La madre del mio amico

di
genere
etero

Alle tre del mattino feci accostare la macchina davanti a casa mia, dove io e Nico eravamo soliti terminare la serata, nelle chiacchiere a volte vane e a volte sagge degli ubriachi malinconici. Solo che proprio ubriachi non eravamo: avevamo giusto bevuto qualche bicchiere di vino buono, fatto da un amico, di quello che ti mette addosso un senso di euforìa ma senza annebbiarti i sensi. «Davvero eccezionale, quel vino…», pensavo, «…ti fa sentire allegrotto ma non stonato, come quello della Cantina Sociale…». Grazie a quella condizione di calma e discreta lucidità, ce ne stavamo seduti a ragionare a lungo lì nella macchina, di viaggi e di donne.
Senza accorgercene era passata circa mezz'ora di conversazione, quando una macchina si fermò dietro alla nostra… ma non ci facemmo caso più di tanto. Dopo un po' il mio amico guardò nello specchietto.
"Cazzo, Max… guarda quei due come slinguano!".
"…Eh? Ma chi… dove?" chiesi.
Mi girai, e vidi, all'interno di una vecchia Volksvagen Passat, due corpi avvinghiati. Si baciavano profondamente, ignari di tutto ciò che li circondava; l'uomo palpeggiava furiosamente la donna, che sembrava non aver pace sotto l'invadenza delle mani indiscrete del tizio che stava appiccicato a lei.
La luce era poca, così che non si riuscivano a distinguere le fattezze degli occupanti l'abitacolo di quella vettura. Mi girai, rattristato dalla scena, ricordandomi che quella sera per me sarebbe finita in bianco.
"Hai capito la troia, come si fa sbattere…" dissi, e mentre lo dicevo l'avevo già dimenticata, tra i fumi dell'alcool e discussioni di sesso e di macchine che Nico aveva provveduto a reintavolare.
Dopo un po' guardai l'orologio della macchina; si erano fatte quasi le 3 di mattina.
"Nico, ora devo andare a a dormire. Stammi bene!".
"Okay, Max… ci vediamo".

Aprii la portiera e scesi pigramente dall'auto, nello stesso istante in cui dalla macchina dietro usciva la donna. Pensai subito che fosse qualcuno che abitava lì nel mio palazzo, e la curiosità mi fece indugiare giusto un istante, nell'avviarmi verso le scale.
In quell'attimo, la donna si girò. Fu uno shock, per lei come per me, quando in un attimo riconobbi Ludovica, la madre del mio amico del piano di sotto, e lei riconobbe me. Posai lo sguardo sull'uomo, rendendomi subito conto che non era suo marito.In quell'attimo, la donna si girò. Fu uno shock, per lei come per me, quando in un attimo riconobbi Ludovica, la madre del mio amico del piano di sotto, e lei riconobbe me. Mi resi subito conto, senza nemmeno guardare quell'uomo, che non era suo marito.
In quell'attimo sul viso della donna vidi sfilare una serie di emozioni: sorpresa, vergogna, paura… ed infine collera. Infatti, mentre ci guardavamo, l'uomo all'interno della vettura prese a toccarle il culo con fare inequivocabile, passandole lascivamente una mano tra le gambe e togliendole così definitivamente la possibilità di trovare qualche scusa plausibile. Comunque, per toglierla da ogni imbarazzo, distolsi lo sguardo e mi diressi verso casa.
Alle mie spalle sentii chiaramente la sua voce incollerita.
"E mollami, idiota! Non vedi che ci vedono?".
Tolsi le chiavi dalla tasca e, mentre aprivo il portone, udii chiaramente i suoi passi… tac… toc… tac… scarpe coi tacchi, di quelle che sulle donne di mezza età, ancora piacenti, fanno venire torbide fantasie.
Scrollandomi di dosso quei pensieri, entrai nel portone ed imboccai le scale per arrivare al mio piano. I passi arrivarono e fermarono il portone prima che si chiudesse, entrarono e poi fu silenzio.

