Lettera di una madre incestuosa (romanzo - 1/9)

di
genere
incesti

Caro figlio mio,
se stai leggendo queste righe è perché io sono trapassata e tu hai trovato la lettera che ti ho lasciato, una lettera scritta spero molto tempo prima della mia dipartita, ma certamente un'eternità dopo i fatti di cui narra. Fatti che erano dimenticati, ma che realmente non sono mai stati obliati, vero? Avrai già capito a cosa mi riferisco, perché neppure tu hai potuto scordare, benché non ne abbiamo mai più fatto parola. Ora che tutto è finito e che di me non resta che una manciata di ceneri, credo sia giusto, per un ultima volta, tornare a quei momenti e rivivere ogni fatto con occhio maturo. Ricordo tutto, o almeno così credo. È possibile che la mia vecchia memoria arrugginita mi faccia dei brutti scherzi e mescoli un po' gli eventi, ma penso di avere ben impressi i punti salienti di questa vicenda così folle e sbagliata ma che per un istante ci ha fatto sentire diversi da quello che eravamo. O forse più veri che mai. Questo starà a te deciderlo, se leggerai fino alla fine quanto ho da dire, quanto presumo di ricordare. Mi perdonerai se troverai delle imprecisioni o non concorderai con alcuni passaggi. Questa è la mia versione. Quello che ho vissuto, come l'ho vissuto e come ora riesco a riportarlo alla luce dai meandri dei miei ricordi più personali e intimi.
Era domenica pomeriggio. Era estate. Un'estate caldissima e malinconica. Il sole appiattiva ogni oggetto di un bagliore surreale e gli occhi faticavano a sostenere tanta luce che sembrava provenire da ogni parte. Eravamo alla casa in campagna, la casa che era stata dei nonni, con le pareti gialle screpolate, il tetto un po' incurvato e da sistemare e mai sistemato. Il rumore delle cicale era così potente che faceva quasi male. Eppure era una melodia infinita.
Tuo padre era andato con gli amici del posto a fare una battuta di pesca e non sarebbe tornato che a ora di cena, come faceva sempre in quelle occasioni. Spesso tornava senza pesci, per questo non aspettavo mai lui per preparare la cena. Non avremmo mangiato pesce. Casomai, lo avremmo cucinato il giorno seguente. Se prendeva qualcosa, gli piaceva occuparsene di persona e preparare la griglia e la carbonella. Era la cosa che più amava delle vacanze alla casa dei nonni. Lo lasciavo fare. Tutto il resto dell'anno ero sempre io a dover cucinare. Una volta tanto che ci pensava lui, andava bene così, anche se poi lasciava bruciare un po' troppo il pesce. Né a te né a me piaceva molto, ma lo assaggiavamo per fargli piacere. Per fortuna c'era sempre dell'insalata e qualcosa da mettere alla brace per integrare i frutti della sua pesca. Ma questi erano i problemi del giorno dopo. Quella domenica non avremmo mangiato pesce. Avevo già programmato la cena, che poi erano piatti freddi, una parte dei quali tu ed io li avevamo già mangiati a pranzo. Li ricordo ancora: pomodori ripieni di riso, zucchine panate, una grossa mozzarella regalataci dai vicini, quelli che avevano la fattoria alla fine dello sterrato. Non ricordo i loro nomi, ma erano brava gente ed erano stati buoni amici dei tuoi nonni.
Quell'estate avevi dichiarato che sarebbe stata l'ultima che avresti passato con noi. Oramai eri un uomo – dicesti proprio così! – e dall'anno successivo saresti andato con gli amici. In macchina, se papà te l'avesse comprata. Per me eri sempre un bambino, ma sapevo che le cose stavano per cambiare. Papà da tempo ti aveva fatto la promessa dell'auto se ti fossi diplomato con una buona media. Ce l'avevi fatta, ma purtroppo avresti dovuto aspettare ancora qualche mese per avere la patente, perché per ottenere buoni voti, avevi voluto evitare di distrarti con le lezioni di guida e le avresti prese solo a settembre. Tanto sapevi che per quell'anno non ti avremmo mai permesso di andare in giro da solo con gli amici. Dovevi prima fare un po' di esperienza. Eri venuto volentieri in campagna anche perché tuo padre aveva detto che forse una sua conoscenza aveva un'auto ferma da tempo in un fienile e ce l'avrebbe potuta vendere a un buon prezzo. In realtà si rivelò un ferrovecchio che sarebbe costato più di manutenzione per rimetterla in strada che altro. Questa delusione condizionò il tuo umore. Ti ricordi? Eri sempre imbronciato e vagamente malinconico. Come al solito, aggiungo. Già in quel posto non c'era molta vita mondana per un ragazzo della tua età, in più avevi sperato di fare un po' di pratica di guida. Tuo padre però era spesso in giro con gli amici e li scorrazzava con la sua auto. Allora ti annoiavi e passavi molto tempo chiuso nella tua stanza, che almeno era fresca, oppure sull'amaca sotto le due grandi querce, sul retro dalla casa. Quell'estate non potevamo permetterci ulteriori vacanza, avevamo in ballo grosse spese per l'appartamento in città e avevamo deciso di concederci solo un paio di settimane di assoluto riposo dove non ci sarebbe costato quasi nulla soggiornare. Tutti e tre facevamo buon viso a cattivo gioco. Ma tu ne risentivi più di noi. In fin dei conti tuo padre aveva gli amici con cui passare il tempo, io volevo solo rilassarmi e non pensare a nulla, tu invece ti annoiavi e non c'era nessuno della tua età con cui fare qualcosa, se non andando fino al paese, a piedi, sotto il solleone. Eravamo tagliati fuori dal mondo, dalla modernità, circondati da campi di grano maturo in una distesa pianeggiante infinita. Un balzo in un passato che non ti apparteneva e che ti stava stretto. C'era da impazzire. E forse un po' pazzi lo fummo.
Erano successe delle cose, nei giorni precedenti. Piccoli episodi che avrebbero dovuto essere segnali premonitori di quanto sarebbe accaduto quel pomeriggio. Ma non c'è più cieco di chi non vuole vedere. Una parte di me rifiutò di ammettere la realtà dei fatti, negò l'evidenza. Una parte di me metteva a tacere l'altra, quella che avrebbe dovuto avvertirmi e impedirmi di fare quello che poi feci. Volevo davvero che accadesse? All'epoca non lo avrei saputo dire. Oggi invece posso affermare che lo desideravo davvero. Non è facile per me dirlo, ma è la conclusione oggettiva a cui sono pervenuta dopo infinite notti insonni passate a riflettere su quegli accadimenti. Una parte di me, nascosta in profondità, ma in un punto dove poteva guidare i miei atti, voleva che accadesse.
scritto il
2024-09-02
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