Lettera di una madre incestuosa (romanzo - 5/9)
di
Ciro Esposito83
genere
incesti
Ripenso a te quel giorno. Ai tuo capelli sudati e appiccicati alla fonte, al tuo petto ansante. Su quel volto da ragazzo diventato uomo c'era un'espressione di soddisfazione e incredulità. Per la prima volta avevi fatto sesso, avevi avuto un rapporto completo. Avevi fatto sesso con tua madre. L'ultima persona al mondo con la quale avresti dovuto compiere un atto simile. Eppure lo avevi fatto. Lo avevamo fatto. La stanza era in penombra. Fuori le cicale non avevano smesso un attimo di frinire. Mi accesi una sigarette, mi appoggiai con la schiena alla testiera del letto e mi tirai il lenzuolo fino al seno, quasi colta da tardivo pudore. Tu guardavi il soffitto. Il tuo sesso stava tornando allo stato di riposo e un ultima goccia di sperma fuoriuscì. Il resto del tuo seme era dentro di me. Fosti generato da un orgasmo e attraverso un orgasmo tornasti in me. Sentivo il tuo liquido che albergava in me e che lentamente tentava di rifluire. Strinsi le gambe per impedirglielo. Fu un atto di possesso egoistico e contemporaneamente l'occultamento delle prove di quell'atto perverso che avevamo consumato. Non c'era alcun pericolo che restassi incinta. Da tempo prendevo la pillola, più che altro per regolare il ciclo. La menopausa era prossima e le mie carte come donna fertile le avevo già giocate tempo prima. Non eri al corrente di questi dettagli, ma non ti preoccupasti più di tanto. Quando stavi per venire, me lo dicesti e io ti dissi di non fermarti. Tutto qui. Tutto molto semplice e naturale. Io ero la madre e io dovevo garantire che tutto sarebbe andato per il meglio e nella maniera più facile.
Con un dito andai a raccogliere quella gocciolina di sperma che dal tuo prepuzio stava per scivolare sulle lenzuola. Lo feci spontaneamente. Presi un fazzoletto di carta dal comodino e mi ripulii, per poi andare ad asciugare anche il tuo glande. Al contatto della mia mano che si prendeva cura di lui, il tuo membro ebbe una contrazione. Non era più eccitamento, solo una risposta meccanica alla sollecitazione di una parte in quel momento molto sensibile. Mi guardasti e sorridesti quasi con imbarazzo. Mi dissi che avrei voluto giocare ancora con quel pezzo di te, come avevo fatto prima. Stuzzicarlo e stimolarlo perché tornasse gonfio. Lo avrei fatto più per te che per me. L'amplesso mi aveva appagata ma sapevo che la tua giovane virilità era sempre all'erta. Averlo visto prima, nel pieno dell'erezione, mi era piaciuto molto. Non andammo avanti.
Il ricordo è piacere e tormento allo stesso tempo. È impossibile scindere la memoria positiva da quella negativa e tirarsi dietro solo quello che ci piace. Se così fosse, vorrei che almeno tu ci fossi riuscito. Perché so che anche per te è stato un momento bello e difficile al tempo stesso. Forse dovrei dire che il momento, quel momento, magari anche quelli precedenti sono stati belli. Dopo però è venuta la parte più ostica. I sensi di colpa, i rimorsi di coscienza, la necessità assoluta di mantenere il segreto al punto di fingere con noi stessi che non fosse mai accaduto. Ricordo un episodio assai significativo. Un giorno, eravamo già tornati a casa da quella fatidica vacanza, tu entrasti in bagno mentre stavo facendo la doccia. Sentii la porta aprirsi ma non ci feci caso, in prima battuta. Ero di schiena ma percepii che qualcuno stava avanzando. Sapevo che tuo padre era già uscito. Poteva anche darsi che fosse tornato a casa perché aveva dimenticato qualcosa. Era più probabile che fossi tu. Sperai che, vedendomi così, te ne saresti andato. Invece ebbi la sensazione che mi stessi fissando da tergo. Provai un brivido lungo la schiena che non seppi