno studente universitario avevi uno sconto ovunque e se eri donna, in tanti locali l’ingresso era libero con un bicchiere di birra omaggio addirittura. I mercoledì dove le ragazze erano così disinibite da far concorrenza a delle porno star con il culo rotto.
Io non ero uno studente universitario ma, se tornassi indietro…
Non avevo conoscenze particolarmente normali a quei tempi, tuttavia conoscevo qualcuno che frequentava l’uni o, conoscevo qualcuna che frequenta l’università. In poco tempo iniziai a frequentare un gruppo di bravi ragazzi e una sera, in un locale che per tanti anni fu soggetto a ripetute denunce per schiamazzi notturni, mi presentarono una certa Jessica. Non era niente male sul serio, il colore dei suoi capelli rossi-ramati mi ipnotizzò.
Ho un debole per le rosse, mi trasmettono passione e voglia senza sosta. Per me le più porche.
Occhi chiari, come noci. Un prominente davanzale verso la terza piena ed un culo che meritava una bella passata. Ricordo come venne vestita, credo non potrei dimenticarlo: un top nero cortissimo, blue jeans a zampa d’elefante e scarpe bianche che non si vedevano. In pratica ventre e schiena totalmente scoperte. Il locale era diviso su tre livelli: il primo piano dove si mangiava, cibo spazzatura economico. Il piano terra dove si beveva ed il semi interrato dove c’erano tre piste da ballo per diversi tipi di musica. Si beveva, qualche volta si mangiava e poi strafatti si andava a ballare. Il tutto iniziava veramente presto, il più delle volte a mezza notte la gente vedeva i mostri.
Io e Jessica chiacchierammo, la sua aria da menefreghista scocciata mi eccitava veramente tant’è che, dopo essermi congedato, scesi al bancone del bar un poco prima per evitare di essere inopportunamente indiscreto, indifferente e con una porzione del classico stronzo che non guasta mai. Lei mi seguì poco dopo, a volte il disinteresse crea l’effetto opposto. Mentre si avvicinava ed io tracannavo il terzo bicchierino di tequila, ne chiesi altri tre per la mia nuova amica. Un brindisi e complimenti a Jessica. “Vado a fumare vieni a farmi compagnia!” L’imperativo nelle sue parole echeggiava nella mia testa di desiderio sessuale, come se mi avesse concesso il permesso di corteggiarla.
Erano i tempi di alcol e droga…
“Fumi?” Le domandai intuendo la sua potenziale risposta quando le mostrai un cannone di Maria fuori il locale.
Rimase per un attimo a bocca aperta, lo notai mentre guardava la canna con occhi voraci e persi, luccicanti per via dell’alcol. Rimise la sigaretta nel pacchetto, ci allontanammo ma, restammo ad una decina di metri dall’ingresso. Si sarebbe sballata anche senza fumare la mia erba, una coltre di fumo galleggiava sopra le nostre teste. Un paio di tiri io, un paio lei. Le nostre mani, le dita, si toccavano nel passarci la canna. Mi chiesi se il mio sorriso mi tradisse, se trasudasse voglia mentre la fissavo negli occhi. Lei che, non mi sembrava imbarazzata, non sembrava proprio la tipa al dire il vero, guardava a terra, altrove. Parlava e rideva da sola. Fumava con avidità, come se fosse linfa vitale o, semplicemente era un brutto periodo e le serviva alcol per dimenticare ed erba rilassarsi. Le lasciai chiudere il cannone, proprio da vero galantuomo. Entrammo dentro, nel farlo sfiorai la sua schiena scoperta con il palmo ruvido della mia mano. Si voltò, sembrò dovesse dirmi qualcosa, ci mise più del dovuto. “Ti va di ballare?”.
Avrei esaudito qualsiasi suo desiderio se avessi potuto. Scendemmo sotto allora, in un inferno di musica, luci accecanti, fumi scenografici variegati alla vaniglia, aria viziata e anime perse.
Le nostre teste giravano mentre ballavamo. Alcol, erba. Era solo l’inizio.
“Versa… versa…ancora!”
