L'anguilla-serpente
di
Andrea10F09
genere
gay
L’anguilla-serpente
Dal crepuscolo della sera, inosservati, occultati dalle chiome degli alti tigli attraversarono l’acciottolato dell’ampio chiostro dell’istituto. Era già buio a quell’ora. Tramite un foro nella rete arrugginita della recinzione, nascosto da folti cespugli di forsizia, passarono senza farsi vedere e udire, favoriti anche dalla quasi oscurità. Sostarono in un deposito di legna da segare e di rottami di vecchi strumenti agricoli per contarsi. Proseguirono subito dopo per sbucare sulla strada principale, che spariva in un bosco dopo una curva. Continuarono sino ad una casetta in legno le cui imposte erano adornate di gerani rossi e dove erano attesi. Trovò eccitante e degno d’orgoglio questa sua uscita che lo avrebbe iniziato ai misteriosi riti del luogo e della notte.
Raro fiore coltivato con amore dalla madre, dal sorriso angelico e spensierato, era da pochi mesi in quel collegio austero e isolato per crescere e migliorarsi intellettualmente, spiritualmente in tranquillità.
Nell’istituto c’era un regolamento scritto e uno non scritto, talvolta quest’ultimo più forte dell’altro; e lui non si sarebbe mai sottratto alle leggi e ai concetti d’onore dei compagni. Era nella prima età della pubertà; periodo di vita che induce qualsiasi ragazzino a conoscere e fantasticare, spinto anche da letture, e sovente, se reso partecipe e corresponsabile, a partecipare senza porre limiti o vincoli ad avventure che avrebbero potuto sapere di proibito, occulto, misterioso ed eccitante anche se pericolose e costose.
Marciarono attraverso il bosco; qualche stella si mostrava più umida e lucente tra le fronde. Chiacchieravano fra loro e, facendo dello spirito, alimentavano le loro risate. La notte solenne ed inquietante accelerava il ritmo dei loro cuori. Raggiunsero la casetta. Tutto sembrava addormentato. Inciamparono su alcune pietre; non una luce brillava. Tutto era silenzio. Bussarono ad un’imposta, … aspettarono, … batterono ancora; dentro si udì del rumore e tosto si accese una luce. L’imposta si aperse e uno dopo l’altro entrarono in una sala buia dal pavimento in terracotta. Da un lucignolo ardeva una piccola fiamma oscillante. Una donna magra e perversa salutò i giovani e dietro di lei, dall’oscurità, apparve una fanciulla discinta dalla chioma dorata, che saluto per nome i compagni, baciandoli sulle labbra. A tutti venne offerto un calice nero da sorseggiare. Un volto adulto, illuminato appena, osservava e attendeva. Sedettero e parlarono tra loro a voce bassa bevendo la mistura. Ogni tanto uno si alzava per accarezzare i capelli della piccola dal seno appena sbocciato, sussurrandole parole all’orecchio. La ragazzina rimaneva impassibile. L’idea di entrare nell’inconsueto, nell’eccitante, nel misterioso e proibito stava prendendo il sangue dell’iniziando senza opprimerne la coscienza. Il cuore del giovane batteva forte nella penombra di quella sala.
I suoi compagni si davano importanza e sembrava che sapessero del mistero che si sarebbe da lì a poco svelato a tutti, mentre lui se ne stava rannicchiato, tranquillo per terra con lo sguardo fisso nella fiammella del lumino sospeso, andando ogni tanto a fissare la creatura dagli occhi scuri. Bevevano.
Un segno della figura in ombra indicò ai compagni il momento e il luogo di raccoglimento e preghiera. Una mano della ragazzina sulla sua spalla lo invitò a fare con lei e con la figura fosca una passeggiata fuori nel prato antistante il bosco. Lumini accesi rischiaravano un piccolo cerchio, dove appena al di là delle fiammelle, basse ombre nere vegliavano e bisbigliavano.
La piccola gli si addossò cercandogli le labbra, baciandolo a lungo. La sua bocca aderì a quella, spinta dagli ormoni giovanili, continuando il gioco, stuzzicando, adescando per scuoterlo fin nel profondo delle viscere. La natura insegnava. Mani esperte fecero cadere indumenti ai due per facilitare l’unione e il concedersi. Presi dalla lussuria del risveglio dei sensi si lasciarono cadere e prendere per ardere assieme nel gioco iniziato da altri. Lui, nel cerchio, si inarcava sopra di lei. Un bagliore dorato dalle fiammelle sorvolò su loro e si spense. Una mano diabolica con spudoratezza scivolava con malizia su di lui, mentre un caprone osservava e attendeva un movimento e un invito.
