Incontri - Flashback
di
Flavia1988
genere
saffico
Marzo 2012
"Flavia? Sei fra noi? Sei molto distratta stamattina." Torno alla realtà. Otto paia di occhi puntati su di me. Due sorrisi, quasi beffardi. Tu in piedi vicino la cattedra che sorridi. Le aule piccole dell'università hanno il grande vantaggio di avere una grande vetrata che porta luce e calore, ma anche la totale impossibilità di nasconderti se per caso volessi farti gli affari tuoi. Siamo nove studenti, quasi tutti agli ultimi sforzi prima della tesi. E poi tu. Stretta nel completo che mette in risalto il tuo seno e i fianchi. Non sei altissima, ma quei piccoli tacchi ti danno leggerezza e sensualità. "Scusi professoressa." Torno ad abbassare lo sguardo sugli appunti e a scrivere. La lezione finisce e tu mi chiedi di fermarmi. Metto in ordine le cose nello zainetto e mi avvicino. Tu sei seduta. Non mi guardi mentre finisci di scrivere al PC. "Che succede?" "Nulla prof" "Ok, ma è un nulla che ti sta facendo perdere concentrazione. E tempo. E forse lo sta facendo perdere anche a me..." Abbasso gli occhi. Sono mesi che mi fai la corte per farmi restare in dipartimento dopo la laurea di luglio e io ho sempre glissato. "Ho fatto un colloquio." Alzi lo sguardo. Finalmente ho la tua attenzione. "Ah. E..." "E non so che fare." "Dove? Con quale professore? In quale università?" "Nessuna università. In banca." Silenzio. Tuo e mio. Quasi in contemporanea guardiamo fuori dalla vetrata. Un albero è fiorito e il vento sparge fiori rosa nel giardino. Io mi fisso su uno che, dopo varie giravolte si era posato sul davanzale della finestra. Una raffica più forte e vola via. "Insomma...uno di quei lavori che danno quello che io non posso darti: uno stipendio sicuro." Sorrido e annuisco. "Flavia. Guardami." Mi giro e hai tolto gli occhiali. Gli occhi castani brillano nel sole della stanza, un leggero lucida labbra, il tuo sorriso. I soliti brividi che mi regali da mesi e che faccio sempre più fatica a nascondere a me stessa, non so a te. "Flavia. Ti capisco. Ammetto di non avere molto da offrirti. A parte me e la fiducia che ho...che abbiamo, in tutto il dipartimento, per te. Ti chiedo solo di pensarci bene. Perchè io una mente come la tua non l'ho vista molte volte e perderti sarebbe...ecco, sarebbe uno spreco!" "Lo sa una cosa prof? Io, questo momento lo aspetto da mesi..." Vorresti interrompermi, ma alzo una mano e continuo e tu non puoi fare altro che ascoltarmi "...da mesi, dicevo. Mesi in cui abbiamo lavorato vicino, ci siamo scritte ad ore anche improbabili perchè ci veniva, a volte quasi in contemporanea, l'idea per risolvere un problema o un esperimento. E invece lei...tu...tu mi hai sempre data per scontata. E invece di scontato non c'era nulla. Perché io non vorrei vivere dai miei per il resto della mia vita o elemosinare borse di studio anno dopo anno a destra e sinistra con la certezza di...? Di cosa? Di avere una bella testa o delle idee brillanti ottime per il sottoscala di qualche università?" Prendo fiato, stupita di me stessa. Prendo fiato e riparto. "Lavorare in banca non sarà il massimo. Forse sarà anche degradante, visto i sogni che avevo messo dietro tutti i miei studi. Ma è un lavoro. E aspettano solo che io mi laurei per darmelo. Anzi, per loro potrei già iniziare il prossimo mese." "Ad aprile? Scherzi? E il..." "Il convegno? Lo so prof, lo so. E infatti ho detto di no e ho detto loro di aspettare. Che decida. E sicuramente che mi laurei." Fiato. Aria. Apnea. Mi sento svenire. Mi appoggio alla cattedra davanti a me. Tu sei subito in piedi e mi reggi. "Flavia? Cosa...come stai?" La cattedra ci separa ma sento le tue dita stringermi le braccia. Soprattutto sento il tuo profumo. È dolce. Rosa? Si, forse si. Alzo lo sguardo verso di te, siamo quasi alte uguali e ti fisso negli occhi. "Prof...io..." "Non dire nulla. Ci penseremo, nei prossimi mesi. Ti prendo dell'acqua?" Dico solo un "No" biascicato e poco convinto, ma ho un pensiero che veloce passa nel cervello, trascina con sé un brivido e vola via. Respiro con più calma. Nel tirarmi su le nostre dita si sfiorano. La tua pelle. "Flavia. Pensaci." Ci penserò. Ti penserò, lo faccio tutti i giorni. E comincio ad averne anche un po' paura perchè fatico a riconoscermi. "Va bene, prof. Ci penseremo. Ora devo andare, ho un'altra lezione."
