Almeno chiamami Roberta - Il nostro primo bacio
di
Evablu
genere
trans
"Ma tu ne hai peli sul petto?".
Fulmineo, inaspettato, imprevedibile e repentino. Lucido: nemmeno mi diede il tempo di pensare.
"Io sì, io ce li ho, guarda", e prima di finire di dirlo, con la testa rossa infilata ancora nella orribile maglietta sgargiante a strisce rosse, gialle e blu che indossava quel giorno di fine estate assieme ai jeans e a un paio di consunte scarpe da tennis, si era già messo a torso nudo.
"Ecco, guarda!", e nell'indicare un cespuglietto di peli radi e insignificanti proprio al centro del torace gli si stampò in viso un sorriso accattivante, simpatico, dolce: la sua parte migliore.
Io ero seduto sul letto, guardavo Giovanni e ne attendevo la mossa successiva, mentre mi sentivo inspiegabilmente attratto dal suo fisico magro, dagli occhiali da astigmatico che gli ingigantivano le pupille, le labbra un minimo carnose, il viso leggermente squadrato, soprattutto quei capelli rossi che gli davano l'aria del perfetto Gianburrasca, le ciglia arcuate che gli conferivano un'impronta un tantino femminile, sensuale. Ogni volta che mi capitava di guardarlo in circostanze come quella - eravamo soli in casa sua, nella sua stanza, nessuno sarebbe rincasato prima di un paio d'ore - mi ritrovavo con un'aria tra l'ebete e il sognante, che non mi sapevo spiegare, pensieri strani si infiltravano come lingue di vento nelle fessure aperte della mia mente ricca di fantasie, talune talvolta molto, molto sconce e chiuse a chiave a tripla mandata in cassetti blindati e inaccessibili della mia mente, un tantino troppo perversa.
"E tu, tu ne hai, peli sul petto?", riprese curioso avvicinandosi a me, che mi ritrassi istintivamente all'indietro, chiuso in un silenzio vigile e preoccupato. Indossavo una maglietta scura, larga, che tenevo fuori dai jeans lavati, portavo un paio di sandali aperti che avevo lasciato andare sul pavimento, ero a piedi nudi e trovavo questa situazione un tantino erotica. Anch'io portavo gli occhiali, ma da miope, i capelli lunghi mi cadevano sulle spalle e aggiungevano un ulteriore tocco di femminilità a un fisico che di mascolino aveva ben poco, in un visetto glabro e ovale dagli occhi appuntiti, resi piccoli dalle lenti spesse.
"Dai, fammi vedere", e in un battibaleno riuscì a tirarmi su la maglietta, denudando quel paio di tettone bianche che mi ritrovavo, insolito regalo di una natura beffarda e distratta, se pensavo per esempio che sua sorella, poco più piccola di noi due, era completamente piatta.
"Finiscila!", esclamai con voce stridula, da checca, ma lui non la finì affatto e me la scippò letteralmente di dosso, la t-shirt, facendola volare via.
Diversamente da lui, avevo due capezzoli grossi, contornati da areole che parevano gigantesche, le punte si drizzarono nell'avvertire l'aria relativamente fresca della sua stanza e anche al contatto visivo con i suoi occhi assetati come i suoi ormoni, in quel momento in una severa e inarrestabile crisi di ipertrofia.
"Meravigliose", disse sottovoce mettendoci una mano sopra, ribadendo il gesto dopo che gliela avevo scostata con stizza e, al secondo tentativo, impadronendosi della mia carne nuda e ansiosa prima con una, poi con tutt'e due le mani. Mi massaggiò il seno nudo con maestria, dimostrava perizia e preparazione e anche se era un po' acerbo nei movimenti, le lievissime rotazioni che sapeva imprimere alla mia carne vogliosa mi facevano sconfinare nel misticismo, la sensazione di piacere che sentivo dentro di me mi faceva come levitare. Oltre che rimanere in un assoluto e partecipe silenzio. In quell'ambiente piccolo in cui eravamo - poster di John Lennon e Yoko Ono, di Che Guevara, Chinaglia e Cabrini alle pareti, la chitarra appesa al muro, un orologio elettrico che ticchettava nervosamente e leggermente - si sentivano solo i nostri respiri, via via sempre più pesanti, se non proprio affannosi. Sentii che si toglieva le scarpe, rimase a piedi nudi pure lui.
