Sembrava gratis
di
Giu!!!
genere
etero
Quando lei mi aprì la porta, quel sorriso, i tratti stranamente asiatici, quel corpo, quel seno procace, il suo vestire maledettamente provocante, i suoi tatuaggi e i piercing. Non lo so...
Entrai dentro, chiusi la porta alle mie spalle, non distaccando i miei banali occhi dai suoi e dalla scollatura della canottiera che indossava. Un breve scambio di chiacchiere, una breve presentazione mentre io le andavo vicino. Era tangibile nell’aria, respiravo intensamente il suo forte profumo di sesso.
Attratto come una calamita, attratto come l’uomo che vede l’abisso e involontariamente si tuffa. Quelli come noi non hanno necessità di parole e forse nemmeno di sguardi. Alcuni uomini e donne al di la di tutto sono fatti per scopare, solo scopare. Che sia perverso, estremamente perverso, rude e veemente o semplicemente dolce, poco importa.
Il mio corpo agiva tramite istinto, portai delicatamente la mia mano destra accanto al suo fianco si- nistro, la toccai delicatamente come se fosse un petalo e fanculo i baci sulle guance. Bramai subito le sue labbra, morbide e sporgenti.
Occhi chiusi e quel bacio rovente. Dettagli? Suppongo che sappiate come si bacia. Emozioni? No, solo una forte erezione e l’istinto di spingere la lingua nella trachea. Stavo limonando con una sconosciuta in casa sua.
Dopo qualche minuto, iniziai a tastare il corpo. Palpai con irruenza il culo sodo, molto sodo. Talmente sodo che non mi controllai. Di colpo la sbattei contro la parete dell’ingresso, accanto una console che usava come ripiano per le chiavi e svuotare le tasche. Sollevata da terra, avvinghiata a me, continuammo a baciarci con ardore. Quel tipo di passione che se non avete provato nella vita non potete capire e non è facile descriverlo.
Io non sapevo un cazzo di lei tranne qualche foto su FB e forse viceversa, forse perché... Meglio essere un fantasma e non sapere un cazzo di me!
Il nostro bacio, per conoscermi meglio si spostò su quella console, molto più comodo. Ricordo che c’era un mazzo di chiavi, ricordo che caddero a terra, ricordo che le tolsi subito la canottiera e poi feci la medesima cosa con la mia. Mi gettai tra quelle tette e slacciai il reggiseno. Ne palpai la bontà, come quando si va a comprare la frutta. Assaggiai il suo sapore, lei mugolava sorridendo avvolgendosi alla mia testa, scese con le mani sulle spalle, mentre leccavo le aureole e succhiavo i capezzoli.
Avremmo dovuto andare in camera da letto... Suppongo che forse lo avrebbe fatto il 99 per cento degli uomini, io no. Volevo possederla in quel piccolo ed angusto ingresso. Sulla console, a terra o sbattuta al muro.
Mentre leccavo elaboravo questo. Mi staccai dalla sua tetta con uno schiocco di lingua, la saliva colava.
La presi tra le braccia, prima di sbatterla a terra ci baciammo ancora e ancora. Con una sorta di rab- bia o forse amarezza, con qualcosa di intenso. Forse come due fottuti amanti ritrovatosi dopo una vita... O forse due perfidi sconosciuti, un bastardo ed una puttana?
La presi e la adagiai a terra, evitai di essere irruento. Non avevamo parlato di sesso, non avevamo proprio parlato lei non sapeva quanto fossi dannatamente perverso...Le mie fottute fantasie, il mio voler sottomettere. Lo avrebbe scoperto...
Si inarcò, capelli neri sparsi a terra. Provò a sbottonarsi i jeans, presi le sue mani dalle lunghe un- ghie e le tolsi. Faccio io, sbottonai il suo indumento rapidamente, con eccitazione. Sfilai il perizoma nero, molto, molto elaborato, (un dettaglio che non scorderò mai) mi gettai tra le sue gambe e si, nemmeno un pelo. Una pelle liscia e vellutata. Posai la bocca sulla fica, qualche frustata di lingua sul clitoride, si bagnò leggermente. Il suo sapore dolciastro e salato sul mio palato, leccai sotto, in su, roteai lentamente e con gusto. Non è un frutto proibito? Perché non avrei o non dovrei gustarlo?
Lei adagiata a terra con le gambe alzate e divaricate. La pianta dei piedi ben salda sul pavimento freddo, terribilmente gradevole.