Le serate in settimana sono sempre le più tranquille al Circolo. I soliti ragazzi che bevono, gridano e ridono. I soliti vecchini che si bevono un caffè ("Correggilo come sai fare tu!" e ti fanno l'occhiolino sperando nella goccia in più di grappa), fanno una partitina a carte con le mogli e gli amici e tornano a casa. Vedo in loro una serenità che già so non avrò mai. Oggi però no. Proprio oggi che non avrei bisogno di trambusto, apro la porta d'ingresso e un vociare forte e caotico mi colpisce in faccia bloccandomi con il piede sul primo scalino che scende verso lo stanzone con il bancone del bar. "Cazzo! È il mercoledì con le prove del teatro!!" Vorrei andarmene ma ormai ho dato la presenza e non posso lasciarli scoperti. Mi giro per andare verso al piano di sopra dove ci sono i bagni e le stanze che usiamo per cambiarci. "Ecco la bella Flavia!!!" Luca mi viene incontro e mi abbraccia. Forte. L'odore del tabacco che fuma e che gli riempie i vestiti mi assale. "Luca. Ciao!! Vedo che avete già finito le prove." "Ma va! Dobbiamo ancora iniziare. Sai com'è...un bicchiere di qua, una chiacchiera di là...e Shakespeare è stato per un attimo accantonato." Ho qualche dubbio sulla qualità della chiacchiera, molti meno su quella del bicchiere. "Povero bardo. Che finaccia." "Sei splendida." E si avvicina di nuovo. "Smettila. Devo andare a lavorare." Si volta verso la sala. "Dai, non c'è ancora nessuno" "A parte dei tristissimi attori falliti." Non trattengo l'ironia. Si volta e mi fissa con i suoi occhi glaciali. "Ti accompagno a cambiarti." Mi prende la mano e mi porta su per le scale. Sento delle risate dietro di me. Per me? Per noi? Per lui? Per il bardo? "Mi sei mancata. Solo un bacio. Che sarà mai?" "Ti ho detto di no, Luca. E poi se arrivasse qualcuno? Io qui ci lavoro, tu ti diverti e basta." Mi tolgo il cappotto e provo ad allontanarmi. Senza successo. Ho già le sue labbra incollate alle mie. La sua lingua. Le mani che non mi lasciano. Il sesso già duro che preme sul mio ventre. "Mi sei mancata." Sussurra ancora mentre si slaccia la cintura e si libera. "Che fai? Ma sei impazzito?" "Mi sei mancata." Mi gira. Mi fa appoggiare ad un tavolo e mi tira giù i pantaloni. "Sei già bagnata. Lo sapevo che mancavo anche a te." Entra. È rude. Come sempre. Chiudo gli occhi e spero finisca in fretta. Come sempre. "Sei bagnata e calda. Stupenda come sempre." "Luca, dai muoviti. Fai in fretta." "Sei una puttana. Mi fai impazzire." Inizio a provare qualcosa. "Senti come inizi ad ansimare. Lo sapevo che alla fine cedevi. Sei sempre così." Ha ragione. Cedo. Ma non per lui. Per me. Perchè ne avevo bisogno. Perchè volevo cancellare i brividi che da tutto il giorno provo e mi spaventano. Sento muoverlo dentro di me. Sempre più frenetico. Sbatte il suo pube sul mio corpo. Mi tiene per i fianchi e mi scopa. La sua puttana. L'ha detto e lo sta facendo. "Sto godendo Flavia" Mi vergogno a dirlo, ma non voglio finisca. "No, ti prego. Ancora." Ma è come se non esistessi. Viene. Dentro. "Sei il solito stronzo." "Ma tanto prendi..." "Ma tanto un cazzo! Come se non mi conoscessi. E come se io non conoscessi te. Che numero sono di questa settimana? La terza? La quarta? Ed è solo mercoledì! Ora vattene. Devo sistemarmi e scendere." Ride. A me viene da piangere, o peggio. Apre la porta e se ne va. Io mi rivesto veloce, corro in bagno e vomito.
