Scambio di Coppia

di
genere
etero

Io l’ho visto quel tuo sguardo, in quel momento.
E l’ho invidiato,
Le tue pupille dilatate, un che di liquido nei tuoi occhi.
Sei tutta lì, e sei altrove allo stesso tempo.
Ti ho invidiata e sarei voluto essere nella tua testa vuota.
Avrei voluto LA tua testa vuota.

Flashback, Sella di Leonessa, qualche ora prima:
“Sai che fantasia avrei? Io in ginocchio sul divano, mani sulla spalliera, tu che mi prendi da dietro, una mano sul seno, l’altra a massaggiarmi il clitoride.”
Si gira a guardarmi: “Che fantasia avresti tu in questo momento, invece?”
In cima al passo che porta al Terminillo, il rifugio del CAI visibile in lontananza più in basso, in una giornata di sole sferzata dal vento fresco, mentre le formiche in città stanno schiumando, maledicendo il cambiamento climatico.
Perché quella confessione estemporanea?
E’ che son troppi giorni che la nostra intimità è ostacolata da parentame vicino e lontano in quella località di montagna.
Non possiamo concederci quindici minuti di sesso a letto, che siamo sempre a rischio di una imboscata imprevista in una casa pericolosamente affacciata sulla piazza del paese.
Le porte sempre aperte, non vengono chiuse a chiave, come nei film americani.

E poi l’open air è sempre stato di ispirazione per mia moglie.
Il segnale che forse quella giornata avrebbe avuto un decorso diverso dal previsto.

Cercammo a lungo una curva nascosta lungo i tornanti che riportavano a valle, da esplorare e da cui farci accogliere, come successo gli anni passati.
Niente da fare.
E la pioggia (benedetta, sia chiaro) della mattina aveva reso il sottobosco impraticabile.
Quindi non c’era modo di mettere a frutto tanta ispirazione.

Ci toccò accettare il fatto che la voluttà massima sarebbe stata un pranzo al ristorante.
Ma dentro di noi rimaneva quel tarlo, quella spina, l’allarme dell’iphone che instancabile non smette di suonare.
Neanche il servizio lento in maniera esasperante riuscì a sfiancarci e a tacitare quell’ossessione
(Cazzo: due primi, non è che avessimo chiesto chissà cosa. Ma avremmo dovuto capirlo quando, azzardando la richiesta di due antipastini, il cameriere ci disse che per le patate con cipolla e speck ci sarebbe voluto un po’ più di tempo. Cioè: una teglia di patate la devi aver pronta già cotta! Ma che ristorante è?!)
Infinite ed estenuanti partite di briscola, osservando i piatti arrivare agli altri tre (3) tavoli, il resto del ristorante deserto.

Liberati da quel supplizio, tornammo in macchina, avviandoci a fondo valle senza una meta precisa
E quella domanda che mi aveva rivolto mia moglie sulla sella di Leonessa rimaneva in sospeso.

“Ti andrebbe di leggere una cosa?” le dissi.
“Certo”
Le passai il cellulare, già aperto sulla pagina in questione.
“Cos’è?”
“Uno di quei racconti”
“Come vuoi che lo legga?”
“Fai tu”
Guido, lei in silenzio tiene gli occhi fissi sul cellulare, con l’indice scorre il testo.
Poi proferisce un paio di parole, comincia a sottolineare i passaggi salienti, come istantanee.
La frequenza aumenta.
Infine, la lettura si fa integrale, ad alta voce.
Fino a giungere a quel passaggio
“Forse fa un po’ school Girl”
La pronuncia inglese impeccabile, e l’immagine della ragazza carponi sul letto, che indossa solo una gonnellina ed un ragazzo che la prende da dietro, trasfigurata in quelle parole, mi regalano un tuffo al cuore.
All’ennesimo tornante rischio di andare dritto.

“Tu hai voglia di tornare a casa?”
“No, per nulla.”
“Forse so dove possiamo andare.”

Flashforward: Leonessa
Passeggiando nel paese, dopo il sesso, cammino con un leggero disagio.
Mi sembra che la gente possa vedere il sapore del tuo culo sulla mia barba.
Ho la sensazione che i passanti possano vedere chiaramente che indice e medio della mia mano sinistra erano dentro la tua fica umida fino a 15 minuti prima.
Che non avevamo salviette o altro per pulirci.
Cerco la prima fontana storica disponibile per lavarmi la faccia.

