Una sola volta, per uno solo

di
genere
pulp

"Taxi! Taxi!" chiamarono le due donne asessuate, il braccio alzato.
Il taxi si fermò avanti a loro, accostando al marciapiede. Il vetro elettrico scorse verso il basso.
"Non sono in servizio, oggi", rispose la tassista. "Mi spiace…".
Le altre due si guardarono sconcertate.
"Ma allora perchè stai circolando?" chiesero.
"Perchè oggi ci sarà movimento!", spiegò la tassista. "Ed io…" iniziò a dire. Partì a razzo, ma le ultime parole giunsero comunque alle orecchie delle due sbalordite donne, "…io vado in cerca di maschi da salvare!".

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Sarebbe stata certamente una giornata difficile. Durante la notte c'era stato un blackout, e la mancanza di energia, complice la batteria-tampone ormai scarica, aveva provocato un ritardo della radiosveglia. Ultime notizie: la Regina ancora non era gravida, ma voleva diventarlo. Era stato quindi costretto a fare tutto di corsa per non far tardi: situazione che odiava.
Scese le scale di casa in fretta, subendo l'umiliazione dei calzini con l'elastico debole tendenti al ripiegamento sulle caviglie. L'autostima era in calo più della borsa.
Solo un calo ponderale avrebbe potuto preoccuparlo più del calo dell'autostima.
Si disse che era un fantoccio con prognosi di ipoattività cerebrale. Non aveva idee proprie: le uniche non si erano formate nel suo cervello, ma si erano impigliate tra i suoi capelli, starnutite da qualcun altro.

La giornata era plumbea, il caldo era appiccicoso. Lanciò uno sguardo all'orologio della piazza. Quando lo sguardo tornò indietro come un boomerang, percepì che tutti i maschi correvano di corsa in direzione del palazzo. Allora era tardi, tardi davvero.
Si mise a correre anche lui, e lo scalpiccìo delle sue scarpe aumentò impercettibilmente il rumore totale.
Si sentiva fuori allenamento, e un senso di sconforto lo assalì quando vide gli autobus straripanti di maschi che litigavano contendendosi i posti. Alcuni erano a terra in una pozza di sangue. Una frenesia irresistibile lo assalì, provocando vibrazioni così intense da mozzargli il fiato e costringerlo ad annaspare in cerca di una soluzione possibile.
Si guardò attorno. Cazzo, sarebbe stato sufficiente un taxi libero.
"Taaaxiiiii!" urlò quando ne vide uno, il braccio alzato, l'indice proteso verso il cielo.
Il taxi si fermò, ma dalla parte opposta un altro con la stessa idea stava accorrendo.
Scattò trovando una forza che riteneva impossibile. Scivolò persino su una linea dipinta a terra per delimitare un parcheggio. Ma i muscoli si tesero e raggiunse la portiera. Tirò la maniglia e si buttò nell'abitacolo, scontrandosi con l'altro. Era un tipo corpulento, fin troppo nutrito.
"C'ero prima io!", disse.
L'altro tirò fuori un coltello, puntandoglielo alla gola.
"Mi ci vuole poco per farti fuori", replicò.
La guidatrice del taxi, una onesta operaia, asessuata come tutte le donne, si intromise con voce acuta.
"Ehi, voi due! Se dovete sgozzarvi fatelo fuori di qui, mi rovinate la tappezzeria…". Il tono della voce era colmo di disprezzo.
Stava quasi per cedere, quando ricordò le parole della madre, pronunciate in punto di morte.
"Figlio mio… sei nato maschio, e la vita sarà durissima per te. Breve. Però cerca di essere felice. Avrai una sola occasione nella vita: sfruttala, combatti, uccidi per farla tua, che non avrai altro scopo".
La madre aveva chiuso gli occhi. Ma non era morta, ed all'improvviso aveva ripreso a parlare.
"Guarda me: una vita lunga, ma piena di sacrifici. Ti ho allevato come se fossi stata la tua madre naturale. Ti ho nutrito. Il mio corpo si è distrutto per il lavoro, per la fatica. Quindi non essere triste: non è detto che una vita breve sia peggiore di una lunga, se quella lunga è destinata ad essere così faticosa e priva di soddisfazioni. Cerca di goderti la tua. Uccidi, se necessario. Vivi da leone!".
Aveva chiuso nuovamente gli occhi. Il respiro stavolta si era fermato, gli occhi non si erano più riaperti.
Il ricordo della madre e delle sue parole gli conferirono audacia. La mano destra scattò velocissima ed afferrò il polso del suo antagonista, fermando l'azione volta a tagliargli la gola.
"L'hai voluto tu!" esclamò quello, facendo forza.
Si scoprì più forte di quanto avesse mai pensato. La lama si allontanò inesorabilmente dal proprio collo e visse come in un film la sconfitta avversaria.
L'altro, stupito dalla forza nemica, allargò le dita ed il pugnale cadde sulla pelle del divanetto posteriore del taxi.
Afferrò quindi prontamente l'arma e con gesto spontaneo la infilò nel costato altrui. La sentì affondare come incandescente nel burro. Si ritrovò con il pugnale insanguinato in mano che gocciolava sulla tappezzeria del taxi.

