My sweet lady

di
genere
etero

Lunedì

La donna bionda della pasticceria è uno schianto. Come ho fatto a non accorgermene! Ha qualcosa di straordinario nel modo di muoversi, negli occhi color topazio, belli come quelli di una pantera. Non è una bellezza appariscente, è piccolina di statura. Avrà una quarantina d'anni.
Oggi sono andato a prendermi una meringa, come al solito. Vado matto per le meringhe, le metto in bocca quasi intere e poi me le lascio sciogliere tra lingua e palato. E in quella pasticceria le fanno buone.
Non è la prima volta che ci vado; da quando abito in questo quartiere, ora sono sei mesi. È una specie di libertà che desidero da quando ero bambino, di mangiarmi tutte le meringhe che mi pare, e una delle prime che mi sono preso da quando ho una casa tutta mia. Ci vengo regolarmente, alla fine della pausa pranzo che abbiamo nello studio di architettura dove lavoro mentre mi preparo all'esame di abilitazione, piuttosto grande, saremo una ventina. Non mi ero mai accorto di lei, forse non l'avevo mai incontrata, ma pure mi pareva che fosse la stessa di tante altre volte. Come ho fatto a non accorgermi mai dei suoi occhi? La mattina c'è un uomo di una sessantina d'anni che serve i caffé. Ma poi lei rimane sola, solo qualche volta ho visto altre donne dietro il banco, ma mi sono sempre sembrate aiutanti occasionali.
Oggi mi ha dato la meringa in un modo, in un modo… era come se mi stesse offrendo una nuvola.
Mentre bevevo il caffé che sono solito prendere insieme (ci metto un po' di panna), me la sono guardata per bene, mentre confezionava una torta quadrata bianca per una bambina che compiva nove anni e che si aggirava per il negozio a occhi sgranati. La mia pasticciera ha disposto nove candeline rosse agli incroci di una maglia cartesiana di righe fatte con il cacao, e le lettere del numero "nove" nei quattro riquadri così formati. Dietro il banco c'è una pedana di legno, dalla quale lei domina il negozio. Da dove viene servito il caffé si vede abbastanza bene il retro della vetrina delle paste. Oggi portava due calzette corte bianche e zoccoli chiusi, quelli con i buchetti. Ah, jeans. Un camice rosa. Un pezzetto di schiena. Non si vedeva altro. Domani ci torno.


Martedì

Oggi era pieno. Ci saranno state una dozzina di persone. Mi sono infilato fra loro a vedere le paste e ne ho approfittato per guardare attraverso i vetri il camice rosa che si muoveva. Lo avevo duro alla sola idea di andare in pasticceria, mi pareva che stesse per scoppiare. Non ci siamo detti nulla, lei mi ha visto e ha fatto il gesto di prendere una meringa. Io ho annuito, e ho ricevuto la mia seconda nuvola, accompagnata dalle parole "…e un caffé?", con un sorriso che mi ha travolto come un'onda anomala. Per darmi l'aria di saper conservare l'equilibrio mi sono andato a inerpicare su uno degli sgabelli alti, aggiustando con un gesto veloce i pantaloni, le mutande e il loro disobbediente contenuto.
Ci sono momenti in cui uno sogna un mondo senza cuciture, anzi senza vestiti. Lei era girata e, anche se la pasticceria era piena di clienti che aspettavano, si è messa quasi in posa ad aspettare che il mio caffé scolasse giù tutto, in modo che potessi vedere bene la sua bella figura da dietro. Poi si è girata con la tazzina in una mano, con l'altra ha preso il piattino, studiando il gesto, o almeno così mi è sembrato; mi ha messo il tutto davanti senza dire una parola e se ne è andata al banco dei dolci. Jeans, camice rosa, calzette, zoccoli. Un pezzetto di schiena. I seni devono essere perfetti, a vederli da qui. Pare che abbia sotto solo il reggiseno. No, ha una camicetta. Rossa. Sta bene con il rosa del camice.


