Giulio

di
genere
gay

Giulio era cresciuto in campagna in una famiglia un po’ … tra campi di grano e alberi da frutta. Indossava sempre una camicia chiara di flanella e un paio di pantaloni troppo grandi ereditati dal fratello maggiore, sorretti da bretelle. Biondo con gli occhi verdi, incastrato in quell’età che non sei più un bambino, non sei ancora un uomo, ma le avvisaglie di trasformazioni fisiche erano sempre più frequenti. Dopo il periodo scolastico dell’avviamento aveva iniziato a lavorare in un mobilificio. Le sue giornate erano piene e, anche se stanco, al ritorno dal lavoro passava a dare un saluto al suo amico Aldo, che distava poche centinaia di metri da casa sua. Nei fine settimana, spinto anche dai genitori, aveva smesso di frequentare i maschi del borgo e le loro scorribande per dedicarsi ad aiutare l’amico. Trovava piacevole ed affascinante trascorrere delle ore con lui e non solo per alleviarlo dallo stress dovuto per l’assistenza alla madre ammalata. Questi frequentava ancora la scuola, ma conosceva Giulio da tanto.
Ai più giovani la parola farà pensare a tutt’altra cosa. Per le persone più in là negli anni, invece, era semplicemente il modo di chiamare, in modo più conciso, la Scuola di avviamento professionale, che era, come “recita” Wikipedia, una scuola che permetteva “a chi aveva conseguito la licenza elementare di continuare gli studi ottenendo una formazione verso il mondo del lavoro o le scuole professionali e tecniche”.
Sempre Wikipedia ci ricorda che “era una scuola per i ragazzi dagli 11 ai 14 anni che potevano ricevere un addestramento pratico per le semplici professioni della manodopera esecutiva e per il segretariato” e che era “ l’unico canale d’istruzione post elementare senza il latino, e veniva frequentata perciò da tutti gli alunni che non intendevano proseguire l’istruzione nelle scuole superiori” ma “prevedeva in via teorica la possibilità di continuare gli studi tecnici attraverso il passaggio ai corsi inferiori dell’Istituto tecnico con esami selettivi di italiano e matematica”.
Giulio era il minore di una grande e numerosa nidiata; si vestiva con gli indumenti degli altri e in estate stava senza biancheria intima per non dar lavoro alla mamma. Negli ambienti rurali non esistevano, allora, divieti, proibizioni o altro, atto ad impedire uno sviluppo armonico della persona. Spesso, dopo il periodo della culla a fianco del letto dei genitori, il minore veniva messo a dormire nei lettoni con gli altri e sovente alcuni si svegliavano con un po’ di appiccaticcio sui glutei o sul basso ventre, dovuto al contatto fisico di corpi senza intimo sotto le coperte.
Da tempo conosceva Aldo, figlio unico, orfano di padre, all’ultimo anno scolastico. Costui aveva nella genitrice, anche se ammalata, una maestra di vita di notevole perspicacia ed intelligenza. Era informata di tutto sul figlio, anche dei suoi guazzi e profumi notturni. Gli dava consigli, intuiva, spiegava, comprendeva e mai censurava o biasimava; anzi a volte, anche se allettata, mostrava ed invitava a precedere o prevenire una richiesta, educandolo e guidandolo. Sapeva dell’amico e aveva compreso, per cui, sapendo dei bisogni del figlio di respirare un po’ di aria salubre, non si sarebbe opposta se avessero voluto conoscersi meglio.
Un giorno, libero da impegni, costoro decisero di andare ad esplorare una zona che conoscevano poco, ossia le rovine di una vecchia casa in fondo al bosco a quasi due ore di cammino da dove abitavano. La giornata era lunga, il vento smuoveva le fronde degli alberi ricreando il rumore del mare e sembrava una buona scampagnata per nuove avventure.
Cantavano e raccoglievano pagliuzze da masticare mentre percorrevano la carreggiata tra le distese di grano e la macchia mediterranea.
Quando la boscaglia si infittì lungo la strada, tagliarono per un piccolo sentiero tra alberi e stoppie e, mentre ridacchiavano sulle vicende del paese, si trovarono improvvisamente di fronte ai resti della vecchia cascina. L’ossatura della casa era intatta e le erbacce, ortiche, portulache, parietarie e altre piante cresciute nelle fessure delle pietre la rendevano ancora viva. Si avvicinarono con passo felpato verso l’entrata e si fermarono sotto i resti dell’arco che apriva il cortile. Entrambi, latori di fifa e curiosità, avevano timore dell’ignoto. Giulio raccolse un sasso per terra e lo lanciò nel cortile così, tanto per fare il duro ma quella pietra scatenò una reazione inaspettata: uno stormo di piccioni muraioli si alzò improvvisamente da ogni parte del rudere con una grande confusione di ali, piume e schiamazzi.
A quel punto Giulio e Aldo avevano già fatto due o trecento metri di corsa verso il campo e passato il batticuore da spavento rallentarono dirigendosi verso il fiume, ridendo a crepapelle della loro reazione e dello spavento.
Appena trovarono uno spiazzo tra l’erba alta si affondarono a terra esausti, alzando una piccola nube di pollini, polveri e pila di frumento.
