Senza titolo

di
genere
etero

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New York era una fogna. Una giungla di cemento e carne marcia, e lei era il fiore putrido che cresceva al centro. Claudia. Cristo santo, che pezzo di figa. Non era solo bella, era una cazzo di opera d'arte. Ma non quella roba da museo, no. Era un quadro sporco, dipinto con i colori della lussuria e del peccato. Gli occhi di un verde velenoso, le labbra rosse come un bicchiere di vino versato male. E io, stronzo, ci cascai subito.
La trovai in uno di quei bar del cazzo che si nascondono nelle viscere della città, dove il fumo ti entra nei polmoni e non esce più, dove il whisky è più annacquato delle mie speranze. Stava lì, appoggiata al bancone, con quel corpo che urlava *scopami* in ogni maledetto dettaglio. Il vestito nero le stringeva il culo come un guanto, e i suoi seni erano una provocazione che avresti voluto mordere subito. Mi avvicinai, perché cazzo, che altro dovevo fare? La vita è una merda, ma certe cose te le devi prendere.
Non le dissi un cazzo. Lei mi guardò, con quegli occhi che promettevano tutto e niente, e io decisi che la volevo, lì, subito. Non c’era un cazzo da aggiungere. La portai fuori dal bar, e quella notte puzzolente di New York ci inghiottì. I suoi tacchi facevano un rumore secco contro l’asfalto, e io non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. Volevo spogliarla subito, lì per strada, ma mi trattenni, solo per godermi meglio il momento.
Arrivati nel mio appartamento, un buco di merda con il pavimento sporco e i muri più sottili della carta igienica, la buttai contro la porta, strappandole quel vestito di dosso. Lei non disse niente, solo un sorrisetto malizioso. Le mani mi tremavano mentre le slacciavo il reggiseno. Quando finalmente fu nuda, la guardai come un bastardo affamato guarda l’ultimo pezzo di carne.
Claudia era tutta curve e pelle, un corpo fatto per peccare. La sua figa brillava tra le gambe, e io non vedevo l'ora di affondare in quella carne umida. La posai sul letto, se così si poteva chiamare quella merda di materasso, e mi ci tuffai sopra di lei, come un cane che non vede l'ora di accoppiarsi. Le sue gambe si aprirono, e la sua figa mi accolse con un calore che mi fece perdere la testa.
Non c'era dolcezza, non c'era cazzo di romanticismo. Solo i nostri corpi che si scontravano, come se ci odiassimo e amassimo allo stesso tempo. Lei gemeva, e quei gemiti mi facevano impazzire. Le sue mani mi afferravano, le unghie mi graffiavano la schiena, e ogni volta che spingevo più forte, sentivo il piacere crescere come una bomba pronta a esplodere. Le sue tette rimbalzavano sotto i miei colpi, e io non riuscivo a togliermi dalla testa quanto fosse perfetta per essere scopata.
Quando venni, lo feci con un grido che quasi mi strappò la gola. Sentii Claudia stringersi attorno a me, le sue gambe mi avvolsero con una forza che mi tolse il fiato. Rimanemmo così, sudati, esausti, come due animali che hanno appena finito di accoppiarsi. Non c’era poesia, solo due corpi che si erano presi tutto l’uno dall’altro.
Lei mi guardò con quel suo sorrisetto, come a dire *bravo, hai fatto il tuo dovere*. Io accesi una sigaretta e mi distesi accanto a lei, guardando il soffitto lurido sopra di noi. La stanza puzzava di sesso e di vita sprecata, ma in quel momento, non mi fregava un cazzo. Lei si addormentò, e io rimasi a guardarla, domandandomi quanto tempo ci sarebbe voluto prima che tutto questo finisse in merda, come al solito.
Ma cazzo, in quel momento andava bene così. La notte era ancora giovane, e l'alba, per quanto ne sapevo, poteva anche andare a farsi fottere.
scritto il
2024-08-12
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