come interpretare. Così mi girai di tre quarti, comprendo i seni con una mano ed il pube con l'altra. Ci fissammo per un istante. Notai anche la tua erezione e il tuo imbarazzo, ma percepii anche una luce di disappunto nei tuoi occhi. Probabilmente ti offendeva che ti negassi la mia completa nudità dopo quello che c'era stato. Mi chiesi cosa sarebbe successo se mi fossi mostrata a te, se avessi permesso che mi guardassi in un certo modo. Avevi voglia di me, immagino. Mi dissi che la tua poteva essere una normale erezione mattutina. Lo feci più che altro per evitare di ammettere la realtà dei fatti, ossia che mi desideravi ancora e che io sarei stata incapace di resisterti se ti fossi mosso verso di me in una certa maniera. Tu non lo immaginasti in quel momento, ma la vista della tua erezione nei pantaloni del pigiama mi stava eccitando e la mia mano posata sul pube premeva le carni. Trovai la forza di chiederti di lasciare la stanza. Fu una richiesta piatta, priva di inflessione. Solo io sapevo quanta disperazione ci fosse in quelle parole. Appena uscisti e ti chiudesti la porta alle spalle, mi misi in ginocchio, sotto il getto della doccia e mi masturbai. Mentre mi toccavo, piangevo. Fu il più brutto orgasmo della mia vita. Ero combattuta tra il dovere di madre ed il desiderio di donna. Era mostruoso pensare che sarebbe successo nuovamente. Mostruoso perché una parte di me lo desiderava e dovetti fare davvero uno sforzo immane per non cedere alla tentazione. Fu saggio. Qualcuno potrebbe obiettare che il desiderio e la passione, se condivisi, vanno assecondati. Condivisi? Probabilmente era così. Anche tu mi desideravi. Anche tu ti masturbavi pensando a me. Non me lo dicesti mai, ma lo intuivo, lo sapevo. Se mi fossi offerta nuovamente a te, mi avresti accolta. In te il senso di colpa era assai meno forte che in me. Per te ero stata la tua prima volta, oltre che un'esperienza unica. Unica e irripetibile però. Così doveva essere, a dispetto delle tue pulsioni. Avermi lì, a portata di mano, come tua complice, sarebbe stato facile, comodo, pratico e forse vantaggioso per entrambi. Sarebbe stato altrettanto folle. Avevi avuto la tua esperienza particolare e indimenticabile. Le volte successive dovevano necessariamente essere diverse. Avrebbero dovuto rientrare nei canoni di una sana relazione di coppia con una tua coetanea. Sarebbe andato bene anche un qualsiasi rapporto occasionale, purché sicuro. Meglio se non mercenario. Comunque mai più con tua madre.
Sai, figliolo, tutto questo tempo passato ha messo una distanza infinita tra quelli che eravamo allora e quelli che siamo diventati. Potrei scrivere un intero romanzo sulla nostra vita, la tua, la mia e quella delle persone che ci sono state vicine in questi anni. Potrei scrivere di tuo padre o di tua moglie e le nipotine. Ognuno meriterebbe una biografia, romanzata o meno. Se dovessi scrivere di te, narrare la tua storia da quando sei venuto al mondo, forse partirei proprio dal momento della tua nascita, da quando il tuo corpo è fuoriuscito dal mio. Racconterei mille e mille episodi a me cari. Narrerei delle gioie e dei dolori. Le paure, come quando avesti quel brutto incidente stradale, oppure l'infinita felicità quando mi annunciasti che sarei diventata nonna. Ho avuto una vita piena. Lo dico ora, col senno di poi, con questa mia lettera postuma, ma mentre la scrivo mi chiedo se avrò ancora qualche sorpresa da parte della vita stessa perché, finché non è finita, tutto può accadere. Comunque sia, quello a cui volevo arrivare è che, se anche scrivessi la storia della mia vita o della tua, per la parte che mi riguarda, ometterei proprio quello che invece è il cuore di questa lettera. Starai pensando