Lettera di una madre incestuosa (romanzo - 8/9)

di
genere
incesti

Quel giorno, in campagna, quando entrasti in me, tutti i ragionamenti fatti in precedenza erano svaniti. Non pensai a nulla, quando mi offrii a te. Mi donavo e ti desideravo. Non ero tua madre. Ero una donna depravata e vogliosa. Orgogliosa del giovane maschio eccitato che bramava di condividere con me la sua prima esperienza completa. Pensavo solo che volevo fosse qualcosa di meraviglioso, di indimenticabile. La più bella esperienza erotica della tua vita. E così sarebbe stato, se solo non fossi stato mio figlio. Se proprio volevo questo per te, avrei dovuto fare in modo che i tuoi desideri fossero esauriti da una donna che rispondeva a certe caratteristiche, che io incarnavo e che non avrei dovuto. Avrei dovuto macchinare perché una qualche mia amica acconsentisse a espletare quel compito che invece mi accingevo ad assolvere io. Eri così bello che più di una tra le mie amiche sarebbe venuta a letto con te, se solo avesse avuto il sentore che tu ci stavi e che io, scoprendolo, non avessi fatto una scenata. Confesso che l'idea che fosse una di loro a prendersi la tua verginità mi faceva ribollire il sangue. Ero gelosa e possessiva.
Ero nuda per te. Eri nudo per me. Il mio corpo fremeva, la tua erezione pulsava. Uno stato di sospensione. Del giudizio, della razionalità, del buon senso. Avevo voglia di sentirti dentro di me. Ti sembrerà sciocco, ma avrei tanto voluto essere vergine anch'io, per darmi a te per la prima volta in assoluto. Dal momento in cui avevo preso la decisione di rompere quel tabù così forte che vincola i rapporti tra genitori e figli, ero entrata in uno stato di turbamento che coinvolgeva tutto il mio corpo. Ero eccitata come non mai. La mia prima volta era stata quando avevo molto meno dei tuoi anni. Ma si sa che le ragazze sono più precoci. Tu addirittura avevi atteso anche troppo rispetto alla media dei tuoi coetanei. La mia prima volta non fu una grande e memorabile esperienza. La tua invece volevo che lo fosse. Avevo il dovere di darti il meglio di me, di farti sentire accolto e desiderato. Amato al di là di tutto. Ti volevo e ti amavo. Sesso e amore. Quando ti chiamai, seppi che non si poteva più tornare indietro. Dovevo perché volevo. Era un impegno con me stessa e con te. Volevo regalarti la realizzazione del tuo sogno più inconfessabile. Avevo la consapevolezza che se qualcosa fosse andato storto, sarebbe stato il disastro più grosso che una madre avesse mai affrontato. Un fallimento che avrebbe compromesso per sempre il nostro rapporto. Così invece? Questo dubbio mi venne solo a fatti compiuti, quando ormai andavo recuperando la razionalità.
Ero bagnata per te che non avevi mai visto un sesso femminile dischiuso, che non avevi mai assaporato il nettare che secerneva, che non avevi mai succhiato un clitoride turgido. Ti avrei insegnato ogni cosa, ti avrei fatto sperimentare tutto. Come ti avevo insegnato a camminare e parlare, così ti avrei insegnato ad amare, a dare piacere e riceverlo. Nelle sue mille sfumature. Poi invece fu tutto diverso. Ti accolsi semplicemente e lasciai che la natura facesse il suo corso, che tu ti muovessi in me secondo il tuo ritmo, vincendo le tue paure e insicurezze. Entrasti in me e mi fissasti negli occhi, a cercare conferma che stessi facendo la cosa giusta. Rimanesti fermo per un istante. Una fusione completa tra i nostri corpi. Ogni tua cellula dialogava con ciascuna delle mie. Arretrasti e riaffondasti in me. Prendesti il tuo ritmo. Vedevo il sudore imperlarti la fronte e lo sguardo smarrirsi nel piacere, nella scoperta di quel nuovo sentire. Nessuna masturbazione ti aveva preparato a quelle che erano le sensazioni della vera penetrazione. Il mio corpo avvinghiato al tuo, il mio sesso che avvolgeva il tuo. I dolci attriti, la propagazione delle sensazioni, l'amplificazione di ogni percezione. Ero eccitata all'inverosimile. I capezzoli turgidi al punto che mi facevano male e che volevo che addentassi con fame come quando ti allattavo. A pensarci ora, dopo tutti questi lustri, mi viene la pelle d'oca. Mai più in vita mia mi sono sentita così donna. E nessuno mai è stato più uomo di te in quel momento.