Le mie mani si aggrapparono alle sue cosce. Appiglio. Stringevo ad ogni leccata, il suo sapore an- dava cambiando. Il clitoride diventava piano piano gonfio e più umido. Inizialmente non sentivo i suoi gemiti, il che mi spingeva al massimo impegno e dedizione, non potevo fare figure di merda. La mia lingua era un serpente tra le sue cosce, il piacere che con lo scorrere del tempo apprezzava, desiderava. Si saziava di quella sensazione mugolando eccitata. Eccitandomi nel udirla.
Dalla sua voce capivo come usare la lingua e, quando mi prendeva per i capelli sapevo che dovevo frustare. Ero solo all’inizio di quel leccatone. Il tono dei gemiti andava aumentando. Leccavo il cli- toride con voglia e frustavo con perizia. Sentivo le sue contrazioni leccata dopo leccata. Ad ogni culmine arrestavo il cunnilingus. Spostavo la bocca ai margini della figa, verso le cosce, mordic- chiando lembi di pelle. Non cercavo di farla venire è che non riuscivo a smettere.
Quel suo gemere flebile, il gemere di ogni donna è come una canzone motivazionale. Si contraeva, più di prima, i suoi fluidi insalivati colavano...
Quando con la coda dell’occhio vidi sul pavimento un paio di goccioline...
Aveva ragione, il preservativo.
Mentre lei si diresse in quella che pensai fosse una cucina, io mi spogliai e la seguii. Chinata a pon- te rovistava nella borsetta. Schiaffo al culo. La sditalinai poco meno di un minuto. Era fradicia.
Mi diede il preservativo, la guardai e sorrisi, va giù zoccola!
Prese con la mano sinistra le mie grosse palle, le strinse con una presa decisa, con l’altra mano af- ferrò il cazzo: indietro e avanti, una bella sega prima di prendere il glande tra le labbra, leccarlo e assaggiarlo. Ingoiò il mio cazzo e spompinò da vera... Puttana, esattamente quelle che mi sbattevo. Le dissi di non smettere, sapeva succhiare in una maniera assurda. I calli sulle mani e le mani tra i suoi capelli, l’autocontrollo che si perde. Il demone che non è un vampiro che ti chiede se può en- trare, sfonda la porta e ti prende, mi prende. Le sfondai letteralmente la gola, avanti e indietro senza lasciarla respirare. Ero io a mugolare di libidine. Mi scopai quella bocca qualche minuto, e quei momenti dalla sua bocca colarono liquidi trasparenti e filamentosi.
“Sta calmo!” Disse con un sorriso sporco e malizioso. Asciugò la bocca e si alzò.
Afferrò il cazzo e mise il preservativo. Mentre lo faceva io guardai la cucina. Divano o tavolo? Ci pensai seriamente. Fu quel suo guardarmi - era quel suo guardami tutte le volte - che mi faceva trasformare. Il sorriso... Dio santo lo decifrai esattamente: fa quello che vuoi, scopami!
La baciai, con passione. Per un istante amai quel sapore. I nostri. Un bacio di addio...
La presi dai capelli e la gettai come un sacco verso il tavolo, tette schiacciate sulla superficie, culo sporgente e schiaffi.
Ti piace?
Il suo tono di voce e quel “ancora” ripetuto più volte...
Non vidi nulla che potesse servirmi o meglio... Avrei potuto fare di tutto con quello che vedevo attorno. Cercavo qualcosa con cui legarle i polsi dietro la schiena.
Non cambiare la via vecchia con quella nuova.
Sul divano c’erano un altro paio di preservativi, ne presi uno.
Quando afferrai le sue mani e le legai dietro la schiena proprio con quel profilattico... Quella perversa approvazione mi infuocò.
Con le mani e quei calli ruvidi afferrai gli avambracci. Senza toccare il cazzo puntai verso la figa. E la scopai.
Nulla di strano, scopai fino a riempire il preservativo. Solo per il mio piacere. Non me ne fregò più un cazzo di soddisfarla. Il mio cervello cercava di dirmi qualcosa. Io non ricordo se avevo bevuto o altro. Mi gettai sul divano, mi strinsi le palle e lei, chinandosi mi sfilò il preservativo, pulì il cazzo con una salvietta, mi diede anche una leccatina al glande... Poi mi rifilò il conto!
Come la conobbi?
Scherzando chiesi il numero di quella barista al collega, lui fece da tramite, lei scrisse il numero sul- lo scontrino ed io le sorrisi meravigliato. Fu tutto così semplice che pensai che quel numero fosse falso o la fortuna aiuta gli audaci? Che altro? A parte gli addominali che non poteva vedere, cosa l’aveva spinta a darmi il numero di telefono? Lasciai correre, non ci pensai però, non me ne dimen- ticai. La chiamai dopo qualche tempo, forse troppo: una decina di giorni credo.