"Hai un seno favoloso", sussurrò compiaciuto dopo un po' che me lo palpeggiava e che io lasciavo che me lo palpeggiasse; e stavolta i nostri occhi rimasero incollati gli uni agli altri. "Lo hai meglio delle nostre compagne; e a me - aggiunse staccando una delle due mani e portandosela sul pube - a me è venuto proprio duro".
"Anche a me", sorrisi lievemente, provocando un sorriso anche in lui. Mi toccò lì sotto, lo avevo piccolo ma anche il mio cosino mostrava di essere molto partecipe, preso dalla situazione.
"Ti faccio un certo effetto", disse piano, continuando a toccarmi. E in silenzio mi prese una mano, portandomela sul suo cazzo.
"Anch'io, mi pare", dissi con un filo di voce mentre glielo palpavo: grosso, duro, lungo, glielo toccai prima sotto la costrizione della sua presa decisa, poi liberamente. Era un gran bel cazzo ed era duro per merito mio. Io lo eccitavo: la cosa mi provocò una strana sensazione, orgoglio misto a timore.
D'un tratto si accostò a me, vidi il suo viso farsi pericolosamente vicino al mio, ebbi un attimo di sbandamento mentre si toglieva e mi toglieva gli occhiali, scese sornione e repentino verso il collo e poggiò il primo delicato bacio sulla carne del petto, poi tirò fuori la lingua e lambì un capezzolo, ci girò attorno e lo avvolse con le labbra, mordicchiandolo e iniziando a succhiarlo.
"Ehi, che fai?", ma lo chiesi nella piena consapevolezza che era stupendo e lui, forse per impegnarmi con qualcosa e per impedirmi di fare altre domande inutili, mi prese una mano e me la guidò di nuovo sul suo coso, era ancora più grosso, pareva volesse saltare fuori dai pantaloni ed esplodere, iniziai ad armeggiare con quel cazzone robusto e nodoso, mentre lui insisteva nel succhiarmi le poppe, limonava da dio, spinsi la mia manina dolce e delicata fino ai suoi coglioni rotondi, sodi, lo sentii dimenarsi, mugolare, avvicinò la bocca alla mia, non mi baciò ma era lì lì, "sei una troietta", mi disse ormai palesemente infoiato, "muovi un po' quella manina da zoccola, non mi dire che è la prima sega che fai" e io non capii come potesse pensare che lo avessi già fatto a qualcun altro, visto che sapevo a malapena strusciare la mano su e giù sui suoi jeans.
"Mamma, che cazzo che hai", sussurrai, quasi invogliandolo a tornare su, ad avvicinare il viso al mio viso, senza occhiali non ci vedevamo bene né io né lui, non riuscii a capire chi avesse fatto la prima mossa, se io mi fossi spinto in su o lui in giù, sentii solo uno schiocco, il primo, lo scontro delle nostre labbra, subito dopo ce ne fu un secondo, come se avessimo avuto una calamita che le portava a sbaciucchiarsi ancora, e poi di nuovo, di nuovo, fino a quando o io o lui non ci rendemmo conto che rischiavamo di baciarci con la lingua, provai una sensazione strana, volli fermarmi, staccai la mano dal suo uccello duro come il marmo e presi lui per le spalle, lo misi a una distanza di qualche centimetro da me.
"Giovanni, che stiamo facendo?", gli chiesi con un'espressione spaurita, confusa.