Ero quasi arrivato al pianerottolo di casa, mentre stavo per entrare, sentii un bisbiglio nell'eco silenzioso della tromba delle scale.
"Max… Maaax…!".
Era lei che mi chiamava. Pensai che sicuramente mi avrebbe sbolognato qualche facile scusa, del tipo che si era fatta accompagnare da un amico di famiglia, o magari il cugino o lo zio, che non era come pensavo, e probabilmente mi avrebbe chiesto di non dire nulla a nessuno.
Scesi piano le scale e la trovai di fronte alla porta di casa sua, che mi osservava con un'espressione di accusa mista ad odio; del resto avevo scoperto i suoi segreti, e avrei potuto mettere in crisi la sua pace familiare.
Mentre pensavo a tutto questo lei si avvicinò a me: era più bassa di me, sulla cinquantina ma ancora molto piacente, il corpo ben tornito, i fianchi un po' larghi, un sedere ben fatto, fasciato da una gonna nera sopra il ginocchio con un lieve spacco, da cui fuoriuscivano due gambe non magrissime ma gradevoli, inguainate da calze di nylon velate nere con la riga dietro. Indossava una camicetta bianca con una generosa scollatura, da cui si intravedeva l'abbondante seno, e sopra di essa una giacchetta in tinta con la gonna.
Mi guardò, i capelli neri corvini raccolti dietro che incorniciavano un bel viso abbronzato e due occhi del color della pece. Due labbra carnose e sensuali, denti ancora bianchi.
"Max… io… ti prego, non dire niente a mio figlio, so che siete molto amici… non rovinarmi la vita, ti prego…".
Che bello! Adesso non era più la donna spocchiosa e piena di sé che incontravo sulle scale durante il giorno, che mal tollerava la mia amicizia con suo figlio e la mia presenza in casa sua: ora era una donna come le altre, maiala forse più delle altre, che mi invocava, mi pregava… me, che avevo meno della metà dei suoi anni…!
La guardai profondamente, ricordando tutte le volte che in passato avrei voluto strapparle di dosso quei vestiti insieme con tutta la sua boria.
"Max… perché non mi rispondi? Ti prego, non dire nulla… farò quello che vuoi… ma mi devi promettere…".
Ecco… il momento era arrivato: quanto era disposta a pagare, l'intoccabile «signora», per il mio silenzio?
"Cosa vuol dire «quello che voglio»? Cosa intendi?" dissi.

Lei si avvicinò a un palmo dal mio viso; potevo sentire il suo profumo, forte e dolciastro… doveva essersene spruzzato a litri prima di uscire, ed era ancora lì, pronto a far accendere il desiderio in chiunque ne avesse percepita la fragranza.
Alzò una mano e me la posò sul braccio; le sue unghie erano lunghe e ben curate, smaltate di un rosso fuoco appariscente, le dita ingioiellate con diversi anelli e, da sotto la manica, si intravedeva un piccolo bracciale di fattura molto delicata.
"Max… so di non essere più giovane, ma sono ancora bella, non è vero?". Mentre lo diceva incominciò a passarmi le sue unghie appuntite su e giù sul mio braccio, e tutti i miei peli cominciarono a sollevarsi, così come il mio membro dietro lo schermo dei calzoni.
"Vorresti dire che per il mio silenzio saresti disposta a…".
"Sì… sono disposta anche a quello!" ammise.
A quel punto mi si avvinghiò contro. Sentivo il suo enorme seno strofinarmi sul petto, una sua gamba sollevarsi e ripiegarsi a circondare la mia, mentre le sue mani mi esploravano la schiena… e poi la sua bocca si incollò alla mia, la sua lingua impazzita cominciò ad esplorare la mia cavità e si intrecciava con la mia, toccando o respingendo.
Mi staccai di botto. Non volevo approfittarmi di lei, ma ciò che aveva fatto aveva acceso in me il fuoco, ed un uomo non è fatto di marmo… o perlomeno non del tutto.
"E va bene… andiamo!…".