Due chiacchiere, lei si ricordava di me e mi invitò a casa sua per conoscerci meglio.
Entrai dentro, chiusi la porta alle mie spalle, non distaccando i miei banali occhi dai suoi e dalla scollatura della canottiera che indossava. Un breve scambio di chiacchiere, una breve presentazione mentre io le andavo vicino. Era tangibile nell’aria, respiravo intensamente il suo forte profumo di sesso.
Attratto come una calamita, attratto come l’uomo che vede l’abisso e involontariamente si tuffa. Quelli come noi non hanno necessità di parole e forse nemmeno di sguardi. Alcuni uomini e donne al di la di tutto sono fatti per scopare, solo scopare. Che sia perverso, estremamente perverso, rude e veemente o semplicemente dolce, poco importa.
Il mio corpo agiva tramite istinto, portai delicatamente la mia mano destra accanto al suo fianco si- nistro, la toccai delicatamente come se fosse un petalo e fanculo i baci sulle guance. Bramai subito le sue labbra, morbide e sporgenti.
Occhi chiusi e quel bacio rovente. Dettagli? Suppongo che sappiate come si bacia. Emozioni? No, solo una forte erezione e l’istinto di spingere la lingua nella trachea. Stavo limonando con una sconosciuta in casa sua.
Dopo qualche minuto, iniziai a tastare il corpo. Palpai con irruenza il culo sodo, molto sodo. Talmente sodo che non mi controllai. Di colpo la sbattei contro la parete dell’ingresso, accanto una console che usava come ripiano per le chiavi e svuotare le tasche. Sollevata da terra, avvinghiata a me, continuammo a baciarci con ardore. Quel tipo di passione che se non avete provato nella vita non potete capire e non è facile descriverlo.
Io non sapevo un cazzo di lei tranne qualche foto su FB e forse viceversa, forse perché... Meglio essere un fantasma e non sapere un cazzo di me!
Il nostro bacio, per conoscermi meglio si spostò su quella console, molto più comodo. Ricordo che c’era un mazzo di chiavi, ricordo che caddero a terra, ricordo che le tolsi subito la canottiera e poi feci la medesima cosa con la mia. Mi gettai tra quelle tette e slacciai il reggiseno. Ne palpai la bontà, come quando si va a comprare la frutta. Assaggiai il suo sapore, lei mugolava sorridendo avvolgendosi alla mia testa, scese con le mani sulle spalle, mentre leccavo le aureole e succhiavo i capezzoli.
Avremmo dovuto andare in camera da letto... Suppongo che forse lo avrebbe fatto il 99 per cento degli uomini, io no. Volevo possederla in quel piccolo ed angusto ingresso. Sulla console, a terra o sbattuta al muro.
Mentre leccavo elaboravo questo. Mi staccai dalla sua tetta con uno schiocco di lingua, la saliva colava.
La presi tra le braccia, prima di sbatterla a terra ci baciammo ancora e ancora. Con una sorta di rab- bia o forse amarezza, con qualcosa di intenso. Forse come due fottuti amanti ritrovatosi dopo una vita... O forse due perfidi sconosciuti, un bastardo ed una puttana?
La presi e la adagiai a terra, evitai di essere irruento. Non avevamo parlato di sesso, non avevamo proprio parlato lei non sapeva quanto fossi dannatamente perverso...Le mie fottute fantasie, il mio voler sottomettere. Lo avrebbe scoperto...
Si inarcò, capelli neri sparsi a terra. Provò a sbottonarsi i jeans, presi le sue mani dalle lunghe un- ghie e le tolsi. Faccio io, sbottonai il suo indumento rapidamente, con eccitazione. Sfilai il perizoma nero, molto, molto elaborato, (un dettaglio che non scorderò mai) mi gettai tra le sue gambe e si, nemmeno un pelo. Una pelle liscia e vellutata. Posai la bocca sulla fica, qualche frustata di lingua sul clitoride, si bagnò leggermente. Il suo sapore dolciastro e salato sul mio palato, leccai sotto, in su, roteai lentamente e con gusto. Non è un frutto proibito? Perché non avrei o non dovrei gustarlo?
Lei adagiata a terra con le gambe alzate e divaricate. La pianta dei piedi ben salda sul pavimento freddo, terribilmente gradevole.
Le mie mani si aggrapparono alle sue cosce. Appiglio. Stringevo ad ogni leccata, il suo sapore an- dava cambiando. Il clitoride diventava piano piano gonfio e più umido. Inizialmente non sentivo i suoi gemiti, il che mi spingeva al massimo impegno e dedizione, non potevo fare figure di merda. La mia lingua era un serpente tra le sue cosce, il piacere che con lo scorrere del tempo apprezzava, desiderava. Si saziava di quella sensazione mugolando eccitata. Eccitandomi nel udirla.