"Non lo so, Roberto, ma mi piace troppo".
"Cazzo, Giovanni, mi hai appena baciato!".
"E allora? Non lo volevi?".
"Non ho detto questo".
Si allontanò di qualche altro centimetro, non capiva.
"Mi hai appena baciato: almeno chiamami Roberta, cazzo".
Sorrise: devo dire che era proprio disarmante, quando schiudeva leggermente le labbra rosse tremendamente sexy che aveva, le labbra che si erano appena posate sulle mie, senza che a nessuno dei due facesse schifo o che provassimo disagio. Focalizzai solo in quell'istante che, benché senza lingua, era stato in assoluto il primo bacio della mia vita sulla bocca di un'altra persona: mai avrei pensato di darlo a un ragazzo, men che meno al ragazzo che amavo e ancora di meno avrei mai pensato che la ragazza sarei stata io. Facevo quasi fatica a toccarlo, ma sentivo un cazzo duro e pulsante che rispondeva perfettamente alle mie carezze intime, era un bastone di carne e lo menavo col movimento avanti e indietro nella mia manina stretta attorno al suo bel palo. Anche lui, allo stesso modo, cioè con i vestiti addosso, aveva cominciato a farmi lo stesso lavoro.
"Se continui vengo", disse ansimando sonoramente.
"Cazzo, anch'io".
Fu una sensazione strana, unica, sentii lui che mugolava in sottofondo e istintivamente gli andai appresso, stavo andando su di giri e lui faceva la stessa cosa, il mugolio si trasformò in ululato, in una sorta di grugnito, mentre il mio era un gridolino in falsetto, da femminuccia arrapata in godimento avanzato spinto.
"Vengo!", dicemmo più o meno contemporaneamente e avvertii qualcosa di caldo, caldissimo e intenso che mi riempiva mutandine e pantaloni, pensai che a lui stava accadendo l'identica cosa, con un orgasmo che per entrambi fu più lungo e sentito.
Ebbi il tempo di guardarlo negli occhi, avrei avuto voglia di baciarlo ancora e forse lui pure, magari anche con la lingua, però sentimmo qualcosa che ci impedì di pensare, riflettere, metabolizzare: c'era qualcuno che armeggiava con la serratura di casa. Istintivamente i nostri sguardi corsero all'orologio: quasi le due, quanto eravamo stati su quel letto a limonare? Schizzammo in piedi mentre la chiave girava e la porta esterna si apriva: qualcuno si avvicinava alla stanza del nostro primo bacio, nella fretta infilai la maglietta più vicina e lui fece lo stesso, quando spuntò sua sorella minore, quella con le tette piatte, sulla porta ci eravamo appena rivestiti ma eravamo a piedi nudi, palesemente trafelati, ansimanti, rossi in viso. Lei rimase un attimo disorientata dalla scena, le nostre gote accaldate e sudate, l'aspetto visibilmente concitato, la sgradevole sensazione di bagnato nelle parti intime, ma quella non si vedeva.
"Ho interrotto qualcosa?", scherzò senza avere idea (forse) di averci pienamente azzeccato: già la sapeva lunga, evidentemente.
"Stavamo finendo di ripassare - azzardò Giovanni, pensando quasi che la sorella fosse scema - ma ora Roberta... Roberto stava andando via".
"Sì, stavo andando via", sussurrai non riuscendo a reggere lo sguardo inquisitorio della ragazzina. Fra l'altro mi aveva chiamato Roberta davanti a lei.
"Ma come mai hai la maglietta di Giovanni, addosso? Vi siete scambiati i vestiti?".
Mi sentii morire: mi guardai, poi guardai lui; nella concitazione io avevo indossato la sua maglietta e lui la mia, la sorellina aveva capito tutto.
"Va bene, ciao, Roberta", disse quella con tono volutamente risentito, quasi ingelosito, e rimarcando con la pronuncia affettata la a finale di Roberta, se ne andò nella sua stanza.