La serata sta finendo. Finalmente. Luca aveva provato un secondo approccio e l'avevo mandato via in malo modo, tant'è che se ne era anche andato senza salutarmi. Ora siamo rimasti noi a sistemare i tavoli e pochi ragazzi. Un paio sono miei colleghi di università e vado a sedermi da loro con un bicchiere di vino. "Certo che oggi te la sei proprio cercata!! Guardavi l'infinito fuori dalla finestra!!" È Mario a parlarmi, ricordandomi la mattinata in aula. "Si, in effetti. Non ho fatto una gran figura." "Ma si, stai tranquilla. Tanto a te non farà mai nulla, lo sanno tutti. Anzi, secondo me lei era soprattutto gelosa che non stessi guardando lei." Lo guardo stupita. "Cosa vorresti dire?" "Nulla che tutti vedono come ti guarda." Sono attonita. Reagisco piccata. "Forse tutti vedono come non guarda te!" Sottolineando il "non" e fissandolo dritto negli occhi. Mario è un ragazzetto, coetaneo mio, che divide il mondo in due: gli stronzi e i meno stronzi. I primi sono quelli che non lo considerano. I secondi quelli che lo considerano, e che secondo lui lo idolatrano. Io sono fra le poche persone che rientrano nella seconda categoria, pur non idolatrandolo. Ovviamente la professoressa nella prima. "Sarà. Ma tanto non me ne faccio nulla dell'attenzione di quella stronza." Appunto. "E comunque, cara Flavia, penso di essere molto lontano dai suoi gusti. Ed è inutile che alzi il sopracciglio, perchè anche tu sai le voci che girano in facoltà." Abbasso lo sguardo. Le ho sentite, ma sono pur sempre voci. "Comunque sia, voci o no, saranno anche affari suoi." "O tuoi..." Ride, come anche l'altro ragazzo seduto vicino a lui. Io faccio più fatica, ma abbozzo e bevo alla salute della professoressa.
"Flavia? Sei fra noi? Sei molto distratta stamattina." Torno alla realtà. Otto paia di occhi puntati su di me. Due sorrisi, quasi beffardi. Tu in piedi vicino la cattedra che sorridi. Le aule piccole dell'università hanno il grande vantaggio di avere una grande vetrata che porta luce e calore, ma anche la totale impossibilità di nasconderti se per caso volessi farti gli affari tuoi. Siamo nove studenti, quasi tutti agli ultimi sforzi prima della tesi. E poi tu. Stretta nel completo che mette in risalto il tuo seno e i fianchi. Non sei altissima, ma quei piccoli tacchi ti danno leggerezza e sensualità. "Scusi professoressa." Torno ad abbassare lo sguardo sugli appunti e a scrivere. La lezione finisce e tu mi chiedi di fermarmi. Metto in ordine le cose nello zainetto e mi avvicino. Tu sei seduta. Non mi guardi mentre finisci di scrivere al PC. "Che succede?" "Nulla prof" "Ok, ma è un nulla che ti sta facendo perdere concentrazione. E tempo. E forse lo sta facendo perdere anche a me..." Abbasso gli occhi. Sono mesi che mi fai la corte per farmi restare in dipartimento dopo la laurea di luglio e io ho sempre glissato. "Ho fatto un colloquio." Alzi lo sguardo. Finalmente ho la tua attenzione. "Ah. E..." "E non so che fare." "Dove? Con quale professore? In quale università?" "Nessuna università. In banca." Silenzio. Tuo e mio. Quasi in contemporanea guardiamo fuori dalla vetrata. Un albero è fiorito e il vento sparge fiori rosa nel giardino. Io mi fisso su uno che, dopo varie giravolte si era posato sul davanzale della finestra. Una raffica più forte e vola via. "Insomma...uno di quei lavori che danno quello che io non posso darti: uno stipendio sicuro." Sorrido e annuisco. "Flavia. Guardami." Mi giro e hai tolto gli occhiali. Gli occhi castani brillano nel sole della stanza, un leggero lucida labbra, il tuo sorriso. I soliti brividi che mi regali da mesi e che faccio sempre più fatica a nascondere a me stessa, non so a te. "Flavia. Ti capisco. Ammetto di non avere