Perché poi mi era venuta in mente una passeggiata fatta qualche giorno addietro, nei pressi di una cava di rocce.
E quel giorno è domenica, e la cava è chiusa, e ha pure piovuto.
Quindi la zona, sebbene poco poetica - dominata da quel viadotto che ti terrorizza - è deserta.
Abbiamo parcheggiato nei pressi di un gruppo di alberi.
Ci mettiamo poco a trovarci cazzo all’aria io, tu con i capezzoli esposti;
La gonnellina di Decathlon così difficile da abbassare, la mia mano infilata nelle tue mutandine, le mie dita sul tuo clitoride.
Ed è quando me lo afferro e comincio a masturbarmi che vedo quel tuo sguardo.
Liquido.
Perso.
Ma presente.
“Qui-ed-ora” (locuzione tanto amata in ambito new-age prima, ora sdoganata in qualsiasi corso motivazionale aziendale)
E te lo invidio quello sguardo.

Io ne ho provate tante.

Ho praticato la meditazione trascendentale. E la ricordo bene quella sensazione di parole sottili in uno strano piano della coscienza, nero.
Ho provato anche con la mindfulness, e un po’ ne ho giovato.
Ma alla lunga, in entrambi i casi, ho perso la regolarità nella pratica e son tornato al punto d’inizio.
Ho provato anche con il Ritalin (una forma socialmente accettabile per parlare di anfetamine), che dicono che per quelli come me sia la svolta.
Ma non ho notato cambiamenti apprezzabili nella maniera in cui funziona la mia testa.
Che quello che sto cercando l’ho sperimentato solo con Cubase aperto sul PC, di notte, in cuffia, navigando tra plug-in, missando a sangue quel pezzo drum’n’bass, la stessa frase mandata in loop millanta volte.
E finalmente guardare l’orologio e rendersi conto che sono passate tre ore, quattro ore.
E per questo hai gli occhi che bruciano, cazzo.
Mentre dentro casa tutti dormono.
Iper-Focus, lo chiamano.

Ecco: forse mia moglie in quel momento, vedendomi armeggiare con il cazzo mentre la masturbo, è iper-focused.
O forse non ci ho capito un cazzo e lei è solo altrove.
Comunque la invidio.
Vorrei avere la sua testa, fare a cambio con lei.
Perché invece la mia, di testa, partirà per i soliti viaggi incontrollati.

Potrei godere della vista del suo culo esposto, a carponi sul sedile posteriore a favor di portiera.
Non c’è più lei, c’è solo la sua rotondità matura e quella ferita lì in mezzo, che emerge dall'abitacolo, spersonalizzata.
Ma quando entro dentro di lei, vedo solo il tettuccio nero della macchina.
Che sono troppo alto e non so come prenderla altrimenti.
E questa è una novità per noi e non abbiamo mai provato certe posizioni.

O quando - io in piedi spalle alla portiera, lei in squat- me lo prende in bocca, lo sguardo vola alto sul cavalcavia sopra le nostre teste.
Immagino un passante vederci, casualmente qualcuno della frazione dove stiamo trascorrendo l’estate.
Ci vede, compare un cellullare ed immagino la notizia che si sparge tra i villeggianti che sono ormai quasi una famiglia allargata.
E noi che diventiamo gli eroi di nostra nipote laureanda in filosofia e della sua ragazza siciliana che per la prima volta passa l’estate qui.
Risatine che farebbero anche piacere, ma l’imbarazzo che ci devasta.

O quando, lei che mi cavalca, io disteso sul sedile, la guardo bene in viso, e lei è trasfigurata.
Vi capita mai? Non sembra avere 50 anni.
Sembra averne 30 di meno.
Sembra la ragazza che conobbi a quella festa a Fregene, commossa che mi fossi preoccupato nel vederla addossata a quel muro, devastata da pessima vodka.
Concedendomi di infilarle la mano nelle mutande poco dopo, mentre parlavamo del suo servizio civile in slovenia.
Ed ora assomiglia a quella bassista di Instagram. Ora capisco perché perdo la testa per Katecurlyyy;
Perché mi ricorda mia moglie da giovane.
E suona il basso da dio.

Tutto molto bello.
O forse no.
Ma comunque incontrollabile.
E invece tu avevi quegli occhi “qui-ed-ora” mentre io mi masturbavo per te.

Vorrei un colpo di pistola in fronte.
Vorrei non avere più tutti quei pensieri.
Vorrei un po’ di pace, almeno quando scopiamo.
Vorrei avere la tua testa vuota ed il tuo sguardo liquido mentre mi fissi smanacciarmi il cazzo.

Vorrei essere te.
scritto il
2024-08-20
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