"Ecco, lo sapevo!" esclamò sconsolata la tassista. "Mi verrebbe voglia di scorticarti vivo, per questo, se non fosse che oggi è la giornata speciale che è…".
Lui spinse con le gambe il corpo dell'altro; la portiera opposta, che non era ben chiusa, si aprì ed il corpo scivolò fuori, finendo per terra proprio ai piedi di una poliziotta.
La donna in divisa guardò la salma e cominciò a fischiare furiosamente.
"Circolare! Circolare!" ordinò, facendo cenno alla tassista di partire. Tutto intorno c'era sempre più gente e c'erano sempre più maschi che correvano impazziti nella stessa direzione come un impressionante fiume di persone, e già molti erano i corpi per terra.
"Va bene, va bene…" disse rassegnata la tassista. "Ti porto al palazzo, fin dove è possibile…".

Partì a razzo investendo due maschi che lottavano tra loro, tenendosi per il collo, i volti paonazzi. Rotolarono sul cofano ed uno battè la tempia contro il parabrezza, lasciando uno schizzo rosso a forma di stella.
La tassista azionò nervosa il tergicristallo. "Merda!", disse.
"Presto, faccia presto!" la incitò lui.
"Faccio il possibile, caro il mio maschio", replicò lei, un po' guardando la strada avanti, un po' osservandolo in volto grazie allo specchietto retrovisore. "Pensi di poter riuscire? Ma non vedi quanti siete?".
Lui rimase per un attimo interdetto.
"La difficoltà non è un buon motivo per rinunciare…" rispose.
Le parole erano uscite spontaneamente dalla sua bocca, senza intermediazione cerebrale. Guardava attonito la folla di maschi impazziti che si picchiavano lungo le strade. Ora il taxi stava percorrendo il corso principale: dai loggiati i maschi calavano giù in strada a grappoli. Qualcuno di essi, contravvenendo alle regole, aveva armi da fuoco, e le poliziotte in assetto da sommossa, con un ginocchio a terra, facevano fronte a quei sovversivi sparando nel mucchio. Molti maschi stavano cadendo morti in quel modo, e l'odore acre del sangue si mischiava con quello altrettanto acre della polvere da sparo, e con quello irritante dei lacrimogeni.
"Cazzo, qui si spara!" esclamò la tassista. Sterzò bruscamente infilandosi in una stradina laterale. Per fortuna i maschi sembravano essersi riversati tutti lungo le arterie principali, per cui il taxi procedette sufficientemente tranquillo.
"Ogni volta la stessa storia!" brontolò la tassista.
Anche lui avrebbe voluto e dovuto essere al centro della mischia. Cosa stava a fare lì, dentro quel taxi? Stava sprecando il suo tempo.
"Voglio scendere…" disse quindi improvvisamente. Tentò di aprire la portiera in corsa, ma il vicolo che il taxi stava percorrendo era troppo stretto per consentirlo.
"Aspetta!" intimò la tassista. "Dammi retta!".
"Non posso morire dentro un taxi!" proruppe lui.
"Meglio morire cercando di scopare la Regina, vero?" chiese lei, rallentando. "È questo che volevi dire, vero? Vuoi morire tentando di essere colui che scoperà la Regina…".
Ricordò ancora le parole della madre.
"Sì" rispose semplicemente.
"Come tutti i maschi!", commentò laconica la tassista. "Sei consapevole sin dalla nascita della tua sorte e l'hai accettata… vero, maschio?".
"Cosa vuoi dire?" domandò.

Nel frattempo la tassista aveva condotto l'auto di fronte ad un largo cancello che si apriva inaspettatamente su un lato del vicolo, interrompendo la continuità di case e di portoni. Spinse un bottone ed il cancello scivolò dolcemente ma celermente di lato, consentendo al taxi l'ingresso in un cortile ampio ed alberato.
"Ma dove mi stai portando?" chiese. "Che posto è questo?".
Osservò l'ambiente da dietro il vetro del finestrino. Il clamore dei maschi in subbuglio ed in lotta tra loro giungeva ovattato in quell'angolo della città.
La tassista parcheggiò all'ombra di una pianta ad alto fusto, poi spense il motore.
"Non sai che fortuna hai avuto incontrandomi", disse. "Vediamo se sei sveglio, o se sei semplicemente uno stronzo come la maggior parte dei maschi…".
"Cosa vuoi dire?" fece lui, risentito.
La tassista scese ed aprì la portiera posteriore, invitandolo a fare altrettanto.
"Che posto strano…" osservò lui, poggiando entrambi i piedi a terra.
"Molto strano", convenne la tassista. "Ma vieni con me…".

