Arianna e il caffè
di
Anonima1981
genere
saffico
Arianna è bella, con quei suoi grandi occhi che non sai mai se sono verdi o marroni, con i suoi capelli scuri stirati di fresco, con il trucco leggero, con la camicetta che ci ha messo una vita a scegliere quella mattina.
Arianna è seduta a quel tavolino appartato nella saletta piccola di una famosa pasticceria in Corso Magenta a Milano.
Arianna è nervosa, nemmeno lei sa perché. Cosa sarà mai un caffè in un posto pubblico e frequentato, un appuntamento con una donna in realtà sconosciuta, incontrata per caso su un blog di racconti, si, va beh…erotici, ma pur sempre racconti, per lo più di fantasia.
Arianna è seduta da un quarto d’ora e spia di continuo la porta che affaccia sul corso. Ha già bevuto un caffè, decide di aspettare ancora dieci minuti e poi se ne andrà, di certo un poco delusa. Dopo tutto è solo un caffè, due chiacchiere, guardarsi negli occhi, finalmente, dopo tante confidenze scambiate su mail inviate a indirizzi segreti.
Arianna è seduta da venti minuti. La porta che affaccia sul corso si apre per l’ennesima volta. Entra un signore distinto e si avvicina sicuro al bancone per ordinare qualcosa. Dietro di lui, trafelata e un po’ spettinata, entra una signora bionda, elegante e palesemente nervosa, guarda l’orologio poi gira lo sguardo per tutto il locale fino ad arrivare al piccolo tavolo, fino ad arrivare agli occhi di Arianna.
La bionda si ferma davanti alla porta, un altro signore entrando la urta e, nervoso, le chiede permesso Lei, indifferente, si sposta con gli occhi incollati su Arianna. Poi, finalmente, si decide e con passo incerto si avvicina “Sono Matilde. Tu sei…??”.
Arianna sorride e si alza. Si danno la mano e sedute di fronte l’una all’altra cominciano a parlare sempre più sorridenti. Sono come speravano l’una dell’altra. Una fotografia può ingannare, ci vuole lo sguardo, il sorriso, la voce, il profumo. Ci vuole l’incanto.
Il cameriere porta un altro caffè, due minicroissant, quella pasticceria è famosa in tutta Milano. Il caffè si raffredda, i croissant rimangono intatti. Matilde allunga la mano e con le dita sfiora le dita della mano di Arianna lasciata quasi indifesa sul tavolino, Arianna non sposta la mano.
Non si sa chi faccia il primo gesto, ma dopo qualche secondo le mani sono strette fra loro. Il silenzio ha preso il posto delle parole, ai sorrisi si sono sostituiti gli sguardi, quegli sguardi che ti scavano dentro. Il bar è affollato, pieno di gente che entra, beve un caffè e rapida esce, Milano e il suo stile di corsa, il caffè si beve in piedi in un sorso e poi via.
Si può raccontare una vita in pochi minuti? Matilde ed Arianna si raccontano e si capiscono. Ripetono, guardandosi in viso, amori e delusioni che già conoscevano. Il tempo corre veloce, un tram sferraglia là fuori, un clacson nervoso.
Matilde abbassa lo sguardo e sussurra “Io abito qua dietro. Vuoi venire a vedere casa mia? Hai tempo o devi scappare? Sono sola, i ragazzi sono a scuola e il marito come al solito in ufficio…” Poi solleva il viso temendo la risposta ma incontra il sorriso di Arianna che è la risposta.
La casa è davvero vicina, camminando le mani si sfiorano, si cercano, si prendono. Sono calde e un poco sudate per l’emozione di un incontro in cui nessuna credeva davvero. Una casa elegante, un portiere saluta con indifferenza. Ascensore, quarto piano. Una porta con un cognome inciso. Un ingresso luminoso e spazioso, mobili antichi di noce che odorano di cera data di fresco. Il silenzio è profondo, nemmeno un suono dalla strada trafficata di sotto. Matilde si gira e guarda negli occhi Arianna.
Guarda quegli occhi che sono spalancati sui suoi e sono pieni di mille domande. Guarda quel viso che non sa cosa aspetta.
