La scala
di
ValeLo
genere
fantascienza
Spensi il computer, sistemai la mia postazione, riordinai alcune pratiche, riponendole nelle cartellette colorate che adornavano la mia piccola scrivania; anche oggi potevo dirmi soddisfatto della giornata lavorativa.
Salutai i miei due colleghi, uscii dall'ufficio, e mi accadde qualcosa di inaspettato; mentre attendevo l'ascensore, una ragazza mi passò velocemente a fianco, una sagoma indefinita e profumata.
Provai quasi vergogna nel sentire il rigonfiamento nei miei slip, fu una reazione ancestrale, un turgore immediato e potente.
Quel profumo...
Dove si era diretta?
L'ascensore era ancora fermo, probabilmente altri impiegati stavano salendo ai piani superiori.
Avrei preso le scale, seguito quella ragazza, ero sicuro che fosse andata verso la tromba delle scale.
Aprii la porta in cemento e vetro, le mie raffinate narici captarono l'aroma di quella ragazza, la rampa di scale era silenziosa.
Ero al settimo piano.
Sopra silenzio, sotto silenzio.
Aveva già percorso sette piani?
Quel profumo...il mio pene si ingrossò, faceva quasi male.
Scesi il primo scalino, mi volsi: il numero 7 del piano era di un elegante colore oro, su sfondo rosso; non lo avevo mai notato, appeso al muro, anche perché non avevo mai usato le scale.
Nessuno le usava: erano vecchie, calde d'estate e fredde d'inverno.
Scesi la prima rampa, quel profumo era molto intenso.
Ma dove era la ragazza?
Una finestra, a metà rampa, si affacciava sul cortile interno dell'edificio.
Guardai giù: un pavimento in cemento, tre bidoni della spazzatura, il classico cortile abbandonato.
Scesi l'altra metà di scale, ero al sesto piano.
Guardai il numero: sul muro la cifra color oro segnava il piano.
Aggrottai la fronte: segnava 7.
Sorrisi, un ufficio di contabilità che non sapeva contare!
Scesi, la scala era davvero deserta, silenziosa, ma permanenza sempre quel profumo, ed anche la mia erezione.
A metà rividi la finestrella, il medesimo cortile abbandonato.
Scesi di un ulteriore piano.
Deglutii.
Il numero segnava ancora 7.
Avrei dovuto essere al quinto piano, non al settimo.
Mi iniziai a sentire agitato, scesi nuovamente ed a metà tragitto guardai quella finestrella sul cortile.
Ad occhio, l'altezza da terra non era variata!
Era come fossi ancora al settimo piano!
Dovevo andare via, il profumo della ragazza iniziava a disturbarmi, il mio pene era talmente gonfio da dolermi.
Arrivato al piano, non feci più neppure caso che ci fosse scritto sette anziché quattro, presi la maniglia della porta e feci per aprirla.
Bloccata.
Presi fiato, decisi di salire, a grandi falcate percorsi tre piani, secondo la logica avrei dovuto essere al punto di partenza.
La porta era chiusa.
Ero bloccato.
Quel profumo era fortissimo.
Dove era la ragazza?
Il cuore iniziò a battermi.
Dove era la sagoma di quella ragazza?
Corsi verso l'alto, all'ottavo piano c'era un altro passaggio, quello dei capi ufficio, sarei passato di là.
Il piano era contrassegnato col numero 7, non con l'8.
Che stava succedendo?
"Aiuto!" gridai.
Il profumo aumentò.
Il pene mi stava scoppiando.
La ragazza mi passò accanto, era molto esile, aveva i capelli neri e lunghi, scendeva le scale, aveva delle gambe snelle...un brivido mi percorse la spina dorsale.
Non aveva i piedi.
Fluttuava.
Volevo solo andare via di lì.
Salii con la paura che quella sagoma mi seguisse, feci tanti piani a piedi, verso l'alto, ma ero sempre al settimo piano.
Ero esausto.
Il profumo era fortissimo.
Mi volsi.
Un volto vuoto e nero, senza occhi, senza naso, con una lingua nera, mi stava fissando.
Mi sentivo svenire.
Guardai in basso, per non incontrare quello sguardo nero, e lessi una targhetta, sbiadita, sulla camicetta grigia e logora.
Diceva: "Elena V."
Elena?
La mia mente torno indietro di venti anni: Elena, la segreteria che era scomparsa nel nulla dopo una riunione all'ottavo piano.
Elena, la segretaria che, i più maligni, dicevano avesse fatto carriera con mezzi sessuali.