Mercoledì

Oggi sono andato ad un'ora in cui sapevo che non c'era molta gente. E infatti c'era lei, da sola. Mi ha sorriso quando mi ha visto, e stavolta abbiamo parlato con gli occhi. C'erano delle meringhe con una goccia di un liquido denso e rosso. Alla mia faccia incuriosita mi ha spiegato che era uno sciroppo di fragola, che legava con la panna. Una sua invenzione di ieri. Le chiesi di provarla, e mi arrivò come al solito, volando davanti ai topazi luminosi degli occhi con un'ombra di trucco verde. Meringa alle fragole, e poi, caffè, e accidenti quanto sei bella. Alla fine mi sono lanciato e gliel'ho detto, e lei è rimasta seria e zitta. Poi si è fatta un caffè. A me pareva di volare, e di nuovo ho avuto un'erezione da primato. Mi si è sciolta la lingua, e ho cominciato a dire tutto quello che mi veniva in mente, con la sensazione che tutto andasse bene.
Mentre beveva il caffé mi ha guardato con un occhio, poi ha detto: "Le cose buone vanno gustate lentamente". E ci ha messo tre minuti buoni, a bere il suo caffé, io di qua dal banco, lei di la, e tutt'intorno paste, cioccolatini, torte…
È entrata una signora con un bambino, ha chieso delle caramelle, e un Fernet. Sì, un Fernet. Non so perché, ma mi è rimasto impresso. Sono rimasto seduto davanti alla tazzina finché i clienti sono andati via, e lei mi ha detto che la sera le meringhe che non ha venduto le butta, e quindi se voglio passare verso l'ora di chiusura, e ne sono rimaste, me le regala. «Questa mi si vuole scopare…», mi sono detto, «…e io voglio fare lo stesso con lei».
"Oggi non posso mancare all'allenamento, il campionato di hockey su pista incombe; però vengo domani". Lei è rimasta un momento sovrappensiero, e poi ha detto che sì, domani è il giorno giusto.
Per tutta la sera non ho pensato ad altro che alla mia bella signora. Non ho fatto un punto, ero totalmente deconcentrato. A casa mi sono masturbato non so più quante volte pensando a lei.


Giovedì

Stamattina la prima cosa che mi è venuta in mente è la signora delle meringhe, e un'erezione mattutina da schiantarmi l'uccello, che non passava mai. Una giornata da calabrone, ci sono andato all'ora solita, dopo pranzo. C'era gente, mi ha sorriso, siamo più che d'accordo, ho preso il mio caffè e mangiato la mia delizia guardandomela ancora una volta, soliti abiti, soliti jeans, diamine quanto sei bella.
È per stasera, lei lo sa, io lo so.
Osservo gli occhi dei giovani maschi che passano dal locale e la guardano in modo inequivocabile e volgare. Ma lei non è stata creata per queste bestie.
Ad un certo punto è successo un fatto che mi ha riempito di gioia: si è avvicinata e mi ha chiesto se potevo farle la cortesia di andare a comprare alcune cose ad un negozio a duecento metri da qui. Mi ha dato i soldi e io sono partito dal negozio volando. Dovevo riportare sei chili di zucchero bianco, due di un certo zucchero strano, marrone scuro, quasi nero, chiuso in sacchetti morbidi e ancora un terzo tipo di zucchero in cristalli trasparenti color nocciola, e una quantità industriale di uova, centoventi. Al ritorno ho comprato anche una rosa rossa e l'ho sistemata fra le confezioni delle uova, in modo che spuntasse dalla sua parte. Quando l'ha vista ha sorriso ed è scomparsa con i miei acquisti nel retro del negozio dicendo un: "Ora vai", con un tono un po' secco.
Ci torno poco prima della chiusura.
La Giulia, a studio, si è accorta di qualcosa. Giulia è una bella donna, che mi ha sempre tenuto a distanza. Oggi ho avuto la sensazione che avesse intenzioni diverse e che le domande che mi ha fatto sugli impianti di condizionamento d'aria per l'albergo di Dubai non fossero le sue reali curiosità. Si è spinta fino a chiedermi di restare dopo la chiusura per aiutarla a finire il progetto. "Stasera ho da fare", le ho detto, con un certo distacco. Ha sparato un: "Maddài! Che avresti da fare?". Addirittura. Fatti gli affari tuoi. Le donne sembrano capaci di percepire la presenza di una rivale come rabdomanti. Quindici giorni fa, se mi avesse fatto la stessa proposta, avrei aderito con entusiasmo. Stasera ti attacchi, Giulia, così impari a sprecare la tua bellezza. E la mia.
Sono entrato in pasticceria circa dieci minuti prima della chiusura. Lei mi ha sorriso. Subito dopo è entrato un uomo distinto che pareva deciso ad aspettare il suo turno.
"Dica pure…", ha tagliato corto lei, rivolgendosi al nuovo arrivato, "…il signore sta aspettando". La parola «signore», detta riferendosi a me, mi è suonata come impropria, oppure lei ha calcato un po' la pronuncia. Ha preparato il pacco con cura e quando il cliente è uscito ha spento le luci esterne e abbassato la saracinesca. Poi mi è venuta incontro e mi ha chiesto: "La vuoi un'altra meringa?", con l'aria di chi ha il pieno controllo della situazione e sa che non riceverà altro che premurosa obbedienza. "Vieni, che ti faccio vedere come si fanno. Per domani devo farne circa seicento. Ti va di aiutarmi?". La domanda era, ovviamente, retorica.