Salivamo al bancone, tequila e poi subito a sgattaiolare fuori a fumare. Uno, due, tre volte…
Io c’ero fottutamente abituato, non avvertivo gli occhi piangere, i polmoni soffocare. Mi girava solo la testa. Avrei potuto andar oltre.
Mentre ballavamo le mani mie erano sempre appiccicate intorno i suoi fianchi, palpate al culo e anche al seno. La baciavo spesso intorno al collo, la leccavo. Lei mi scostava sorridendo ed io ero sempre più imperterrito e indomabile. Eravamo ad punto che, o me l’avrebbe data o sarebbe dovuta andare a fanculo.
“Devo fare pipì!”. Credo mi disse questa frase quattro o cinque volte prima che riuscissi ad udire, capii meglio con gli strani gesti che fece. L’accompagnai, mi limitai a palparle il culo con vigore scostumato. Non me ne fregava un cazzo.
L’odore però era davvero nauseabondo, tipico dei locali senza qualcuno che controllasse quei fottuti cessi. Lei uscì schifata, mi disse che non ce la faceva e che, “Fanculo, vado fuori!”. E lo fece davvero, dietro un macchina nel parcheggio della palazzina a fianco ed io…
Feci da palo e per quanto possa essere strano non sbirciai, ovvio che bramavo la sua fica, immaginavo le sue labbra avvolgere il mio grosso cazzo ma, non era il momento e comunque alcuni momenti sono sacri. Se scappa...
Le proposi un’altra canna, occhi rossi, sorriso beffardo. Tequila, fuoco, stordimento. La testa gira e le gambe cedono. L’aiutai nello scendere le scale, l’aiutai molto bene. Giunse il momento, opportuno o no chi se ne frega? Le infilai la lingua in bocca e l’abbracciai in una morsa tipo anaconda o cose simili. Per quel che ricordo fu un lungo ed appassionate bacio che trasudava gocce di saliva al gusto di tequila.
Avevo ed ho baciato diverse ragazze fattamente allegre. Quel sapore di erba impastata all’alcol scatena diverse emozioni. Accende passione, perversione.
E mentre le nostre lingue si contorcevano, le nostre mani esploravano i corpi sudati. Tra un bacio e l’altro sussurrò parole alle mie orecchie, risposi con un sorriso. Ci ritrovammo in macchina, verso il suo piccolo e confortevole alloggio universitario che fortunatamente non era distante. Dal primo momento che vidi Jessica, mi dimenticai di amici, ragazze, fidanzate e amanti…
Mi accolse nell’appartamento condiviso con un’altra studentessa che chissà dov’era. Andammo spediti, barcollando e inciampando nella sua camera da letto…
Quando iniziammo a baciarci, il primo bacio nel locale intendo, lei mi sussurrò: “Hai qualcosa di più forte?”
Gettai qualcosa di più forte sulla sua scrivania… lasciai che scendesse all’inferno per poi trasalire come se fosse stata venti minuti in apnea. Se avesse avuto delle ali sarebbero diventate nere come la pece, nel frattempo...
Mi guardai attorno e le chiesi una bottiglietta di acqua piccola. Ne presi una mezza piena nel mini frigo, feci un foro nel fondo con una penna. Rullai ancora dell’erba… Jessica scattante come una bambina la mattina di natale si gettò intorno al mio collo, la spinsi indietro, e lei cadde sul divano posto di fronte al letto, un tonfo controllato. Io mi levai il maglioncino leggero, sudavo. Feci due o più tiri dalla bottiglia anche lei… poi mi gettai sul divano stordito.