che è normale poiché vorrei celare un atto turpe e vergognoso, perché vorrei proteggere te dal giudizio morale. Vergogna e rimorso mi impedirebbero di rivelare le mie colpe, il pudore mi tratterrebbe dallo svelare quanto sia stata immorale e spregiudicata. Invece no. Non sono queste le ragioni che mi imporrebbero di tacere. Certo, tutto questo sarebbe sensato, non lo metto in dubbio. Il vero motivo per cui non ne farei menzione è ben altro. È un segreto tra te e me, quello che è accaduto, un segreto molto privato di cui, in qualche modo, ne sono gelosa. L'ho custodito per tutti questi anni, resistendo alla tentazione di sfogarmi con qualcuno nei momenti più difficili e dolorosi della mia vita. C'era un periodo in cui credevo che le cose brutte che mi stavano accadendo fossero per colpa di quel fatto e che io dovessi confessarlo e liberarmene, così che la vita avrebbe ricominciato ad essere benevola nei miei confronti, mentre ora mi stava punendo severamente. Di noi due non ne ho parlato neppure con il mio analista, in tutti gli anni in cui sono stata in terapia. Forse è anche per questo che non ha sortito gli effetti sperati. Lui doveva aver intuito che gli nascondevo qualcosa, ma non riuscì mai a farmi confessare la mia verità più intima e privata. Ne ero troppo gelosa. Era un ricordo solo mio. Proprio con l'analisi temevo che quei ricordi sarebbero stati stravolti. Avevo paura che poi li avrei visti in maniera differente, senza più la componente affettiva che li ammantava. La terapia mi ha aiutato a risolvere parecchie situazioni complicate che abitavano in me, quindi posso dire che sia stata un bene. Se con l'analista avessi affrontato anche quell'episodio che mi legava a te in maniera tanto particolare, cosa avrei risolto? Probabilmente nulla, perché io non l'ho mai visto come un vero problema, sebbene sia consapevole che di conseguenze ne ha comportate, sia per te che per me. Sembra paradossale, ma è così. Spero almeno che tu possa comprendermi. Per me è stato motivo di sofferenze, di rimorsi. Sono stata turbata a lungo dal pensiero di quello che avevamo fatto. Questo è accaduto per un certo tempo. Quando poi la vita "normale" ha preso il sopravvento e ho visto che tu riuscivi a seguire una tua strada, allora ho voluto concentrarmi solo sulla bellezza di ciò che mi restava di quella pazza estate. Non ho rinnegato nulla, solamente ho cercato di accantonare il negativo e dare risalto al positivo. Lo so che poco fa ho detto che le due cose sono inscindibili. E lo ribadisco. L'analisi mi ha aiutato in questo. Sono riuscita a fare da sola quello che su altri fronti facevo con l'analista. Usavo i suoi stessi strumenti ma li applicavo a qualcosa di cui lui era all'oscuro, manipolandoli a mio piacimento. Così ho potuto preservare la bellezza oscura di un atto di follia creandovi un cordone di sicurezza all'intorno.
Con un dito andai a raccogliere quella gocciolina di sperma che dal tuo prepuzio stava per scivolare sulle lenzuola. Lo feci spontaneamente. Presi un fazzoletto di carta dal comodino e mi ripulii, per poi andare ad asciugare anche il tuo glande. Al contatto della mia mano che si prendeva cura di lui, il tuo membro ebbe una contrazione. Non era più eccitamento, solo una risposta meccanica alla sollecitazione di una parte in quel momento molto sensibile. Mi guardasti e sorridesti quasi con imbarazzo. Mi dissi che avrei voluto giocare ancora con quel pezzo di te, come avevo fatto prima. Stuzzicarlo e stimolarlo perché tornasse gonfio. Lo avrei fatto più per te che per me. L'amplesso mi aveva appagata ma sapevo che la tua giovane virilità era sempre all'erta. Averlo visto prima, nel pieno dell'erezione, mi era piaciuto molto. Non andammo avanti.