Nel retro c'era un profumo di vaniglia e altri aromi tipici delle paste e un vasto piano di lavoro di metallo, la cui temperatura può essere regolata. La materia per fare le meringhe è, come tutti sanno, chiara d'uovo montata a neve. Si infila con una specie di paletta in un cono di stoffa dalla punta del quale, spremuto con le mani, escono delle piccole quantità di materia viscida e bianca, che hanno la forma della meringa ma non ancora la sua solidità. Lei ha indugiato molto in questa operazione, già di per sé molto sensuale, e che nelle sue mani diventava pura immaginazione erotica. Spremeva e mi guardava, ridendo e alludendo chiaramente a qualcosa di sessuale.
A un certo punto si è tolto il camice. Sotto aveva la camicetta rossa. Ha sbottonato i primi tre bottoni, e il seno è emerso nel suo reggiseno rosa. Io stavo a guardarla, ma avevo capito che mi conveniva fare quello che lei diceva. Mi pareva che desiderasse l'esatto contrario del machismo latino, del quale forse ho un po' l'aria, con i miei capelli neri, e che pure, nei miei amori precedenti, ritenevo che fosse uno dei miei punti forti. O magari i machos latini sono tutti così nell'intimità, ubbidienti. Io, per me, non chiedevo di meglio che guardare lo spettacolo della mia pasticcera che eiaculava per me teglie sterminate di corpi morbidi e bianchi, offrendo alla mia vista il seno più bello che mente umana potesse immaginare.
Io rompevo le uova e montavo le chiare con una frusta professionale che mi aveva messo in mano dopo avermi mostrato come funzionava montando lei le prime sei. Dopo aver messo i grandi vassoi nel forno e regolato la temperatura, che deve essere bassissima, perché le meringhe per venir bene non devono cuocere ma solo asciugarsi, mi ha guardato e ha dichiarato: "E adesso bisogna aspettare tre ore". Si è tolta la camicia, lentamente, ho avuto la senzazione che ci tenesse a farmi godere piano, con calma, del dono che mi stava facendo. Ha preso dalle mie mani la frusta e fatto scattare l'interruttore: la macchina ha cominciato a girare velocissima, schizzando gocce di chiara d'uovo zuccherata dappertutto. Molte sono finite addosso a lei, sui suoi capelli, sul suo corpo.
"Mi farai impazzire…", sussurrai.
"Allora impazziremo entrambi!" fece lei ridendo, portando alle labbra una piccola quantità di quella sostanza bianca e girandosi finalmente verso di me.

