La gladiatrice. 3. Seduzione al ludus Dacicus
di
Yuko
genere
saffico
3. Seduzione al ludus Dacicus
Quella sera, dopo il combattimento vittorioso all'anfiteatro Flavio, io e Siret fummo messe insieme, a condividere la stessa cella al ludus Dacicus.
Con fatica l'aiuto a sfilarsi i resti della sua armatura, mentre le nostre armi vengono custodite nel deposito sotto chiave, prese in consegna dal guardiano del ludus, tale Marcius, un individuo rozzo e senza troppi riguardi. La ragazza mi raccontò di essere una prigioniera di una delle campagne dell'imperatore Traiano in Dacia. Lì lei combatteva con compagni e fratelli, finché furono sconfitti e venduti schiavi come gladiatori. In qualche modo lei fu stata protetta e la sua identità femminile rimase segreta alla maggior parte. Fino a oggi, evidentemente, e questa cosa ha destato stupore e ammirazione. Ora lei è entrata a far parte della nostra squadra, come bottino di guerra e in un certo senso mia schiava personale. È solo una finzione questa, infatti anch'essa continuerà i combattimenti all'anfiteatro, ma il fatto di presentare nella stessa compagine ben due gladiatrici, rende il nostro gruppo ancora più peculiare e apprezzato.
La ragazza, senza che questo ruolo fosse mai formalizzato, forse per gratitudine o per garantirsi la mia protezione si è realmente messa al mio servizio.
Nell'oscurità della nostra cella, mi lava il corpo dal sangue e dalla sabbia e si prende cura di me.
Imbeve alcuni stracci e li passa sul mio volto, sul collo e sul seno, poi si allunga al ventre e alle gambe. Con alcune erbe medicinali preparo un impasto che applico sulle ferite più profonde sotto lo sguardo incuriosito della mia compagna. Una volta lavate e medicate, ci rivestiamo delle nostre tuniche e la faccio sdraiare sulla paglia al mio fianco tenendola abbracciata per riscaldarla in questo ambiente buio e freddo.
“Sei una donna forte, Keiko.” Mi sussurra con uno sguardo pieno di ammirazione.
“Sono solo stata fortunata, Siret. Non sai quante volte ho rischiato di venire uccisa e quante violenze sessuali ho dovuto subire pur di rimanere in vita.”
Il suo sguardo si fa cupo e un'espressione di dolore attraversa il suo sguardo. Mi si avvicina di più, stringendomi al suo corpo con le braccia. Il suo calore mi rinfranca e il suo respiro vicino mi dà sicurezza.
“Ti darò io un poco di quell'affetto che non hai mai avuto. Ora che siamo compagne, penserò io a te.” Mi dice, guardandomi con quei bellissimi e grandi occhi cerulei.
Non ho mai visto così da vicino occhi di questo colore e i suoi, inoltre, esprimono una tenerezza ineffabile, una sofferenza rimasta nascosta e che ora può rivelarsi, perchè accolta e mitigata da un amore che può farsene carico, sopportarlo e diluirlo.
Io la guardo. Con tutta la mia attenzione prendo in considerazione quel volto, quei capelli arancioni e quella persona fragile che pure ha saputo sopravvivere a scontri mortali, quest'anima strappata da quelle terre oltre il Danubio, al suo destino di ragazza, al suo futuro di donna, per essere violentemente gettata in un mondo vorace e irrispettoso, violento e indifferente, dove la morte rappresenta il destino più prossimo, e la sofferenza una quotidianità difficile da accettare.
Le bacio la fronte, ma quando cerco di baciarle la guancia, lei gira il volto e le nostre labbra si incontrano.
“Oh!” dico io, ma lei mi si spinge contro, le nostre labbra ancora si toccano e le nostre bocche si aprono. Sento la sua lingua fredda che mi cerca e, stupita e colta di sorpresa, le porgo la mia, toccandoci con le nostre appendici umide.
Lei mi stringe al suo capo mettendomi una mano sulla nuca e mi bacia come se fossi un ragazzo. Io allora cedo al suo ardore, lasciandomi conquistare da una sensazione nuova un sentimento a me sconosciuto di interesse, protezione e affetto che non ho mai provato pur avendo amato molte donne e avendo subito attenzione sessuali da mogli e amanti di ricchi uomini.
