Due solitudini

di
genere
etero

1.
Sergio Manfredi si era svegliato con la solita bocca impastata di vino e rimpianti. Non aveva nessun motivo per alzarsi, ma restare a letto lo faceva sentire come un cadavere che non aveva ancora il coraggio di marcire. Il soffitto dell'appartamento, una macchia gialla di umidità che si allargava sempre di più, gli ricordava la sua vita: un disastro che avanzava senza fretta, ma senza sosta.
Si tirò su dal letto, in mutande, e si trascinò fino al bagno. Lo specchio era incrinato, come tutto il resto. Guardò la sua faccia: barba incolta, occhi infossati, capelli ormai più grigi che neri. “*Cristo,” pensò, “sono un rottame”. Si lavò il viso con l'acqua fredda, sperando che quel gelo gli riportasse un po' di vita, o almeno la voglia di fingere che ce ne fosse ancora.
Mezz'ora dopo era già al Bar del Moro, il solito buco di Testaccio, un posto per vecchi disperati e giovani senza futuro. Si sedette al bancone e fece un cenno a Marcello, il barista. Marcello non aveva bisogno di chiedere, gli versò direttamente un bicchiere di rosso. Sergio lo prese e lo mandò giù in un sorso. “Meglio del caffè”, pensò, “e più onesto2.
Il bar era quasi vuoto a quell'ora, solo qualche cliente sparso: un paio di pensionati che si lamentavano del governo e una ragazza seduta in un angolo, sola. Aveva i capelli neri, un vestito corto e stretto, e fumava una sigaretta dietro l'altra. Sergio la notò solo di sfuggita, come si nota una ferita sul corpo di un altro: con un misto di indifferenza e curiosità.
“Un altro,” disse a Marcello, spingendo avanti il bicchiere vuoto. Il barista obbedì, senza dire una parola. La vita di Sergio era così: fatta di silenzi e gesti automatici, come un orologio rotto che continua a ticchettare anche se le lancette non si muovono più.
La porta del bar si aprì con uno stridio, ed entrò un gruppo di ragazzi rumorosi, probabilmente universitari in cerca di un posto economico dove ubriacarsi. Sergio li ignorò, come ignorava quasi tutto, finché uno di loro non si mise a ridere troppo forte. Allora alzò lo sguardo, infastidito, e fu in quel momento che incrociò gli occhi della ragazza. Lo guardava con uno sguardo che aveva visto mille volte, lo sguardo di chi è già a pezzi e cerca solo un altro pezzo con cui combaciare.
Lei si alzò, spense la sigaretta nel posacenere e si avvicinò al bancone. Si sedette accanto a Sergio senza chiedere il permesso, senza dire una parola. Chiese un bicchiere di vino anche lei, e Marcello glielo versò, dando un'occhiata rapida a Sergio come a dire: questa è tua?
“No,” disse Sergio, come se gli avessero letto nel pensiero. “Non è mia.”
La ragazza sorrise, un sorriso amaro, e lo guardò di nuovo. “Perché l’hai detto?” chiese.
“Perché non ti conosco,” rispose lui.
“E allora? Magari è meglio così.”
“Magari,” ammise Sergio, prendendo un altro sorso di vino. “Ma non ci credo.”
Restarono in silenzio per un po’, bevendo. Il gruppo di studenti continuava a ridere, ma per Sergio e la ragazza il mondo si era ristretto al bancone, ai loro bicchieri e a quel dialogo interrotto che sapeva già di disfatta.
“Sai,” disse lei, “è la prima volta che entro in questo bar.”
“Complimenti,” rispose Sergio, “non è un posto per gente per bene.”
“E chi ha detto che sono una brava persona?”
Lui la guardò meglio. Il vestito corto, il trucco sfatto, la cicatrice sul labbro. Non era una brava persona, ma chi lo era più ormai? Tutti avevano qualcosa di rotto dentro, e lei sembrava sapere come portarsi addosso i propri frammenti.
“Perché sei qui, allora?” chiese Sergio.
“Perché non c’era nessun altro posto dove andare,” rispose lei, come se fosse ovvio. “E tu? Sei uno di quei falliti che passano la vita qui dentro?”
“Esattamente,” disse Sergio, senza neanche un pizzico di vergogna. “Sono un fallito professionista.”
Lei sorrise di nuovo, un sorriso storto. “Allora siamo in due.”
E fu così che iniziarono. Non c’era stato bisogno di frasi fatte, di corteggiamenti inutili. Erano solo due persone alla deriva, che si erano incontrate per caso in un mare di indifferenza. Finirono il loro vino, ne ordinarono dell’altro, e poi uscirono dal bar insieme, come se fosse l’unica cosa sensata da fare.
