Lettera di una madre incestuosa (romanzo - 6/9)
di
Ciro Esposito83
genere
incesti
Prima che tutto accadesse, rammento un periodo in cui mi guardavi di continuo e lo facevi con occhi diversi, bramosi, assetati. I tuoi sguardi erano attenti e si muovevano rapidi per non perdere i dettagli di ciò che ti interessava. Fu in quel periodo che compresi il tuo interesse verso di me, per il mio corpo. Mi ero accorta che avevi sviluppato una fissazione per le mie gambe. Facevi in modo di guardarle in ogni occasione. Non durò a lungo ma fu assi interessante osservare le strategie, a volte persino puerili. Un giorno ti chiesi di darmi una mano per fare le pulizie della libreria dello studio. Ti ricordi com'era? Un'intera parete a scaffali fino al soffitto. Libri su libri e un'infinità di polvere. Ovviamente in alto c'erano i testi che nessuno consultava mai, le vecchie enciclopedie tematiche, i libri di quando eri bambino. Tutta roba inutile che nessuno aveva il coraggio di buttare via e che restava lì inutilizzata ad accumulare polvere. Una o due volte all'anno decidevo di rimboccarmi le maniche e provare a pulire. Magari riuscivo anche a scovare qualche volume tanto deteriorato da essere finalmente candidato alla spazzatura. Quella volta ti chiesi aiuto perché volevo svuotare gli scaffali di volta in volta, pulire per bene i ripiani e rimettere tutto a posto. Il tuo compito era quello di prendere i libri che ti passavo mentre stavo sulla scala e liberavo i ripiani superiori, così da non dover continuamente salire e scendere i gradini. Indossavo una vestaglietta da casa, al ginocchio, scollata, maniche corte. Niente di particolare, ma era pratica e fresca. Ero scalza perché con le ciabatte avrei rischiato di scivolare sui gradini della scala che usavo per raggiungere la sommità della libreria.
Cominciammo le operazioni. Salii fino all'ultimo gradino della scala di alluminio. Tu stavi sotto e la reggevi. Presi alcuni volumi. Erano pensanti e ricoperti da una patina di polvere. Vi passai sopra uno straccio e poi te li porsi. Tu li prendesti e li posasti ai piedi della scala, per poi attendere il carico successivo. Facemmo così fino a che il primo ripiano non fu svuotato ed io potei spolverarlo per bene, andando a pulire ogni interstizio. Poi ti chiesi di passarmi i libri nell'ordine inverso con cui te li avevo dati, in modo da rimetterli nell'esatto ordine. Era un lavoro meccanico e ripetitivo e lo avremmo ripetuto per tutta la lunghezza della libreria, per i tre piani superiori. Per gli altri non ci sarebbe servito l'ausilio della scala. Già allo scaffale seguente mi accorsi che il ritmo si era rallentato. Pensai che ti fossi stufato e non avessi più voglia di aiutarmi. Stavo quasi per lamentarmi quando mi accorsi dei tuoi movimenti. Quando ti piegavi per posare la pila di libri che ti avevo passato, facevi una strana torsione del corpo. In un primo momento neppure mi chiesi il perché, ma poi fui colpita da uno strano pensiero. Senza che tu te ne accorgessi, provai a tenerti d'occhio per confermare la mia teoria. Ci avevo visto giusto. Dopo averti lasciato il carico e mentre tu lo posavi al suolo, io mi raddrizzavo e mi allungavo per raggiungere i libri successivi. Tu invece ti curvavi per posare al suolo i volumi, ma ruotavi la testa per sbirciare sotto la gonna. Mi sembrò una cosa puerile e fui indecisa se riderci sopra o rimproverarti come si farebbe con un bambino. Cosa c'era di così interessante da vedere? Le mie gambe le vedevi normalmente. Non le nascondevo certo in casa. Spesso avevo indossato gonne anche più corte di quella oppure mi avevi vista girare in casa in mutande o coi collant mentre mi cambiavo. Indossavo uno slip, quindi non potevi vedere le mie parti intime. Quindi perché tutta questa fatica per qualcosa che era comunque a te già noto? E poi perché eri interessato a spiarmi? Avevo bisogno di rifletterci sopra per un momento e capire come comportarmi. In quella posizione ci sarei stata ancora per un po' ed ero certa che tu avresti continuato a comportarti così per tutto il tempo. Mi inventai una scusa per fare una pausa e allontanarti. Ti chiesi di andarmi a prendere da bere perché la polvere mi aveva seccato la gola. Lasciasti la stanza e io scesi dalla scala, andandomi a sedere sul bracciolo della poltrona dello studio. Perché lo facevi? Cosa ti muoveva? Quale pulsione adolescenziale ti spingeva a spiare tua madre? Solo perché ero una donna ed ero a portata di mano? Dipendeva dal fatto che ero donna e non ragazza? C'entrava qualcosa che fossi tua madre o si trattava solo del caso che ti aveva offerto un'opportunità? Erano domande che non potevo porti. Mi sarebbe piaciuto leggerti nel pensiero per trovare le risposte. Ragionai da madre