Il vecchio cane da guardia
di
Andrea10F09
genere
sentimentali
IL vecchio cane da guardia
Breve scritto non erotico
Frigo, … Frigo, … Frigo vieni. … Frigooooo!
Il vecchio cane si fece sentire con la sua rantolosa voce. Malfermo sulle sue articolazioni, trascinandosi, arrivò davanti alla sua padrona per ricevere la carezza e poi i massaggi alle consunte, indebolite ginocchia.
Era stato un bel pastore: robusto, sempre pulito e attento come nessun altro a quella casa in difesa dei suoi inquilini e dei pargoli che là erano nati e cresciuti.
Lo chiamavano “Frigo”, e a lui quel nome piaceva; tant’è vero che non rispondeva mai a chi per idiozia o superficialità lo cercava e convocava con un fischio; anzi spesso a quel verso ringhiava e, se il tizio non fosse stato attento, lo avrebbe certamente azzannato.
Era cresciuto in quella casa, a contatto continuo con i suoi affettuosi residenti. Riceveva da tutti una carezza e spesso un pezzettino di formaggio di cui era ghiotto e a ognuno distribuiva un saluto allungando una zampa o dando una linguata sulla mano a chi l’accettava o, come la sua padrona, sul viso; purtroppo il tempo passava anche per lui; e alle prime persone si sostituirono delle altre, che non avevano quella sensibilità che aveva tanto apprezzato e gradito da giovane e da adulto poi.
Pochissimi lo chiamavano con il suo nome e a questi lui, ormai vecchio, debole e malato, sempre si rivolgeva per prendere una grattatina sulla testa, il pezzettino di formaggio, le sue medicine e spesso un massaggio alle stanche articolazioni, ricambiando i gesti con la sua guardia ancora indispensabile, visti i tempi privi di valori etici e di ideali in cui si viveva.
Non rispondeva quando un giovane sprovveduto e poco sensibile lo svegliava invitandolo con un fischio, anzi neanche mangiava quello che questi gli buttava; prendendosi e subendo dei rimproveri per lo spreco, a dire altrui, di cui era origine ormai in quella casa. Mal sopportava la poca sensibilità dei nuovi adulti conduttori, ma non accettava e non tollerava che estranei lo chiamassero con un fischio. A questi ringhiava e, se non fosse stato per il recinto, li avrebbe sicuramente azzannati e sbranati.
Questa breve storia ha dei precetti:
a) I figli crescono e si dimenticano facilmente delle privazioni che ti sei imposto per dar loro serenità e tranquillità. Questi, dopo averti spogliato per la loro stoltezza di tutto, te ne chiedono ancora, rimproverandoti della lentezza dei tuoi ritmi, imposta dagli acciacchi dell’età.
b) Tutti abbiamo un nome, subiamo angherie dai vicini, ma non accettiamo e ci ribelliamo di essere avvertiti e chiamati da altri con un suono di clacson. La convivenza tra generazioni, che significa civiltà e principi morali, si basa sull’educazione, rispetto e accettazione del più debole.
c) Nessuno è da buttare o emarginare, compresi gli oggetti delle persone poiché, anche codesti, hanno qualcosa da rammentarci, da trasmetterci, affascinandoci.
Breve scritto non erotico
Frigo, … Frigo, … Frigo vieni. … Frigooooo!
Il vecchio cane si fece sentire con la sua rantolosa voce. Malfermo sulle sue articolazioni, trascinandosi, arrivò davanti alla sua padrona per ricevere la carezza e poi i massaggi alle consunte, indebolite ginocchia.
Era stato un bel pastore: robusto, sempre pulito e attento come nessun altro a quella casa in difesa dei suoi inquilini e dei pargoli che là erano nati e cresciuti.
Lo chiamavano “Frigo”, e a lui quel nome piaceva; tant’è vero che non rispondeva mai a chi per idiozia o superficialità lo cercava e convocava con un fischio; anzi spesso a quel verso ringhiava e, se il tizio non fosse stato attento, lo avrebbe certamente azzannato.
Era cresciuto in quella casa, a contatto continuo con i suoi affettuosi residenti. Riceveva da tutti una carezza e spesso un pezzettino di formaggio di cui era ghiotto e a ognuno distribuiva un saluto allungando una zampa o dando una linguata sulla mano a chi l’accettava o, come la sua padrona, sul viso; purtroppo il tempo passava anche per lui; e alle prime persone si sostituirono delle altre, che non avevano quella sensibilità che aveva tanto apprezzato e gradito da giovane e da adulto poi.
Pochissimi lo chiamavano con il suo nome e a questi lui, ormai vecchio, debole e malato, sempre si rivolgeva per prendere una grattatina sulla testa, il pezzettino di formaggio, le sue medicine e spesso un massaggio alle stanche articolazioni, ricambiando i gesti con la sua guardia ancora indispensabile, visti i tempi privi di valori etici e di ideali in cui si viveva.
Non rispondeva quando un giovane sprovveduto e poco sensibile lo svegliava invitandolo con un fischio, anzi neanche mangiava quello che questi gli buttava; prendendosi e subendo dei rimproveri per lo spreco, a dire altrui, di cui era origine ormai in quella casa. Mal sopportava la poca sensibilità dei nuovi adulti conduttori, ma non accettava e non tollerava che estranei lo chiamassero con un fischio. A questi ringhiava e, se non fosse stato per il recinto, li avrebbe sicuramente azzannati e sbranati.
Questa breve storia ha dei precetti:
a) I figli crescono e si dimenticano facilmente delle privazioni che ti sei imposto per dar loro serenità e tranquillità. Questi, dopo averti spogliato per la loro stoltezza di tutto, te ne chiedono ancora, rimproverandoti della lentezza dei tuoi ritmi, imposta dagli acciacchi dell’età.
b) Tutti abbiamo un nome, subiamo angherie dai vicini, ma non accettiamo e ci ribelliamo di essere avvertiti e chiamati da altri con un suono di clacson. La convivenza tra generazioni, che significa civiltà e principi morali, si basa sull’educazione, rispetto e accettazione del più debole.
c) Nessuno è da buttare o emarginare, compresi gli oggetti delle persone poiché, anche codesti, hanno qualcosa da rammentarci, da trasmetterci, affascinandoci.
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