La vita con la sua ruota lo stava prendendo, infuocandolo con ritmi lunghi, prolungati, pieni e sonori, scaldandolo e mentre in fondo alla sua gola una musica dolce e ammaliatrice modulava suoni simili a fusa, qualcosa di umido e oleoso entrava nel suo retto lentamente, inesorabilmente, senza tregua in lui. Mani, sembrava, lo avevano preso, mentre combatteva e pugnalava selvaggiamente la giovane amante; e lo stringevano provocandogli vibrazioni che lo conducevano a ulteriori spinte, sempre più decise e più a fondo.
Con l’aiuto di liquidi oleaginosi, che uscivano dalle branchie, una anguilla-serpe entrava, s’ingrossava, s’annodava, s’allungava. Era lunga e in lui cercava riparo e fango. Suoni incomprensibili, invocazioni, imprecazioni, colpi violenti erano accompagnati dal desiderio di aprirsi, di concedersi, di ricevere e di essere posseduto. Il suo flauto tacque, mentre il suo addome si modulava e si gonfiava sempre di più. Dolore e piacere lo stavano prendendo.
La fanciulla era sparita e lui era tra gli zoccoli del caprone che con il suo strumento lo aveva preso. Lo sentiva ingrossarsi e sgonfiarsi, vibrare e danzare, irrigidire, uscire e rientrare per lambire e limare le pareti delle sue viscere.
Cercava, aprendo le sue labbra assettate e febbricitanti la lingua del caprone, per dargli e concedergli anche quell’altra apertura.
Meravigliose, calde e splendide sensazioni di inaudito piacere, penetranti, incontrollate scoppiarono improvvise e violente. Caldi fremiti dalle scure e ombrose vallate dei sensi lo percorrevano, lo inondavano, lo bagnavano provocando una evidente incontrollata agitazione del suo fisico.
Squassato, spossato, esausto, sottomesso. Coperto e sommerso di bave limose trasparenti, abbandonato, solo, nudo, circondato dai resti dei lumini, immobile, vegliato dal dialogo canoro dei volatili del primo mattino che annunciavano nascite, mentre la notte lasciava lo spazio al chiarore dell’aurora; stava muto e inerte sull’erba coperta di rugiada. Dalla sua apertura , mai violata, ora slabbrata e dilatata fluivano lenti, schiumosi, opalescenti rivoli bianchi.
Per contatti:andrea10f09@libero.it
Dal crepuscolo della sera, inosservati, occultati dalle chiome degli alti tigli attraversarono l’acciottolato dell’ampio chiostro dell’istituto. Era già buio a quell’ora. Tramite un foro nella rete arrugginita della recinzione, nascosto da folti cespugli di forsizia, passarono senza farsi vedere e udire, favoriti anche dalla quasi oscurità. Sostarono in un deposito di legna da segare e di rottami di vecchi strumenti agricoli per contarsi. Proseguirono subito dopo per sbucare sulla strada principale, che spariva in un bosco dopo una curva. Continuarono sino ad una casetta in legno le cui imposte erano adornate di gerani rossi e dove erano attesi. Trovò eccitante e degno d’orgoglio questa sua uscita che lo avrebbe iniziato ai misteriosi riti del luogo e della notte.
Raro fiore coltivato con amore dalla madre, dal sorriso angelico e spensierato, era da pochi mesi in quel collegio austero e isolato per crescere e migliorarsi intellettualmente, spiritualmente in tranquillità.
Nell’istituto c’era un regolamento scritto e uno non scritto, talvolta quest’ultimo più forte dell’altro; e lui non si sarebbe mai sottratto alle leggi e ai concetti d’onore dei compagni. Era nella prima età della pubertà; periodo di vita che induce qualsiasi ragazzino a conoscere e fantasticare, spinto anche da letture, e sovente, se reso partecipe e corresponsabile, a partecipare senza porre limiti o vincoli ad avventure che avrebbero potuto sapere di proibito, occulto, misterioso ed eccitante anche se pericolose e costose.