che voleva avere una mentalità aperta e cercava di immedesimarsi nel proprio figlio in piena tempesta ormonale. Mi dissi che, per quanto a me sembrasse tutto ridicolo e puerile, tu stavi rispondendo a degli stimoli naturali di cui eri poco a conoscenza e prevalentemente vittima inconsapevole. Ti saresti comportato così con chiunque. Dirti qualcosa ti avrebbe messo inutilmente in imbarazzo. Ora stava a me decidere come comportarmi. Avrei potuto dirti che non mi serviva più il tuo aiuto e congedarti. Oppure avrei potuto muovermi in maniera tale da impedirti di sbirciare, magari richiamando di più la tua attenzione su quello che facevi. Se avessi tentato di coprirmi di più o, peggio ancora, mi fossi cambiata, indossando dei pantaloni, sarebbe comunque stato umiliante per te, perché ti avrei inviato un messaggio muto che diceva che eri stato scoperto e che disapprovavo. Ritenni che fosse più saggio far finta di niente. Sapevo che era conseguenza del particolare momento che stavi attraversando. Il migliore aiuto che potevo darti, come madre, era l'indifferenza. Fingere di non essermi accorta, cercando di non provare alcun imbarazzo né di mutare il mio comportamento. Non volevo né ostacolarti, né favorirti, anche se per una frazione di secondo mi domandai cosa sarebbe successo se, per esempio, mi fossi allontanata con la scusa di fare pipì e fossi tornata senza biancheria intima. Fu un pensiero fugace, ma l'idea di provocarti mi fece sorridere, ben sapendo che non avrei mai avuto il coraggio di fare una cosa così trasgressiva, né il cuore di giocare coi tuoi sentimenti e le tue emozioni.
Riprendemmo il lavoro interrotto. Ero cosciente di ciò che accadeva. Sentivo i tuoi occhi percorrermi le gambe, insinuarsi sotto la gonna che ti scampanellava davanti agli occhi e raggiungere la parte in cui le cosce si univano e i glutei si stondavano. Faticavo a capire se riuscivi a spiare anche mentre salivo o scendevo uno o due gradini. Cosa vedevi? C'era della peluria che sfuggiva alla stoffa e che tu potevi vedere? Mi auguravo che potessi osservare solo la linea delle gambe, il profilo esterno e il solco dove si univano quando stavo ritta. Preferivo che fosse quello il limite della tua visione e che ciò ti bastasse. Mi accorsi anche che avevi un'erezione. Cercai di allontanare il pensiero dall'idea che, una volta terminata la nostra collaborazione, ti saresti chiuso in bagno o in camera a toccarti in conseguenza di ciò che avevi visto, che io ti avevo consentito di guardare così a lungo e intensamente. Fui spaventata dalla consapevolezza che questa idea mi stava eccitando. Improvvisamente sentii il cuore accelerare e fui colta da un senso di ansia nell'istante preciso in cui mi dissi che immaginarti nella tua stanza, col sesso duro, che lo toccavi perché eccitato per le mie cosce, era un'immagine piacevole e che mi faceva provare piccole contrazioni nella zona inguinale. Per fortuna avevamo terminato coi ripiani più alti. Potei scendere dalla scala, ma non volevo che tu te ne andassi. Sarei stata tutto il tempo a cercare di capire in che parte della casa fossi e cosa stessi facendo. Così ti incaricai di procedere nella pulizia dei ripiani più bassi. Tu a un capo, io a quello opposto della lunga libreria.
Cominciammo le operazioni. Salii fino all'ultimo gradino della scala di alluminio. Tu stavi sotto e la reggevi. Presi alcuni volumi. Erano pensanti e ricoperti da una patina di polvere. Vi passai sopra uno straccio e poi te li porsi. Tu li prendesti e li posasti ai piedi della scala, per poi attendere il carico successivo. Facemmo così fino a che il primo ripiano non fu svuotato ed io potei spolverarlo per bene, andando a pulire ogni interstizio. Poi ti chiesi di passarmi i libri nell'ordine inverso con cui te li avevo dati, in modo da rimetterli nell'esatto ordine. Era un lavoro meccanico e ripetitivo e lo avremmo ripetuto per tutta la lunghezza della libreria, per i tre piani superiori. Per gli altri non ci sarebbe servito l'ausilio della scala. Già allo scaffale seguente mi accorsi che il ritmo si era rallentato. Pensai che ti fossi stufato e non avessi più voglia di aiutarmi. Stavo quasi per lamentarmi quando mi accorsi dei tuoi movimenti. Quando ti piegavi per posare la pila di libri che ti avevo passato, facevi una strana torsione del corpo. In un primo momento neppure mi chiesi il perché, ma poi fui colpita da uno strano pensiero. Senza che tu te ne accorgessi, provai a tenerti d'occhio per confermare la mia teoria. Ci avevo visto giusto. Dopo averti lasciato il carico e mentre tu lo posavi al suolo, io mi raddrizzavo e mi allungavo per raggiungere i libri successivi. Tu invece ti curvavi per posare al suolo i volumi, ma ruotavi la testa per sbirciare