La presi per mano e quasi trascinandola la condussi nel sottoscala; qui la misi schiena al muro, premendo il mio corpo contro il suo, fino a strofinare il mio membro all'altezza delle sue cosce. Lei avvertì subito la pressione e cominciò a divaricare le gambe, consentendo al mio corpo di alloggiarsi tra di esse. La mia lingua riprese a cercare la sua, mentre con le mani la toccavo e la palpavo tutta.
Cominciai a saggiare le sue gambe con le mani… risalendo verso l'alto sentivo la superficie velata delle calze, poi, insinuandomi sotto la gonna, al mio tatto si rivelò la pelle nuda, morbida ed invitante. Guardai, e vidi che portava un reggicalze ed un paio di mutandine di raso nero.
A quella vista la voglia che avevo di scoparla si centuplicò.

Le tolsi la giacca, le sbottonai la camicetta, scostai il reggiseno e presi tra le mani quelle due grosse mammelle, soppesandole come meloni maturi, accarezzandole dolcemente per godere della loro consistenza. Pensai come sia curioso che alle donne, dopo una certa età, i seni crescano così tanto.
Affondandovi il viso e gustando appieno la loro fragranza, cominciai a succhiare avidamente i capezzoli, che al mio tocco si erano inturgiditi; nel frattempo con la mano mi facevo spazio tra le sue mutandine. Al mio tocco, una peluria riccioluta si contrapponeva alla sericità delle sua biancheria intima… fino a ché arrivai alla fonte della vita, a quell'apertura da cui tutti veniamo e in cui tutti (o quasi, almeno noi maschi) desideriamo tornare.
Trovai le grandi labbra, turgide e prominenti; con delicatezza sfiorai l'interno di quello scrigno, per accorgermi che era già fradicio dei suoi umori.
"Ludovica, quanto sei arrapante… ti voglio…" le dissi.
"Ooooh… ooooh… sssìii… mmmhh…". Con la sua bocca umida e lasciva cominciò a suggermi il collo ed un orecchio, a cui il suo ansimare arrivava chiaro ed eccitante.
Passai un dito su tutto il suo perimetro, soffermandomi sul clitoride turgido. Sussultò al mio tocco, sporgendo in avanti il bacino per facilitarmi il compito. Le infilai un dito all'interno per esplorare quel meraviglioso anfratto, muovendolo con ritmo lento e costante.

Ad un tratto nei suoi occhi vidi un guizzo: era la ragione che la abbandonava, lasciando il posto alla lussuria più sfrenata e completa. Quasi sbuffando dalle narici abbassò le mani e cominciò a slacciarmi la cintura con frenesia… non poteva più aspettare, lo voleva dentro, lì, in quel momento, in quel sottoscala angusto, sbattuta al muro come una troia qualsiasi… e quel pensiero riattizzò la mia fiamma.
Sentii le sue mani che sbottonavano la patta dei miei jeans, mi abbassavano i boxer ed afferravano il mio sesso, tirandomi verso di lei come un cane al guinzaglio… mi invitava a penetrarla.
"Dài… presto… non ce la faccio più…" mi implorava.
Le sollevai la gonna sui bei fianchi pieni e sodi, le alzai una gamba tenendola con una mano, mentre con l'altra le scostai le mutandine e lo poggiai delicatamente sulla sua fessura, trascinandolo con movimenti longitudinali ed indugiando ancora.
"Ti prego, dammelo… mmmmhh… entra, dài…".
"Dimmi che ti piace… chiedimelo per favore…" le dissi con un ghigno.
"Oooh… sì… Max… per favore, mettimelo dentro… mmh… prestoooh…".
A quelle parole il mio uccello trovò la sua strada, placando le sue sofferenze, ed entrando si infradiciò di quel dolce vischio. Cominciai a pomparla piano, dolcemente, senza fretta, lì in piedi con la sua gamba sollevata e avvolta intorno alla mia vita. Ondeggiava al mio ritmo, buttando la testa all'indietro, come rapita dal piacere.
Mentre la possedevo, con la mano libera le palpavo i grossi seni e con la lingua leccavo il suo collo.
"Aah… Ludovica… non immagini da quanto lo desideravo…".
"Ohhuhh… lo so… l'ho visto come mi guardi… mmmhhh… quando vieni a casa… aaah".
Andai avanti non so per quanto, in quel dolce andirivieni, fino a ché lei si fermò.
"Aspetta, prendimi da dietro… vieni…".