Lei si stacca da me e mi guarda con due occhi spalancati, un'espressione di stupore e il respiro affannoso, come se questo suo bacio saffico me lo avesse largito trattenendo il fiato.
Il le ricambio lo sguardo e le avvolgo il collo con le mani. Le nostre bocche si sfiorano mentre ci parliamo tratteggiando le nostre parole.
“Sei una donna che ama le donne?” le chiedo con dolcezza.
“Sì, Keiko. Lo sono. Ti ho dato disgusto?”
“Per nulla, giovane Siret. Mi è piaciuto e ho scoperto con te una nuova dimensione. Baciami ancora, per favore.”
Lei mi si avventa addosso, mi bacia gemendo, digrignando, con foga, ardore, con un desiderio forse rimasto inespresso per troppo tempo e finalmente esaudito.
Mi bacia e geme come un vorace bambino attaccato al seno materno, si spinge dentro di me con rabbia, esplode in un bisogno atavico e a lungo imprigionato.
Io l'assecondo lasciandomi sedurre da tanta energia, da tanta determinazione che mi lascia sopraffatta, stupita ed emozionata. Il sapore della sua saliva, la consistenza di quella lingua che serpeggia e si divincola nella mia bocca come un drago ferito, i suoi mugugni, gli occhi chiusi e le sue trecce che vibrano e che si scuotono con i movimenti inconsulti del suo volto attaccato al mio.
Chiudo anch'io i miei occhi e mi abbandono, prigioniera della passione saffica di questa puledra indomita. Madre e sorella, amante e compagna, i nostri destini saranno ora uniti in una pericolosa precarietà il cui futuro sfugge al mio desiderio di comprensione.
Le mie mani si spostano sulle sue spalle, sulla sua schiena, giovane e forte eppure così minuta e fragile. Attraverso la tunica sottile percepisco le sue costole, le scapole che sporgono mentre lei muove le sue braccia sul mio corpo.
Mi prende una mano e la porta sul suo seno, io obbedisco e inizio ad accarezzarle la piena rotondità, solo filtrata dal sottile tessuto.
Sotto lo spessore lieve della morbida tunica apprezzo con fine dettaglio tutta la superficie del suo seno, la piena curvatura che si stacca decisa dal petto magro, la consistenza soda ed elastica e il capezzolo gonfio e duro, dalle mille piccole irregolarità che sporgono dalle sue areole rosa chiare.
Lei non smette di baciarmi, rinvigorita dalla mia risposta, dalle mie mani che ne stringono il petto, ne accarezzano i capezzoli. Mi spinge e mi sdraia e la sua mano scivola sotto la mia tunica, sfiora le mie cosce fino a dove convergono nel pelo nero del mio pube, ma risalgono fino ai miei seni. Io sdraiate e lei sopra di me, di tre quarti, continuiamo a baciarci, ci scambiamo saliva e affanni e le nostre mani affondano con rabbia e con dolcezza nei nostri corpi, nelle morbide curvature, nei seni, nei ventri e nelle schiene.
Si rialza dal bacio sulla mia bocca e mi guarda con un'espressione come spaventata, sorpresa. Non pronuncia alcuna parola e si getta sulla mia bocca con un nuovo bacio. Mi morde le labbra, aspira la mia lingua nella sua bocca, la risucchia fin quasi a farmi male e poi la circonda, la annoda alla sua, la morde e la liscia e le sue mani dal mio seno calano sul mio ventre. Mi scopre l'ombelico dalla tunica e ci si avventa con rinnovato vigore. Mi lecca tutto il ventre, si infila nell'ombelico e con la mano si insinua tra le mie cosce.
Il mio corpo ormai eccitato si scuote con uno scatto a quell'intimo contatto e lei si infila dentro, seguendo il liquido che mi sgorga dalla sorgente e bagna le mie cosce.
Le dita risalgono fino alla fonte del Danubio e sguazzano dentro di me facendomi gemere di piacere e di desiderio.
“Ti piace, Keiko? Ti piace?” Mi chiede lei in una piccola tregua dai suoi baci.