Non era vero niente.
Era stata infangata.
E lei era scomparsa.
"Elena" sussurrai.
Il suo esile braccio fluttuò alla mia destra, indicò la finestrella.
Quel profumo era davvero forte.
Mi stava stordendo.
Dovevo andare via.
Scesi le scale nel silenzio più totale, Elena era sempre dietro, scendeva senza i piedi, il braccio alzato con il dito puntato.
Ed ero sempre al settimo piano!
Basta!
Non potevo stare in questa prigione irreale per sempre.
Stavo sognando?
Mi fermai.
Alla finestrella.
La sagoma di Elena stava arrivando, volteggiava silenziosa, oltre il suo esile corpo, vidi la targhetta del piano: 7.
Basta.
Questo incubo doveva finire.
Ovunque fossi, chiunque avesse ideato questa follia, ammesso fosse stata creata o non fosse mai esistita, c'era una cosa che, seppure terrorizzante, mi permetteva una via di fuga.
La finestrella.
Ci passavo.
Guardai giù: asfalto e tre bidoni della spazzatura.
Una fine, un nuovo inizio, un cambiamento.
La mano si Elena mi tenne fermo.
Era fredda, scheletrica, esile ma potente.
"Lasciami andare!"
Il volto nero sorrise, le orbite nere divennero ancora più scure, lei passo oltre di me, mi trapassò.
Sussultai.
Chiusi gli occhi.
Li riaprii.
Guardai sopra le scale.
Il numero color oro segnava 1!
Ero libero!
Avevo sognato, solo un brutto sogno.
Non sentivo più alcun profumo, nessun turgore tra le gambe, ero libero di tornare alla realtà, ammesso ne fossi mai andato al di là.
Scesi ancora le scale, adesso sentivo il mormorio dei colleghi al piano terra.
Ero arrivato.
Aprii la porta.
Il salone d'ingresso era luminoso, il vociare divenne un lieve brusìo, poi il silenzio.
Mi stavano guardando tutti.
Il direttore mi venne in contro, era elegante, austero ma sorridente.
Lo conoscevo da tanto, io ero un impiegato, non avevamo confidenza, ma sapevo che mi aveva sempre apprezzato.
"Signorina Elena, la attendiamo alla riunione, questa sera" disse.
FINE
Salutai i miei due colleghi, uscii dall'ufficio, e mi accadde qualcosa di inaspettato; mentre attendevo l'ascensore, una ragazza mi passò velocemente a fianco, una sagoma indefinita e profumata.
Provai quasi vergogna nel sentire il rigonfiamento nei miei slip, fu una reazione ancestrale, un turgore immediato e potente.
Quel profumo...
Dove si era diretta?
L'ascensore era ancora fermo, probabilmente altri impiegati stavano salendo ai piani superiori.
Avrei preso le scale, seguito quella ragazza, ero sicuro che fosse andata verso la tromba delle scale.
Aprii la porta in cemento e vetro, le mie raffinate narici captarono l'aroma di quella ragazza, la rampa di scale era silenziosa.
Ero al settimo piano.
Sopra silenzio, sotto silenzio.
Aveva già percorso sette piani?
Quel profumo...il mio pene si ingrossò, faceva quasi male.
Scesi il primo scalino, mi volsi: il numero 7 del piano era di un elegante colore oro, su sfondo rosso; non lo avevo mai notato, appeso al muro, anche perché non avevo mai usato le scale.
Nessuno le usava: erano vecchie, calde d'estate e fredde d'inverno.
Scesi la prima rampa, quel profumo era molto intenso.
Ma dove era la ragazza?
Una finestra, a metà rampa, si affacciava sul cortile interno dell'edificio.
Guardai giù: un pavimento in cemento, tre bidoni della spazzatura, il classico cortile abbandonato.
Scesi l'altra metà di scale, ero al sesto piano.
Guardai il numero: sul muro la cifra color oro segnava il piano.
Aggrottai la fronte: segnava 7.
Sorrisi, un ufficio di contabilità che non sapeva contare!
Scesi, la scala era davvero deserta, silenziosa, ma permanenza sempre quel profumo, ed anche la mia erezione.
A metà rividi la finestrella, il medesimo cortile abbandonato.
Scesi di un ulteriore piano.
Deglutii.
Il numero segnava ancora 7.
Avrei dovuto essere al quinto piano, non al settimo.
Mi iniziai a sentire agitato, scesi nuovamente ed a metà tragitto guardai quella finestrella sul cortile.