Si sfilò dal corpo il mio membro, che scivolò fuori con un rumore di risucchio. Poi si voltò, dandomi le spalle, si chinò all'ingiù con la schiena, si alzò la gonna e, mostrandomi oscenamente il suo posteriore, cominciò a sculettare.
"Dài, presto…", e mentre lo diceva si sfilò le mutandine ormai intrise dei suoi copiosi umori, mostrandomi il suo roseo tesoro.
Era splendidamente porca, con una mano smaltata di rosso appoggiata al muro e l'altra dietro, i leggeri tintinnii dei suoi gioielli, le sue gambe polpose, la riga delle calze che rendeva quella visione ancora più eccitante. Era piegata in due sui suoi tacchi a spillo, le gambe tese, la gonna sui lombi ed il reggicalze in tensione.
Ero troppo arrapato da quella vista.
Mi avvicinai ed afferrandola per i fianchi larghi, la penetrai, questa volta con forza.
"Aaah… sìììiiii…" il suo gemito riecheggiò nelle scale, ma, ormai reso sordo dalla bramosia di averla, non me ne fregava più niente. I miei sensi erano tutti per lei: i miei occhi divoravano il suo culo, le sue gambe, la sua schiena che si arcuava sotto i miei colpi; il mio olfatto si riempiva, inebriandosi, del suo profumo dolce che si andava mischiando sempre più a quello muschiato e penetrante dei suoi umori di donna infoiata; le mie orecchie udivano i suoi gemiti ed i suoi respiri sempre più veloci; le mie mani reggevano come due coppe le splendide poppe che ballavano avanti ed indietro; ed il mio uccello, vero protagonista della scena, andava, veniva, affondava, accarezzando e trastullando le viscere di quella donna, regalando a me ed a lei un piacere acuto e stordente.

Quando cominciò a singhiozzare sommessamente, mi accorsi che stava per venire.
"Ahhh… dài… più forte… mhh… ci sono…".
Cominciai a sferzarla più lentamente di prima, ogni colpo era come un maglio che le entrava nella carne sempre più su, squassandole il corpo, tanto che dovetti metterle una mano sulla bocca per impedirle di urlare lì nella tromba delle scale, facendosi sentire da tutta la palazzina.
Venne con un orgasmo intenso, acuto, che la stordì per un istante, tanto che le gambe le cedettero, mentre sulla mia asta luccicavano copiose le prove del suo piacere.
Si abbandonò dolcemente nelle mie braccia, lasciandosi cadere all'indietro quasi spalmata su di me e protendendo il suo sedere verso il mio uccello ancora infisso dentro di lei, i muscoli interni della sua vagina che si contraevano, avvolgendomi la mazza e massaggiandola ad impulsi.
"Oooohh… Max… è stato bellissimo…".
Io però non ero ancora venuto; l'alcool aveva prolungato la mia resistenza più di quanto avessi osato sperare, e così ricominciai lentamente a muovermi in lei.

