Lettera di una madre incestuosa (romanzo - 7/9)
di
Ciro Esposito83
genere
incesti
Ricordi invece quella volta che fui io a provocarti volutamente? Era da un po' di tempo che avevo compreso la natura dei tuoi sentimenti. O meglio, delle tue pulsioni. Ero in quella fase in cui stavo cominciando a cedere ma non ne ero ancora consapevole. Ero stuzzicata nel mio ego profondo dalle attenzioni di un giovane uomo ed ero innamorata di te come madre di un meraviglioso ragazzo. Ero già entrata in quel turbine di follia che mi avrebbe portato al gesto più insensato della mia vita. All'epoca, se mi avessero detto come sarebbe andata a finire, sarei scoppiata a ridere. È qualcosa che nessuna madre potrebbe mai pensare razionalmente. Di fatto era un'idea che non mi aveva mai sfiorato. Se da un lato ero incuriosita da quello che si muoveva dentro la tua psiche acerba, dall'altro mi dicevo che era un gioco divertente. Una forma di complicità tra madre e figlio. Magari un po' sopra le righe. Tutto qui. Così escogitai quel piccolo sotterfugio per metterti alla prova.
Ti chiamai in camera da letto. Sapevi che non ero stata molto bene il giorno prima perché avevo preso un leggero strappo muscolare. Ti raccontai che tuo padre era dovuto uscire presto e che quindi non aveva potuto passarmi la crema antidolorifica e massaggiarmi la schiena. Ti chiesi se potevi farlo tu al posto suo. Dicesti che eri ben lieto di potermi aiutare, così ti dissi di prendere il medicinale che era sul ripiano del bagno e mi misi prona sul letto. Ti sedesti vicino a me. Esitavi. Ti chiesi perché non ti stavi dando da fare e la tua risposta fu che non potevi arrivare al punto in cui mi doleva perché la camicia da notte non te lo permetteva. Mi finsi colta alla sprovvista e ti feci presente che non potevo toglierla perché sotto non indossavo il reggiseno, essendo ancora con gli indumenti della notte. Allora ti pregai di chiudere gli occhi. Tu addirittura ti voltasti dall'altra parte. Mi sfilai la veste e, rimanendo solo con lo slip, mi misi nuovamente a pancia in giù. Sapevo che non avevi sbirciato e adesso non potevi vedere nulla, se non forse la parte dei seni che debordava lateralmente perché erano schiacciati dal mio stesso peso. Per prima cosa ti feci applicare un po' di crema sul punto dove provavo dolore, raccomandandoti di frizionare per bene, poi ti chiesi di continuare il massaggio sull'intera superficie del dorso. Volevo vedere fino a che punto ti saresti spinto. Sapevo che mi stavi guardando, che osservai non solo quello che potevi dei seni, ma anche i glutei e le cosce. Ti piacevano le gambe, le mie gambe, e adesso erano completamente in vista. Le avevi viste altre volte, ma non così forse. E neppure le natiche ti erano mai state presentate con tanta libertà e vicinanza. Certo non potevi osare così tanto, non te lo avrei permesso io stessa. Ti lasciavo guardare mentre mi toccavi la schiena. Inizialmente le tue mani erano insicure e tremanti, poi furono più decise. Dovevi massaggiare, non accarezzare. Serviva energia e decisione, con il giusto equilibrio per non farmi male o lasciarmi dei lividi. Ti pregai di fare un buon lavoro, senza trascurare nulla. Della schiena, ovviamente. Azzardasti a piccole divagazioni laterali, quasi a lambire, accidentalmente, i seni compressi. Miei piccoli movimenti ti fecero capire che era inopportuno. Poi ti indirizzai verso il centro della schiena, alla ricerca dei punti più sensibili, dove serviva che movimento e calore sciogliessero le fasce muscolari. Quel tuo tocco stava facendo effetto e ti esortai a continuare. Emettevo piccoli gemiti di piacere. Per nulla erotici. Semplice piacere perché il massaggio era efficace. Ti dissi di raggiungere la zona lombare. Lì esasperai la portata delle sensazioni che provavo. Accentuai il piacere, esagerai l'effetto. Capivo che eri confuso e potevi fraintendere. Era quello che volevo. Stavo giocando con te che non sapevi di stare giocando con me. Mi piaceva il tuo tocco ma sembrava che mi stesse procurando ben altro tipo di piacere. Eri molto vicino al mio fondoschiena. Abbassai di soli pochi centimetri lo slip perché tu potessi arrivare fin lì, proprio dove cominciava il leggero declivio delle natiche. Imbarazzato, andasti a massaggiare fino alla nuova linea di confine e io continuai a manifestare il piacere. Contrassi più volte le cosce e i glutei, un po' simulando, un po' perché così provavo davvero del piacere. Era davvero troppo. Ero certa che fossi eccitato e che la tua erezione premesse nei pantaloni. Ero pronta a dirti che così poteva bastare. Fosti tu a prevenirmi. Mi dicesti che pensavi di aver fatto un buon lavoro e che avevi altro da fare. Usciti velocemente dalla stanza. Non fu per andarti a masturbare. Lo scoprii solo più tardi, frugando nella cesta della biancheria da lavare. Eri venuto nei pantaloni. Eri fuggito via perché ti vergognavi e non volevi che vedessi la chiazza di umido che si andava allargando.
