Prendimi la versione di Camilla

di
genere
dominazione

Mi trovavo lì, ai suoi piedi, come una creatura abbandonata, spogliata di ogni dignità e ogni pretesa di pudore. Il freddo del pavimento mi risaliva dalle ginocchia alle cosce, ma non mi muovevo. Il mio corpo era paralizzato, non dalla paura, ma da una sorta di eccitazione primordiale che mi teneva inchiodata in quella posizione di sottomissione. Sara mi guardava dall'alto con quel sorriso che non lasciava dubbi sulle sue intenzioni.
Mi aveva già spogliata del poco che mi era rimasto: non solo dei vestiti, che ora giacevano sparsi sul pavimento come scarti inutili, ma anche di ogni traccia di volontà. Mi aveva trasformata in uno strumento, una cosa. E io accettavo quel ruolo, lo desideravo, persino, con una forza che non avrei mai potuto immaginare prima. Lei mi aveva insegnato cosa significava cedere, abbandonare ogni resistenza e lasciarsi guidare, come un giocattolo nelle mani del suo padrone.
"Guardami," mi ordinò, e io alzai lo sguardo verso di lei. I suoi occhi brillavano di un piacere oscuro, il piacere di chi sa di avere il controllo totale su un altro essere umano. Mi sentivo come se fossi in bilico sull'orlo di un abisso, pronta a cadere senza sapere dove sarei finita. Ero terrorizzata e affascinata allo stesso tempo.
Sara si sedette su una poltrona davanti a me, lasciando che il suo sguardo percorresse lentamente ogni centimetro del mio corpo esposto. Le sue mani si mossero con lentezza, carezzando le proprie cosce come se volesse assaporare ogni momento prima di agire. La tensione nella stanza era insostenibile, e io sentivo il mio cuore battere così forte che sembrava voler sfondare il petto.
"Avvicinati," mi disse con voce bassa e autoritaria, e io obbedii immediatamente. Mi trascinai sulle ginocchia fino ai suoi piedi, sentendo il peso del mio corpo farsi più leggero man mano che mi avvicinavo. Non ero più io stessa, non in quel momento. Ero diventata un'estensione dei suoi desideri, uno specchio della sua volontà.
Le sue mani afferrarono i miei capelli e mi tirò indietro la testa, costringendomi a guardarla negli occhi. Il dolore era acuto, ma in qualche modo piacevole, come se mi ricordasse il mio ruolo, il mio posto. Sentivo il suo respiro sul mio viso, e la sua bocca si avvicinava lentamente, come se volesse assaporare ogni secondo di quella tensione.
"Sei mia," mi sussurrò, e quelle parole erano come una sentenza irrevocabile. Non c'era più ritorno. Le sue mani mi lasciarono i capelli e scivolarono lungo il mio corpo, esplorando ogni curva, ogni piega della mia pelle con una lentezza che mi faceva impazzire. Ogni tocco era una dichiarazione di possesso, una rivendicazione del mio corpo che mi lasciava senza respiro.
Mi prese con una forza che non lasciava spazio alla dolcezza. Il mio corpo tremava sotto le sue mani, ma non c'era spazio per la resistenza. Ogni parte di me era completamente sua, e ogni gesto, ogni movimento era finalizzato a ricordarmi quanto fossi impotente sotto il suo controllo.
Le sue dita mi penetrarono con una brutalità quasi calcolata, spingendomi oltre il limite del piacere e del dolore. Mi faceva gemere, urlare persino, ma non smetteva mai. Ogni suono che mi usciva dalla gola sembrava rafforzare il suo potere su di me, alimentando il suo piacere. Mi teneva inchiodata in quel limbo di estasi e tormento, facendomi sentire come se il mio stesso corpo fosse una prigione da cui non avrei mai potuto fuggire.
Le sue mani continuarono a muoversi, implacabili, facendomi oscillare tra momenti di piacere violento e attimi di resa totale. Ero completamente persa in quella spirale, incapace di distinguere dove finisse il dolore e dove cominciasse il piacere. Ogni fibra del mio essere si contrasse sotto il suo tocco, ogni muscolo teso, pronto a spezzarsi sotto il peso di quel desiderio che mi stava consumando dall'interno.
Quando finalmente mi concesse l'orgasmo, fu come un'esplosione che mi frantumò completamente. Il mio corpo si piegò sotto la forza di quella liberazione, ma Sara non si fermò. Continuò a spingere, a tormentarmi, fino a quando il piacere divenne insostenibile, quasi doloroso, e mi sentii scivolare oltre ogni confine conosciuto.
Mi lasciò lì, sul pavimento, esausta e vuota, il corpo ancora scosso dai tremori del piacere. La guardai, con gli occhi appannati, mentre si rialzava lentamente, soddisfatta. Non c'erano parole tra di noi, non c'era bisogno. Aveva ottenuto ciò che voleva, e io le avevo dato tutto.
scritto il
2024-08-17
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