Iniziai a baciarle il collo mentre fumava. Sbottonai i jeans, scesi subito verso la figa, il tessuto dello slip fu come una carezza al dorso della mano. Con l’indice iniziai dei movimenti circolari poco sopra le labbra vaginali mentre con il dito medio giocavo con il clitoride. Scostai il top, misi a nudo il seno più procace di quel che pensavo. Mi alzai per spogliarla, via i jeans, il perizoma biancastro, top, reggiseno. Mi spogliai anche io e poi mi tuffai nuovamente accanto a lei. Ritornai a stimolarla, a slinguazzarle il collo. Di tanto in tanto assaporavo le sue labbra… Mi eccitava il sudore del suo collo, sapeva di quella tequila di cui eravamo gonfi come spugne. Io toccavo la sua figa con una certa diligenza, lei il mio cazzo duro come marmo. Una lenta e quasi insoddisfacente pugnetta… La presi per i capelli e il cazzo glielo conficcai nella gola, in profondità, le lasciai solo un attimo per rifiatare e poi di nuovo. Occhi spalancati ed iniettati di cremisi, sguardo di ghiaccio e fottutamente voglioso. La guardai e non mi fermai, le spinsi di nuovo la testa. Ed il cazzo affondò in profondità, sparì all’interno della bocca vorace, fu un istante in cui mugolai versi strani. Il fiato grosso, quella sensazione di mancanza d’ossigeno e paura tremendamente eccitante, erano impressi sul suo volto. Le accarezzai la testa, i capelli ramati, osservai le piccole lentiggini sul suo viso… Lo prese in bocca tenendo con una mano i coglioni. Riversò una quantità di liquidi salivari e non so cosa sulla punta del cazzo. I rivoli scesero lungo il genitale, fino alle palle gonfie, lei leccò, sopra e sotto, intorno, salendo lentamente a spirale verso il glande per poi avvolgerlo con le labbra si, morbide, tuttavia screpolate… I suoi movimenti erano abili, nonostante fosse strafatta sapeva come spompinare. Lasciò colare dolcemente liquidi all’interno del mio orifizio uretrale per poi spremermi la cappella dopo alcune pompate intense. Una schiuma bianca si formò attorno la punta del mio cazzo, la stessa schiumetta colava dalle sue labbra. Mentre lei si prese cura del mio cazzo, io della sua figa. Era bagnata, lubrificata. Mi alzai… toccò a me scendere all’inferno, aspirare una striscia di problemi e trasalire assuefatto da una dose di onnipotenza trascendente. Il volto che diventò pietra, con il freddo che si espanse fino a bruciare. Mi avvicinai mentre lei scivolò leggermente dal divano divaricando appena appena le gambe, un invito a fotterla. Invito che colsi subito, senza nessuna esitazione e passione. Gli infilai il cazzo dentro e nello stesso bagnato momento iniziai a penetrarla a fondo, dentro e fuori a un ritmo impazzito mentre lei, eccitata si mordeva il labbro e toccava i capezzoli turgidi. Le diedi uno schiaffo forte, la sua faccia di ghiaccio non sentì nulla, restò solo un lieve rossore che apparve velocemente. Io intanto continuavo a ritmo incontrollato, spostando le sue gambe, appoggiate alle mie grosse spalle. La presi dalle caviglie e cercai di divaricarle il più possibile dimenticandomi che non stavo scopando una ballerina, eppure… Spalancò quelle gambe, urlò di piacere mentre grondava liquidi dalla figa, mentre entrambi sudavamo alcol che evaporava nella stanza. Il mio ritmo non cessò anzi, aumentai intensità quasi fino a collassare. I nostri cuori battevano all’impazzata, stavano per esplodere nel petto… eppure non cessai quel fottere forsennato, diabolico e malsano nonostante il piacere che stavamo condividendo. Respirai come se dalla bocca dovessi sputare una legione di demoni, come se fossi posseduto ed avessi espulso il male. La presi dai capelli e la alzai in piedi, la baciai mentre le palpeggiavo la figa. Con la stessa indelicatezza con cui la sollevai, la misi in ginocchio. Mi scopai la sua bocca fino a farla crollare a terra senza fiato ma, lei indomita, resa invincibile dalle dipendenze, alzò parte del bellissimo corpo e avvicinò le labbra al mio cazzo per poi inghiottirlo. Mi spompinò qualche minuto, il tempo di riprendere fiato, mentre lo faceva appoggiai solo le mie mani ed intrecciai le dita nei capelli ramati e bagnati.