Fulmineo, inaspettato, imprevedibile e repentino. Lucido: nemmeno mi diede il tempo di pensare.
"Io sì, io ce li ho, guarda", e prima di finire di dirlo, con la testa rossa infilata ancora nella orribile maglietta sgargiante a strisce rosse, gialle e blu che indossava quel giorno di fine estate assieme ai jeans e a un paio di consunte scarpe da tennis, si era già messo a torso nudo.
"Ecco, guarda!", e nell'indicare un cespuglietto di peli radi e insignificanti proprio al centro del torace gli si stampò in viso un sorriso accattivante, simpatico, dolce: la sua parte migliore.
Io ero seduto sul letto, guardavo Giovanni e ne attendevo la mossa successiva, mentre mi sentivo inspiegabilmente attratto dal suo fisico magro, dagli occhiali da astigmatico che gli ingigantivano le pupille, le labbra un minimo carnose, il viso leggermente squadrato, soprattutto quei capelli rossi che gli davano l'aria del perfetto Gianburrasca, le ciglia arcuate che gli conferivano un'impronta un tantino femminile, sensuale. Ogni volta che mi capitava di guardarlo in circostanze come quella - eravamo soli in casa sua, nella sua stanza, nessuno sarebbe rincasato prima di un paio d'ore - mi ritrovavo con un'aria tra l'ebete e il sognante, che non mi sapevo spiegare, pensieri strani si infiltravano come lingue di vento nelle fessure aperte della mia mente ricca di fantasie, talune talvolta molto, molto sconce e chiuse a chiave a tripla mandata in cassetti blindati e inaccessibili della mia mente, un tantino troppo perversa.
"E tu, tu ne hai, peli sul petto?", riprese curioso avvicinandosi a me, che mi ritrassi istintivamente all'indietro, chiuso in un silenzio vigile e preoccupato. Indossavo una maglietta scura, larga, che tenevo fuori dai jeans lavati, portavo un paio di sandali aperti che avevo lasciato andare sul pavimento, ero a piedi nudi e trovavo questa situazione un tantino erotica. Anch'io portavo gli occhiali, ma da miope, i capelli lunghi mi cadevano sulle spalle e aggiungevano un ulteriore tocco di femminilità a un fisico che di mascolino aveva ben poco, in un visetto glabro e ovale dagli occhi appuntiti, resi piccoli dalle lenti spesse.
"Dai, fammi vedere", e in un battibaleno riuscì a tirarmi su la maglietta, denudando quel paio di tettone bianche che mi ritrovavo, insolito regalo di una natura beffarda e distratta, se pensavo per esempio che sua sorella, poco più piccola di noi due, era completamente piatta.
"Finiscila!", esclamai con voce stridula, da checca, ma lui non la finì affatto e me la scippò letteralmente di dosso, la t-shirt, facendola volare via.
Diversamente da lui, avevo due capezzoli grossi, contornati da areole che parevano gigantesche, le punte si drizzarono nell'avvertire l'aria relativamente fresca della sua stanza e anche al contatto visivo con i suoi occhi assetati come i suoi ormoni, in quel momento in una severa e inarrestabile crisi di ipertrofia.
"Meravigliose", disse sottovoce mettendoci una mano sopra, ribadendo il gesto dopo che gliela avevo scostata con stizza e, al secondo tentativo, impadronendosi della mia carne nuda e ansiosa prima con una, poi con tutt'e due le mani. Mi massaggiò il seno nudo con maestria, dimostrava perizia e preparazione e anche se era un po' acerbo nei movimenti, le lievissime rotazioni che sapeva imprimere alla mia carne vogliosa mi facevano sconfinare nel misticismo, la sensazione di piacere che sentivo dentro di me mi faceva come levitare. Oltre che rimanere in un assoluto e partecipe silenzio. In quell'ambiente piccolo in cui eravamo - poster di John Lennon e Yoko Ono, di Che Guevara, Chinaglia e Cabrini alle pareti, la chitarra appesa al muro, un orologio elettrico che ticchettava nervosamente e leggermente - si sentivano solo i nostri respiri, via via sempre più pesanti, se non proprio affannosi. Sentii che si toglieva le scarpe, rimase a piedi nudi pure lui.