Marciarono attraverso il bosco; qualche stella si mostrava più umida e lucente tra le fronde. Chiacchieravano fra loro e, facendo dello spirito, alimentavano le loro risate. La notte solenne ed inquietante accelerava il ritmo dei loro cuori. Raggiunsero la casetta. Tutto sembrava addormentato. Inciamparono su alcune pietre; non una luce brillava. Tutto era silenzio. Bussarono ad un’imposta, … aspettarono, … batterono ancora; dentro si udì del rumore e tosto si accese una luce. L’imposta si aperse e uno dopo l’altro entrarono in una sala buia dal pavimento in terracotta. Da un lucignolo ardeva una piccola fiamma oscillante. Una donna magra e perversa salutò i giovani e dietro di lei, dall’oscurità, apparve una fanciulla discinta dalla chioma dorata, che saluto per nome i compagni, baciandoli sulle labbra. A tutti venne offerto un calice nero da sorseggiare. Un volto adulto, illuminato appena, osservava e attendeva. Sedettero e parlarono tra loro a voce bassa bevendo la mistura. Ogni tanto uno si alzava per accarezzare i capelli della piccola dal seno appena sbocciato, sussurrandole parole all’orecchio. La ragazzina rimaneva impassibile. L’idea di entrare nell’inconsueto, nell’eccitante, nel misterioso e proibito stava prendendo il sangue dell’iniziando senza opprimerne la coscienza. Il cuore del giovane batteva forte nella penombra di quella sala.
I suoi compagni si davano importanza e sembrava che sapessero del mistero che si sarebbe da lì a poco svelato a tutti, mentre lui se ne stava rannicchiato, tranquillo per terra con lo sguardo fisso nella fiammella del lumino sospeso, andando ogni tanto a fissare la creatura dagli occhi scuri. Bevevano.
Un segno della figura in ombra indicò ai compagni il momento e il luogo di raccoglimento e preghiera. Una mano della ragazzina sulla sua spalla lo invitò a fare con lei e con la figura fosca una passeggiata fuori nel prato antistante il bosco. Lumini accesi rischiaravano un piccolo cerchio, dove appena al di là delle fiammelle, basse ombre nere vegliavano e bisbigliavano.
La piccola gli si addossò cercandogli le labbra, baciandolo a lungo. La sua bocca aderì a quella, spinta dagli ormoni giovanili, continuando il gioco, stuzzicando, adescando per scuoterlo fin nel profondo delle viscere. La natura insegnava. Mani esperte fecero cadere indumenti ai due per facilitare l’unione e il concedersi. Presi dalla lussuria del risveglio dei sensi si lasciarono cadere e prendere per ardere assieme nel gioco iniziato da altri. Lui, nel cerchio, si inarcava sopra di lei. Un bagliore dorato dalle fiammelle sorvolò su loro e si spense. Una mano diabolica con spudoratezza scivolava con malizia su di lui, mentre un caprone osservava e attendeva un movimento e un invito.
La vita con la sua ruota lo stava prendendo, infuocandolo con ritmi lunghi, prolungati, pieni e sonori, scaldandolo e mentre in fondo alla sua gola una musica dolce e ammaliatrice modulava suoni simili a fusa, qualcosa di umido e oleoso entrava nel suo retto lentamente, inesorabilmente, senza tregua in lui. Mani, sembrava, lo avevano preso, mentre combatteva e pugnalava selvaggiamente la giovane amante; e lo stringevano provocandogli vibrazioni che lo conducevano a ulteriori spinte, sempre più decise e più a fondo.
Con l’aiuto di liquidi oleaginosi, che uscivano dalle branchie, una anguilla-serpe entrava, s’ingrossava, s’annodava, s’allungava. Era lunga e in lui cercava riparo e fango. Suoni incomprensibili, invocazioni, imprecazioni, colpi violenti erano accompagnati dal desiderio di aprirsi, di concedersi, di ricevere e di essere posseduto. Il suo flauto tacque, mentre il suo addome si modulava e si gonfiava sempre di più. Dolore e piacere lo stavano prendendo.
La fanciulla era sparita e lui era tra gli zoccoli del caprone che con il suo strumento lo aveva preso. Lo sentiva ingrossarsi e sgonfiarsi, vibrare e danzare, irrigidire, uscire e rientrare per lambire e limare le pareti delle sue viscere.
Cercava, aprendo le sue labbra assettate e febbricitanti la lingua del caprone, per dargli e concedergli anche quell’altra apertura.
Meravigliose, calde e splendide sensazioni di inaudito piacere, penetranti, incontrollate scoppiarono improvvise e violente. Caldi fremiti dalle scure e ombrose vallate dei sensi lo percorrevano, lo inondavano, lo bagnavano provocando una evidente incontrollata agitazione del suo fisico.
Squassato, spossato, esausto, sottomesso. Coperto e sommerso di bave limose trasparenti, abbandonato, solo, nudo, circondato dai resti dei lumini, immobile, vegliato dal dialogo canoro dei volatili del primo mattino che annunciavano nascite, mentre la notte lasciava lo spazio al chiarore dell’aurora; stava muto e inerte sull’erba coperta di rugiada. Dalla sua apertura , mai violata, ora slabbrata e dilatata fluivano lenti, schiumosi, opalescenti rivoli bianchi.
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