Abbiamo iniziato a baciarci come due adolescenti. Dalla sua bocca proveniva un profumo di donna che non avevo mai percepito prima. Poi lei si è stesa sul tavolo di metallo tiepido e ha lasciato che la spogliassi completamente, scoprendo un corpo perfetto, morbido e bianco, e alla fine una vulva con un pelo soffice, di color rosso fuoco. Sulla sua pelle bianca, delicata e sottile, faceva un effetto pazzesco. Sono rimato lì, inebetito, come se qualcuno mi avesse dato una bastonata in testa con uno scettro di metallo. L'ho guardata con aria interrogativa e lei è rimasta immobile, sorridendo, come se sapesse che non disponevo di parole adatte a dire quello che stavo vivendo. Mi ha detto solo: "È per te…", con semplicità, e io non ho saputo far altro che avvicinarmi piano alle sue labbra e baciarla con tutta la dolcezza di cui ero capace. Cos'altro avrei potuto fare, d'altronde?
"Dio come ti amo…", le ho detto. "Ripetilo; queste parole, non altre, ripeti queste…", mi ha risposto. "Dio come ti amo, dio come ti amo, dio come ti amo…". L' ho ripetuto a lungo, come fosse un mantra, piegandomi su di lei come un fanatico religioso su un testo sacro. Fra un bacio e l'altro mi ha spiegato, con una voce che a volte pareva il trillo di un uccellino, come aveva ottenuto quel colore pazzesco. Prima con l'acqua ossigenata, e poi con un paio di applicazioni di una tintura per capelli. Mi ha lasciato leccarla come un orso lecca il favo di un alveare. Tutto era rosso e dolce. Gliel'ho detto: "Sei una fragola". "Sono io la dolcezza…", mi ha sorriso.

Sono venuto quasi subito, tanto ero eccitato, da tanto tempo. In pochi minuti ero pronto a farlo di nuovo. Ma anche la seconda volta non sono riuscito a trattenermi a lungo, e di nuovo sono venuto sul tavolo. Ero un po' in imbarazzo, ma lei mi accarezzava come se volesse tranquillizzarmi, non soltanto con le mani, ma con le ginocchia, le spalle, i piedi… mi sono eccitato ancora, e allora lei mi ha portato su un divano a tre posti che stava nell'ufficio, ha coperto i nostri corpi con una pelliccia saltata fuori chissà da dove. Sotto si stava bene, la pelliccia era profumata e lei anche. Ora mi stava sopra.
"Adesso ti guido io", mi ha detto mentre premeva le labbra sulle mie e io cercavo la sua lingua, ma ne ottenevo solo la punta. M'ha preso il mio membro con la mano, guidandolo come per farmi sentire là dove il suo corpo si apriva. Istintivamente ho dato un piccolo un colpo di reni. "Aspetta, ti guido io, ho detto…". E ha ripreso a baciarmi con una punta di lingua, mentre la sua mano sembrava muoversi al ritmo del bacio. Mi guardava dritto negli occhi. Improvvisamente ci siamo scambiati un sorriso: lei voleva che il membro facesse gli stessi movimenti della sua lingua. "Forse ho capito…", le dissi, con la stessa soddisfazione che avrei avuto se avessi appena passato un esame, e lei rise come una stella.
Mi baciava e mi accarezzava, e con le mani m'infondeva una sicurezza e una tranquillità che non conoscevo. Le mie conquiste precedenti erano ragazze della mia età, o un po' più giovani, che avevano quasi sempre una gran voglia di scopare, e talvolta si scocciavano se venivo troppo presto.
Di sicuro nessuna sapeva niente di quell'atmosfera che la mia pasticcera creava con la stessa maestria che mi aveva mostrato con le merighe. La sua lingua mi guidava in lei, in un glorioso dialogo che non può intendere chi non lo prova.