La presi nuovamente per i capelli, le diedi un’altro schiaffo che sembrò non scalfirla. La spinsi contro quella scrivania, lei non vi sedette di sopra, cercai di adagiarla. Sorrideva passandosi la lingua sulle labbra mentre oscillava appoggiata ai bordi del mobile sfidandomi. Cauto, afferrai con i denti le sue labbra, il seno e strinsi fino a farla urlare… La mia mano, subito dopo andò intorno al suo collo, strinsi… sembrava trarne piacere, sembrava non volermi dare nessuna soddisfazione, sembrava non volesse cedere, infine…
Si ritrovò con il culo sulla scrivania e il mio cazzo che la fotteva a più non posso. Sembrava un terremoto, qualunque cosa ci fosse su quel mobile cadde a terra. Il piacere era stato divorato da qualcosa di più oscuro, non si scopava più per un orgasmo intenso… divenne una sorta di competizione a chi durasse di più. Ci guardavamo intensamente negli occhi, e se io riuscivo a vedere la sua anima persa, lei invece vide i miei demoni. Continuai a scoparla in quella posizione, con più veemenza. Passarono lunghi minuti di un fottere contorto e senza alcun limite. E dopo un ora, forse anche più… la gettai come un corpo privo di vita sul letto. La misi a pecorina, la scopai selvaggiamente entrando ed uscendo a più non posso il cazzo dalla sua figa devastata, era come se avessi distrutto la diga di un lago, le diedi schiaffi al culo, tanti. La schiaffeggiai fino a provocarle dolore, dolore che dovette urlare e sputare. Qualunque effetto stava svanendo… e la nostra intensa, bagnatissima scopata giungeva al limite.
Il suo corpo messo a pecorina era fantastico, la chiavata era stata devastante per entrambi. Sentivo finalmente le palle come se… la miccia si fosse accesa e non restava altro che sborrare. Gli ultimi colpi furono finalmente più percettibili e fanculo, lei iniziò ad urlare prima, il lago nella sua figa fuori uscii fino a formare una chiazza ben visibile sul letto. Il cazzo per lei divenne un supplizio e mentre contorceva la testa tra piacere e fastidio, mi pregò di venire, urlando a tratti. Dove non lo so… non credo volesse essere riempita fino all’utero e in tutta brutale onestà volevo vederla ingoiare la mia sborra. E così feci: poco prima di venire la presi a me, la voltai e la sovrastai sedendomi sopra i suoi seni infilandole il cazzo in bocca, in gola e sborrai. Non so se il primo schizzo lo ingoiò ma si scostò di lato, e tossendo la sborra schizzò su letto, nello stesso momento le strusciavo il cazzo umido sulle labbra. Lei con la sua lingua pulì avidamente mentre mi abbandonai in offese degne di quella scopata. “Sei una puttana!”.
“Si… sono una puttana!”
Eravamo storditi, sudati, sporchi e nemmeno la doccia lavò via il peccato più in là del sesso. Del resto… sapevo che sarei restato per sempre sporco. Lo scrissi… lo confermai ancora e ancora.
Jessica non fece storie quando le dissi che non potevo guidare o tornare a casa. Dormimmo nel suo letto nudi, strafatti e abbracciati come due teneri amanti dopo l’ennesima scopata. L’indomani, dopo avere esagerato con droga e alcolici, il mal di testa faceva male più delle botte. Jake paragona questo stato alla Via Crucis… “Poi le mattine Corona a spine è la via della croce. Baby trovami le aspirine”
Quando mi capitava una di quelle notti, come un rito mi svegliavo chiedendo antidolorifici.
“Piccola hai delle aspirine?”
Dio santissimo il più delle volte era un fottuto no.
Quella mattina ci svegliammo a mezzogiorno, lei non avrebbe dovuto dar conto a nessuno io…
Avrei dovuto dare troppe spiegazioni perché il castello di menzogne non crollasse. Fanculo il lavoro però…
Frequentai Jessica un paio di mesi tuttavia quel castello crollò inevitabilmente quando chiese un rapporto vero, di coppia. Lei scoprì la mia vita, tutto il casino, tutti i miei fottuti errori. Jessica ci restò male ma, almeno fu così gentile da non infierire sulla mia vita che andava a sgretolarsi. Mi escluse dalla sua vita letteralmente per sempre.