Mi pentii di quello che ti avevo fatto. Era stato un gioco crudele e immotivato, il mio. Cosa volevo ottenere? Era prevedibile. Avrei potuto arrivare a tavolino alle medesime conclusioni, senza bisogno di sottoporti a quella sorta di tortura immorale. Mi ero divertita a tue spese. Questo non fa parte di quello che è definito un sano comportamento materno. Io stessa mi ero eccitata e anche questo era sbagliato. A caldo, mi dissi che mai più avrei fatto una cosa del genere. Ti amavo come madre. Perché allora mi ero comportata come una donnaccia? Stetti male per parecchio tempo. Ero preoccupata di come tu avessi vissuto quell'esperienza. Se solo avessi avuto più coraggio, sarei venuta da te a parlarne, a chiarirci. Lasciai che fosse il tempo a risolvere la questione attraverso l'oblio. Fu un errore, perché le cose andarono diversamente.
Eri un bel ragazzo. Avevi un carattere chiuso che nascondeva la sensibilità di cui eri portatore. Facevi una vita molto ritirata. Socializzavi poco. Era una tua scelta. Che finì per ritorcersi contro di te, perché creasti il vuoto intorno. Pochi amici e nessuna confidenza con le ragazza. In realtà a volte è normale. Ognuno di noi ha un proprio percorso di avvicinamento all'altro sesso o comunque alla sfera sessuale, durante lo sviluppo. Se anche un giorno fossi venuto a dirmi di essere incerto sui tuoi orientamenti sessuali, non avrei avuto alcun problema. Sapevo però che le ragazze ti piacevano. Avevi manifestato da tempo i tuoi gusti. Solo li avevi orientati in una direzione che faticavo a capire. Mostravi interesse verso le donne, piuttosto che verso le coetanee. A quell'età però è difficile attirare l'attenzione di persone che possono essere coetanee di tua madre o quasi. Così vivesti quella fase con grande frustrazione. Probabilmente per quello ti orientasti verso di me. In me vedevi una figura amorevole e protettrice che avrebbe saputo comprenderti. Non ti aspettavi certo accoglimento e condiscendenza. Cercavi solo un modo per venirne fuori senza passare attraverso umiliazioni e derisioni in cui saresti incappato se ci avessi provato con coloro che erano il tuo obiettivo, il tuo sogno segreto. Se avessi conosciuto una "signora Robinson" forse le cose sarebbero andate diversamente. Quel film lo avevamo visto insieme e mi ero accorta di quanta impressione ti avesse fatto. Ne eri estasiato. Dal canto mio, sentivo quanto ti pesasse la frustrazione e mi dicevo che dovevo fare qualcosa per aiutarti. Cosa, mi era davvero impossibile saperlo. Era una situazione che mi vedeva completamente impreparata. È in queste circostanze che si fanno gli sbagli peggiori. Si fa del male nel tentativo di fare del bene. Ti chiedo scusa.
Ti chiamai in camera da letto. Sapevi che non ero stata molto bene il giorno prima perché avevo preso un leggero strappo muscolare. Ti raccontai che tuo padre era dovuto uscire presto e che quindi non aveva potuto passarmi la crema antidolorifica e massaggiarmi la schiena. Ti chiesi se potevi farlo tu al posto suo. Dicesti che eri ben lieto di potermi aiutare, così ti dissi di prendere il medicinale che era sul ripiano del bagno e mi misi prona sul letto. Ti sedesti vicino a me. Esitavi. Ti chiesi perché non ti stavi dando da fare e la tua risposta fu che non potevi arrivare al punto in cui mi doleva perché la camicia da notte non te lo permetteva. Mi finsi colta alla sprovvista e ti feci presente che non potevo toglierla perché sotto non indossavo il reggiseno, essendo ancora con gli indumenti della notte. Allora ti pregai di chiudere gli occhi. Tu addirittura ti voltasti dall'altra parte. Mi sfilai la veste e, rimanendo solo con lo slip, mi misi nuovamente a pancia in giù. Sapevo che non avevi sbirciato e adesso non potevi vedere nulla, se non forse la parte dei seni che debordava lateralmente perché erano schiacciati dal mio stesso peso. Per prima cosa ti feci applicare un po' di crema sul punto dove provavo dolore, raccomandandoti di frizionare per bene, poi ti chiesi di continuare il massaggio sull'intera superficie del dorso. Volevo vedere fino a che punto ti saresti spinto. Sapevo che mi stavi guardando, che osservai non solo quello che potevi dei seni, ma anche i glutei e le cosce. Ti piacevano le gambe, le mie gambe, e adesso erano completamente in vista. Le avevi viste altre volte, ma non così forse. E neppure le natiche ti erano mai state presentate con tanta libertà e vicinanza. Certo non potevi osare così tanto, non te lo avrei permesso io stessa. Ti lasciavo guardare mentre mi toccavi la schiena. Inizialmente le tue mani erano insicure e tremanti, poi furono più decise. Dovevi massaggiare, non accarezzare. Serviva energia