Il mio respiro fa esplodere il mio seno nudo e lucido di sudore e dei suoi baci. Lei mi prende i capezzoli tra le dita e me li strizza.
“Come sono neri; ma da che paese vieni, donna dagli occhi deformi?”
“Anche un'altra parte del mio corpo è così scura, donna strappata al Danubio. Mentre io vengo dagli estremi confini del mondo, oltre l'India, là dove nessun romano si è mai spinto. Ed ora leccami, Siret, che ardo di passione!”
Lei capisce a cosa alludo e mi scivola fra le cosce, me le apre come una finestra e guarda come è fatta la mia intimità, ci si avvicina e la contempla con curiosità.
“Non ho mai visto sfumature così scure. Keiko, sei una donna drago?”
“Baciami, Siret e leccami. Il mio sapore è come il tuo e il desiderio che hai scatenato chiede di essere colmato!”
Lei non perde tempo e si immerge tra i petali del mio fiore esotico, tra le porte del mio tempio segreto, mentre la accolgo con gemiti e urla che a pochi ho mai concesso.
L'odore della mia fica satura l'aria e le mie urla invadono le buie sicure quando mi mordo le labbra per ridurre il mio urlo e consegno alla bocca che mi squarta tutta l'energia della mia massima eccitazione.
Siret si alza dalla mia vulva, accarezzando con la punta della lingua a una a una le due dame di corte al mio ingresso rosso fuoco e più segreto, poi lecca le due ancelle in cui si insedia il mio pelo che continua verso il piccolo monte. Mi allarga ancora per guardare come è fatto il mio clitoride e lo riverisce con un tocco leggero della sua lingua bagnata, facendo sussultare i miei fianchi.
Si sdraia poi al mio fianco allungando un braccio che accolgo sotto la mia testa.
Ora sono io che inizio a volteggiare tra i ricci peli rossi del suo pube, boschetto di edera fiorita alle pendici estreme del suo pallido ventre.
La pelle del suo seno è così sottile che piccole venuzze azzurre ne appaiono, convergendo verso i capelli, rossi vermiglio come fragole sulle areole pallide come petali di rosa canina.
La mia lingua ne sonda le superfici, ne rinvigorisce l'erezione. Le sue areole si gonfiano e protrudono di piccole tuberosità che la mia lingua percorre e disegna in una mappa immaginaria di lingua e di saliva. Succhio quei lamponi vellutati e porosi, stiro quelle giovani tette e le accarezzo con sfioramenti dei miei polpastrelli. La ragazza geme sotto le mie cure, chiude gli occhi e distende il petto, sporge il seno in un respiro rilassato e si abbandona alle mie premure. Bacio e annuso il suo sottile ventre, la vita stretta che si allarga nei fianchi ubertosi. Finalmente questo corpo a lungo celato può svelare ed esprimere tutta la sua femminilità e il suo desiderio di amore e di sesso.
Le mie dita levigano le sue cosce in lunghi percorsi che terminano sui due inguini sviando dalla vulva all'ultimo momento.
Il pube di Siret sporge e si consegna alle mie carezze che sempre lo deviano ma sempre più vi si avvicinano, finché con lentezza il mio dito percorre il solco tra le due ancelle, scosta le pieghe carnose su cui si spengono i crini rossi ed entra nel caldo interno.
Il dito scivola in una culla bagnata di morbido miele.
Sollevo il dito e annuso la giovane eccitazione femminile, me lo infilo in bocca rimanendo sopraffatta dal sapore di sesso, dalla purezza e dal richiamo erotico che fa schiave le mie sensazioni e imbriglia ogni mia volontà assecondandola al desiderio di regalare a questa ragazza il massimo del piacere e dell'eccitazione.
Le dita scivolano nella sua fica e vi ci affondano, indovinando la strada verso le zone più sensibili. Un ululato represso mi indica che la direzione è giusta e le mie dita scompaiono nel ventre della rossa puledra della Dacia, assorbite in un'insondabile cavità. Ne riemergono filanti di lucide bave trasparenti. Ancora assaggio il sapore della mia schiava e faccio gustare anche a lei il prodotto del suo piacere. Riprendo a penetrarla mentre lei prende la mia mano e me la spinge più in profondità lanciando un lungo gemito di piacere. La rossa piega indietro la testa e sporge i seni e i fianchi per essere penetrata più profondamente. I miei baci si spostano dai suoi seni ai fulvi peli.