Io non ero uno studente universitario ma, se tornassi indietro…
Non avevo conoscenze particolarmente normali a quei tempi, tuttavia conoscevo qualcuno che frequentava l’uni o, conoscevo qualcuna che frequenta l’università. In poco tempo iniziai a frequentare un gruppo di bravi ragazzi e una sera, in un locale che per tanti anni fu soggetto a ripetute denunce per schiamazzi notturni, mi presentarono una certa Jessica. Non era niente male sul serio, il colore dei suoi capelli rossi-ramati mi ipnotizzò.
Ho un debole per le rosse, mi trasmettono passione e voglia senza sosta. Per me le più porche.
Occhi chiari, come noci. Un prominente davanzale verso la terza piena ed un culo che meritava una bella passata. Ricordo come venne vestita, credo non potrei dimenticarlo: un top nero cortissimo, blue jeans a zampa d’elefante e scarpe bianche che non si vedevano. In pratica ventre e schiena totalmente scoperte. Il locale era diviso su tre livelli: il primo piano dove si mangiava, cibo spazzatura economico. Il piano terra dove si beveva ed il semi interrato dove c’erano tre piste da ballo per diversi tipi di musica. Si beveva, qualche volta si mangiava e poi strafatti si andava a ballare. Il tutto iniziava veramente presto, il più delle volte a mezza notte la gente vedeva i mostri.
Io e Jessica chiacchierammo, la sua aria da menefreghista scocciata mi eccitava veramente tant’è che, dopo essermi congedato, scesi al bancone del bar un poco prima per evitare di essere inopportunamente indiscreto, indifferente e con una porzione del classico stronzo che non guasta mai. Lei mi seguì poco dopo, a volte il disinteresse crea l’effetto opposto. Mentre si avvicinava ed io tracannavo il terzo bicchierino di tequila, ne chiesi altri tre per la mia nuova amica. Un brindisi e complimenti a Jessica. “Vado a fumare vieni a farmi compagnia!” L’imperativo nelle sue parole echeggiava nella mia testa di desiderio sessuale, come se mi avesse concesso il permesso di corteggiarla.
Erano i tempi di alcol e droga…
“Fumi?” Le domandai intuendo la sua potenziale risposta quando le mostrai un cannone di Maria fuori il locale.
Rimase per un attimo a bocca aperta, lo notai mentre guardava la canna con occhi voraci e persi, luccicanti per via dell’alcol. Rimise la sigaretta nel pacchetto, ci allontanammo ma, restammo ad una decina di metri dall’ingresso. Si sarebbe sballata anche senza fumare la mia erba, una coltre di fumo galleggiava sopra le nostre teste. Un paio di tiri io, un paio lei. Le nostre mani, le dita, si toccavano nel passarci la canna. Mi chiesi se il mio sorriso mi tradisse, se trasudasse voglia mentre la fissavo negli occhi. Lei che, non mi sembrava imbarazzata, non sembrava proprio la tipa al dire il vero, guardava a terra, altrove. Parlava e rideva da sola. Fumava con avidità, come se fosse linfa vitale o, semplicemente era un brutto periodo e le serviva alcol per dimenticare ed erba rilassarsi. Le lasciai chiudere il cannone, proprio da vero galantuomo. Entrammo dentro, nel farlo sfiorai la sua schiena scoperta con il palmo ruvido della mia mano. Si voltò, sembrò dovesse dirmi qualcosa, ci mise più del dovuto. “Ti va di ballare?”.
Avrei esaudito qualsiasi suo desiderio se avessi potuto. Scendemmo sotto allora, in un inferno di musica, luci accecanti, fumi scenografici variegati alla vaniglia, aria viziata e anime perse.
Le nostre teste giravano mentre ballavamo. Alcol, erba. Era solo l’inizio.
“Versa… versa…ancora!”
Salivamo al bancone, tequila e poi subito a sgattaiolare fuori a fumare. Uno, due, tre volte…
Io c’ero fottutamente abituato, non avvertivo gli occhi piangere, i polmoni soffocare. Mi girava solo la testa. Avrei potuto andar oltre.
