L'albero di Natale

di
genere
etero

Come tutti gli anni, almeno da quindici se ricordo bene, cioè da quando i bimbi erano piccoli piccoli e siamo venuti ad abitare in questo condominio, nei giorni precedenti il Natale, e tassativamente dopo Sant’Ambrogio, è compito mio e del portiere allestire l’albero di Natale nell’atrio del palazzo.
Gli anni sono passati, i miei trenta sono diventati quaranta e ora veleggio verso i cinquanta ma non mi sentirei a posto con me stessa se non ci fossi io a “fare l’albero”. Figuriamoci, l’ho fatto anche durante la pandemia, quando non si poteva uscire di casa.
Mio marito mi prende in giro da sempre per questo mio impegno ormai statutario ma a me piace molto, sento intorno a me l’atmosfera di Natale come quando ero piccola. Quel marito che pensa molto alla sua carriera in ascesa, ai suoi bimbi ormai cresciuti e poco alla moglie come se questa fosse diventata nel tempo un oggetto di arredamento o un robot tuttofare.
Mi piace sentire i condomini che entrano o escono di casa e salutano con voce allegra… “Anche quest’anno è arrivato il Natale e la signora Roberta è di turno.. Che brava! Se non ci fosse lei… Buon Natale, se non ci vediamo prima!!!”
Come tutti gli anni, è compito del portiere andare a recuperare nella cantina condominiale il grosso abete artificiale e tutte le lucine colorate e intermittenti. Ma quest’anno sono scesa con lui perché il vecchio portiere, il signor Bruno, è andato in pensione e da pochi mesi è stato sostituito da Clemente, un molisano sui quaranta che viene da un paesino in provincia di Isernia. E’ stato scelto tra i diversi portieri proposti dall’amministratore proprio per l’età e per la discreta esperienza, come certificato dal curriculum vitae presentato.
Clemente è uomo di poche parole, capelli e occhi neri, già piuttosto stempiato, di media statura, tarchiato ma non grasso, nel complesso in forma. Di norma svolge bene il suo lavoro, pulisce, controlla, distribuisce la posta, saluta sempre con un mezzo sorriso. Uno sguardo da sciupafemmine che rivolge alle non molte signore sotto i cinquanta che vivono nel palazzo. Non so se abbia dei figli, di certo è sposato con una compaesana che vive al paese: la vita a Milano non è certo economica e già una casa in affitto comporta un reddito superiore a quello di un custode di condominio con famiglia a carico. Credo che viva dalle parti di Baggio in un bilocale che condivide con altre persone.
Oggi è il giorno dell’albero. Clemente ho portato su dalla cantina l’albero spoglio e tutte le scatole delle lucine. Non so se sia felice di questa incombenza, non so nemmeno se faccia parte della sua cultura allestire alberi di Natale. L’appuntamento con lui è alle 10, quando già ho messo a posto casa, i figli e il marito sono usciti per la scuola e l’ufficio, è passato il postino con la posta del giorno e sono arrivati i primi corrieri per consegnare pacchi e pacchetti.
Per prima cosa apriamo il grosso e alto abete forzando l’anima in ferro di ciascun ramo e badando che sia aperto in modo omogeneo senza spazi vuoti o inclinazioni sbagliate. Il grosso del lavoro lo fa Clemente, compito mio sarà invece, come al solito, posizionare le lucine colorate una volta districati i fili elettrici che si ingarbugliano sempre.
Salgo sulla scala aperta vicino all’abete per cominciare a posizionare le file di luci partendo dall’alto e facendole girare tutte attorno. Clemente è sotto che mi porge via via i diversi fili di luci, io mi sporgo per raggiungere anche i rami dietro, quelli più difficili, quelli vicino al muro. E’ un attimo perdere l’equilibrio su questa scala traballante.
E infatti mi sporgo troppo e rischierei di certo di cadere se Clemente non mi afferrasse con le mani per reggermi. Con forza mi prende le gambe sopra il ginocchio, a mezza coscia.
“Mi scusa signora.. ma stava per volare giù” mi dice nel suo italiano un po’ incerto che denuncia studi modesti e spesso non permette di capire se ti stia dando del lei o del tu. “Non c’è problema, Clemente. Ha fatto bene, rischiavo davvero di fare un bel volo” gli rispondo mentre mi congratulo con me stessa per aver indossato un paio di jeans e non la solita gonna.