La lingua trova il suo clitoride e quando le dita innescano un ritmo all'interno del suo nido, la lingua divaga sulla corolla amoreggiando col pistillo.
Giubili di gemiti e sospiri si diffondono nella squallida cella e sembra che la paglia risplenda come fili d'oro e che dalla finestra entri uno spiraglio di luminosi zaffiri per frammentarsi in topazi incastonati lungo le mura. Voli di rondini è l'aria fresca che accarezza i nostri corpi nudi, mentre, il mio corpo sul suo, le mie dita dentro di lei e la mia lingua a scalfirne ogni molecola di piacere, conduco Siret all'estasi, vedendola contorcersi come un mollusco ferito attorno alle mie mani, poi avvolta al mio seno e infine a tutto il io corpo, sconvolta in singhiozzi di pianto e di piacere.
Ci rilasciamo poi senza più forze dopo l'erotica tenzone, ci abbracciamo e ci baciamo sul volto e sulle labbra.
Quando riapro gli occhi incontro lo sguardo di Quinto, il nostro allenatore, in piedi oltre i ferri delle sbarre. Chissà da quanto tempo ci sta osservando e se ha assistito a tutto o parte del nostro amplesso saffico.
Con tono dimesso mi fa cenno di avvicinarmi.
“Preparati per domani”, mi dice, “anche tu Siret”, aggiunge vedendola alzarsi mentre si rifà le trecce rosse.
“Battaglia?” Chiede lei.
“No. Un patrizio chiede di incontrarvi nella sua villa presso il lacus Albanus, viaggerete già al primo meridio su una biga, la villa patrizia dista circa 16 milia. Mi raccomando di non tradire la fama del mio gruppo.”
“Ma certo, Quinto”, gli rispondo appoggiando la mia mano sulla sua, “Lo sai che di me ti puoi fidare.”
“Di te lo so, ma devi garantire anche per la tua...” e accenna col mento alla ragazza dace che si è avvicinata all'inferriata.
“Stai tranquillo, Quinto. Siret saprà fare tutto quello che ci chiederanno e vedrai che i patrizi saranno soddisfatti.”
Lui annuisce con un gesto di intesa e si allontana silenzioso.
Spiego a Siret di cosa si stratta e ottengo il suo consenso.
“Qui si tratta si sopravvivere”, le dico, “e ora che sanno che sei donna anche tu molte cose cambieranno e altre potrebbero cambiare.” Lei mi guarda con espressione concentrata e annuisce.
“Avremo momenti più facili e altri più difficili, ma ogni occasione di una battaglia tra le lenzuola significa un combattimento in meno nell'arena. Mi capisci? E in un modo o nell'altro io di qui ti porterò fuori, credimi, è una promessa!”
Lei mi guarda e si commuove; mi corre incontro e mi abbraccia. Ormai sono la sua sola protezione e la sua unica speranza di salvezza.
“Domattina andiamo a cercare della salvia e della menta, ci faremo belle e profumate con i senatori e le loro mogli e se saremo brave ne uscirà una bella serata e qualche speranza in più. Capito?”
Lei annuisce e con gli occhi coperti di lacrime mi avvicina la sua bocca e mi abbraccia.
“Voi due, belle schiave!” sento l'odiosa voce di Marcius avvicinarsi nel corridoio verso la nostra cella. “Domani vi farete sbattere da qualche vecchio senatore, o sbaglio?”
“Non so, Marcius. A due schiave non è dato di sapere il loro destino.”
Lui ride, una risata rozza e volgare.
“Prima o poi un bel colpo ve lo dovrò dare anch'io!”
“Lo sai, Marcius che noi siamo destinate a ben altro cliente!”
“Questo lo dici tu, puttana. Io posso avervi con la forza ogni volta che voglio e ora che siete in due sarà ancora più eccitante!” Risponde e fa la voce minacciosa.
“Marcius, sai anche che punizioni toccano ai guardiani che abusano della merce destinata ai ludi o ai letti patrizi!” Lo guardo minacciosa e quello si gira e se ne va ridendo.