Il ricordo è piacere e tormento allo stesso tempo. È impossibile scindere la memoria positiva da quella negativa e tirarsi dietro solo quello che ci piace. Se così fosse, vorrei che almeno tu ci fossi riuscito. Perché so che anche per te è stato un momento bello e difficile al tempo stesso. Forse dovrei dire che il momento, quel momento, magari anche quelli precedenti sono stati belli. Dopo però è venuta la parte più ostica. I sensi di colpa, i rimorsi di coscienza, la necessità assoluta di mantenere il segreto al punto di fingere con noi stessi che non fosse mai accaduto. Ricordo un episodio assai significativo. Un giorno, eravamo già tornati a casa da quella fatidica vacanza, tu entrasti in bagno mentre stavo facendo la doccia. Sentii la porta aprirsi ma non ci feci caso, in prima battuta. Ero di schiena ma percepii che qualcuno stava avanzando. Sapevo che tuo padre era già uscito. Poteva anche darsi che fosse tornato a casa perché aveva dimenticato qualcosa. Era più probabile che fossi tu. Sperai che, vedendomi così, te ne saresti andato. Invece ebbi la sensazione che mi stessi fissando da tergo. Provai un brivido lungo la schiena che non seppi come interpretare. Così mi girai di tre quarti, comprendo i seni con una mano ed il pube con l'altra. Ci fissammo per un istante. Notai anche la tua erezione e il tuo imbarazzo, ma percepii anche una luce di disappunto nei tuoi occhi. Probabilmente ti offendeva che ti negassi la mia completa nudità dopo quello che c'era stato. Mi chiesi cosa sarebbe successo se mi fossi mostrata a te, se avessi permesso che mi guardassi in un certo modo. Avevi voglia di me, immagino. Mi dissi che la tua poteva essere una normale erezione mattutina. Lo feci più che altro per evitare di ammettere la realtà dei fatti, ossia che mi desideravi ancora e che io sarei stata incapace di resisterti se ti fossi mosso verso di me in una certa maniera. Tu non lo immaginasti in quel momento, ma la vista della tua erezione nei pantaloni del pigiama mi stava eccitando e la mia mano posata sul pube premeva le carni. Trovai la forza di chiederti di lasciare la stanza. Fu una richiesta piatta, priva di inflessione. Solo io sapevo quanta disperazione ci fosse in quelle parole. Appena uscisti e ti chiudesti la porta alle spalle, mi misi in ginocchio, sotto il getto della doccia e mi masturbai. Mentre mi toccavo, piangevo. Fu il più brutto orgasmo della mia vita. Ero combattuta tra il dovere di madre ed il desiderio di donna. Era mostruoso pensare che sarebbe successo nuovamente. Mostruoso perché una parte di me lo desiderava e dovetti fare davvero uno sforzo immane per non cedere alla tentazione. Fu saggio. Qualcuno potrebbe obiettare che il desiderio e la passione, se condivisi, vanno assecondati. Condivisi? Probabilmente era così. Anche tu mi desideravi. Anche tu ti masturbavi pensando a me. Non me lo dicesti mai, ma lo intuivo, lo sapevo. Se mi fossi offerta nuovamente a te, mi avresti accolta. In te il senso di colpa era assai meno forte che in me. Per te ero stata la tua prima volta, oltre che un'esperienza unica. Unica e irripetibile però. Così doveva essere, a dispetto delle tue pulsioni. Avermi lì, a portata di mano, come tua complice, sarebbe stato facile, comodo, pratico e forse vantaggioso per entrambi. Sarebbe stato altrettanto folle. Avevi avuto la tua esperienza particolare e indimenticabile. Le volte successive dovevano necessariamente essere diverse. Avrebbero dovuto rientrare nei canoni di una sana relazione di coppia con una tua coetanea. Sarebbe andato bene anche un qualsiasi rapporto occasionale, purché sicuro. Meglio se non mercenario. Comunque mai più con tua madre.