Così, con infinita dolcezza, mi ha insegnato a trattenermi. Quando sentiva che aveva inizio in me quella spirale sempre più stretta che prelude alla eiaculazione, mi ritirava la lingua, e così io mi ritiravo da lei. Non so quante volte abbiamo fatto l'amore quella sera, ma a me pareva che non mi sarei fermato mai, e per dire la verità quando ha cominciato ad albeggiare avevamo preso sonno un paio di volte, per circa un paio d'ore, sufficienti al riposo in una notte come quella. Ma le ultime volte avevo scoperto di potermi trattenere io stesso, anche durante le fasi più convulse del coito, e avviarmi alla conclusione solo quando lei mi faceva capire che anche lei era pronta.
Interrompevamo deliberatamente il nostro gioco e lo riprendevamo poco dopo. Incuriositi dagli intrecci possibili della nostra danza con le variazioni di temperatura degli oggetti con cui venivamo in contatto, ci servivamo del tepore del tavolo metallico, dove ci stendevamo senza avvertirne la durezza; del fresco di una vasca d'acqua che si trovava nel laboratorio; del freddo dei gelati, che si rivelarono una benedizione per calmare il bruciore che la prolungata attività aveva causato a quelle parti dei nostri corpi, e prepararle a nuove passioni; della morbida e accogliente pelliccia. Quelle interruzioni volontarie, cui seguivano momenti di contemplazione del corpo, il mio e il suo, e di baci curiosi delle mille varianti di dolcezza e di temperatura, mi davano un senso di potenza che non era solo maschile, ma aveva qualcosa di più pienamente umano e che prima non immaginavo possibile. Sarà stata pure più grande di me, avrebbe potuto essere mia madre, ma era mia e lo era completamente, proprio perché era stata lei a farmi suo.
Non so da dove mi venisse la certezza che non avevo rivali, che nessun uomo poteva darle quello che le stavo dando io.

C'è qualcosa di particolarmente dolce e pregevole nel rapporto che una donna adulta può stringere con un uomo molto più giovane, nel quale il vigore si unisce spesso all'inesperienza. La donna insegna ciò che sa ed è la prima a trarne vantaggio; l'uomo, che si fa adulto fra le sue cosce, ritrova insieme la madre e la donna, la sicurezza e il piacere. Tutto è accaduto in una sera. Una donna che abbia per amante l'uomo più delicato e desiderabile della Terra, e si faccia sverginare da lui, non gode quello che è toccato in sorte a me quella sera. La mia volontà non contava più niente, e la cosa strana, o meglio nuova, era che a me andava benissimo così. Era la sua volontà che aveva preso residenza in me.
Ad un certo punto commentai che mi sentivo un po' come una donna incinta, tutta attenta alle esigenze del feto, concentrato com'ero sui minimi segnali che mi venivano dalla mia maestra.
"Sai qual è la materia più profumata dell'Universo?", mi ha risposto, ridendo tra sé. "Il meconio. È un'odore che ti può capitare di sentire solo quando una donna partorisce, o poco dopo la nascita, quando il bambino si libera di ciò che il suo intestino, che non ha mai digerito nulla, contiene. Quella è ambrosia, cibo degli dèi… non esistono parole per descrivere quell'odore. Nessun pasticciere saprebbe mai avvicinarcisi…".