Sergio la portò nel suo appartamento, un buco sporco e disordinato, ma lei non disse niente. Si tolse il vestito con la stessa naturalezza con cui si era tolta la sigaretta dalle labbra, e lui fece lo stesso con i suoi vestiti, buttandoli sul pavimento senza pensarci due volte. Si trovavano lì, nudi e vulnerabili, ma senza imbarazzo, senza aspettative.
Il sesso fu brutale, quasi meccanico. Non c’era amore, non c’era tenerezza. Solo bisogno, desiderio di annullarsi in qualcosa di più forte della solitudine. Sergio non era un amante gentile, e Claudia – così disse di chiamarsi – non sembrava cercare gentilezza. Si muovevano insieme come due animali, graffiandosi, mordendosi, cercando di dimenticare chi fossero, anche solo per qualche istante.
Dopo, rimasero sdraiati nel letto sfatto, senza dire niente. L’unico suono era il respiro affannato di entrambi e il rumore del traffico lontano, giù per le strade di Roma. Sergio accese una sigaretta e gliela passò. Lei la prese, fumando in silenzio, mentre fissava il soffitto.
“Domani sarà tutto uguale,” disse lei, senza voltarsi verso di lui.
“Lo so,” rispose Sergio. “Ma almeno stanotte è diversa.”
“Diversa come?”
“Diversa perché non sono solo.”
Lei soffiò fuori il fumo e annuì lentamente. “Sì, forse hai ragione.”
E così, senza bisogno di altre parole, si addormentarono l’uno accanto all’altra, come due sopravvissuti in un mondo che non perdona, ma che ogni tanto concede un momento di tregua.

2.
Era notte fonda quando Sergio si svegliò, il corpo ancora caldo sotto le coperte, ma con una tensione crescente che non poteva ignorare. La stanza era immersa nell'oscurità, illuminata solo dalla flebile luce della strada che filtrava attraverso le tende sporche. Sentiva il respiro lento e regolare di Claudia accanto a lui, un suono che avrebbe dovuto calmargli i nervi, ma invece lo eccitava ancora di più.
Sentì il suo cazzo duro come il ferro, una sensazione che ormai conosceva fin troppo bene: un misto di bisogno e disperazione, di fame e solitudine. Si girò lentamente, avvicinandosi a lei. Claudia era lì, distesa sul fianco, con la schiena rivolta verso di lui, il corpo nudo che emanava un calore sottile, invitante. Non poteva fare a meno di ammirare le sue curve, la pelle liscia, il contrasto tra la delicatezza delle sue forme e la durezza della cicatrice sul labbro.
Senza pensarci troppo, mosso da un impulso quasi animalesco, Sergio si avvicinò di più, sentendo il suo cazzo sfiorare la pelle di Claudia. Il contatto era elettrizzante, come una scossa che gli attraversava tutto il corpo. Strusciò il suo membro contro di lei, godendo di ogni millimetro di quel contatto, della morbidezza che lo accoglieva.
Claudia si mosse leggermente, come se il suo corpo rispondesse prima ancora che la sua mente fosse del tutto sveglia. Sergio continuò a strofinarsi contro di lei, più forte ora, e sentì la sua eccitazione crescere a dismisura. La ragazza si svegliò lentamente, girando la testa verso di lui. I loro occhi si incontrarono nel buio, uno sguardo che non aveva bisogno di parole. Lei lo guardò, ancora assonnata, ma con una scintilla di desiderio che le accese lo sguardo.
Non disse niente. Non c’era bisogno. Claudia si girò lentamente, mettendosi supina, e allargò le gambe, offrendosi a lui senza esitazione, senza vergogna. Sergio non perse tempo: si posizionò tra le sue gambe e sentì il calore della sua figa che lo chiamava. Era ancora bagnata, come se il loro precedente incontro non fosse mai davvero finito, come se il suo corpo fosse stato in attesa di quel momento.
Entrò in lei con un unico movimento deciso, sentendo la stretta calda e accogliente che lo avvolgeva. Claudia gemette, un suono profondo e gutturale, che sembrava provenire dal fondo della sua anima. Sergio iniziò a muoversi, affondando in lei con ritmo crescente, un ritmo che risuonava con la sua stessa urgenza, con la necessità di trovare sollievo, di annullarsi in quel piacere.
L'amplesso fu veloce, brutale, quasi disperato. Sergio affondava in lei con forza, sentendo ogni fibra del suo corpo tendersi verso quel culmine che ormai era inevitabile. Claudia rispondeva a ogni sua spinta, i loro corpi si muovevano insieme, in sincronia, come se fossero fatti l'uno per l'altra, almeno per quella notte, almeno per quell'attimo.