Non ricordo quanto durò quell'amplesso. Ero totalmente persa in una dimensione di ottundimento. Quando mi ripresi, ero devastata ed euforica al tempo stesso, tanta era stata l'intensità del coito, dei nostri orgasmi. Il contraccolpo doveva ancora venire. Lo sapevo bene, lo aspettavo. Per intanto volevo godermi fino all'ultimo quegli istanti di folle ebbrezza. Sarebbe bastato poco per rovinare ogni cosa. Non dico se tuo padre fosse rientrato prima dalla pesca e ci avesse sorpresi a letto, no. Sarebbe bastata una frase fuori luogo da parte mia o tua, un senso di colpa prematuro, non premeditato, spontaneo, sulla scia dello svanire del desiderio carnale. Non me lo sarei mai perdonata. Finché durava quell'estasi, nulla doveva turbarci. Avremmo avuto tutto il tempo più avanti per pentimenti e recriminazioni. La sorte ci fu benevola.

Quello che sto per dirti potrebbe sembrare un tentativo di giustificazione per i miei atti. Sbaglieresti a pensarla così. Voglio dirti queste cose perché tu possa avere un quadro completo della situazione, nulla di più. Tuo padre ed io ci siamo amati a lungo. Il nostro è stato un amore felice finché è durato. L'amore però non dura necessariamente quanto una relazione. A volte anche di più, molto spesso di meno. Il nostro, all'epoca dei fatti, aveva già cominciato la parabola discendente. Ci volevamo bene, questo era fuori discussione. Eravamo una coppia come tante altre, con alti e bassi. Sesso lo facevamo ancora. Con meno frequenza del solito e meno passione. Mancava di reciprocità. Ognuno usavo il corpo dell'altra per appagare il proprio. Avere senza dare. Ricevere senza contraccambiare. Uno era lo strumento dell'altra. Se non fosse stato così, sicuramente tuo padre avrebbe cercato soddisfazione altrove. Io, al limite, mi sarei arrangiata da sola, riducendo sempre più le mie esigenze intime, fino a farle cessare. Un amore passionale mi mancava. Un amore che fosse fisico, carnale, che esprimesse desiderio per il mio corpo.
Quell'estate in campagna, mi resi conto che qualcosa dentro di me era cambiato. Sapevo che tuo padre si sarebbe occupato ben poco di me. Lì aveva le sue amicizie. Era solito uscire presto al mattino e la sera si addormentava il prima possibile. Al limite mi avrebbe riservato alcuni minuti quando avesse avuto bisogno di sfogarsi un po'. Per me fu diverso. Quando arrivai al casolare sentii la natura richiamarmi a sé. Quei campi sconfinati dove il grano maturava, quelle morbide colline rigogliose, i boschi che delimitavano l'orizzonte e soprattutto quel sole caldo, quasi soffocante, che mi penetrava sotto la pelle e mi scaldava nel più intimo. Avevo voglia di stare immersa nella natura, isolata, circondata solo dai rumori degli insetti, dai richiami degli uccelli e dallo stormire delle fronde. Spesso facevo delle lunghe camminate solitarie. Prendevo un sentiero sterrato, lo seguivo per un po', poi lo abbandonavo tagliando per i campi. Avevo un vestitino corto, rosso, anche quello con tanti bottoni sul davanti, andavano di moda così e mi piacevano molto. Quello e un cappello di paglia a falda larga. Era la mia tenuta preferita da passeggiata. Più mi inoltravo nella solitudine della natura e più slacciavo bottoncini per scoprire la pelle, per lasciare che il sole la baciasse. I raggi solari mi riempivano della loro energia e mi eccitavano. Capitò alcune volte che tornassi indietro bagnata e vogliosa, ma tuo padre non c'era per soddisfarmi, così mi chiusi nella stanza da letto, fresca e ombrosa, dove la luce delle persiane disegnava linee sul soffitto. Lì mi masturbai e lì mi capitò di cominciare a fantasticare su un corpo più giovane che si prendesse cura di me. Un corpo flessuoso, muscoloso, ma dolce e delicato. Un corpo acerbo, di giovane uomo inesperto. Inconsciamente quell'uomo eri tu, ma non avevo ancora il coraggio di ammetterlo a me stessa. Era un desiderio proibito che il mio io profondo si lasciava sfuggire a poco a poco. Il mio inconscio mi stava preparando a te.