Matilde posa le labbra sulla bocca di Arianna, chiude gli occhi, sente un profumo lieve e dolce che non riconosce. Ma interrompe subito il contatto quando avverte che Arianna si è irrigidita, quando sente che appoggia le mani sulle sue spalle come per tenerla distante.
“Prendiamo un altro caffè?” dice con voce che trema per l’emozione che si mescola al timore di aver fatto qualcosa che non doveva.
Arianna tace, la guarda di nuovo con gli occhi che ora sono verde scuro, con quel viso minuto circondato da una cascata di capelli bruni, la guarda e sorride, un poco incerta, le prende la mano e se la porta alla bocca baciandole il palmo aperto.
Il tempo si ferma. Il mondo si arresta. Il suono scompare. Ognuna sente solo il proprio respiro e l’incessante galoppo del cuore.
Poi Arianna alza il viso verso Matilde, con la mano ne segue il profilo e con gli occhi ne accarezza la luce, le ombre, i dolori e le gioie, i primi segni del tempo. E di nuovo gli occhi si chiudono, le bocche si incontrano con meno timore, le labbra un poco dischiuse avvertono il delicato e timido tocco di una lingua sconosciuta.
Matilde ora prende per mano Arianna e la guida sul grande divano bianco che troneggia nel luminoso salotto. Le due donne si guardano negli occhi, poi l’una o l’altra (non si può certo sapere chi sia a fare il primo accenno di movimento..) avvicina ancora il viso, acceso di nuovo rossore, a sfiorare quelle labbra in attesa.
“Forse stiamo correndo. Non è che stiamo correndo troppo?” sussurra Matilde all’amica prima che labbra dischiuse lascino campo alle lingue che imparano a danzare sulle note di una melodia nuova.
Non sono loro, è il tempo che ora ha preso a correre come impazzito! La bocca di Arianna scivola sul collo profumato della sua compagna, il lieve e sensuale profumo si insinua fino al cervello vincendo le ultime resistenze. Non resiste, anzi si offre alle dita nervose di Matilde che le slacciano in processione lenta i piccoli bottoni della camicetta, a quelle dita nervose e un poco impacciate che ora abbassano le coppe del reggiseno, alla tiepida mano che si colma del morbido seno e dell’eccitato capezzolo.
La bocca tremante di Arianna impara a conoscere il corpo della donna cui è allacciata in un intimo abbraccio. Lo spoglia per conoscerne tutti i segreti, i piccoli nei, i seni maturi e pieni di una donna che ha nutrito i suoi figli, la cicatrice un po’ rilevata che rivela il lungo travaglio di un parto, l’inguine coperto di morbido pelo chiaro e lucente, il tesoro della sua intimità che dona alla bocca la dolcezza del miele.
La luce del mattino che volge alle ore di mezzo fa risplendere il lucido biondo parquet su cui giacciono disordinati gli indumenti che le due donne indossavano quando, timorose ed incerte, pensavano a un caffè tra due nuove amiche in un bar affollato e di grande passaggio.
Il mite tepore del sole d’inverno illumina due corpi nudi che si conoscono senza vergogna, che imparano a donarsi l’un l’altro in un crescendo di sensazioni che, tra mille tremori, trattenuti respiri e rochi sussurri, può avere solo un destino finale.
Un traguardo già a portata di mano, una porta che Arianna e Matilde superano insieme più volte e che alla fine le trova vicine, con il cuore che trova lento riposo, ansanti e coperte da luminoso sudore, le mani di nuovo intrecciate, i visi distesi in un sereno sorriso, nascosto dalle disordinate cascate dei loro capelli.
Poi, senza il coraggio di alzare lo sguardo per leggere l’una nell’altra le parole che le ocche non osano dire, con disperata lentezza indossano di nuovo gli stropicciati indumenti. Arianna si chiude nel bagno per ritoccare il trucco disfatto e calmare il tumulto del cuore.