Sentì l'orgasmo montare, una marea che non poteva fermare, e quando arrivò fu come un'esplosione, un momento di pura, cruda estasi. Claudia raggiunse l'orgasmo subito dopo di lui, il suo corpo che si inarcava sotto il suo, le unghie che gli graffiavano la schiena mentre un gemito soffocato le sfuggiva dalle labbra.
Rimasero così, uniti, per qualche istante che sembrò durare un'eternità. Poi, lentamente, Sergio uscì da lei, sentendo ancora il calore che li univa, il sudore che luccicava sulla loro pelle. Si lasciò cadere di nuovo accanto a lei, entrambi esausti, ma soddisfatti, come se avessero trovato una breve tregua dalla disperazione che li aveva portati lì.
Claudia si girò su un fianco, appoggiando una mano sul petto di Sergio, senza dire nulla. Lui chiuse gli occhi, sentendo il peso piacevole della stanchezza che lo avvolgeva, il cuore ancora martellante nel petto, ma ormai più calmo, più lento. Lei gli si avvicinò di nuovo, il corpo nudo contro il suo, e senza altre parole, si addormentarono, soddisfatti, almeno per quella notte.
3.
Claudia si svegliò quando il cielo stava appena iniziando a schiarirsi, la luce tenue dell’alba filtrava dalla finestra sporca. Sentiva il respiro profondo e regolare di Sergio sotto di lei, la testa ancora appoggiata sul suo petto nudo. Il suo corpo si era adattato perfettamente a quello di lui durante la notte, e per un attimo, si lasciò cullare da quel calore, da quella pace temporanea.
Si girò appena, lo sguardo scivolò lungo il corpo di Sergio, fino a posarsi sul suo cazzo, ora a riposo, ma con un’aria di potenziale appena sopito. Non sapeva spiegarsi cosa l’attirasse così tanto verso di lui, forse era il bisogno di sentirsi viva, o forse solo un modo per prolungare un momento di illusoria connessione.
Con delicatezza, lasciando che le dita seguissero il loro istinto, lo toccò. Iniziò a stimolarlo lentamente, sentendo la pelle morbida che si tendeva sotto la sua mano. Il membro di Sergio iniziò a rispondere, indurendosi a poco a poco, come se fosse il riflesso di una vitalità che ancora si nascondeva da qualche parte nel suo corpo stanco.
Claudia si sporse verso il basso, avvicinando il volto al pube di Sergio. Con una lentezza quasi cerimoniale, appoggiò le labbra sul suo cazzo, un bacio iniziale che sapeva di promessa. Proseguì poi baciando lungo l’asta, fino a raggiungere i testicoli, concedendo a ogni centimetro la stessa attenzione, come se volesse risvegliare ogni parte di lui.
Sentiva Sergio muoversi sotto di lei, forse ancora nel dormiveglia, forse già cosciente di ciò che stava accadendo. Ma lei non si fermò, anzi, con la lingua iniziò a leccarlo, prima delicatamente, poi con più insistenza, mentre con la mano scopriva la testa del suo cazzo, ormai duro e pulsante.
Quando risalì fino alla cappella, Claudia aprì la bocca e lo inghiottì, lasciandosi guidare dalla sensazione di potere che provava nel sentire quel corpo rispondere ai suoi gesti. La saliva gli lubrificava il cazzo, e lei lo prese tutto dentro di sé, spingendolo fino in fondo alla gola. Sentiva una leggera sensazione di soffocamento, ma non si fermò, continuò a lavorarlo con la bocca, il respiro pesante mentre cercava di controllare il ritmo.
Sergio ora era sveglio, lo sentiva, anche senza guardarlo. Sentiva il suo sguardo su di lei, il modo in cui si abbandonava a quel piacere che gli stava donando. Claudia continuò a muoversi, su e giù, la testa che seguiva il ritmo della sua bocca, mentre sentiva il cazzo di Sergio diventare sempre più duro, più teso, come se fosse pronto a esplodere.
Quando sentì che era il momento, si sollevò, lasciando il cazzo di Sergio bagnato e pulsante. Si posizionò sopra di lui, con il corpo che tremava leggermente per l’eccitazione. Con una mano, guidò il membro di Sergio verso l’ingresso della sua figa, strusciando lentamente la punta contro le sue grandi labbra, giocando con quella sensazione di attesa e desiderio.
Poi si lasciò cadere, permettendo a Sergio di penetrarla, sentendo quel riempimento che la fece sussultare. Era lei che guidava il gioco ora, e non c’era niente di più eccitante per Claudia che essere in controllo del piacere, sia del suo che del suo compagno. Iniziò a muoversi lentamente, lasciando che il cazzo di Sergio trovasse il giusto punto dentro di lei, quello che sapeva avrebbe scatenato una serie di esplosioni di piacere.