Mentre ballavamo le mani mie erano sempre appiccicate intorno i suoi fianchi, palpate al culo e anche al seno. La baciavo spesso intorno al collo, la leccavo. Lei mi scostava sorridendo ed io ero sempre più imperterrito e indomabile. Eravamo ad punto che, o me l’avrebbe data o sarebbe dovuta andare a fanculo.
“Devo fare pipì!”. Credo mi disse questa frase quattro o cinque volte prima che riuscissi ad udire, capii meglio con gli strani gesti che fece. L’accompagnai, mi limitai a palparle il culo con vigore scostumato. Non me ne fregava un cazzo.
L’odore però era davvero nauseabondo, tipico dei locali senza qualcuno che controllasse quei fottuti cessi. Lei uscì schifata, mi disse che non ce la faceva e che, “Fanculo, vado fuori!”. E lo fece davvero, dietro un macchina nel parcheggio della palazzina a fianco ed io…
Feci da palo e per quanto possa essere strano non sbirciai, ovvio che bramavo la sua fica, immaginavo le sue labbra avvolgere il mio grosso cazzo ma, non era il momento e comunque alcuni momenti sono sacri. Se scappa...
Le proposi un’altra canna, occhi rossi, sorriso beffardo. Tequila, fuoco, stordimento. La testa gira e le gambe cedono. L’aiutai nello scendere le scale, l’aiutai molto bene. Giunse il momento, opportuno o no chi se ne frega? Le infilai la lingua in bocca e l’abbracciai in una morsa tipo anaconda o cose simili. Per quel che ricordo fu un lungo ed appassionate bacio che trasudava gocce di saliva al gusto di tequila.
Avevo ed ho baciato diverse ragazze fattamente allegre. Quel sapore di erba impastata all’alcol scatena diverse emozioni. Accende passione, perversione.
E mentre le nostre lingue si contorcevano, le nostre mani esploravano i corpi sudati. Tra un bacio e l’altro sussurrò parole alle mie orecchie, risposi con un sorriso. Ci ritrovammo in macchina, verso il suo piccolo e confortevole alloggio universitario che fortunatamente non era distante. Dal primo momento che vidi Jessica, mi dimenticai di amici, ragazze, fidanzate e amanti…
Mi accolse nell’appartamento condiviso con un’altra studentessa che chissà dov’era. Andammo spediti, barcollando e inciampando nella sua camera da letto…
Quando iniziammo a baciarci, il primo bacio nel locale intendo, lei mi sussurrò: “Hai qualcosa di più forte?”
Gettai qualcosa di più forte sulla sua scrivania… lasciai che scendesse all’inferno per poi trasalire come se fosse stata venti minuti in apnea. Se avesse avuto delle ali sarebbero diventate nere come la pece, nel frattempo...
Mi guardai attorno e le chiesi una bottiglietta di acqua piccola. Ne presi una mezza piena nel mini frigo, feci un foro nel fondo con una penna. Rullai ancora dell’erba… Jessica scattante come una bambina la mattina di natale si gettò intorno al mio collo, la spinsi indietro, e lei cadde sul divano posto di fronte al letto, un tonfo controllato. Io mi levai il maglioncino leggero, sudavo. Feci due o più tiri dalla bottiglia anche lei… poi mi gettai sul divano stordito.