Il tempo è finito. Sulla porta si guardano un’ultima volta, con occhi nei quali la gioia si mescola all’infinita tristezza. Troppo breve l’incontro, troppo grande la distanza che le separa. Troppo triste il sapere che dovranno affidare a inutili mail il ricordo.
Arianna è seduta a quel tavolino appartato nella saletta piccola di una famosa pasticceria in Corso Magenta a Milano.
Arianna è nervosa, nemmeno lei sa perché. Cosa sarà mai un caffè in un posto pubblico e frequentato, un appuntamento con una donna in realtà sconosciuta, incontrata per caso su un blog di racconti, si, va beh…erotici, ma pur sempre racconti, per lo più di fantasia.
Arianna è seduta da un quarto d’ora e spia di continuo la porta che affaccia sul corso. Ha già bevuto un caffè, decide di aspettare ancora dieci minuti e poi se ne andrà, di certo un poco delusa. Dopo tutto è solo un caffè, due chiacchiere, guardarsi negli occhi, finalmente, dopo tante confidenze scambiate su mail inviate a indirizzi segreti.
Arianna è seduta da venti minuti. La porta che affaccia sul corso si apre per l’ennesima volta. Entra un signore distinto e si avvicina sicuro al bancone per ordinare qualcosa. Dietro di lui, trafelata e un po’ spettinata, entra una signora bionda, elegante e palesemente nervosa, guarda l’orologio poi gira lo sguardo per tutto il locale fino ad arrivare al piccolo tavolo, fino ad arrivare agli occhi di Arianna.
La bionda si ferma davanti alla porta, un altro signore entrando la urta e, nervoso, le chiede permesso Lei, indifferente, si sposta con gli occhi incollati su Arianna. Poi, finalmente, si decide e con passo incerto si avvicina “Sono Matilde. Tu sei…??”.
Arianna sorride e si alza. Si danno la mano e sedute di fronte l’una all’altra cominciano a parlare sempre più sorridenti. Sono come speravano l’una dell’altra. Una fotografia può ingannare, ci vuole lo sguardo, il sorriso, la voce, il profumo. Ci vuole l’incanto.
Il cameriere porta un altro caffè, due minicroissant, quella pasticceria è famosa in tutta Milano. Il caffè si raffredda, i croissant rimangono intatti. Matilde allunga la mano e con le dita sfiora le dita della mano di Arianna lasciata quasi indifesa sul tavolino, Arianna non sposta la mano.
Non si sa chi faccia il primo gesto, ma dopo qualche secondo le mani sono strette fra loro. Il silenzio ha preso il posto delle parole, ai sorrisi si sono sostituiti gli sguardi, quegli sguardi che ti scavano dentro. Il bar è affollato, pieno di gente che entra, beve un caffè e rapida esce, Milano e il suo stile di corsa, il caffè si beve in piedi in un sorso e poi via.
Si può raccontare una vita in pochi minuti? Matilde ed Arianna si raccontano e si capiscono. Ripetono, guardandosi in viso, amori e delusioni che già conoscevano. Il tempo corre veloce, un tram sferraglia là fuori, un clacson nervoso.
Matilde abbassa lo sguardo e sussurra “Io abito qua dietro. Vuoi venire a vedere casa mia? Hai tempo o devi scappare? Sono sola, i ragazzi sono a scuola e il marito come al solito in ufficio…” Poi solleva il viso temendo la risposta ma incontra il sorriso di Arianna che è la risposta.
La casa è davvero vicina, camminando le mani si sfiorano, si cercano, si prendono. Sono calde e un poco sudate per l’emozione di un incontro in cui nessuna credeva davvero. Una casa elegante, un portiere saluta con indifferenza. Ascensore, quarto piano. Una porta con un cognome inciso. Un ingresso luminoso e spazioso, mobili antichi di noce che odorano di cera data di fresco. Il silenzio è profondo, nemmeno un suono dalla strada trafficata di sotto. Matilde si gira e guarda negli occhi Arianna.
Guarda quegli occhi che sono spalancati sui suoi e sono pieni di mille domande. Guarda quel viso che non sa cosa aspetta.