Ad occhio, l'altezza da terra non era variata!
Era come fossi ancora al settimo piano!
Dovevo andare via, il profumo della ragazza iniziava a disturbarmi, il mio pene era talmente gonfio da dolermi.
Arrivato al piano, non feci più neppure caso che ci fosse scritto sette anziché quattro, presi la maniglia della porta e feci per aprirla.
Bloccata.
Presi fiato, decisi di salire, a grandi falcate percorsi tre piani, secondo la logica avrei dovuto essere al punto di partenza.
La porta era chiusa.
Ero bloccato.
Quel profumo era fortissimo.
Dove era la ragazza?
Il cuore iniziò a battermi.
Dove era la sagoma di quella ragazza?
Corsi verso l'alto, all'ottavo piano c'era un altro passaggio, quello dei capi ufficio, sarei passato di là.
Il piano era contrassegnato col numero 7, non con l'8.
Che stava succedendo?
"Aiuto!" gridai.
Il profumo aumentò.
Il pene mi stava scoppiando.
La ragazza mi passò accanto, era molto esile, aveva i capelli neri e lunghi, scendeva le scale, aveva delle gambe snelle...un brivido mi percorse la spina dorsale.
Non aveva i piedi.
Fluttuava.
Volevo solo andare via di lì.
Salii con la paura che quella sagoma mi seguisse, feci tanti piani a piedi, verso l'alto, ma ero sempre al settimo piano.
Ero esausto.
Il profumo era fortissimo.
Mi volsi.
Un volto vuoto e nero, senza occhi, senza naso, con una lingua nera, mi stava fissando.
Mi sentivo svenire.
Guardai in basso, per non incontrare quello sguardo nero, e lessi una targhetta, sbiadita, sulla camicetta grigia e logora.
Diceva: "Elena V."
Elena?
La mia mente torno indietro di venti anni: Elena, la segreteria che era scomparsa nel nulla dopo una riunione all'ottavo piano.
Elena, la segretaria che, i più maligni, dicevano avesse fatto carriera con mezzi sessuali.
Non era vero niente.
Era stata infangata.
E lei era scomparsa.
"Elena" sussurrai.
Il suo esile braccio fluttuò alla mia destra, indicò la finestrella.
Quel profumo era davvero forte.
Mi stava stordendo.
Dovevo andare via.
Scesi le scale nel silenzio più totale, Elena era sempre dietro, scendeva senza i piedi, il braccio alzato con il dito puntato.
Ed ero sempre al settimo piano!
Basta!
Non potevo stare in questa prigione irreale per sempre.
Stavo sognando?
Mi fermai.
Alla finestrella.
La sagoma di Elena stava arrivando, volteggiava silenziosa, oltre il suo esile corpo, vidi la targhetta del piano: 7.
Basta.
Questo incubo doveva finire.
Ovunque fossi, chiunque avesse ideato questa follia, ammesso fosse stata creata o non fosse mai esistita, c'era una cosa che, seppure terrorizzante, mi permetteva una via di fuga.
La finestrella.
Ci passavo.
Guardai giù: asfalto e tre bidoni della spazzatura.
Una fine, un nuovo inizio, un cambiamento.
La mano si Elena mi tenne fermo.
Era fredda, scheletrica, esile ma potente.
"Lasciami andare!"
Il volto nero sorrise, le orbite nere divennero ancora più scure, lei passo oltre di me, mi trapassò.
Sussultai.
Chiusi gli occhi.
Li riaprii.
Guardai sopra le scale.
Il numero color oro segnava 1!
Ero libero!
Avevo sognato, solo un brutto sogno.
Non sentivo più alcun profumo, nessun turgore tra le gambe, ero libero di tornare alla realtà, ammesso ne fossi mai andato al di là.
Scesi ancora le scale, adesso sentivo il mormorio dei colleghi al piano terra.
Ero arrivato.
Aprii la porta.
Il salone d'ingresso era luminoso, il vociare divenne un lieve brusìo, poi il silenzio.
Mi stavano guardando tutti.
Il direttore mi venne in contro, era elegante, austero ma sorridente.
Lo conoscevo da tanto, io ero un impiegato, non avevamo confidenza, ma sapevo che mi aveva sempre apprezzato.
"Signorina Elena, la attendiamo alla riunione, questa sera" disse.
FINE
1
3
voti
voti
valutazione
7.2
7.2
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Conceptionracconto sucessivo
Il 18mo di Fabio - terza parte
Commenti dei lettori al racconto erotico