e decisione, con il giusto equilibrio per non farmi male o lasciarmi dei lividi. Ti pregai di fare un buon lavoro, senza trascurare nulla. Della schiena, ovviamente. Azzardasti a piccole divagazioni laterali, quasi a lambire, accidentalmente, i seni compressi. Miei piccoli movimenti ti fecero capire che era inopportuno. Poi ti indirizzai verso il centro della schiena, alla ricerca dei punti più sensibili, dove serviva che movimento e calore sciogliessero le fasce muscolari. Quel tuo tocco stava facendo effetto e ti esortai a continuare. Emettevo piccoli gemiti di piacere. Per nulla erotici. Semplice piacere perché il massaggio era efficace. Ti dissi di raggiungere la zona lombare. Lì esasperai la portata delle sensazioni che provavo. Accentuai il piacere, esagerai l'effetto. Capivo che eri confuso e potevi fraintendere. Era quello che volevo. Stavo giocando con te che non sapevi di stare giocando con me. Mi piaceva il tuo tocco ma sembrava che mi stesse procurando ben altro tipo di piacere. Eri molto vicino al mio fondoschiena. Abbassai di soli pochi centimetri lo slip perché tu potessi arrivare fin lì, proprio dove cominciava il leggero declivio delle natiche. Imbarazzato, andasti a massaggiare fino alla nuova linea di confine e io continuai a manifestare il piacere. Contrassi più volte le cosce e i glutei, un po' simulando, un po' perché così provavo davvero del piacere. Era davvero troppo. Ero certa che fossi eccitato e che la tua erezione premesse nei pantaloni. Ero pronta a dirti che così poteva bastare. Fosti tu a prevenirmi. Mi dicesti che pensavi di aver fatto un buon lavoro e che avevi altro da fare. Usciti velocemente dalla stanza. Non fu per andarti a masturbare. Lo scoprii solo più tardi, frugando nella cesta della biancheria da lavare. Eri venuto nei pantaloni. Eri fuggito via perché ti vergognavi e non volevi che vedessi la chiazza di umido che si andava allargando.
Mi pentii di quello che ti avevo fatto. Era stato un gioco crudele e immotivato, il mio. Cosa volevo ottenere? Era prevedibile. Avrei potuto arrivare a tavolino alle medesime conclusioni, senza bisogno di sottoporti a quella sorta di tortura immorale. Mi ero divertita a tue spese. Questo non fa parte di quello che è definito un sano comportamento materno. Io stessa mi ero eccitata e anche questo era sbagliato. A caldo, mi dissi che mai più avrei fatto una cosa del genere. Ti amavo come madre. Perché allora mi ero comportata come una donnaccia? Stetti male per parecchio tempo. Ero preoccupata di come tu avessi vissuto quell'esperienza. Se solo avessi avuto più coraggio, sarei venuta da te a parlarne, a chiarirci. Lasciai che fosse il tempo a risolvere la questione attraverso l'oblio. Fu un errore, perché le cose andarono diversamente.
Eri un bel ragazzo. Avevi un carattere chiuso che nascondeva la sensibilità di cui eri portatore. Facevi una vita molto ritirata. Socializzavi poco. Era una tua scelta. Che finì per ritorcersi contro di te, perché creasti il vuoto intorno. Pochi amici e nessuna confidenza con le ragazza. In realtà a volte è normale. Ognuno di noi ha un proprio percorso di avvicinamento all'altro sesso o comunque alla sfera sessuale, durante lo sviluppo. Se anche un giorno fossi venuto a dirmi di essere incerto sui tuoi orientamenti sessuali, non avrei avuto alcun problema. Sapevo però che le ragazze ti piacevano. Avevi manifestato da tempo i tuoi gusti. Solo li avevi orientati in una direzione che faticavo a capire. Mostravi interesse verso le donne, piuttosto che verso le coetanee. A quell'età però è difficile attirare l'attenzione di persone che possono essere coetanee di tua madre o quasi. Così vivesti quella fase con grande frustrazione. Probabilmente per quello ti orientasti verso di me. In me vedevi una figura amorevole e protettrice che avrebbe saputo comprenderti. Non ti aspettavi certo accoglimento e condiscendenza. Cercavi solo un modo per venirne fuori senza passare attraverso umiliazioni e derisioni in cui saresti incappato se ci avessi provato con coloro che erano il tuo obiettivo, il tuo sogno segreto. Se avessi conosciuto una "signora Robinson" forse le cose sarebbero andate diversamente. Quel film lo avevamo visto insieme e mi ero accorta di quanta impressione ti avesse fatto. Ne eri estasiato. Dal canto mio, sentivo quanto ti pesasse la frustrazione e mi dicevo che dovevo fare qualcosa per aiutarti. Cosa, mi era davvero impossibile saperlo. Era una situazione che mi vedeva completamente impreparata. È in queste circostanze che si fanno gli sbagli peggiori. Si fa del male nel tentativo di fare del bene. Ti chiedo scusa.
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