La ricerca della fica perduta

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Nel momento in cui dovetti scegliere l’argomento della tesi di laurea non ebbi molti dubbi.
Da quando, perso nell’intestino dei corridoi universitari, ero finito di fronte al pannello che illustrava i risultati del team che aveva sviluppato l’E-Nose , immediatamente mi era stato chiaro che quella era la mia strada.
Dopo anni di confusione sul mio percorso, finito ad ingegneria nell’ennesima giravolta delle mie indecisioni (io perso tra la musica, la fisica delle particelle ed il realismo dei miei genitori che pensavano solo agli sbocchi lavorativi), mai una scelta era stata così ineludibile.
Il pannello narrava del “naso elettronico” sviluppato dall’università: un dispositivo munito di sensori in grado di identificare in atmosfera composti chimici selezionati.
In particolare, un’applicazione per l’Ente Spaziale Europeo si proponeva di verificare il funzionamento in orbita di un naso elettronico dotato di una nuova classe di sensori sensibili a un numero elevato di composti chimici, per il controllo della qualità dell’aria a bordo di una navicella spaziale.
La mia fissazione per gli odori, unita alla mia passione per l’astrofisica, fu la stella polare della mia scelta.
Ed il team fu subito rapito dal mio entusiasmo, ben contento di aver un membro in più a cui sbolognare le attività più noiose. O le più disgustose.

L’estensione delle capacità dei sensori rendeva infatti il naso elettronico utilizzabile anche per il controllo della qualità nei processi di produzione di cibi e bevande, ma anche per tenere sotto osservazione l’atmosfera nelle vicinanze di industrie a rischio di inquinamento e, in biomedicina, per la classificazione di alcune patologie, come il tumore ai polmoni, il melanoma della pelle, il tumore alla prostata.

In collaborazione con un’università Svedese, gran parte del team lavorava nel campo della valutazione cella qualità del vino durante la vinificazione.
Stare a stretto contatto con sommelier, unitamente alle infinite possibilità di accoppiamento offerte dalle studentesse delle università svedesi , rendevano quel ramo di ricerca il più ambito.

Per i primi mesi io venni quindi relegato ad analizzare, odorare e catalogare campioni di tessuti informi prelevati da pazienti affetti da varie patologie.
Fungevo da allenatore per il naso elettronico, sfruttando la mia capacità di distinguere i più sottili cambiamenti negli effluvi per tarare la strumentazione.
Ed il naso elettronico diventava man mano più preciso e sensibile nell’identificare anche i minimi segnali di una patologia in sviluppo.

Per questo motivo, la mia si rivelò ben presto una prigione dorata: le nobili ricadute etiche e morali del mio lavoro mi ammantavano di un’aura di intoccabilità.
Soprattutto confrontato con le derive orgiastiche del “team dei baccanali” (come venne presto etichettato dal resto dell’università), più interessato ad introdursi nelle mutande delle scandinave che alla necessaria attività di pubblicazione sulle riviste di settore.
Mi venne data carta bianca sulla direzione che avrebbe preso la ricerca.

Un vecchio studio del 1976 sulle componenti volatili delle secrezioni vaginali mi fornì lo spunto per la successiva inevitabile applicazione.
Il paper illustrava le conclusioni di una campagna di analisi sulla composizione delle secrezioni di diverse pazienti, in diversi cicli ovulatori.
Combinando gascromatografia e spettrometria di massa per identificare piccoli composti organici volatili, era stata identificata la combinazione di elementi che denotavano lo stato di fertilità della donna.
Le applicazioni industriali e le potenziali ricadute economiche di un naso elettronico che mettesse a frutto questi studi erano evidenti.
Tanto da farmi ottenere l’approvazione per le singolari richieste avanzate nel programma di ricerca.

In collaborazione con il dipartimento di medicina e ginecologia, avrei avuto accesso alle pazienti del polo sanitario universitario che avessero dato il proprio assenso a partecipare alla mia ricerca.
Le donne, tipicamente in età fertile, avrebbero dato la disponibilità a farsi odorare nelle parti intime, più volte nel corso del ciclo, così che potessi registrare la variazione delle fragranze delle loro vagine.
Unendo le risultanze delle mie indagini con le analisi effettuate dal dipartimento di ginecologia, avremmo costruito una matrice che abbinava la composizione chimica dell’odore di fica con il livello di fertilità.
Dando in pasto tale matrice al naso elettronico, avremmo avuto uno strumento infallibile a disposizione dell’industria farmaceutica.
Soldi a palate.
I riscontri furono immediati.

Inizialmente passavo le mie giornate ad affondare il viso tra le cosce di giovani donne italiane, principalmente della zona di Roma, ben contente (seppur imbarazzate) di mettermi a disposizione le proprie intimità.
Entravano nello studio, chiedevo loro di levarsi i pantaloni o la gonna, le osservavo in slip che presto scivolavano lungo le gambe e quindi le studiavo mentre si distendevano sul lettino ginecologico.
Sebbene abituate da anni di visite, erano ben contente di sentirmi chiarire che non le avrei toccate: avrei solo avvicinato la punta del mio naso alle loro intimità per carpirne il profumo e segnarne su una apposita scheda le caratteristiche opportunamente catalogate.

Ma, se questo non fosse bastato, potevo anche godere del sottile piacere del rimproverare (sempre delicatamente e con professionalità, si intende) quelle donne che si fossero presentate agli appuntamenti essendosi preventivamente rasate o, peggio, lavate.