sotto la gonna. Mi sembrò una cosa puerile e fui indecisa se riderci sopra o rimproverarti come si farebbe con un bambino. Cosa c'era di così interessante da vedere? Le mie gambe le vedevi normalmente. Non le nascondevo certo in casa. Spesso avevo indossato gonne anche più corte di quella oppure mi avevi vista girare in casa in mutande o coi collant mentre mi cambiavo. Indossavo uno slip, quindi non potevi vedere le mie parti intime. Quindi perché tutta questa fatica per qualcosa che era comunque a te già noto? E poi perché eri interessato a spiarmi? Avevo bisogno di rifletterci sopra per un momento e capire come comportarmi. In quella posizione ci sarei stata ancora per un po' ed ero certa che tu avresti continuato a comportarti così per tutto il tempo. Mi inventai una scusa per fare una pausa e allontanarti. Ti chiesi di andarmi a prendere da bere perché la polvere mi aveva seccato la gola. Lasciasti la stanza e io scesi dalla scala, andandomi a sedere sul bracciolo della poltrona dello studio. Perché lo facevi? Cosa ti muoveva? Quale pulsione adolescenziale ti spingeva a spiare tua madre? Solo perché ero una donna ed ero a portata di mano? Dipendeva dal fatto che ero donna e non ragazza? C'entrava qualcosa che fossi tua madre o si trattava solo del caso che ti aveva offerto un'opportunità? Erano domande che non potevo porti. Mi sarebbe piaciuto leggerti nel pensiero per trovare le risposte. Ragionai da madre che voleva avere una mentalità aperta e cercava di immedesimarsi nel proprio figlio in piena tempesta ormonale. Mi dissi che, per quanto a me sembrasse tutto ridicolo e puerile, tu stavi rispondendo a degli stimoli naturali di cui eri poco a conoscenza e prevalentemente vittima inconsapevole. Ti saresti comportato così con chiunque. Dirti qualcosa ti avrebbe messo inutilmente in imbarazzo. Ora stava a me decidere come comportarmi. Avrei potuto dirti che non mi serviva più il tuo aiuto e congedarti. Oppure avrei potuto muovermi in maniera tale da impedirti di sbirciare, magari richiamando di più la tua attenzione su quello che facevi. Se avessi tentato di coprirmi di più o, peggio ancora, mi fossi cambiata, indossando dei pantaloni, sarebbe comunque stato umiliante per te, perché ti avrei inviato un messaggio muto che diceva che eri stato scoperto e che disapprovavo. Ritenni che fosse più saggio far finta di niente. Sapevo che era conseguenza del particolare momento che stavi attraversando. Il migliore aiuto che potevo darti, come madre, era l'indifferenza. Fingere di non essermi accorta, cercando di non provare alcun imbarazzo né di mutare il mio comportamento. Non volevo né ostacolarti, né favorirti, anche se per una frazione di secondo mi domandai cosa sarebbe successo se, per esempio, mi fossi allontanata con la scusa di fare pipì e fossi tornata senza biancheria intima. Fu un pensiero fugace, ma l'idea di provocarti mi fece sorridere, ben sapendo che non avrei mai avuto il coraggio di fare una cosa così trasgressiva, né il cuore di giocare coi tuoi sentimenti e le tue emozioni.
Riprendemmo il lavoro interrotto. Ero cosciente di ciò che accadeva. Sentivo i tuoi occhi percorrermi le gambe, insinuarsi sotto la gonna che ti scampanellava davanti agli occhi e raggiungere la parte in cui le cosce si univano e i glutei si stondavano. Faticavo a capire se riuscivi a spiare anche mentre salivo o scendevo uno o due gradini. Cosa vedevi? C'era della peluria che sfuggiva alla stoffa e che tu potevi vedere? Mi auguravo che potessi osservare solo la linea delle gambe, il profilo esterno e il solco dove si univano quando stavo ritta. Preferivo che fosse quello il limite della tua visione e che ciò ti bastasse. Mi accorsi anche che avevi un'erezione. Cercai di allontanare il pensiero dall'idea che, una volta terminata la nostra collaborazione, ti saresti chiuso in bagno o in camera a toccarti in conseguenza di ciò che avevi visto, che io ti avevo consentito di guardare così a lungo e intensamente. Fui spaventata dalla consapevolezza che questa idea mi stava eccitando. Improvvisamente sentii il cuore accelerare e fui colta da un senso di ansia nell'istante preciso in cui mi dissi che immaginarti nella tua stanza, col sesso duro, che lo toccavi perché eccitato per le mie cosce, era un'immagine piacevole e che mi faceva provare piccole contrazioni nella zona inguinale. Per fortuna avevamo terminato coi ripiani più alti. Potei scendere dalla scala, ma non volevo che tu te ne andassi. Sarei stata tutto il tempo a cercare di capire in che parte della casa fossi e cosa stessi facendo. Così ti incaricai di procedere nella pulizia dei ripiani più bassi. Tu a un capo, io a quello opposto della lunga libreria.
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