Godeva, una, due, tre volte, i suoi gemiti sempre più forti, le mani che afferravano il petto di Sergio, come se volesse ancora di più, come se volesse prosciugare ogni goccia di piacere da quel corpo sotto di lei. Quando sentì che anche lui era sul punto di venire, accelerò il movimento, i fianchi che si muovevano con forza, con una determinazione che sapeva di necessità.
Sergio sentì l’impulso partire dai coglioni, un’ondata di calore che si propagava in tutto il suo corpo, e con un gemito profondo, riempì la figa di Claudia, sentendo il proprio piacere mescolarsi al suo. Il suo corpo si tese, poi si rilassò, svuotato, soddisfatto.
Claudia si accasciò sul suo petto, il seno caldo e sodo che si premeva contro di lui, il respiro ancora affannato, ma calmo, come se avesse trovato una breve tregua in quella guerra quotidiana che era la loro vita. Rimasero così, senza bisogno di parole, appagati, almeno per il momento.
Fu in quell’istante che Sergio capì che, per quanto vuota fosse la sua esistenza, ci sarebbero sempre stati momenti come quello, in cui il piacere e la connessione potevano dare un senso, anche se solo temporaneo, al caos che li circondava.
4.
La luce del mattino era pallida, un grigio appena rischiarato dal sole che faticava a emergere tra i palazzi di Testaccio. Sergio e Claudia si vestirono in silenzio, senza la fretta che accompagna l'imbarazzo, ma con una calma consapevole, come se entrambi sapessero che quel momento aveva un peso che andava oltre la notte appena trascorsa.
Uscirono dall’appartamento di Sergio senza parole, scendendo le scale cigolanti fino a ritrovarsi sulla strada. L’aria fresca del mattino li accolse con un soffio leggero, quasi a ricordare loro che il mondo andava avanti, anche dopo tutto quello che era successo tra quelle quattro mura.
Sergio guardò Claudia. C'era qualcosa di diverso in lei, una luce negli occhi che non aveva notato prima, o forse che non aveva voluto vedere. Era ancora bella, ma con una bellezza segnata, vissuta, come quella di una città che ha visto troppo eppure continua a esistere, a lottare.
Camminarono insieme fino a una piccola piazza, il silenzio tra loro era denso, ma non scomodo. Erano arrivati a un punto in cui le parole non servivano, dove ogni frase sarebbe stata solo una distrazione dalla realtà che li circondava. Arrivarono a un bivio, letterale e metaforico, le strade davanti a loro si dividevano in due direzioni opposte.
Sergio si fermò. Guardò Claudia, e lei fece lo stesso, i loro occhi si incontrarono in un dialogo muto, uno scambio di emozioni che non avevano bisogno di essere pronunciate. Si avvicinarono, e lui la baciò. Non era un bacio di passione, ma di comprensione, di un addio che sapeva di necessità.
Quando si separarono, Claudia gli mise una mano sul petto, come per assicurarsi che fosse reale, che tutto quello che era successo non fosse solo un sogno confuso. “Stasera... mi troverai ancora al Bar del Moro.” disse, la voce appena percettibile.
Sergio la guardò, il viso segnato da un sorriso stanco, consapevole dell'incertezza che portava con sé. “Non lo so,” rispose, onesto. In quel momento, non aveva davvero idea di dove sarebbe stato, o se avrebbe mai avuto il coraggio di tornare in quel bar.
Claudia annuì, accettando quella risposta come l’unica possibile. “Io ci sarò comunque,” disse, senza insistenza, ma con una dolcezza che era tanto rara quanto sincera.
Lui la baciò di nuovo, più brevemente questa volta, un bacio di saluto, poi si voltò. Non c’era altro da dire, e anche se c’era, nessuno dei due avrebbe trovato le parole giuste. Iniziò a camminare, dirigendosi verso una direzione che non aveva scelto, ma che sembrava giusta in quel momento.
Sergio non si girò indietro. Sentì solo il suono dei suoi passi, il ritmo cadenzato che risuonava nel silenzio della mattina. Sapeva che Claudia stava facendo lo stesso, andando nella direzione opposta, verso un futuro che entrambi potevano solo immaginare. Quando fu sicuro di essere abbastanza lontano, si fermò per un istante, sentendo una strana stretta al petto, una miscela di sollievo e rimpianto.
Ma non si voltò. Continuò a camminare, fino a sparire dietro l’angolo, lasciando dietro di sé solo il ricordo di una notte e di un incontro che, per quanto breve, aveva lasciato un segno che avrebbe portato con sé, almeno per un po’.

scritto il
2024-08-14
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