“Lo vedremo, lo vedremo!”
- CONTINUA
Quella sera, dopo il combattimento vittorioso all'anfiteatro Flavio, io e Siret fummo messe insieme, a condividere la stessa cella al ludus Dacicus.
Con fatica l'aiuto a sfilarsi i resti della sua armatura, mentre le nostre armi vengono custodite nel deposito sotto chiave, prese in consegna dal guardiano del ludus, tale Marcius, un individuo rozzo e senza troppi riguardi. La ragazza mi raccontò di essere una prigioniera di una delle campagne dell'imperatore Traiano in Dacia. Lì lei combatteva con compagni e fratelli, finché furono sconfitti e venduti schiavi come gladiatori. In qualche modo lei fu stata protetta e la sua identità femminile rimase segreta alla maggior parte. Fino a oggi, evidentemente, e questa cosa ha destato stupore e ammirazione. Ora lei è entrata a far parte della nostra squadra, come bottino di guerra e in un certo senso mia schiava personale. È solo una finzione questa, infatti anch'essa continuerà i combattimenti all'anfiteatro, ma il fatto di presentare nella stessa compagine ben due gladiatrici, rende il nostro gruppo ancora più peculiare e apprezzato.
La ragazza, senza che questo ruolo fosse mai formalizzato, forse per gratitudine o per garantirsi la mia protezione si è realmente messa al mio servizio.
Nell'oscurità della nostra cella, mi lava il corpo dal sangue e dalla sabbia e si prende cura di me.
Imbeve alcuni stracci e li passa sul mio volto, sul collo e sul seno, poi si allunga al ventre e alle gambe. Con alcune erbe medicinali preparo un impasto che applico sulle ferite più profonde sotto lo sguardo incuriosito della mia compagna. Una volta lavate e medicate, ci rivestiamo delle nostre tuniche e la faccio sdraiare sulla paglia al mio fianco tenendola abbracciata per riscaldarla in questo ambiente buio e freddo.
“Sei una donna forte, Keiko.” Mi sussurra con uno sguardo pieno di ammirazione.
“Sono solo stata fortunata, Siret. Non sai quante volte ho rischiato di venire uccisa e quante violenze sessuali ho dovuto subire pur di rimanere in vita.”
Il suo sguardo si fa cupo e un'espressione di dolore attraversa il suo sguardo. Mi si avvicina di più, stringendomi al suo corpo con le braccia. Il suo calore mi rinfranca e il suo respiro vicino mi dà sicurezza.
“Ti darò io un poco di quell'affetto che non hai mai avuto. Ora che siamo compagne, penserò io a te.” Mi dice, guardandomi con quei bellissimi e grandi occhi cerulei.
Non ho mai visto così da vicino occhi di questo colore e i suoi, inoltre, esprimono una tenerezza ineffabile, una sofferenza rimasta nascosta e che ora può rivelarsi, perchè accolta e mitigata da un amore che può farsene carico, sopportarlo e diluirlo.
Io la guardo. Con tutta la mia attenzione prendo in considerazione quel volto, quei capelli arancioni e quella persona fragile che pure ha saputo sopravvivere a scontri mortali, quest'anima strappata da quelle terre oltre il Danubio, al suo destino di ragazza, al suo futuro di donna, per essere violentemente gettata in un mondo vorace e irrispettoso, violento e indifferente, dove la morte rappresenta il destino più prossimo, e la sofferenza una quotidianità difficile da accettare.
Le bacio la fronte, ma quando cerco di baciarle la guancia, lei gira il volto e le nostre labbra si incontrano.
“Oh!” dico io, ma lei mi si spinge contro, le nostre labbra ancora si toccano e le nostre bocche si aprono. Sento la sua lingua fredda che mi cerca e, stupita e colta di sorpresa, le porgo la mia, toccandoci con le nostre appendici umide.
Lei mi stringe al suo capo mettendomi una mano sulla nuca e mi bacia come se fossi un ragazzo. Io allora cedo al suo ardore, lasciandomi conquistare da una sensazione nuova un sentimento a me sconosciuto di interesse, protezione e affetto che non ho mai provato pur avendo amato molte donne e avendo subito attenzione sessuali da mogli e amanti di ricchi uomini.