In quel mentre udimmo il portone che si apriva. Il respiro mi si bloccò insieme ai muscoli, quasi avesse paura di far rumore. Ci appiattimmo contro il muro nell'oscurità, in piedi, lei davanti e io dietro, la sua gonna ancora alzata, i nostri sessi ancora uniti.
Lei cercò di copririsi in qualche modo, ma io la trattenni per le mani per impedirle di fare rumore.
I passi arrivarono vicino a noi… la luce si accese, ci folgorò per un istante, bianca e asettica… riuscii a distinguere tutti i particolari dell'ambiente e di lei: il rossetto sbavato, il trucco pesante che colava sulle sue guance, la sua biancheria intima, le parti del suo corpo lascivamente scoperte. D'un tratto, come se la luce le avesse ridonato l'arroganza d'un tempo, si voltò a guardarmi mentre il suo corpo rimaneva infilzato al mio.
"Lasciami… ci scopriranno, lasciami…" sussurrò in tono autoritario, come se neanche sapesse che nel suo corpo teneva ancora alloggiata una parte del mio.
"Ssshhhh…" le sussurrai all'orecchio, mettendole una mano sulla bocca per impedirle di parlare, e restammo immobili. I passi svanirono per le scale, inghiottiti dal tonfo di una porta, e poi di nuovo il silenzio… e il buio.
Nell'oscurità, ricominciai a muovermi in lei piano mentre con un braccio le cingevo i fianchi.
"Noo… ti prego… mmhh… basta… passa gente…".
"Sshhhh…! Tira fuori le chiavi, entriamo a casa tua". Eravamo infatti praticamente di fianco alla sua porta di casa, al piano terra. Sapevo che in casa non c'era nessuno, suo marito lavorava come guardia notturna.
"No… ti pre…go… ohh… non puoi… farmi que…sto… mio figlio torne…rà prima dell'alba… mmmhh…", cominciava ad avere difficoltà ad articolare le parole.
Cominciai a camminare in avanti, con lei impalata sul mio membro; la feci piegare per raccogliere la borsetta che le era finita per terra, e così, come un animale a quattro gambe e due schiene, ci dirigemmo verso la sua porta.
"Dai, apri…" le dissi, mentre continuavo a tenerglielo in corpo.
Afferrato il mazzo con mani tremolanti, cercò convulsamente nel buio di infilare la chiave nella toppa, finché la trovò. Aprì la porta ed in fretta entrammo all'interno.

Una casa ordinaria, per chi fosse curioso di saperlo, arredata in stile anni '70, con una moquette color rosso porpora (disgustosa) sul pavimento e una tappezzeria a cerchi arancioni (orrendi) alle pareti.
"Dov'è la cucina?".
"D-di quaaaah…" disse, indicando con una delle sue unghie rosse laccate.
Arrivati in cucina lo estrassi dalle sue viscere e la feci sdraiare di schiena sul tavolo; lei rabbrividì al contatto con il fresco del legno. Le alzai bene la gonna, le aprii bene la camicietta e il reggiseno dietro. Era una visione quantomai eccitante averla lì pronta, le gambe aperte con quelle belle cosce grandi e soffici, il vello nero riccioluto ed in mezzo la rosea, deliziosa fessura.
Le presi le gambe e le appoggiai sulle mie spalle, mentre la tiravo verso di me sul bordo del tavolo. Penetrai nuovamente in lei, che non aspettava altro.
"Uuuhhhh… che beeelloooohh…".
In piedi davanti a lei ricominciai a scoparla velocemente; sentivo le mie palle sbattere contro il suo sesso con uno schiocco sordo, sempre più violentemente… stavo per venire.
"Aaaahh… Ludovica… ci sono quasi…" dissi.
"Sììii… vienimi de…ntro… mhh…".
"Sei sicura?".
"So…sono… in… meno…pausa".
Per un istante provai commiserazione per lei, ormai sterile… eppure un'utilità l'aveva: mi stava donando un piacere grandissimo.
Così venni in lei, in un turbine di pensieri ed emozioni nuove… pensando che stavo possedendo una donna che era nata più di 25 anni prima di me, che chissà quanti uccelli aveva preso prima del mio, molti anche prima che io venissi al mondo… ed adesso era lì a soddisfare anche me…!
Il mio seme la inondò a fiotti, riempiendole la cavità fin nell'intimo più profondo, e lei parve assaporare con il suo sesso ogni singola goccia che stillava fuori da me; sentivo la sua vulva contrarsi spasmodicamente. Le gambe mi cedettero e mi accasciai sul tavolo sopra di lei, sopra lo splendido guanciale del suo maestoso seno.
Rimasi un attimo assorto in lei, mentre con mia meraviglia la sua mano mi accarezzava i capelli.
"Oh Max… mi stai facendo provare piaceri che non credevo piu possibili… sento un fuoco dentro di me…". Col sorriso sornione della gatta che osserva il topo, mi stava chiedendo di regalarle un altro po' di piacere.
"Va bene, ma credo che dovrai aiutarmi un po'…".