Dalla sua voce capivo come usare la lingua e, quando mi prendeva per i capelli sapevo che dovevo frustare. Ero solo all’inizio di quel leccatone. Il tono dei gemiti andava aumentando. Leccavo il cli- toride con voglia e frustavo con perizia. Sentivo le sue contrazioni leccata dopo leccata. Ad ogni culmine arrestavo il cunnilingus. Spostavo la bocca ai margini della figa, verso le cosce, mordic- chiando lembi di pelle. Non cercavo di farla venire è che non riuscivo a smettere.
Quel suo gemere flebile, il gemere di ogni donna è come una canzone motivazionale. Si contraeva, più di prima, i suoi fluidi insalivati colavano...
Quando con la coda dell’occhio vidi sul pavimento un paio di goccioline...
Aveva ragione, il preservativo.
Mentre lei si diresse in quella che pensai fosse una cucina, io mi spogliai e la seguii. Chinata a pon- te rovistava nella borsetta. Schiaffo al culo. La sditalinai poco meno di un minuto. Era fradicia.
Mi diede il preservativo, la guardai e sorrisi, va giù zoccola!
Prese con la mano sinistra le mie grosse palle, le strinse con una presa decisa, con l’altra mano af- ferrò il cazzo: indietro e avanti, una bella sega prima di prendere il glande tra le labbra, leccarlo e assaggiarlo. Ingoiò il mio cazzo e spompinò da vera... Puttana, esattamente quelle che mi sbattevo. Le dissi di non smettere, sapeva succhiare in una maniera assurda. I calli sulle mani e le mani tra i suoi capelli, l’autocontrollo che si perde. Il demone che non è un vampiro che ti chiede se può en- trare, sfonda la porta e ti prende, mi prende. Le sfondai letteralmente la gola, avanti e indietro senza lasciarla respirare. Ero io a mugolare di libidine. Mi scopai quella bocca qualche minuto, e quei momenti dalla sua bocca colarono liquidi trasparenti e filamentosi.
“Sta calmo!” Disse con un sorriso sporco e malizioso. Asciugò la bocca e si alzò.
Afferrò il cazzo e mise il preservativo. Mentre lo faceva io guardai la cucina. Divano o tavolo? Ci pensai seriamente. Fu quel suo guardarmi - era quel suo guardami tutte le volte - che mi faceva trasformare. Il sorriso... Dio santo lo decifrai esattamente: fa quello che vuoi, scopami!
La baciai, con passione. Per un istante amai quel sapore. I nostri. Un bacio di addio...
La presi dai capelli e la gettai come un sacco verso il tavolo, tette schiacciate sulla superficie, culo sporgente e schiaffi.
Ti piace?
Il suo tono di voce e quel “ancora” ripetuto più volte...
Non vidi nulla che potesse servirmi o meglio... Avrei potuto fare di tutto con quello che vedevo attorno. Cercavo qualcosa con cui legarle i polsi dietro la schiena.
Non cambiare la via vecchia con quella nuova.
Sul divano c’erano un altro paio di preservativi, ne presi uno.
Quando afferrai le sue mani e le legai dietro la schiena proprio con quel profilattico... Quella perversa approvazione mi infuocò.
Con le mani e quei calli ruvidi afferrai gli avambracci. Senza toccare il cazzo puntai verso la figa. E la scopai.
Nulla di strano, scopai fino a riempire il preservativo. Solo per il mio piacere. Non me ne fregò più un cazzo di soddisfarla. Il mio cervello cercava di dirmi qualcosa. Io non ricordo se avevo bevuto o altro. Mi gettai sul divano, mi strinsi le palle e lei, chinandosi mi sfilò il preservativo, pulì il cazzo con una salvietta, mi diede anche una leccatina al glande... Poi mi rifilò il conto!
Come la conobbi?
Scherzando chiesi il numero di quella barista al collega, lui fece da tramite, lei scrisse il numero sul- lo scontrino ed io le sorrisi meravigliato. Fu tutto così semplice che pensai che quel numero fosse falso o la fortuna aiuta gli audaci? Che altro? A parte gli addominali che non poteva vedere, cosa l’aveva spinta a darmi il numero di telefono? Lasciai correre, non ci pensai però, non me ne dimen- ticai. La chiamai dopo qualche tempo, forse troppo: una decina di giorni credo.
Due chiacchiere, lei si ricordava di me e mi invitò a casa sua per conoscerci meglio.
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