molto da offrirti. A parte me e la fiducia che ho...che abbiamo, in tutto il dipartimento, per te. Ti chiedo solo di pensarci bene. Perchè io una mente come la tua non l'ho vista molte volte e perderti sarebbe...ecco, sarebbe uno spreco!" "Lo sa una cosa prof? Io, questo momento lo aspetto da mesi..." Vorresti interrompermi, ma alzo una mano e continuo e tu non puoi fare altro che ascoltarmi "...da mesi, dicevo. Mesi in cui abbiamo lavorato vicino, ci siamo scritte ad ore anche improbabili perchè ci veniva, a volte quasi in contemporanea, l'idea per risolvere un problema o un esperimento. E invece lei...tu...tu mi hai sempre data per scontata. E invece di scontato non c'era nulla. Perché io non vorrei vivere dai miei per il resto della mia vita o elemosinare borse di studio anno dopo anno a destra e sinistra con la certezza di...? Di cosa? Di avere una bella testa o delle idee brillanti ottime per il sottoscala di qualche università?" Prendo fiato, stupita di me stessa. Prendo fiato e riparto. "Lavorare in banca non sarà il massimo. Forse sarà anche degradante, visto i sogni che avevo messo dietro tutti i miei studi. Ma è un lavoro. E aspettano solo che io mi laurei per darmelo. Anzi, per loro potrei già iniziare il prossimo mese." "Ad aprile? Scherzi? E il..." "Il convegno? Lo so prof, lo so. E infatti ho detto di no e ho detto loro di aspettare. Che decida. E sicuramente che mi laurei." Fiato. Aria. Apnea. Mi sento svenire. Mi appoggio alla cattedra davanti a me. Tu sei subito in piedi e mi reggi. "Flavia? Cosa...come stai?" La cattedra ci separa ma sento le tue dita stringermi le braccia. Soprattutto sento il tuo profumo. È dolce. Rosa? Si, forse si. Alzo lo sguardo verso di te, siamo quasi alte uguali e ti fisso negli occhi. "Prof...io..." "Non dire nulla. Ci penseremo, nei prossimi mesi. Ti prendo dell'acqua?" Dico solo un "No" biascicato e poco convinto, ma ho un pensiero che veloce passa nel cervello, trascina con sé un brivido e vola via. Respiro con più calma. Nel tirarmi su le nostre dita si sfiorano. La tua pelle. "Flavia. Pensaci." Ci penserò. Ti penserò, lo faccio tutti i giorni. E comincio ad averne anche un po' paura perchè fatico a riconoscermi. "Va bene, prof. Ci penseremo. Ora devo andare, ho un'altra lezione."
Le serate in settimana sono sempre le più tranquille al Circolo. I soliti ragazzi che bevono, gridano e ridono. I soliti vecchini che si bevono un caffè ("Correggilo come sai fare tu!" e ti fanno l'occhiolino sperando nella goccia in più di grappa), fanno una partitina a carte con le mogli e gli amici e tornano a casa. Vedo in loro una serenità che già so non avrò mai. Oggi però no. Proprio oggi che non avrei bisogno di trambusto, apro la porta d'ingresso e un vociare forte e caotico mi colpisce in faccia bloccandomi con il piede sul primo scalino che scende verso lo stanzone con il bancone del bar. "Cazzo! È il mercoledì con le prove del teatro!!" Vorrei andarmene ma ormai ho dato la presenza e non posso lasciarli scoperti. Mi giro per andare verso al piano di sopra dove ci sono i bagni e le stanze che usiamo per cambiarci. "Ecco la bella Flavia!!!" Luca mi viene incontro e mi abbraccia. Forte. L'odore del tabacco che fuma e che gli riempie i vestiti mi assale. "Luca. Ciao!! Vedo che avete già finito le prove." "Ma va! Dobbiamo ancora iniziare. Sai com'è...un bicchiere di qua, una chiacchiera di là...e Shakespeare è stato per un attimo accantonato." Ho qualche dubbio sulla qualità della chiacchiera, molti meno su quella del bicchiere. "Povero bardo. Che finaccia." "Sei splendida." E si avvicina di nuovo. "Smettila. Devo andare a lavorare." Si volta verso la sala. "Dai, non c'è ancora nessuno" "A parte dei