Suonò ad una porta. Un trillo, poi, dopo una breve pausa, un altro trillo ancora, infine tre trilli in rapida sequenza.
Uno spioncino si aprì e due occhi apparvero, scrutandoli attentamente.
"Sono io, numero venticinque…" disse la tassista.
Poi finalmente la porta si spalancò, ed una donna apparve. Lui notò subito che qualcosa non andava. Quella donna aveva qualcosa di differente da tutte le altre che aveva conosciuto. Forse… forse l'odore che emanava, era diverso.
"Chi hai portato?" chiese la donna alla tassista, indicandolo. "C'è da fidarsi?".
"Mi sono trovata in mezzo ad una sparatoria", spiegò la tassista. "Alcuni maschi sono scesi in piazza armati, contro le regole, e le poliziotte li stanno abbattendo…".
"Un altro maschio da salvare, eh?" chiese la donna.
"Spero di sì" rispose la tassista. "In ogni caso, è un bel maschio. Se ti piace, usalo. Se no…".
Non proseguì la frase.
L'altra donna lo guardò in modo strano. Gli occhi si posarono sulla sua persona soppesando misteriosi attributi. Non si era mai sentito osservato in quel modo, e non riusciva a capirne il perché.
"È davvero un bel maschio", convenne alla fine. "Ma non so se sarà sufficientemente intelligente…".
Lui sbottò, insofferente. Gli altri suoi coetanei, tutti della stessa età, si stavano contendendo la Regina, mentre lui era finito in… in… già, dove?
"Ora è meglio che me ne vada…" disse lui, furente. Di nuovo gli tornarono in mente le parole della madre.
"Vuoi aspettare un attimo?" ribadì la tassista, lanciando uno sguardo significativo all'altra donna, che si slacciò la camicetta mostrando parte del proprio seno. Lui rimase come folgorato da quella visione.
La donna gli prese una mano e la accompagnò dentro la camicetta.
"Che effetto ti fa?", gli chiese.
Non aveva mai provato una sensazione simile. La gola gli si seccò, e non riuscì a pronunciare le parole che gli erano venute in mente. La pelle era liscia, soda, delicata ma consistente, elastica, sensibile al tocco.
"Tu… tu…" balbettò, colto da uno stupore abbacinante, "…tu non sei asessuata!".
La verità si era incuneata nella sua mente, e vi si era infilzata come un chiodo.
"No, infatti", confermò. Sorrise guardandolo. "Sorpreso, vero?".
Con il corpo si accostò al suo.
Lui guardò la tassista, che assisteva impassibile, poi di nuovo l'altra donna. La differenza tra le due donne apparve evidente.
"E…" cominciò a dire.
"Forza, bimbo!" venne interrotto dalla tassista. "Prova a capire. Non trovi crudele un governo che impone a tutte le femmine di privarsi di una vita sessuale? Guarda me…".
Le parole della madre risuonarono ancora nella sua testa: quelle relative alla vita lunga, ma priva di ogni piacere, fatta solo di doveri e sacrifici.
"Non… non capisco…" disse, ma non era vero, forse preferiva non capire. Fu ancora la tassista a parlare, mentre l'altra donna gli stava sempre vicino e lui poteva sentire il calore irradiato da quel corpo.
"E non trovi orrendo che tutti i maschi debbano morire, dopo che uno di essi, uno solo, sia riuscito ad ingravidare la regina?".
Ecco, la domanda era stata posta, la domanda che lui stesso aveva nascosto in un angolo del proprio cervello così come si fa con un fiore secco tra le pagine di un libro, la domanda cui aveva sempre rinviato la risposta.
"Potrebbe essere…" ammise.

Ecco dove era finito: in un covo di sovversivi. Altro che lotta per ingravidare la Regina e passare alla storia… lì si lottava tutti i giorni contro il potere, al punto che c'era persino una donna fuorilegge, non asessuata. La stessa donna che in quel momento gli stava carezzando l'inguine, da sopra i pantaloni, facendogli indurire le carni.
Un pensiero lo colpì: come avrebbe potuto togliersi di impaccio?
"È meglio che vada via…" tentò di dire ancora, ma le parole morirono prima di nascere. La donna che gli stava toccando l'inguine lo stava facendo con tale maestrìa da provocargli l'oblio della mente, facendogli addirittura perdere di vista lo scopo di una vita, quell'unico scopo per cui sino a quella età era stato mantenuto e nutrito senza dare nulla in cambio, semplicemente godendosi una vita dedita al gioco, ai passatempi, al divertimento, al cibo, all'alcool, alle droghe, ai piaceri tutti… tranne quello proibito.