Continuo a posizionare lucine blu, rosse, gialle e verdi. Una bellissima sequenza colorata. Poi mi rendo conto che le mani di Clemente sono sempre sulle mie cosce. “Può lasciarmi andare, Clemente. Non cado più, tranquillo” gli dico con voce gentile e un sorriso, voltandomi verso di lui.
Lui tace, toglie le mani con un sorriso tirato. Mi rimetto al lavoro ma poco dopo di nuovo la scala traballa e sto di nuovo per perdere l’equilibrio.
“L’avevo detto, signora Roberta!” mi dice riprendendo in mano le cosce. Allungo una mano per toglierle ma lui non molla “Non si preoccupi, signora. Non c’è niente di male a evitare un qualche incidente”.
Mi mordo la lingua per non sembrare arrogante o una che subito pensa male, anche se il pensiero mi sfiora. Clemente lascia le mani sulle mie gambe, anzi sembra aumentare la stretta.
Vado avanti a posizionare le luci e quasi non mi rendo più conto che il portiere mi sta stringendo le cosce. Ci penso dopo qualche minuto quando scendo di un gradino per cominciare a posizionare le luci sui rami più bassi.
Le mani di Clemente scivolano più in alto, sopra i glutei, quasi sui fianchi. “Continuo a tenerla, signora. Tranquilla. Prima che cade davvero!”. “Ma è inutile, su!” rido cercando di togliere quelle mani. Non ci riesco, lui stringe forte i miei fianchi.
“Ma sta facendo il furbetto??” penso in silenzio.
Alla fine rinuncio. Le mani stringono forte e io provo una nuova sensazione strana. Direi piuttosto piacevole, da quanto non sentivo due mani maschili stringermi forte sui fianchi.
“Magari mi tenesse così mio marito quando sono sulla scala per prendere qualcosa nell’armadio in alto!”. Come una stupida penso che si sarà accorto di quel paio di kg che non riesco a buttar via.
Poi suona il citofono della portineria.
“La lascio, signora Roberta.. Attenta” mi dice mentre rientra nel locale della portineria. Confesso a me stessa che mi dispiace non sentire più quelle mani.
Ma lui torna fuori quasi subito ed ecco le mani che di nuovo mi afferrano i fianchi. Con più confidenza di prima. Sono calde, le sento attraverso il leggero golfino. Sono piacevoli, forti, diverse. E io sento caldo, molto.
“Da quanto non faccio l’amore con mio marito? Settimane, forse più di un mese. Certo, la routine del matrimonio. Ma a cosa sto pensando come una scema mentre faccio l’albero di Natale? Soprattutto mentre ho addosso le mani di un perfetto sconosciuto, o quasi. O forse è proprio per quello?”. I pensieri rotolano l’uno dietro l’altro, senza che possa (o voglia?) fermarli.
Con Clemente non parliamo più come poco fa, quando mi chiedeva di spostare una luce più a destra o più in basso. Io posiziono lucine e lui mi tiene le mani sui fianchi. Le sue dita non stanno proprio ferme, si muovono leggere in una morbida e continua carezza. Ora so che dovrei scendere di un altro gradino. Non so che fare. Non voglio che tolga le mani ma devo scendere.
Clemente risolve il problema perché, quando scendo il gradino, non fa altro che far salire un po’ più in alto le mani. Ora sono subito sotto l’attaccatura dei seni, se mi spostassi solo un pochino li avrebbe praticamente in mano. “E se lo faccio?” mi chiedo e nel farlo mi sento un po’ troia.
Sento scattare la serratura elettrica del portone. Un condomino rientra “Buongiorno signora Roberta”.
Clemente ha tolto le mani appena ha sentito il rumore. Poi, quando di nuovo rimaniamo soli, le rimette al loro posto, su me. Quasi sui seni coperti dal leggero reggiseno di cotone. Tutti e due ora sappiamo che non è più una questione di equilibrio. Tra noi il silenzio è assordante. In messo alle cosce un umido inferno.