Iniziai a baciarle il collo mentre fumava. Sbottonai i jeans, scesi subito verso la figa, il tessuto dello slip fu come una carezza al dorso della mano. Con l’indice iniziai dei movimenti circolari poco sopra le labbra vaginali mentre con il dito medio giocavo con il clitoride. Scostai il top, misi a nudo il seno più procace di quel che pensavo. Mi alzai per spogliarla, via i jeans, il perizoma biancastro, top, reggiseno. Mi spogliai anche io e poi mi tuffai nuovamente accanto a lei. Ritornai a stimolarla, a slinguazzarle il collo. Di tanto in tanto assaporavo le sue labbra… Mi eccitava il sudore del suo collo, sapeva di quella tequila di cui eravamo gonfi come spugne. Io toccavo la sua figa con una certa diligenza, lei il mio cazzo duro come marmo. Una lenta e quasi insoddisfacente pugnetta… La presi per i capelli e il cazzo glielo conficcai nella gola, in profondità, le lasciai solo un attimo per rifiatare e poi di nuovo. Occhi spalancati ed iniettati di cremisi, sguardo di ghiaccio e fottutamente voglioso. La guardai e non mi fermai, le spinsi di nuovo la testa. Ed il cazzo affondò in profondità, sparì all’interno della bocca vorace, fu un istante in cui mugolai versi strani. Il fiato grosso, quella sensazione di mancanza d’ossigeno e paura tremendamente eccitante, erano impressi sul suo volto. Le accarezzai la testa, i capelli ramati, osservai le piccole lentiggini sul suo viso… Lo prese in bocca tenendo con una mano i coglioni. Riversò una quantità di liquidi salivari e non so cosa sulla punta del cazzo. I rivoli scesero lungo il genitale, fino alle palle gonfie, lei leccò, sopra e sotto, intorno, salendo lentamente a spirale verso il glande per poi avvolgerlo con le labbra si, morbide, tuttavia screpolate… I suoi movimenti erano abili, nonostante fosse strafatta sapeva come spompinare. Lasciò colare dolcemente liquidi all’interno del mio orifizio uretrale per poi spremermi la cappella dopo alcune pompate intense. Una schiuma bianca si formò attorno la punta del mio cazzo, la stessa schiumetta colava dalle sue labbra. Mentre lei si prese cura del mio cazzo, io della sua figa. Era bagnata, lubrificata. Mi alzai… toccò a me scendere all’inferno, aspirare una striscia di problemi e trasalire assuefatto da una dose di onnipotenza trascendente. Il volto che diventò pietra, con il freddo che si espanse fino a bruciare. Mi avvicinai mentre lei scivolò leggermente dal divano divaricando appena appena le gambe, un invito a fotterla. Invito che colsi subito, senza nessuna esitazione e passione. Gli infilai il cazzo dentro e nello stesso bagnato momento iniziai a penetrarla a fondo, dentro e fuori a un ritmo impazzito mentre lei, eccitata si mordeva il labbro e toccava i capezzoli turgidi. Le diedi uno schiaffo forte, la sua faccia di ghiaccio non sentì nulla, restò solo un lieve rossore che apparve velocemente. Io intanto continuavo a ritmo incontrollato, spostando le sue gambe, appoggiate alle mie grosse spalle. La presi dalle caviglie e cercai di divaricarle il più possibile dimenticandomi che non stavo scopando una ballerina, eppure… Spalancò quelle gambe, urlò di piacere mentre grondava liquidi dalla figa, mentre entrambi sudavamo alcol che evaporava nella stanza. Il mio ritmo non cessò anzi, aumentai intensità quasi fino a collassare. I nostri cuori battevano all’impazzata, stavano per esplodere nel petto… eppure non cessai quel fottere forsennato, diabolico e malsano nonostante il piacere che stavamo condividendo. Respirai come se dalla bocca dovessi sputare una legione di demoni, come se fossi posseduto ed avessi espulso il male. La presi dai capelli e la alzai in piedi, la baciai mentre le palpeggiavo la figa. Con la stessa indelicatezza con cui la sollevai, la misi in ginocchio. Mi scopai la sua bocca fino a farla crollare a terra senza fiato ma, lei indomita, resa invincibile dalle dipendenze, alzò parte del bellissimo corpo e avvicinò le labbra al mio cazzo per poi inghiottirlo. Mi spompinò qualche minuto, il tempo di riprendere fiato, mentre lo faceva appoggiai solo le mie mani ed intrecciai le dita nei capelli ramati e bagnati.