Estrassi il membro dal suo corpo, ed insieme ci spostammo nella sua camera da letto.
"Aspettami qua, vado a cambiarmi… tu puoi usare l'altro bagno", mi disse.
Stranamente si era già dimenticata dell'arrivo di suo figlio… mah!
Mi risciaquai doverosamente e dopo un po' tornai nella stanza. Con mia grande sorpresa lei era già là, stesa sul lettone. Si era rifatta il trucco e si era cambiata: ora indossava un babydoll da notte molto provocante, di raso rosso, le calze autoreggenti col reggicalze ora guanite con un paio di sandali dal tacco a spillo, rossi anch'essi.
"Vieni, spogliati…" mi disse con voce resa roca dall'eccitazione.
Mi spogliai di tutto, tranne che dei boxer.
"Questi me li devi togliere tu", le dissi.
Lei si avvicinò con un sorrisetto furbo, si sedette molto lentamente sul bordo del letto di fronte a me, afferrò i boxer e con uno gesto rapido li tirò giù.

Non avevo ancora realizzato la sparizione dei miei boxer che già il mio arnese era scomparso completamente nella sua cavità orale, calda e accogliente.
Cominciò a succhiare, prima piano e poi più forte, mi faceva impazzire. Quella donna, forte della sua esperienza sessuale senza dubbio ultratrentennale, mi stava impartendo una lezione difficile da dimenticare. Succhiava, aspirava, pareva volermi risucchiare l'anima dal corpo attraverso la mia appendice.
Quando il mio uccello crebbe a dovere, si staccò e mi guardò con un sorriso che rivelava tutte le sue intenzioni.
Si sdraiò sul letto alzandosi la veste, allargò le gambe oscenamente e, mentre il suo sesso si dilatava leggermente, si passava la lingua lascivamente sulle labbra.
Io mi buttai a capofitto tra le sue braccia, che mi strinsero forte fino a soffocarmi tra le sue enormi mammelle; poi, con mano esperta, lo prese e se lo tirò dentro.
"Ahhh sììii… finalmente…" gemette.
Mentre iniziavo a scoparla con rinnovata energia, riuscii non so neanch'io come a sfilarle il babydoll, sotto il quale era nuda, lasciandole solo le calze e i sandali.
Mi incitava continuamente a sbatterla più forte, ed io temevo quasi di romperle qualcosa per quanto la pistonavo. Sentivo il mio uccello salire in lei fino a toccarle il collo dell'utero, e le sue gambe così divaricate dai miei colpi che temevo si rompessero… fino a ché lei me le avvolse attorno ai fianchi, annodandole dietro la mia schiena e serrandole forte come per tirarmi a sé con ancora più forza.
Poi la sentii venire, fra singhiozzi e gridolini smorzati.
"Ahh.… daiii… più fo…rte… den…troohh…".
I suoi fluidi scesero lentamente sul letto, e lei, ansimante, si fermò per riprendersi. Mi distesi su di lei, rilassandomi anch'io.

Rimanemmo così per un po', poi mi staccai da lei, le aprii le gambe e chinandomi fra le sue cosce presi a leccare delicatamente quel bocciolo non ancora sfiorito. Il suo corpo si risvegliava sotto i colpi della mia lingua invadente, cominciando a sobbalzare sul letto quando presi a suggerle il clitoride.
Cominciò a dimenarsi, sinuosa come un serpente, sotto i colpi della mia lingua vivace… poi, ad un certo punto mi serrò la faccia tra le sue cosce carnose, mi ribaltò sul letto ed io mi ritrovai il suo gran bel posteriore sulla faccia. Vedevo quell'opera della natura troneggiare sul mio capo ed ondeggiare al ritmo della mia lingua.
Dopo un po’ si voltò e si mise in posizione di «69»; cominciò a succhiarmelo con dolcezza, leccando tutta l'asta, mordicchiandolo qua e là e passandovi sopra le sue unghie puntute che mi facevano rabbrividire di piacere, specialmente quando me le passava sui testicoli.