tristissimi attori falliti." Non trattengo l'ironia. Si volta e mi fissa con i suoi occhi glaciali. "Ti accompagno a cambiarti." Mi prende la mano e mi porta su per le scale. Sento delle risate dietro di me. Per me? Per noi? Per lui? Per il bardo? "Mi sei mancata. Solo un bacio. Che sarà mai?" "Ti ho detto di no, Luca. E poi se arrivasse qualcuno? Io qui ci lavoro, tu ti diverti e basta." Mi tolgo il cappotto e provo ad allontanarmi. Senza successo. Ho già le sue labbra incollate alle mie. La sua lingua. Le mani che non mi lasciano. Il sesso già duro che preme sul mio ventre. "Mi sei mancata." Sussurra ancora mentre si slaccia la cintura e si libera. "Che fai? Ma sei impazzito?" "Mi sei mancata." Mi gira. Mi fa appoggiare ad un tavolo e mi tira giù i pantaloni. "Sei già bagnata. Lo sapevo che mancavo anche a te." Entra. È rude. Come sempre. Chiudo gli occhi e spero finisca in fretta. Come sempre. "Sei bagnata e calda. Stupenda come sempre." "Luca, dai muoviti. Fai in fretta." "Sei una puttana. Mi fai impazzire." Inizio a provare qualcosa. "Senti come inizi ad ansimare. Lo sapevo che alla fine cedevi. Sei sempre così." Ha ragione. Cedo. Ma non per lui. Per me. Perchè ne avevo bisogno. Perchè volevo cancellare i brividi che da tutto il giorno provo e mi spaventano. Sento muoverlo dentro di me. Sempre più frenetico. Sbatte il suo pube sul mio corpo. Mi tiene per i fianchi e mi scopa. La sua puttana. L'ha detto e lo sta facendo. "Sto godendo Flavia" Mi vergogno a dirlo, ma non voglio finisca. "No, ti prego. Ancora." Ma è come se non esistessi. Viene. Dentro. "Sei il solito stronzo." "Ma tanto prendi..." "Ma tanto un cazzo! Come se non mi conoscessi. E come se io non conoscessi te. Che numero sono di questa settimana? La terza? La quarta? Ed è solo mercoledì! Ora vattene. Devo sistemarmi e scendere." Ride. A me viene da piangere, o peggio. Apre la porta e se ne va. Io mi rivesto veloce, corro in bagno e vomito.
La serata sta finendo. Finalmente. Luca aveva provato un secondo approccio e l'avevo mandato via in malo modo, tant'è che se ne era anche andato senza salutarmi. Ora siamo rimasti noi a sistemare i tavoli e pochi ragazzi. Un paio sono miei colleghi di università e vado a sedermi da loro con un bicchiere di vino. "Certo che oggi te la sei proprio cercata!! Guardavi l'infinito fuori dalla finestra!!" È Mario a parlarmi, ricordandomi la mattinata in aula. "Si, in effetti. Non ho fatto una gran figura." "Ma si, stai tranquilla. Tanto a te non farà mai nulla, lo sanno tutti. Anzi, secondo me lei era soprattutto gelosa che non stessi guardando lei." Lo guardo stupita. "Cosa vorresti dire?" "Nulla che tutti vedono come ti guarda." Sono attonita. Reagisco piccata. "Forse tutti vedono come non guarda te!" Sottolineando il "non" e fissandolo dritto negli occhi. Mario è un ragazzetto, coetaneo mio, che divide il mondo in due: gli stronzi e i meno stronzi. I primi sono quelli che non lo considerano. I secondi quelli che lo considerano, e che secondo lui lo idolatrano. Io sono fra le poche persone che rientrano nella seconda categoria, pur non idolatrandolo. Ovviamente la professoressa nella prima. "Sarà. Ma tanto non me ne faccio nulla dell'attenzione di quella stronza." Appunto. "E comunque, cara Flavia, penso di essere molto lontano dai suoi gusti. Ed è inutile che alzi il sopracciglio, perchè anche tu sai le voci che girano in facoltà." Abbasso lo sguardo. Le ho sentite, ma sono pur sempre voci. "Comunque sia, voci o no, saranno anche affari suoi." "O tuoi..." Ride, come anche l'altro ragazzo seduto vicino a lui. Io faccio più fatica, ma abbozzo e bevo alla salute della professoressa.
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