"Hai un seno favoloso", sussurrò compiaciuto dopo un po' che me lo palpeggiava e che io lasciavo che me lo palpeggiasse; e stavolta i nostri occhi rimasero incollati gli uni agli altri. "Lo hai meglio delle nostre compagne; e a me - aggiunse staccando una delle due mani e portandosela sul pube - a me è venuto proprio duro".
"Anche a me", sorrisi lievemente, provocando un sorriso anche in lui. Mi toccò lì sotto, lo avevo piccolo ma anche il mio cosino mostrava di essere molto partecipe, preso dalla situazione.
"Ti faccio un certo effetto", disse piano, continuando a toccarmi. E in silenzio mi prese una mano, portandomela sul suo cazzo.
"Anch'io, mi pare", dissi con un filo di voce mentre glielo palpavo: grosso, duro, lungo, glielo toccai prima sotto la costrizione della sua presa decisa, poi liberamente. Era un gran bel cazzo ed era duro per merito mio. Io lo eccitavo: la cosa mi provocò una strana sensazione, orgoglio misto a timore.
D'un tratto si accostò a me, vidi il suo viso farsi pericolosamente vicino al mio, ebbi un attimo di sbandamento mentre si toglieva e mi toglieva gli occhiali, scese sornione e repentino verso il collo e poggiò il primo delicato bacio sulla carne del petto, poi tirò fuori la lingua e lambì un capezzolo, ci girò attorno e lo avvolse con le labbra, mordicchiandolo e iniziando a succhiarlo.
"Ehi, che fai?", ma lo chiesi nella piena consapevolezza che era stupendo e lui, forse per impegnarmi con qualcosa e per impedirmi di fare altre domande inutili, mi prese una mano e me la guidò di nuovo sul suo coso, era ancora più grosso, pareva volesse saltare fuori dai pantaloni ed esplodere, iniziai ad armeggiare con quel cazzone robusto e nodoso, mentre lui insisteva nel succhiarmi le poppe, limonava da dio, spinsi la mia manina dolce e delicata fino ai suoi coglioni rotondi, sodi, lo sentii dimenarsi, mugolare, avvicinò la bocca alla mia, non mi baciò ma era lì lì, "sei una troietta", mi disse ormai palesemente infoiato, "muovi un po' quella manina da zoccola, non mi dire che è la prima sega che fai" e io non capii come potesse pensare che lo avessi già fatto a qualcun altro, visto che sapevo a malapena strusciare la mano su e giù sui suoi jeans.
"Mamma, che cazzo che hai", sussurrai, quasi invogliandolo a tornare su, ad avvicinare il viso al mio viso, senza occhiali non ci vedevamo bene né io né lui, non riuscii a capire chi avesse fatto la prima mossa, se io mi fossi spinto in su o lui in giù, sentii solo uno schiocco, il primo, lo scontro delle nostre labbra, subito dopo ce ne fu un secondo, come se avessimo avuto una calamita che le portava a sbaciucchiarsi ancora, e poi di nuovo, di nuovo, fino a quando o io o lui non ci rendemmo conto che rischiavamo di baciarci con la lingua, provai una sensazione strana, volli fermarmi, staccai la mano dal suo uccello duro come il marmo e presi lui per le spalle, lo misi a una distanza di qualche centimetro da me.
"Giovanni, che stiamo facendo?", gli chiesi con un'espressione spaurita, confusa.
"Non lo so, Roberto, ma mi piace troppo".