Venerdì

Giulia è fuori di sé. Credo che abbia visto dei segni che mi sono rimasti addosso dai momenti più intensi, quando la mia dea mi ha piantato le unghie nel collo. Credo che si sia accorta anche che sono totalmente felice. Al lavoro me ne sono stato quieto, l'ho pure aiutata con quel benedetto impianto di aria condizionata… questa me la scopo quando mi pare. Ma l'idea di una scopata con Giulia, che era stata il mio chiodo fisso per mesi, ora mi pareva una bizzarria. Bella, è bella, Giulia. Forse addirittura più bella della pasticcera. Ma è chiaro che non sa nulla, che il suo il suo desiderio è da principiante, come piacerebbe a Don Giovanni. Che forse mentiva, Don Giovanni, dicendo che erano la sua passione predominante. La passione di un uomo non può essere altro che una donna esperta.
All'ora del lunch mi sono seduto su una panchina davanti alla pasticceria, eccitato come un bambino. Lei mi ha visto e si è affacciata alla porta, c'era il sole e la pasticceria doveva essere deserta; ci siamo guardati per un po' mentre fra noi passavano le automobili. Poi è rientata e mi ha portato, dove ero, la mia meringa e il caffè, me li ha messi sulle ginocchia, mi ha passato una mano fra i capelli e se ne è tornata nella pasticceria, dove nel frattempo erano entrati dei clienti. Non ci siamo detti nulla. Ho posato il vassoietto sul banco e ho ricevuto il commiato dei suoi bellissimi occhi. Nessuno mai ha avuto niente di simile.


Sabato

La sera siamo finiti a casa sua, non c'è molto altro da dire. È stato come in pasticceria, ma ancora più dolce e intimo, se possibile, ma l'importante l'ho detto già.


Domenica

Mi ha detto che lasciarsi può avere la stessa bellezza che incontrarsi. Sulle prime ci sono rimasto male, ma pure è proprio il suo desiderio che ha preso il posto del mio, senza il suo desiderio non c'è altro da fare che salutarsi. Siamo rimasti a dormire nello stesso letto, abbracciandoci, ma gradualmente abbandonando le nostre pratiche sessuali. In luogo della passione si è fatta luogo, in me, una immensa gratitudine. Non ho avuto nemmeno il tempo di innamorarmi, non ce n'è stato molto, forse è meglio così.


La settimana seguente, in studio, ho cominciato a scherzare con Giulia, che non sembra aspettasse altro.
Un giorno, circa due mesi dopo la serata delle meringhe, ci siamo baciati mentre facevamo assieme il disegno della pavimentazione di quell'albergo per ricchi arabi, dopo aver scherzato a lungo sulle richieste del progetto che mostravano, attraverso le funzioni d'uso attribuite ai vari ambienti, che ce n'erano alcuni destinati ad ospitare qualche ricco personaggio con un harem piuttosto numeroso, o almeno così sembrava a noi, dove c'era una curiosa organizzazione degli ambienti nella quale a una delle donne sembrava riservata una posizione di controllo.

La sera, passando davanti alla pasticceria, dove avevo smesso di andare, trovai la saracinesca chiusa. Chiamai Giulia e mi recai a prenderla a casa, sentendomi come un domatore che va ad affrontare una giovane puledra.

Forse vorrete sapere dove è finita la mia pasticcera. A dire il vero, non lo so. Potrei raccontarvi di come Giulia ha imparato rapidamente anche lei la lezione. Secondo me ora la applica quando progetta, un po' come la mia pasticcera mi aveva fatto vedere che era possibile servirsene per creare nuovi tipi di dolci…! Ma di Giulia e del suo curioso modo di prendere le cose parleremo un'altra volta. Io ho fatto solo da tramite fra queste due donne diversissime.
La pasticceria venne messa in vendita, la pasticcera scomparve. Ho fatto qualche timido tentativo di cercarla, ma ero certo che non fosse una buona idea: se avesse voluto vedermi lei, sapeva come trovarmi. E se non voleva vedermi, non aveva nessun senso che la cercassi io.
Una cosa è rimasta, però: qualcuno aveva avuto il tempo di notare le meringhe alla fragola, e la moda si era diffusa. Passando in un altro caffè di un diverso quartiere, noto anch'esso per le meringhe, ho notato un vassoio di nuvole bianche con una lacrima rosso fiamma al centro. I bambini le chiedevano tirando le mamme per la manica del cappotto.
Sono uscito. La mattinata era fredda, ma bellissima.
scritto il
2024-09-10
1 . 6 K
visite
1 8
voti
valutazione
7.1
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Ritorno tra i banchi (drabble)

racconto sucessivo

La zia sarta
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.