Volutamente adesso sono più lenta a posizionare le luci, mi eccita sentire quelle mani. Mi muovo adagio, mi giro un poco con consumata noncuranza. Le mani scivolano verso la pancia, un dito sfiora l’ombelico. Quelle dita che ora si muovono più sicure, una carezza insistita sulla pelle calda e poco coperta dal sottile tessuto.
Mi fermo e aspetto. Lui no. Con le mani mi invita a scendere di un altro scalino, poi morbide e forti si posano sulle coppe del reggiseno. “Ma cosa sto facendo? Sono impazzita? Ho voglia, inutile negare l’evidenza” dico tra me e me.
Scendo a terra. “Ora mi giro e torno a casa prima che le cose vadano troppo oltre. Con il portiere? Ma sei scema???” mi dice una voce nella mente confusa e già eccitata.
Le sue mani sulla schiena mi fermano. “E’ più alto di me” penso come un’idiota mentre si china e poggia le sue labbra sulle mie. Poi chiudo gli occhi quando la lingua accarezza la mia.
Mi prende per un braccio e mi porta con sé nei locali della portineria. Lo seguo come ubriaca e sorrido quando chiude a chiave la porta e mi guida nel piccolo locale sul retro, quello che si affaccia sul cortile interno.
Quando riprende a baciarmi sento la sua dura eccitazione contro il mio ventre, la mano scivola sotto il golfino e abbassa la coppa del reggiseno. Diventa padrona del mio seno. Soffoco un gemito assurdo quando lui slaccia il bottone dei jeans e fa scendere la cerniera.
Si allontana dalla mia bocca, si ferma a fissarmi. La mano supera la sottile barriera della mutandina, si ferma per qualche istante nel piccolo giardino curato prima di precipitare nel nido bagnato.
Ho la schiena schiacciata contro la parete quando lui si china ad abbassarmi jeans e mutandine. Ho gli occhi chiusi e il cuore al galoppo quando affonda il viso dentro il mio sesso aperto e offerto alla sua bocca, ai denti, alla lingua.
Mentre la lingua gioca frenetica dentro di me, impaziente mi sfila il jeans da una gamba e lo lascia a terra infilato solo nell’altra. Poi cerca di fare lo stesso con le mutandine bagnate che non vogliono scendere. Le strappa deciso e violento. Il gesto mi eccita ancora di più, non ho più barriere da fare cadere. Sono una troia che pensa solo a godere.
Lui si alza, mi guarda di nuovo e poi si china a baciarmi sul collo. La lingua mi accarezza tutta la pelle.
Un brivido mi scuote mentre mi sussurra nell’orecchio “Sei bella, signora!” e sento il suo cazzo penetrarmi senza fatica. Grosso, duro, lungo, caldo.
Violento mi sbatte contro la parete. Picchio la testa. Sono creta liquida. La sua mano mi stringe il seno con forza, con rabbia, uno stupendo dolore. E’ bello sentirlo dentro di me.
Mi penetra con ancora maggiore irruenza, sollevo le gambe e le incrocio sulla sua schiena quando lo sento scaricarsi dentro di me. Vengo insieme a lui, un orgasmo infinito, potente, come da tempo non provavo più. Fiotti bollenti, mi riempie.
Poi lo sento rilassarsi adagio, scivola fuori. Mi lascia vuota, senza respiro. Si allontana e mi guarda. Seminuda, il golfino sollevato, il reggiseno inutile, un seno scoperto, i jeans a terra.
Una mano sulla spalla, mi fa inginocchiare. Capisco che devo finire. La lingua raccoglie le ultime gocce, sono aspre. Sento il suo odore di maschio sudato. Lo prendo in bocca, succhio invasata mentre di nuovo mi tocco in mezzo alle cosce bagnate. Un nuovo piccolo orgasmo.
La sua mano sulla testa me lo fa ingoiare fino alla radice. Un conato. Mi lascia libera, resto in ginocchio.
Prende in mano il cazzo ormai quasi moscio e bagnato del suo piacere e del mio, lucido per la mia saliva, e lo rimette nei pantaloni che chiude con indifferenza.
Mi aiuta ad alzarmi e a rivestire i jeans senza l’intimo strappato che giace a terra come uno straccetto bagnato. Riprendo a fatica coscienza del tempo e del luogo.
“Torna a casa, signora Roberta. Finisco io l’albero, non c’è problema”.
Un Natale diverso.
scritto il
2023-12-14
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