"Cazzo, Giovanni, mi hai appena baciato!".
"E allora? Non lo volevi?".
"Non ho detto questo".
Si allontanò di qualche altro centimetro, non capiva.
"Mi hai appena baciato: almeno chiamami Roberta, cazzo".
Sorrise: devo dire che era proprio disarmante, quando schiudeva leggermente le labbra rosse tremendamente sexy che aveva, le labbra che si erano appena posate sulle mie, senza che a nessuno dei due facesse schifo o che provassimo disagio. Focalizzai solo in quell'istante che, benché senza lingua, era stato in assoluto il primo bacio della mia vita sulla bocca di un'altra persona: mai avrei pensato di darlo a un ragazzo, men che meno al ragazzo che amavo e ancora di meno avrei mai pensato che la ragazza sarei stata io. Facevo quasi fatica a toccarlo, ma sentivo un cazzo duro e pulsante che rispondeva perfettamente alle mie carezze intime, era un bastone di carne e lo menavo col movimento avanti e indietro nella mia manina stretta attorno al suo bel palo. Anche lui, allo stesso modo, cioè con i vestiti addosso, aveva cominciato a farmi lo stesso lavoro.
"Se continui vengo", disse ansimando sonoramente.
"Cazzo, anch'io".
Fu una sensazione strana, unica, sentii lui che mugolava in sottofondo e istintivamente gli andai appresso, stavo andando su di giri e lui faceva la stessa cosa, il mugolio si trasformò in ululato, in una sorta di grugnito, mentre il mio era un gridolino in falsetto, da femminuccia arrapata in godimento avanzato spinto.
"Vengo!", dicemmo più o meno contemporaneamente e avvertii qualcosa di caldo, caldissimo e intenso che mi riempiva mutandine e pantaloni, pensai che a lui stava accadendo l'identica cosa, con un orgasmo che per entrambi fu più lungo e sentito.
Ebbi il tempo di guardarlo negli occhi, avrei avuto voglia di baciarlo ancora e forse lui pure, magari anche con la lingua, però sentimmo qualcosa che ci impedì di pensare, riflettere, metabolizzare: c'era qualcuno che armeggiava con la serratura di casa. Istintivamente i nostri sguardi corsero all'orologio: quasi le due, quanto eravamo stati su quel letto a limonare? Schizzammo in piedi mentre la chiave girava e la porta esterna si apriva: qualcuno si avvicinava alla stanza del nostro primo bacio, nella fretta infilai la maglietta più vicina e lui fece lo stesso, quando spuntò sua sorella minore, quella con le tette piatte, sulla porta ci eravamo appena rivestiti ma eravamo a piedi nudi, palesemente trafelati, ansimanti, rossi in viso. Lei rimase un attimo disorientata dalla scena, le nostre gote accaldate e sudate, l'aspetto visibilmente concitato, la sgradevole sensazione di bagnato nelle parti intime, ma quella non si vedeva.
"Ho interrotto qualcosa?", scherzò senza avere idea (forse) di averci pienamente azzeccato: già la sapeva lunga, evidentemente.
"Stavamo finendo di ripassare - azzardò Giovanni, pensando quasi che la sorella fosse scema - ma ora Roberta... Roberto stava andando via".
"Sì, stavo andando via", sussurrai non riuscendo a reggere lo sguardo inquisitorio della ragazzina. Fra l'altro mi aveva chiamato Roberta davanti a lei.
"Ma come mai hai la maglietta di Giovanni, addosso? Vi siete scambiati i vestiti?".
Mi sentii morire: mi guardai, poi guardai lui; nella concitazione io avevo indossato la sua maglietta e lui la mia, la sorellina aveva capito tutto.
"Va bene, ciao, Roberta", disse quella con tono volutamente risentito, quasi ingelosito, e rimarcando con la pronuncia affettata la a finale di Roberta, se ne andò nella sua stanza.
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