Marie
di
AngelicaBella
genere
dominazione
Il bar era un cazzo di buco nell'asfalto della città, il posto perfetto per perdere l'anima o almeno affogarla nell'alcol abbastanza da non sentirne più il peso. Seduto all'angolo, il bicchiere di whisky che mi bruciava la gola come acido, la vedevo da lì, Marie. Aveva già uno di quegli sguardi che gridavano guai. E io, come il fottuto idiota che sono, ci sguazzavo nei guai. Le gambe accavallate, la gonna troppo corta per essere indossata da una donna rispettabile. Ma chi cazzo cercava rispetto lì dentro?
Mi alzai, il bicchiere ancora in mano, e mi avvicinai. Le luci basse nascondevano il peggio del posto, ma non abbastanza da non sentire la puzza di piscio e alcol stantio. Lei mi guardò arrivare, una sigaretta tra le labbra rosse. “Che cazzo vuoi?” chiese, come se mi avesse letto nel pensiero.
“Te lo faccio vedere io cosa voglio,” risposi. Non c’era spazio per gentilezze, e a lei non interessavano. Non era qui per chiacchierare.
Prima che potesse rispondere, la presi per il braccio e la trascinai verso il retro del bar. Nessuno disse niente. In quel posto, ognuno si faceva gli affari propri o finiva nei guai. Lei non fece resistenza, mi seguì come se sapesse già dove andavamo a finire.
Nel vicolo dietro il bar, l’odore di immondizia e piscio era ancora più forte, ma non importava. La sbattei contro il muro, le mani che si infilavano sotto la gonna, scoprendo le sue mutandine striminzite. Marie non era il tipo che indossava roba carina; indossava quello che era facile da togliere.
“Vuoi giocare sporco, bastardo?” mi sibilò, ma c’era un sorriso pericoloso sulle sue labbra. Mi afferrò per la cintura e me la strappò di dosso, le mani che si muovevano veloci, esperte. Sentivo il mio cazzo crescere nella sua mano, duro e pulsante, ma non era abbastanza. Marie voleva di più. E anche io.
La girai, la faccia schiacciata contro il muro di mattoni ruvidi, e le strappai le mutandine. Non c’era nessuna dolcezza, nessun cazzo di romanticismo in quello che stavo per fare. Lei lo sapeva, e lo voleva così. La mia mano scivolò tra le sue cosce, trovandola già bagnata, pronta. Ma io volevo di più. Le separai le gambe e mi chinai per far scivolare la lingua tra le sue chiappe, sentendo il suo corpo tremare al contatto.
“Figlio di puttana,” sibilò tra i denti, ma c’era piacere nella sua voce, una perversione che mi accendeva ancora di più.
Mi alzai di scatto, affondando le dita nel suo culo, allargando quel buco stretto mentre lei cercava di trattenere un gemito. Sapevo che lo voleva, sapevo che cercava qualcosa che nessun altro le aveva mai dato, e io ero lì per darglielo. Senza pietà, senza esitazione, le affondai dentro con un colpo secco, la mia mano che le teneva la testa premuta contro il muro.
Marie urlò, un suono che era metà piacere e metà dolore, ma non si tirò indietro. Anzi, spinse il culo contro di me, cercando di prendere di più, di sentirsi riempita fino al limite. Ogni spinta era una dichiarazione di guerra, un grido che sfidava la decenza, la morale, tutto quello che poteva sembrare normale o accettabile.
Non ci fu tregua, nessuna pausa. Spingevo più forte, più in profondità, mentre lei ansimava e gemeva, il suo corpo che si tendeva sotto di me, ma senza mai arrendersi. Era una battaglia di volontà, di pura lussuria animalesca, e io non volevo perderla.
Le mie mani si serravano intorno ai suoi fianchi, la mia bocca che trovava il suo collo, mordendolo con forza, mentre il ritmo diventava sempre più frenetico, più disperato. Marie urlava il mio nome, non come una supplica, ma come una sfida, mentre il mio cazzo la riempiva, forzando ogni limite.
Alla fine, quando non potevo più trattenere il piacere che montava, esplosi dentro di lei, con un grugnito che sembrava venire dalle viscere della terra. Marie si irrigidì, il suo corpo che si tese in un’estasi che la lasciò senza fiato, ma ancora insaziabile.
Rimasi lì, ansimante, il mio corpo ancora premuto contro il suo, il sudore che ci univa, mentre lei si lasciava andare, finalmente esausta. Mi ritirai lentamente, guardandola mentre si aggiustava i vestiti con mani tremanti. Non disse una parola, non c’era bisogno.
