I miei vicini
di
AngelicaBella
genere
trio
Il sole batteva impietosamente sul balcone, e il caldo sembrava fondere ogni cosa. Mi ero lasciata cadere su una sedia, annoiata e affaticata da quella luce violenta. I gerani boccheggiavano nell’angolo, e io osservavo il lento scorrere delle ore, aspettando che la sera portasse con sé un po’ di tregua. È in questi momenti, in queste pieghe del tempo, che accadono le cose più imprevedibili.
Fu allora che Marco apparve. Lo avevo visto mille volte, ma quel giorno la sua figura sembrava emergere dal sole come una visione, un’apparizione. Usciva dalla doccia, e il suo corpo, ancora lucido e fresco, era avvolto solo da un asciugamano bianco che pendeva languido sui fianchi. Era un quadro perfetto: il corpo di un uomo vigoroso, forte, e ciò che quell’asciugamano tentava di celare era visibile, evidente, magnifico. Mi parve quasi che il sole si riflettesse su di lui con una malizia particolare, quasi beffarda, come se il giorno stesso volesse rendere omaggio a quella presenza.
Non potei fare a meno di ridere tra me e me. La visione era troppo assurda e, al tempo stesso, troppo affascinante. Era come un gioco, una provocazione del destino. Gli occhi mi si incollarono su di lui, e per un istante pensai che forse Marco sapesse di essere osservato. Forse anche lui si godeva quella piccola esibizione, inconsapevole o no, poco importava. Il suo rigonfiamento era come un’opera d’arte che il caso aveva voluto mettere in mostra quel giorno. Poi l’asciugamano cadde e apparve quello che avevo immaginato. Esagerato e imponente.
La mia mente iniziò a viaggiare, e il caldo non aiutava. E se non fosse caduto per sbaglio? Pensai alla sua pelle contro la mia, il profumo della sua doccia che si mescolava al mio respiro affannoso. Ma no, era solo un pensiero, un’immagine fugace come un sogno di mezza estate. Tuttavia, una parte di me rimase intrappolata in quella fantasia, come se l’idea avesse piantato radici dentro di me, pronte a germogliare al primo soffio d’aria fresca.
E poi c’era Michela. Michela, che di tutto questo sembrava sempre essere al di sopra, indifferente eppure partecipe di una saggezza antica. Lei conosceva il gioco, lo aveva già giocato molte volte. Era la padrona della scena, non c’erano dubbi. Ci incontravamo spesso, ridevamo insieme, parlavamo di tutto e di niente, ma con lei tutto sembrava carico di un erotico nascosto, come se il semplice atto di versare del vino fosse una danza, un invito. Ogni movimento che faceva era come un passo studiato in un balletto seducente.
Una sera, il caldo ci avvolgeva come un mantello pesante, e avevamo già bevuto abbastanza vino per essere sciolte, rilassate, e un po’ audaci. Michela si voltò verso di me con quel suo sorrisetto malizioso che sembrava sempre sapere più di quanto dicesse. "Dimmi," chiese, con la voce morbida, "hai mai notato quanto è ben dotato Marco?"
Risi, forse più del dovuto, ma quella risata nascondeva qualcosa di vero. "Come potrei non notarlo?" risposi, con un’alzata di spalle. "È difficile non accorgersene."
Michela rise anche lei, ma nei suoi occhi c'era una scintilla.
"Beata te," le dissi, forse più per scherzo che per altro.
Ma Michela mi guardò con uno sguardo che parlava più delle parole stesse. Poi, con un gesto teatrale, si alzò in piedi e chiamò Marco.
"Marco, vieni qui," disse con una leggerezza che contrastava con l’intensità del momento.
Mi ritrovai improvvisamente a trattenere il respiro. Che cosa stava succedendo? Era un gioco? Una provocazione? O Michela voleva davvero spingermi oltre i limiti del decoro?
Marco apparve sulla soglia, come una figura mitologica evocata da un incantesimo. Il suo corpo riempì la stanza, e per un istante tutto si fermò. Michela si avvicinò a lui e, senza esitazione, disse: "Sara ha notato la tua dote, caro. Le ho detto che, se volesse, potrebbe anche provarla."
Ci fu un momento di silenzio totale. E poi, una risata. Prima la mia, nervosa, e subito dopo quella di Marco, profonda e risonante. Michela sorrise con quell’aria di chi ha appena compiuto un piccolo miracolo, un atto magico. Non c’era imbarazzo nella stanza, solo un calore crescente, una tensione che aleggiava leggera come una brezza.
Marco si avvicinò a me, i suoi occhi scintillanti di un divertimento complice. Sentii il calore del suo corpo vicino al mio, il suo odore ancora fresco di sapone e qualcosa di più profondo, più animale. Avrei potuto dire qualcosa, rompere l'incanto. Ma non lo feci. Rimasi lì, sospesa, a guardare il gioco svolgersi. E in quel momento capii che Michela non scherzava. Stava semplicemente aprendo una porta su un mondo di possibilità.
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