Sodomia brutale

di
genere
dominazione

Ero ancora ubriaco quando aprii gli occhi. La stanza girava, o forse era la mia testa. Non sapevo più distinguere. Il pavimento era un tappeto di bottiglie vuote, mozziconi di sigarette e pezzi di vestiti strappati. L'odore di sesso era talmente denso che potevi quasi masticarlo. Accanto a me, c'era lei, distesa a faccia in giù, il culo nudo ancora sollevato, come se stesse aspettando altro.
Il suo nome non lo ricordavo, ma non era importante. Quello che contava era che era lì, e che mi aveva dato tutto senza nemmeno chiedere. Aveva la pelle piena di segni, lividi e graffi, il risultato di una notte che era stata meno una scopata e più una guerra. E io l’avevo vinta.
Mi alzai dal letto, il cazzo ancora mezzo duro, e andai verso di lei. Il suo corpo era lì, pronto, usato, ma ancora disposto a darmi altro. Tirai su una bottiglia vuota dal pavimento e la lanciai contro il muro, tanto per svegliarmi un po’. Il rumore la fece sobbalzare, ma non si mosse. Restò lì, a quattro zampe, il culo in alto, le gambe aperte come se stesse ancora aspettando la mia prossima mossa.
Mi avvicinai e le diedi uno schiaffo sulla chiappa. “Ehi, puttana, sei sveglia?” grugnì, mentre la mia mano lasciava un’impronta rossa sulla sua pelle pallida. Lei fece solo un piccolo gemito, un suono strozzato che veniva da qualcuno che aveva già capito come andavano le cose. Non c’era bisogno di parlare, e lei lo sapeva.
Le presi i capelli, tirandoli indietro fino a farle sollevare la testa. Il suo viso era un disastro: mascara colato, labbra gonfie e screpolate. Ma i suoi occhi erano aperti, fissi su di me con una sorta di disperazione che mi fece sorridere.
Mi abbassai e la spinsi con forza sul materasso, il mio cazzo che premeva contro il suo culo ancora bagnato. Non c’era niente di delicato in quello che stavo per fare. Lei lo sapeva, lo sapevo io, e forse era proprio quello che voleva. Senza dire una parola, le allargai le gambe e la presi di nuovo, questa volta puntando dritto al suo buco stretto e vergognoso.
Non c’era lubrificante, non c’era niente, solo il suono della mia saliva sputata tra le sue chiappe e il mio cazzo che la penetrava con una forza brutale. Lei urlò, un suono che rimbalzò tra le pareti sporche della stanza, ma io non mi fermai. Anzi, la presi più forte, godendo della sua sofferenza, del modo in cui il suo corpo si contorceva sotto di me.
Ogni spinta era un atto di dominazione, di possesso, e più lei si dimenava, più io godevo. La sua pelle sudata scivolava sotto le mie mani, e la stanza si riempì del suono umido e osceno dei nostri corpi che si scontravano. Il dolore nei suoi gemiti mi eccitava, mi spingeva a spingerla ancora più lontano, a portarla al limite di ciò che poteva sopportare.
Alla fine, non era più un atto di piacere. Era una punizione. Per cosa, non lo sapevo, e non mi interessava. La sua bocca era aperta, ma non usciva più nessun suono. I suoi occhi erano vitrei, persi in un mare di dolore e sottomissione. Era diventata solo carne, un oggetto tra le mie mani, e io l’avevo ridotta così.
Venni con un grugnito animalesco, riempiendo il suo culo del mio seme. Rimasi lì, sopra di lei, il mio corpo che tremava mentre il suo restava immobile. Non c’era niente di umano in quel momento, solo due bestie, una che aveva vinto e l’altra che aveva perso. La lasciai lì, distrutta e umiliata, mentre andavo a cercare un'altra bottiglia di whisky.

Non c’era redenzione in quella stanza. Solo oscenità, perversione, e una solitudine che mi avvolgeva come una coperta fredda. Sapevo che la prossima volta sarebbe stato lo stesso, forse peggio. Ma quella era la mia vita, e non c’era niente altro da aspettarsi
scritto il
2024-08-12
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