Marie mi guardò un'ultima volta, con quegli occhi verdi pieni di fuoco, prima di allontanarsi nel buio, lasciandomi lì, nel vicolo, con la sensazione di aver appena fatto un patto con il diavolo. Un patto che, sapevo, avrei fatto ancora e ancora, finché uno di noi due non fosse finito all’inferno.
E forse, dopotutto, c’era già.
Mi alzai, il bicchiere ancora in mano, e mi avvicinai. Le luci basse nascondevano il peggio del posto, ma non abbastanza da non sentire la puzza di piscio e alcol stantio. Lei mi guardò arrivare, una sigaretta tra le labbra rosse. “Che cazzo vuoi?” chiese, come se mi avesse letto nel pensiero.
“Te lo faccio vedere io cosa voglio,” risposi. Non c’era spazio per gentilezze, e a lei non interessavano. Non era qui per chiacchierare.
Prima che potesse rispondere, la presi per il braccio e la trascinai verso il retro del bar. Nessuno disse niente. In quel posto, ognuno si faceva gli affari propri o finiva nei guai. Lei non fece resistenza, mi seguì come se sapesse già dove andavamo a finire.
Nel vicolo dietro il bar, l’odore di immondizia e piscio era ancora più forte, ma non importava. La sbattei contro il muro, le mani che si infilavano sotto la gonna, scoprendo le sue mutandine striminzite. Marie non era il tipo che indossava roba carina; indossava quello che era facile da togliere.
“Vuoi giocare sporco, bastardo?” mi sibilò, ma c’era un sorriso pericoloso sulle sue labbra. Mi afferrò per la cintura e me la strappò di dosso, le mani che si muovevano veloci, esperte. Sentivo il mio cazzo crescere nella sua mano, duro e pulsante, ma non era abbastanza. Marie voleva di più. E anche io.
La girai, la faccia schiacciata contro il muro di mattoni ruvidi, e le strappai le mutandine. Non c’era nessuna dolcezza, nessun cazzo di romanticismo in quello che stavo per fare. Lei lo sapeva, e lo voleva così. La mia mano scivolò tra le sue cosce, trovandola già bagnata, pronta. Ma io volevo di più. Le separai le gambe e mi chinai per far scivolare la lingua tra le sue chiappe, sentendo il suo corpo tremare al contatto.
“Figlio di puttana,” sibilò tra i denti, ma c’era piacere nella sua voce, una perversione che mi accendeva ancora di più.
Mi alzai di scatto, affondando le dita nel suo culo, allargando quel buco stretto mentre lei cercava di trattenere un gemito. Sapevo che lo voleva, sapevo che cercava qualcosa che nessun altro le aveva mai dato, e io ero lì per darglielo. Senza pietà, senza esitazione, le affondai dentro con un colpo secco, la mia mano che le teneva la testa premuta contro il muro.
Marie urlò, un suono che era metà piacere e metà dolore, ma non si tirò indietro. Anzi, spinse il culo contro di me, cercando di prendere di più, di sentirsi riempita fino al limite. Ogni spinta era una dichiarazione di guerra, un grido che sfidava la decenza, la morale, tutto quello che poteva sembrare normale o accettabile.
Non ci fu tregua, nessuna pausa. Spingevo più forte, più in profondità, mentre lei ansimava e gemeva, il suo corpo che si tendeva sotto di me, ma senza mai arrendersi. Era una battaglia di volontà, di pura lussuria animalesca, e io non volevo perderla.
Le mie mani si serravano intorno ai suoi fianchi, la mia bocca che trovava il suo collo, mordendolo con forza, mentre il ritmo diventava sempre più frenetico, più disperato. Marie urlava il mio nome, non come una supplica, ma come una sfida, mentre il mio cazzo la riempiva, forzando ogni limite.
Alla fine, quando non potevo più trattenere il piacere che montava, esplosi dentro di lei, con un grugnito che sembrava venire dalle viscere della terra. Marie si irrigidì, il suo corpo che si tese in un’estasi che la lasciò senza fiato, ma ancora insaziabile.
Rimasi lì, ansimante, il mio corpo ancora premuto contro il suo, il sudore che ci univa, mentre lei si lasciava andare, finalmente esausta. Mi ritirai lentamente, guardandola mentre si aggiustava i vestiti con mani tremanti. Non disse una parola, non c’era bisogno.
Marie mi guardò un'ultima volta, con quegli occhi verdi pieni di fuoco, prima di allontanarsi nel buio, lasciandomi lì, nel vicolo, con la sensazione di aver appena fatto un patto con il diavolo. Un patto che, sapevo, avrei fatto ancora e ancora, finché uno di noi due non fosse finito all’inferno.
E forse, dopotutto, c’era già.
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