Quando giravi per casa a petto nudo, coi bermuda o solo con lo slip, ti guardavo. Un giorno mi accorsi che i miei sguardi non erano di madre. Ti guardai come una donna guarda un uomo. E quando una donna più vecchia guarda così un uomo più giovane c'è bramosia ma anche tenerezza e nostalgia per il tempo che è passato, perché non si sente più all'altezza, sa di non essere desiderabile come un tempo e teme l'umiliazione di essere rifiutata e derisa. Ma io guardavo te. Mio figlio. Carne della mia carne, sangue del mio sangue. Eravamo legati da un amore più profondo e viscerale. Forse in quel frangente maturò la decisione di oltrepassare l'invalicabile tabù. Ma doveva ancora venire a galla.

Una notte, tuo padre decise finalmente che era il momento di darsi appagamento e mi propose di fare sesso. Ne avevo voglia anch'io. L'estate mi era entrata dentro ma quel giorno non mi ero appagata, così fui contenta dell'opportunità di usare lui per soddisfare me come lui avrebbe usato il mio corpo per il proprio piacere. I nostri amplessi erano per lo più silenziosi. Non solo non c'erano gemiti, ma anche la dialettica era scarsa, se non assente. Anche il cambio di posizioni avveniva in silenzio. Lui preferiva prendermi da dietro ma mi faceva mettere in quella posizione solo quando era in dirittura di arrivo. Gli piaceva che fossi di schiena, forse non voleva vedermi o più probabilmente si vergognava a farsi vedere nel momento dell'orgasmo perché contraeva i muscoli del viso in uno spasmo che gli rendeva il volto quasi brutto e sicuramente ridicolo. Quella notte comunque mi sarebbe andato bene così. Non avevo voglia di vederlo. Ad un certo punto però mi dissi che volevo che le cose andasse diversamente. Così lo feci mettere supino e gli salii sopra. Quella era la mia posizione preferita perché ero io a dominare la situazione, a dettare il ritmo. A lui piaceva perché aveva le mani libere e poteva toccarmi i seni facilmente, ma ad un certo punto lo feci desistere. Volevo raggiungere l'orgasmo così, quasi fossi da sola. Di lui mi interessava solo l'erezione, lo stimolo che dava alla mia vagina. In quella posizione, poi, potevo muovermi più liberamente e strusciavo il clitoride sul suo pube, procurandomi un piacere intenso. Chiusi gli occhi, strinsi i seni con le mie stesse mai, impedendo così a tuo padre di farlo lui, cominciai a muovermi con ritmo costante e crescente e alla fine ebbi un orgasmo molto forte. Non mi preoccupai se lui fosse venuto o meno. Non sarei andata oltre. Scivolai via di lato e mi girai dalla mia parte del letto. Ero sconvolta. Il piacere era stato intenso ma più di tutto ero elettrizzata e spaventata per quello che avevo fatto, perché nel momento sommo del piacere avevo immaginato che tu fossi dentro di me e mi ero detta che la prossima volta ci saresti stato per davvero.
scritto il
2024-09-02
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