Lei si stacca da me e mi guarda con due occhi spalancati, un'espressione di stupore e il respiro affannoso, come se questo suo bacio saffico me lo avesse largito trattenendo il fiato.
Il le ricambio lo sguardo e le avvolgo il collo con le mani. Le nostre bocche si sfiorano mentre ci parliamo tratteggiando le nostre parole.
“Sei una donna che ama le donne?” le chiedo con dolcezza.
“Sì, Keiko. Lo sono. Ti ho dato disgusto?”
“Per nulla, giovane Siret. Mi è piaciuto e ho scoperto con te una nuova dimensione. Baciami ancora, per favore.”
Lei mi si avventa addosso, mi bacia gemendo, digrignando, con foga, ardore, con un desiderio forse rimasto inespresso per troppo tempo e finalmente esaudito.
Mi bacia e geme come un vorace bambino attaccato al seno materno, si spinge dentro di me con rabbia, esplode in un bisogno atavico e a lungo imprigionato.
Io l'assecondo lasciandomi sedurre da tanta energia, da tanta determinazione che mi lascia sopraffatta, stupita ed emozionata. Il sapore della sua saliva, la consistenza di quella lingua che serpeggia e si divincola nella mia bocca come un drago ferito, i suoi mugugni, gli occhi chiusi e le sue trecce che vibrano e che si scuotono con i movimenti inconsulti del suo volto attaccato al mio.
Chiudo anch'io i miei occhi e mi abbandono, prigioniera della passione saffica di questa puledra indomita. Madre e sorella, amante e compagna, i nostri destini saranno ora uniti in una pericolosa precarietà il cui futuro sfugge al mio desiderio di comprensione.
Le mie mani si spostano sulle sue spalle, sulla sua schiena, giovane e forte eppure così minuta e fragile. Attraverso la tunica sottile percepisco le sue costole, le scapole che sporgono mentre lei muove le sue braccia sul mio corpo.
Mi prende una mano e la porta sul suo seno, io obbedisco e inizio ad accarezzarle la piena rotondità, solo filtrata dal sottile tessuto.
Sotto lo spessore lieve della morbida tunica apprezzo con fine dettaglio tutta la superficie del suo seno, la piena curvatura che si stacca decisa dal petto magro, la consistenza soda ed elastica e il capezzolo gonfio e duro, dalle mille piccole irregolarità che sporgono dalle sue areole rosa chiare.
Lei non smette di baciarmi, rinvigorita dalla mia risposta, dalle mie mani che ne stringono il petto, ne accarezzano i capezzoli. Mi spinge e mi sdraia e la sua mano scivola sotto la mia tunica, sfiora le mie cosce fino a dove convergono nel pelo nero del mio pube, ma risalgono fino ai miei seni. Io sdraiate e lei sopra di me, di tre quarti, continuiamo a baciarci, ci scambiamo saliva e affanni e le nostre mani affondano con rabbia e con dolcezza nei nostri corpi, nelle morbide curvature, nei seni, nei ventri e nelle schiene.
Si rialza dal bacio sulla mia bocca e mi guarda con un'espressione come spaventata, sorpresa. Non pronuncia alcuna parola e si getta sulla mia bocca con un nuovo bacio. Mi morde le labbra, aspira la mia lingua nella sua bocca, la risucchia fin quasi a farmi male e poi la circonda, la annoda alla sua, la morde e la liscia e le sue mani dal mio seno calano sul mio ventre. Mi scopre l'ombelico dalla tunica e ci si avventa con rinnovato vigore. Mi lecca tutto il ventre, si infila nell'ombelico e con la mano si insinua tra le mie cosce.
Il mio corpo ormai eccitato si scuote con uno scatto a quell'intimo contatto e lei si infila dentro, seguendo il liquido che mi sgorga dalla sorgente e bagna le mie cosce.
Le dita risalgono fino alla fonte del Danubio e sguazzano dentro di me facendomi gemere di piacere e di desiderio.
“Ti piace, Keiko? Ti piace?” Mi chiede lei in una piccola tregua dai suoi baci.
Il mio respiro fa esplodere il mio seno nudo e lucido di sudore e dei suoi baci. Lei mi prende i capezzoli tra le dita e me li strizza.