Un’occhiata sbilenca quando erano ancora in mutandine: “Ma signora: lei mi si è rasata! Non ha letto la scheda con il protocollo fornito dall’università? La peluria contribuisce a catturare le eventuali molecole di Trimetilamina, che sono importantissime!”
“Signorina, mi scusi: ma se lei mi si lava prima della visita, lei mi inficia gravemente la ricerca scientifica! Pasteur si sta rivoltando nella tomba!”

La forbita reprimenda colorava istantaneamente di rosso le gote delle gentili pazienti.

Quando i dipartimenti di R&D delle prime multinazionali farmaceutiche ebbero sotto mano le mie pubblicazioni, la limitata estensione geografica dello studio divenne subito evidente.
La complessa miscela di acidi, alcoli, idrossichetoni, urea e composti aromatici poteva presentarsi con sottili variazioni a seconda delle popolazioni ed etnie di appartenenza delle donne.
L'acido lattico, l'acido acetico e in particolare gli acidi alifatici C2-C5 volatili a catena corta subivano forti variazioni cicliche di concentrazione con massimi in tutti i pazienti che si verificavano a metà ciclo, ma comunque di entità diversa da popolazione a popolazione.

Ottenni l’approvazione per una serie di viaggi intercontinentali.
Ovviamente limitata a quei paesi sufficientemente ricchi (o con basso tasso di natalità) da doversi preoccupare dell’odore delle vagine delle proprie donne.
Ovunque andassi, godevo del piacere di poter affondare il mio naso ed il mio cervello negli effluvi di fica di donne sempre nuove, carrellate di gambe che si aprivano e monti di venere pelosi che si sporgevano verso il mio viso, ansiose di farsi odorare.
Bionde, more, castane.
Europee, africane, asiatiche.
Il mio naso sempre più allenato identificava con precisione ogni variazione nella composizione delle molecole che, come invisibili farfalle, danzavano attorno alle mie narici.

Con un tuffo al cuore ripensavo al mio tour irlandese: donne di Galway e di Dublino, molte dai capelli rossi e dalle curve rese morbide dall’ostinato consumo di birra e margarina, dischiudevano le carnose cosce per mostrarmi labbra incorniciate da peluria color rubino. Le lentiggini sulle guance che contrastavano con il selvaggio odore delle loro fiche.

Tra furibonde quotidiane sessioni di masturbazione, speravo nel frattempo di mantenere un po’ di sanità mentale.
Ubriaco di tali essenze, non vidi invece arrivare quella che sarebbe stata la mia rovina.

Più odoravo vagine in giro per il mondo, più nella mia testa si andava formando l’identikit dell’odore di fica perfetto.

Ogni rientro nello squallore dei laboratori universitari nostrani, tra cartongesso e infissi in alluminio, coincideva con una sempre più lunga reclusione.
Mi perdevo nel cercare di riprodurre in provetta gli odori rubati dalle intimità di decine di donne.
Variavo la composizione di frazioni di percentuali, ricostruendo sempre diverse inebrianti misture di ormoni e odor di pipì, finchè le mie mucose non erano esauste per il continuo lavorio.

Mi concedevo allora brevi passeggiate nel parco dell’università, nascosto nel cuore del labirinto di fabbricati, per dar un po’ di riposo ai sensi.
Ma allontanarmi dal laboratorio, e dai fantasmi di vagine che custodiva, diventava al tempo stesso sempre più penoso.
Presto le mie uscite si limitarono a girare brevemente nel parcheggio assolato attorno alla mia stanzetta, schiavo dell’angoscia di non riuscire a tornar per tempo tra quelle mura.

I fondi che arrivavano dalle industrie che sponsorizzavano la ricerca non li spendevo più in viaggi, ma in sempre più cospicue forniture di sostanze chimiche.
Il mio naso, assuefatto agli odori dopo mesi di instancabili campagne, richiedeva sempre maggiori dosi di feromoni per attivare i recettori.
Gli instancabili spettri di fiche annusate stavano rendendomi il fantasma di me stesso.

Se questo non fosse bastato, qualcos’altro aveva cominciato a tormentarmi, mentre la dirigenza dell’università bussava alla mia porta sempre più preoccupata.
La mia insaziabile e folle ricerca del profumo di fica perfetto, si accompagnava alla ricostruzione nella mia testa dell’identikit del volto della donna custode di un tale elisir.
Viaggiavo sempre più esausto tra le schede mediche di tutte le donne che avevano dischiuso le proprie grandi labbra all’indagine del mio naso.
Rubavo una guancia morbida da un viso, per accostarla ad un espressivo occhio verde, impreziositi da una cornice di corti capelli rossi.
Ma il viso della donna dall’odore di fica perfetto continuava a sfuggirmi.

La rovina era prevedibile e dietro l’angolo, ma ciò non bastava a farmi desistere dalla disperata caccia.

Quando finalmente le autorità riuscirono ad entrare nel mio laboratorio si trovarono davanti un penoso spettacolo.
L’emaciata immagine dell’uomo che ero, solitaria e abbandonata sul tavolo del mio laboratorio.
La piccola stanza affollata di contenitori di composti chimici e indistinguibili provette, assediata dalle fragranze di centinaia di invisibili donne che solo io riuscivo a distinguere l’una dall’altra.
Mentre la mia testa era prigioniera dell’impalpabile visione del volto della donna dal profumo di fica perfetto.
La convinzione che fosse esistita in un tempo immemore nella storia dell'uomo, ma poi irrimediabilmente perduta.
scritto il
2023-06-18
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