Sai, figliolo, tutto questo tempo passato ha messo una distanza infinita tra quelli che eravamo allora e quelli che siamo diventati. Potrei scrivere un intero romanzo sulla nostra vita, la tua, la mia e quella delle persone che ci sono state vicine in questi anni. Potrei scrivere di tuo padre o di tua moglie e le nipotine. Ognuno meriterebbe una biografia, romanzata o meno. Se dovessi scrivere di te, narrare la tua storia da quando sei venuto al mondo, forse partirei proprio dal momento della tua nascita, da quando il tuo corpo è fuoriuscito dal mio. Racconterei mille e mille episodi a me cari. Narrerei delle gioie e dei dolori. Le paure, come quando avesti quel brutto incidente stradale, oppure l'infinita felicità quando mi annunciasti che sarei diventata nonna. Ho avuto una vita piena. Lo dico ora, col senno di poi, con questa mia lettera postuma, ma mentre la scrivo mi chiedo se avrò ancora qualche sorpresa da parte della vita stessa perché, finché non è finita, tutto può accadere. Comunque sia, quello a cui volevo arrivare è che, se anche scrivessi la storia della mia vita o della tua, per la parte che mi riguarda, ometterei proprio quello che invece è il cuore di questa lettera. Starai pensando che è normale poiché vorrei celare un atto turpe e vergognoso, perché vorrei proteggere te dal giudizio morale. Vergogna e rimorso mi impedirebbero di rivelare le mie colpe, il pudore mi tratterrebbe dallo svelare quanto sia stata immorale e spregiudicata. Invece no. Non sono queste le ragioni che mi imporrebbero di tacere. Certo, tutto questo sarebbe sensato, non lo metto in dubbio. Il vero motivo per cui non ne farei menzione è ben altro. È un segreto tra te e me, quello che è accaduto, un segreto molto privato di cui, in qualche modo, ne sono gelosa. L'ho custodito per tutti questi anni, resistendo alla tentazione di sfogarmi con qualcuno nei momenti più difficili e dolorosi della mia vita. C'era un periodo in cui credevo che le cose brutte che mi stavano accadendo fossero per colpa di quel fatto e che io dovessi confessarlo e liberarmene, così che la vita avrebbe ricominciato ad essere benevola nei miei confronti, mentre ora mi stava punendo severamente. Di noi due non ne ho parlato neppure con il mio analista, in tutti gli anni in cui sono stata in terapia. Forse è anche per questo che non ha sortito gli effetti sperati. Lui doveva aver intuito che gli nascondevo qualcosa, ma non riuscì mai a farmi confessare la mia verità più intima e privata. Ne ero troppo gelosa. Era un ricordo solo mio. Proprio con l'analisi temevo che quei ricordi sarebbero stati stravolti. Avevo paura che poi li avrei visti in maniera differente, senza più la componente affettiva che li ammantava. La terapia mi ha aiutato a risolvere parecchie situazioni complicate che abitavano in me, quindi posso dire che sia stata un bene. Se con l'analista avessi affrontato anche quell'episodio che mi legava a te in maniera tanto particolare, cosa avrei risolto? Probabilmente nulla, perché io non l'ho mai visto come un vero problema, sebbene sia consapevole che di conseguenze ne ha comportate, sia per te che per me. Sembra paradossale, ma è così. Spero almeno che tu possa comprendermi. Per me è stato motivo di sofferenze, di rimorsi. Sono stata turbata a lungo dal pensiero di quello che avevamo fatto. Questo è accaduto per un certo tempo. Quando poi la vita "normale" ha preso il sopravvento e ho visto che tu riuscivi a seguire una tua strada, allora ho voluto concentrarmi solo sulla bellezza di ciò che mi restava di quella pazza estate. Non ho rinnegato nulla, solamente ho cercato di accantonare il negativo e dare risalto al positivo. Lo so che poco fa ho detto che le due cose sono inscindibili. E lo ribadisco. L'analisi mi ha aiutato in questo. Sono riuscita a fare da sola quello che su altri fronti facevo con l'analista. Usavo i suoi stessi strumenti ma li applicavo a qualcosa di cui lui era all'oscuro, manipolandoli a mio piacimento. Così ho potuto preservare la bellezza oscura di un atto di follia creandovi un cordone di sicurezza all'intorno.
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