“Come sono neri; ma da che paese vieni, donna dagli occhi deformi?”
“Anche un'altra parte del mio corpo è così scura, donna strappata al Danubio. Mentre io vengo dagli estremi confini del mondo, oltre l'India, là dove nessun romano si è mai spinto. Ed ora leccami, Siret, che ardo di passione!”
Lei capisce a cosa alludo e mi scivola fra le cosce, me le apre come una finestra e guarda come è fatta la mia intimità, ci si avvicina e la contempla con curiosità.
“Non ho mai visto sfumature così scure. Keiko, sei una donna drago?”
“Baciami, Siret e leccami. Il mio sapore è come il tuo e il desiderio che hai scatenato chiede di essere colmato!”
Lei non perde tempo e si immerge tra i petali del mio fiore esotico, tra le porte del mio tempio segreto, mentre la accolgo con gemiti e urla che a pochi ho mai concesso.
L'odore della mia fica satura l'aria e le mie urla invadono le buie sicure quando mi mordo le labbra per ridurre il mio urlo e consegno alla bocca che mi squarta tutta l'energia della mia massima eccitazione.
Siret si alza dalla mia vulva, accarezzando con la punta della lingua a una a una le due dame di corte al mio ingresso rosso fuoco e più segreto, poi lecca le due ancelle in cui si insedia il mio pelo che continua verso il piccolo monte. Mi allarga ancora per guardare come è fatto il mio clitoride e lo riverisce con un tocco leggero della sua lingua bagnata, facendo sussultare i miei fianchi.
Si sdraia poi al mio fianco allungando un braccio che accolgo sotto la mia testa.
Ora sono io che inizio a volteggiare tra i ricci peli rossi del suo pube, boschetto di edera fiorita alle pendici estreme del suo pallido ventre.
La pelle del suo seno è così sottile che piccole venuzze azzurre ne appaiono, convergendo verso i capelli, rossi vermiglio come fragole sulle areole pallide come petali di rosa canina.
La mia lingua ne sonda le superfici, ne rinvigorisce l'erezione. Le sue areole si gonfiano e protrudono di piccole tuberosità che la mia lingua percorre e disegna in una mappa immaginaria di lingua e di saliva. Succhio quei lamponi vellutati e porosi, stiro quelle giovani tette e le accarezzo con sfioramenti dei miei polpastrelli. La ragazza geme sotto le mie cure, chiude gli occhi e distende il petto, sporge il seno in un respiro rilassato e si abbandona alle mie premure. Bacio e annuso il suo sottile ventre, la vita stretta che si allarga nei fianchi ubertosi. Finalmente questo corpo a lungo celato può svelare ed esprimere tutta la sua femminilità e il suo desiderio di amore e di sesso.
Le mie dita levigano le sue cosce in lunghi percorsi che terminano sui due inguini sviando dalla vulva all'ultimo momento.
Il pube di Siret sporge e si consegna alle mie carezze che sempre lo deviano ma sempre più vi si avvicinano, finché con lentezza il mio dito percorre il solco tra le due ancelle, scosta le pieghe carnose su cui si spengono i crini rossi ed entra nel caldo interno.
Il dito scivola in una culla bagnata di morbido miele.
Sollevo il dito e annuso la giovane eccitazione femminile, me lo infilo in bocca rimanendo sopraffatta dal sapore di sesso, dalla purezza e dal richiamo erotico che fa schiave le mie sensazioni e imbriglia ogni mia volontà assecondandola al desiderio di regalare a questa ragazza il massimo del piacere e dell'eccitazione.
Le dita scivolano nella sua fica e vi ci affondano, indovinando la strada verso le zone più sensibili. Un ululato represso mi indica che la direzione è giusta e le mie dita scompaiono nel ventre della rossa puledra della Dacia, assorbite in un'insondabile cavità. Ne riemergono filanti di lucide bave trasparenti. Ancora assaggio il sapore della mia schiava e faccio gustare anche a lei il prodotto del suo piacere. Riprendo a penetrarla mentre lei prende la mia mano e me la spinge più in profondità lanciando un lungo gemito di piacere. La rossa piega indietro la testa e sporge i seni e i fianchi per essere penetrata più profondamente. I miei baci si spostano dai suoi seni ai fulvi peli.