Matilde posa le labbra sulla bocca di Arianna, chiude gli occhi, sente un profumo lieve e dolce che non riconosce. Ma interrompe subito il contatto quando avverte che Arianna si è irrigidita, quando sente che appoggia le mani sulle sue spalle come per tenerla distante.
“Prendiamo un altro caffè?” dice con voce che trema per l’emozione che si mescola al timore di aver fatto qualcosa che non doveva.
Arianna tace, la guarda di nuovo con gli occhi che ora sono verde scuro, con quel viso minuto circondato da una cascata di capelli bruni, la guarda e sorride, un poco incerta, le prende la mano e se la porta alla bocca baciandole il palmo aperto.
Il tempo si ferma. Il mondo si arresta. Il suono scompare. Ognuna sente solo il proprio respiro e l’incessante galoppo del cuore.
Poi Arianna alza il viso verso Matilde, con la mano ne segue il profilo e con gli occhi ne accarezza la luce, le ombre, i dolori e le gioie, i primi segni del tempo. E di nuovo gli occhi si chiudono, le bocche si incontrano con meno timore, le labbra un poco dischiuse avvertono il delicato e timido tocco di una lingua sconosciuta.
Matilde ora prende per mano Arianna e la guida sul grande divano bianco che troneggia nel luminoso salotto. Le due donne si guardano negli occhi, poi l’una o l’altra (non si può certo sapere chi sia a fare il primo accenno di movimento..) avvicina ancora il viso, acceso di nuovo rossore, a sfiorare quelle labbra in attesa.
“Forse stiamo correndo. Non è che stiamo correndo troppo?” sussurra Matilde all’amica prima che labbra dischiuse lascino campo alle lingue che imparano a danzare sulle note di una melodia nuova.
Non sono loro, è il tempo che ora ha preso a correre come impazzito! La bocca di Arianna scivola sul collo profumato della sua compagna, il lieve e sensuale profumo si insinua fino al cervello vincendo le ultime resistenze. Non resiste, anzi si offre alle dita nervose di Matilde che le slacciano in processione lenta i piccoli bottoni della camicetta, a quelle dita nervose e un poco impacciate che ora abbassano le coppe del reggiseno, alla tiepida mano che si colma del morbido seno e dell’eccitato capezzolo.
La bocca tremante di Arianna impara a conoscere il corpo della donna cui è allacciata in un intimo abbraccio. Lo spoglia per conoscerne tutti i segreti, i piccoli nei, i seni maturi e pieni di una donna che ha nutrito i suoi figli, la cicatrice un po’ rilevata che rivela il lungo travaglio di un parto, l’inguine coperto di morbido pelo chiaro e lucente, il tesoro della sua intimità che dona alla bocca la dolcezza del miele.
La luce del mattino che volge alle ore di mezzo fa risplendere il lucido biondo parquet su cui giacciono disordinati gli indumenti che le due donne indossavano quando, timorose ed incerte, pensavano a un caffè tra due nuove amiche in un bar affollato e di grande passaggio.
Il mite tepore del sole d’inverno illumina due corpi nudi che si conoscono senza vergogna, che imparano a donarsi l’un l’altro in un crescendo di sensazioni che, tra mille tremori, trattenuti respiri e rochi sussurri, può avere solo un destino finale.
Un traguardo già a portata di mano, una porta che Arianna e Matilde superano insieme più volte e che alla fine le trova vicine, con il cuore che trova lento riposo, ansanti e coperte da luminoso sudore, le mani di nuovo intrecciate, i visi distesi in un sereno sorriso, nascosto dalle disordinate cascate dei loro capelli.
Poi, senza il coraggio di alzare lo sguardo per leggere l’una nell’altra le parole che le ocche non osano dire, con disperata lentezza indossano di nuovo gli stropicciati indumenti. Arianna si chiude nel bagno per ritoccare il trucco disfatto e calmare il tumulto del cuore.
Il tempo è finito. Sulla porta si guardano un’ultima volta, con occhi nei quali la gioia si mescola all’infinita tristezza. Troppo breve l’incontro, troppo grande la distanza che le separa. Troppo triste il sapere che dovranno affidare a inutili mail il ricordo.
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