Il cielo era terso, qualche nuvola passava veloce, il respiro affannoso e, riempiendo i toraci di quello spazio, si misero ad elencare tutto quello che vedevano nelle nuvole.
“Un pesce palla con le pinne cadenti”
“Un bastardino con il naso da pugile”
“Il bidello con la verga” Risero
Ma Giulio si rese conto che non gliene fregava niente di guardare per aria, sentiva il profumo di Aldo che gli arrivava alle narici e si girò per ammirarlo. Studiava i suoi capelli un po’ lunghi sulle spalle; come le sue dita che si muovevano per indicare le forme delle nubi o come la bocca morbida e dolce che si schiudeva nel parlare, come un gambo dei pantaloni pieno di spighette artigliate che si alzò fino al ginocchio nello stendersi per terra. Percorreva con lo sguardo la conformazione delle caviglie che si trasformavano in polpacci e, più su, la pelle con qualche graffio per l’ultimo tratto fatto di corsa fra i campi pieni di paglia. Vide il profilo dei capezzoli appuntiti, l’ombra dell’ombelico sotto la maglietta lisa e giallastra per l’ininterrotto uso. Si sentì avvampare ma non riusciva a smettere di fissarlo.
“Una pecora e quella sembra … ahahahhaha!” Continuava Aldo, ma quando si accorse del silenzio si voltò verso l’amico per capire come mai fosse taciturno, muto e pensieroso.
Giulio aveva già strappato da terra un sacco di fili d’erba, totalmente ammaliato da quel corpo accaldato e disteso. Gli sguardi si incontrarono: imbarazzato e paonazzo il viso di lui, interrogativo e stupito quello del più giovane.
Giulio si vergognò e ritornò con uno scatto a guardare il cielo.
“Puoi toccarmi se vuoi…” Aldo aveva compreso, grazie alla mamma, alla quale confidava visioni, malesseri e speranze. Con la madre aveva un bel rapporto, tanto che l’informava anche dei suoi guazzetti notturni e di un ragazzo, con cui stava bene assieme.
A Giulio quella affermazione mandò il cuore in gola.
“Davvero posso?” Sapeva, ma era diverso ora. Non aveva idea di come e cosa fare e neanche da dove cominciare, … era diverso, c’erano emozioni e …, ma il desiderio di toccarlo era irresistibile quindi si alzò per inginocchiarsi ai piedi dell’amico. Gli sfilò gli zoccoli e gli accarezzò i piedi. Con le mani percorse gli incavi delle dita e sentì sui polpastrelli la pelle più spessa e ruvida della pianta e quella delicatissima e liscia sopra il piede. Percepiva il palpitare del sangue lungo le vene delle caviglie.
Si spinse più su con le dita e percorse la curva dei polpacci fino a toccare la piega dietro le ginocchia e scostando un po’ più in alto i gambali del corto pantalone tutto rattoppato, toccò con entrambe le mani le cosce e il loro interno, palpando a lungo la parte più morbida e calda delle gambe. Il tatto e la vista erano esplosi nell’eccitazione e Giulio se lo sentiva duro come un chiodo. Ebbro di quella pelle e del suo aroma, salì sull’amico per guardarlo negli occhi e trovare la sua complicità. Aldo sorrise e lui gli baciò la fronte, il naso e le labbra morbide. Lo baciò un milione di volte su ogni angolo di pelle e poi scese con la bocca sul collo e … iniziò a scoprirlo. Quella vista era per lui come frutta succosa di cui voleva nutrirsi fino a scoppiare: succhiò i capezzoli per dissetare tutta la sua arsura e leccò quel piatto addominale finché gli fece male la lingua, sfiorandogli più volte il membro turgido, mentre Aldo lo accompagnava in ogni movimento con sussulti eccitati dalla foga delle mani e dal fresco della saliva.
Giulio non capiva più niente, in preda alle emozioni, all’attrazione più rovente, sconfortante e micidiale che avesse mai provato e sentendo la grande partecipazione dell’amico, gli sfilò la camicetta, cercando ancora. Lo toccò da sopra le corte braghe e andò ad abbassargliele mentre in lui i battiti cardiaci accelerati erano in ogni parte del suo corpo. Aldo si alzò per togliersele e nel ridistendersi allargò le gambe. Giulio era sconvolto ed infervorato da ciò che provava e si tuffò come un esploratore su quel mistero che lui e altri maschi hanno tra le gambe. Si inginocchiò e abbracciandolo si mise a qualche centimetro per guardare meglio. Era estasiato dalla forma, dal turgore e dalla brillantezza rugiadosa. Quell’odore lo mandava in tilt. Ci buttò la faccia perché lo voleva assaggiare. Lo riempì di baci finché la gola non traboccò di sapore. Mezzi nudi, sudati, avvampati dal piacere e dal sole rotolarono sull’erba tra mille moine, quando si trovarono l’uno sotto l’altro e Giulio, guidato dall’istinto, si indirizzò verso il culetto di lui e appena sentì la carne bollente circondarlo, la scarica di piacere lo colse come un fulmine, lasciandolo in un attimo nella più completa beatitudine.
scritto il
2024-01-31
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