La lingua trova il suo clitoride e quando le dita innescano un ritmo all'interno del suo nido, la lingua divaga sulla corolla amoreggiando col pistillo.
Giubili di gemiti e sospiri si diffondono nella squallida cella e sembra che la paglia risplenda come fili d'oro e che dalla finestra entri uno spiraglio di luminosi zaffiri per frammentarsi in topazi incastonati lungo le mura. Voli di rondini è l'aria fresca che accarezza i nostri corpi nudi, mentre, il mio corpo sul suo, le mie dita dentro di lei e la mia lingua a scalfirne ogni molecola di piacere, conduco Siret all'estasi, vedendola contorcersi come un mollusco ferito attorno alle mie mani, poi avvolta al mio seno e infine a tutto il io corpo, sconvolta in singhiozzi di pianto e di piacere.
Ci rilasciamo poi senza più forze dopo l'erotica tenzone, ci abbracciamo e ci baciamo sul volto e sulle labbra.
Quando riapro gli occhi incontro lo sguardo di Quinto, il nostro allenatore, in piedi oltre i ferri delle sbarre. Chissà da quanto tempo ci sta osservando e se ha assistito a tutto o parte del nostro amplesso saffico.
Con tono dimesso mi fa cenno di avvicinarmi.
“Preparati per domani”, mi dice, “anche tu Siret”, aggiunge vedendola alzarsi mentre si rifà le trecce rosse.
“Battaglia?” Chiede lei.
“No. Un patrizio chiede di incontrarvi nella sua villa presso il lacus Albanus, viaggerete già al primo meridio su una biga, la villa patrizia dista circa 16 milia. Mi raccomando di non tradire la fama del mio gruppo.”
“Ma certo, Quinto”, gli rispondo appoggiando la mia mano sulla sua, “Lo sai che di me ti puoi fidare.”
“Di te lo so, ma devi garantire anche per la tua...” e accenna col mento alla ragazza dace che si è avvicinata all'inferriata.
“Stai tranquillo, Quinto. Siret saprà fare tutto quello che ci chiederanno e vedrai che i patrizi saranno soddisfatti.”
Lui annuisce con un gesto di intesa e si allontana silenzioso.
Spiego a Siret di cosa si stratta e ottengo il suo consenso.
“Qui si tratta si sopravvivere”, le dico, “e ora che sanno che sei donna anche tu molte cose cambieranno e altre potrebbero cambiare.” Lei mi guarda con espressione concentrata e annuisce.
“Avremo momenti più facili e altri più difficili, ma ogni occasione di una battaglia tra le lenzuola significa un combattimento in meno nell'arena. Mi capisci? E in un modo o nell'altro io di qui ti porterò fuori, credimi, è una promessa!”
Lei mi guarda e si commuove; mi corre incontro e mi abbraccia. Ormai sono la sua sola protezione e la sua unica speranza di salvezza.
“Domattina andiamo a cercare della salvia e della menta, ci faremo belle e profumate con i senatori e le loro mogli e se saremo brave ne uscirà una bella serata e qualche speranza in più. Capito?”
Lei annuisce e con gli occhi coperti di lacrime mi avvicina la sua bocca e mi abbraccia.
“Voi due, belle schiave!” sento l'odiosa voce di Marcius avvicinarsi nel corridoio verso la nostra cella. “Domani vi farete sbattere da qualche vecchio senatore, o sbaglio?”
“Non so, Marcius. A due schiave non è dato di sapere il loro destino.”
Lui ride, una risata rozza e volgare.
“Prima o poi un bel colpo ve lo dovrò dare anch'io!”
“Lo sai, Marcius che noi siamo destinate a ben altro cliente!”
“Questo lo dici tu, puttana. Io posso avervi con la forza ogni volta che voglio e ora che siete in due sarà ancora più eccitante!” Risponde e fa la voce minacciosa.
“Marcius, sai anche che punizioni toccano ai guardiani che abusano della merce destinata ai ludi o ai letti patrizi!” Lo guardo minacciosa e quello si gira e se ne va ridendo.
“Lo vedremo, lo vedremo!”
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