Mi sarei nutrito di quella donna in eterno… ma lei non fu della mia stessa opinione; ad un certo punto si sollevò e si girò nuovamente, salendo a cavalcioni sopra di me, e si fece entrare piano il mio membro nel suo fiore di carne.
"Ooouuhhh… quanto sei duro…", sussurrò rauca.
Si sciolse i lunghi capelli neri, che le ricaddero sulle spalle. Mise le sue mani sul mio petto, ed io feci altrettanto col suo; poi cominciò a danzare su di me, languida come un'alga nel mare. Saliva piano, piano, pianissimo… e poi in cima alla vetta crollava giù con tutta sé stessa, fino a riprenderlo tutto fino in fondo, poi ricominciava. Mi fece impazzire, esplorare nuovi orizzonti del piacere, surclassando e ridicolizzando tutte le sciocche ragazzine che avevo avuto fino ad allora. Stupidi manichini senza passione.
Prese poi a dondolarsi lateralmente, poi avanti e indietro, poi con movimenti rotatori, mentre con le sue unghie rosse mi graffiava il petto e l'addome.

A un tratto si girò, si mise carponi, il didietro sollevato, appoggiandosi ai gomiti e divaricando le gambe mi mostrò ciò che mi offriva.
"Vieni, Max… prendimi anche lì, ma fai piano…".
Vedevo le sue grandi labbra turgide e rosee che mi invitavano ancora… ma io stavo puntando altrove.
Le bagnai l'orifizio con i suoi stessi succhi, e poi, divaricandole bene le possenti natiche, lo spinsi dentro piano.
"Ohh… piano… ti prego… ooh sììì… così, dolce… mi piace…".
Mentre conoscevo un'altra parte del suo corpo, le accarezzavo dolcemente la schiena, chinandomi a mordicchiarle la nuca o i lobi delle orecchie, e palpeggiando teneramente le sue burrose tette che pendevano sotto di lei.
"Dài… più veloce ora…".
Aumentai il ritmo, mentre con le dita trastullavo il suo clitoride. A quel trattamento parve impazzire, i suoi mugolii si fecero più intensi.
Il mio ritmo divenne costante ed inclemente. Mi sforzavo di accarezzare col mio membro tutta la sua cavità, e lei cercava di stringerlo, suggerlo, spremerlo con il suo intestino.
Fu così che venimmo insieme, uno di quegli orgasmi a cui aspirano tutti gli amanti, ma che pochi possono provare. Un orgasmo lento, strascicato, una morsa nelle viscere e nella testa… sentivo il suo corpo fremere, le sue caviglie arpionarsi dietro le mie cosce, e lei accogliere tutto il mio seme godendo del calore iniettato dentro di lei.
"Ludovica… aaaaagghhh… vengoohh…".
"Ahhohhh… sìì… caro… come mi fai… go…dere… mmhh…".
Lasciò che mi sfilassi da lei e crollassi sul letto, poi mi si sdraiò addosso e prese a baciarmi intensamente, come se fosse una ragazzina al suo primo rapporto. Mi accarezzava teneramente, mentre i nostri sensi lentamente si riprendevano.
Restammo abbracciati a lungo.

"Mio figlio sarà a casa tra pochissimo… devi proprio andare, ora…" mi disse ad un tratto, interrompendo quei momenti magici.
Guardai l'orologio: erano quasi le 4:00. Meno male che non era ancora rientrato Doveva aver rimorchiato qualcuna in discoteca, probabilmente. E io che lo prendevo pure in giro per questo…!
Una lacrima le rigava il viso mentre lo accarezzavo prma di risollevarmi e scendere dal letto, lasciandola lì con espressione trasognata.

Mi rivestii e mi diressi verso la porta. Prima di uscire, lei mi chiamò.
"…Grazie, Max…" mi sussurrò, "…grazie per avermi fatta sentire donna ancora una volta, amata, desiderata come non mi succedeva da tanto…".
Tornai indietro, mi avvicinai a Ludovica e la baciai teneramente sulla fronte e poi sulle belle labbra carnose ed umide. Era un'altra donna ora, non più la megera inacidita che era stata fino a non molto prima. Forse l'aver ritrovato la tenerezza degli amanti ormai dimenticata l'aveva ritrasformata in una deliziosa, appetitosa donna di mezza età.
"Potremo vederci ancora?" chiesi.
Mi sorrise con un lampo di gioia negli occhi.
"Tutte le volte che vorrai…".
scritto il
2024-09-17
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