La presi nuovamente per i capelli, le diedi un’altro schiaffo che sembrò non scalfirla. La spinsi contro quella scrivania, lei non vi sedette di sopra, cercai di adagiarla. Sorrideva passandosi la lingua sulle labbra mentre oscillava appoggiata ai bordi del mobile sfidandomi. Cauto, afferrai con i denti le sue labbra, il seno e strinsi fino a farla urlare… La mia mano, subito dopo andò intorno al suo collo, strinsi… sembrava trarne piacere, sembrava non volermi dare nessuna soddisfazione, sembrava non volesse cedere, infine…
Si ritrovò con il culo sulla scrivania e il mio cazzo che la fotteva a più non posso. Sembrava un terremoto, qualunque cosa ci fosse su quel mobile cadde a terra. Il piacere era stato divorato da qualcosa di più oscuro, non si scopava più per un orgasmo intenso… divenne una sorta di competizione a chi durasse di più. Ci guardavamo intensamente negli occhi, e se io riuscivo a vedere la sua anima persa, lei invece vide i miei demoni. Continuai a scoparla in quella posizione, con più veemenza. Passarono lunghi minuti di un fottere contorto e senza alcun limite. E dopo un ora, forse anche più… la gettai come un corpo privo di vita sul letto. La misi a pecorina, la scopai selvaggiamente entrando ed uscendo a più non posso il cazzo dalla sua figa devastata, era come se avessi distrutto la diga di un lago, le diedi schiaffi al culo, tanti. La schiaffeggiai fino a provocarle dolore, dolore che dovette urlare e sputare. Qualunque effetto stava svanendo… e la nostra intensa, bagnatissima scopata giungeva al limite.
Il suo corpo messo a pecorina era fantastico, la chiavata era stata devastante per entrambi. Sentivo finalmente le palle come se… la miccia si fosse accesa e non restava altro che sborrare. Gli ultimi colpi furono finalmente più percettibili e fanculo, lei iniziò ad urlare prima, il lago nella sua figa fuori uscii fino a formare una chiazza ben visibile sul letto. Il cazzo per lei divenne un supplizio e mentre contorceva la testa tra piacere e fastidio, mi pregò di venire, urlando a tratti. Dove non lo so… non credo volesse essere riempita fino all’utero e in tutta brutale onestà volevo vederla ingoiare la mia sborra. E così feci: poco prima di venire la presi a me, la voltai e la sovrastai sedendomi sopra i suoi seni infilandole il cazzo in bocca, in gola e sborrai. Non so se il primo schizzo lo ingoiò ma si scostò di lato, e tossendo la sborra schizzò su letto, nello stesso momento le strusciavo il cazzo umido sulle labbra. Lei con la sua lingua pulì avidamente mentre mi abbandonai in offese degne di quella scopata. “Sei una puttana!”.
“Si… sono una puttana!”
Eravamo storditi, sudati, sporchi e nemmeno la doccia lavò via il peccato più in là del sesso. Del resto… sapevo che sarei restato per sempre sporco. Lo scrissi… lo confermai ancora e ancora.
Jessica non fece storie quando le dissi che non potevo guidare o tornare a casa. Dormimmo nel suo letto nudi, strafatti e abbracciati come due teneri amanti dopo l’ennesima scopata. L’indomani, dopo avere esagerato con droga e alcolici, il mal di testa faceva male più delle botte. Jake paragona questo stato alla Via Crucis… “Poi le mattine Corona a spine è la via della croce. Baby trovami le aspirine”
Quando mi capitava una di quelle notti, come un rito mi svegliavo chiedendo antidolorifici.
“Piccola hai delle aspirine?”
Dio santissimo il più delle volte era un fottuto no.
Quella mattina ci svegliammo a mezzogiorno, lei non avrebbe dovuto dar conto a nessuno io…
Avrei dovuto dare troppe spiegazioni perché il castello di menzogne non crollasse. Fanculo il lavoro però…
Frequentai Jessica un paio di mesi tuttavia quel castello crollò inevitabilmente quando chiese un rapporto vero, di coppia. Lei scoprì la mia vita, tutto il casino, tutti i miei fottuti errori. Jessica ci restò male ma, almeno fu così gentile da non infierire sulla mia vita che andava a sgretolarsi. Mi escluse dalla sua vita letteralmente per sempre.
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