La donna smise di carezzarlo e lo prese per mano. "Vieni con me…", gli disse.
Lui le andò dietro mentre la tassista rimase dove era, a seguirli con gli occhi fino a dove fu possibile, ovvero finchè non furono entrati in un'altra stanza ed una porta si fu richiusa alle loro spalle. Si guardò attorno, un po' spaventato. Si trattava di una camera da letto.
"Mi chiamo Michela", disse la donna, cominciando a spogliarsi. "Tu non hai nome?".
Inghiottì saliva, guardandole i seni.
"No. Ho una sigla…".
"Beh, io non posso scopare con uno che non ha nome".
"…Scopare?" ripetè lui.
"Scopare!". Si stava togliendo la gonna. "Voglio associare un ricordo ad un viso, ed un viso ad un nome. Lo trovi così strano?".
Si era tolta anche le mutande, ora era completamente nuda di fronte a lui.
"No… non del tutto" rispose.
"Bruno. Ti piace come nome?".
Fece spallucce.
"Mi hanno sempre insegnato che i nomi non contano nulla, anzi non servono…".
"Allora sarai Bruno!". Si accostò a lui e lo abbracciò, facendo aderire il proprio corpo al suo, gettandogli le braccia al collo. Accostò la bocca alla sua.
"Senti il mio respiro?" domandò carezzevole.
"Lo sento…".
Subito dopo Michela lo baciò, e le lingue si toccarono. Bruno si sentì come sciogliere. Mosse anche lui la lingua, ma gli parve di essere incapace di donare le stesse emozioni che la donna stava donando a lui.

Michela all'improvviso si staccò e lo spinse sul letto. Bruno cadde gambe all'aria e la donna ne approfittò per sfilargli via i pantaloni.
"Ma che…" rise Bruno, lasciandola però fare.
Era in mutande; l'istinto gli suggerì di denudare anche il torace. Michela gli salì sopra e cominciò a leccarlo lungo il collo, per scendere poi sino al petto. Indugiò sui capezzoli da maschio, che comunque risposero alla sollecitazione.
Bruno si sorprese a chiudere gli occhi. Non avrebbe abbandonato quei momenti neanche di fronte… neanche di fronte alla morte. Era quella la forza della regina, forse: essere l'unica, per legge, a poter donare quell'estasi… ma ad uno solo, il più forte, il più fortunato. Uno solo, e per una sola volta nella vita.
Michela tornò a baciarlo sulla bocca, ma una mano armeggiò con l'elastico delle mutande e tutte e cinque le dita fecero presto conoscenza con l'unica cosa ivi contenuta.
Bruno avvertì la goduria di quella presa ferma ma delicata. Michela gli fece cenno di stendersi. Si posizionò al contrario sopra il suo corpo e prese il membro in bocca. Bruno provò l'ebbrezza di stare con il capo in mezzo alle cosce di una donna non asessuata, e di avere una visuale privilegiata del suo sesso, del suo culo così meravigliosamente esposto tra le natiche larghe. Mentre il piacere si irradiava dall'inguine a tutto il resto come le onde di una stazione radio, accostò la bocca alla fica di Michela, ma prima del contatto fisico aspirò con il naso e si inebriò dell'odore di femmina che emanava. Con le mani cominciò a carezzare i glutei, godendo nel toccare quella pelle liscia e soda, dalle linee straordinariamente perfette. Si spostò poi sino a percorrere le onde dei fianchi e le colline a rovescio dei seni.

Quindi Michela si voltò. I loro sguardi si incrociarono brevemente, complici e divertiti.
Poi, mentre lei si penetrava e Bruno sentiva per la prima volta quando dolce ma potente potesse essere l'abbraccio genitale, entrambi chiusero gli occhi.
Bruno qualche volta si era masturbato, immaginando di fare l'amore con la Regina, e ne aveva tratto grande godimento, nonchè giovamento per la psiche. Si era detto che un piacere così grande poteva essere un privilegio e giustificare tutti gli altri aspetti, non propriamente positivi, della questione. Ma ciò che stava provando con Michela andava oltre ogni aspettativa.
Stava per venire, la donna forse no; tuttavia ella, nel momento per lui culminante, con altruismo si mosse più velocemente e si abbassò in modo da schiacciargli i seni contro il petto, quasi a proteggerlo e dargli calore nel momento in cui le sensazioni sono più forti e scuotono le membra, per poi morire.

Ansimante, Bruno strinse forte quel corpo apparentemente fragile sopra di lui.
"Ti è piaciuto?" chiese Michela.
"Moltissimo, certo…" rispose, ancora frastornato.
"Ora voglio chiederti: vorresti farlo di nuovo?".
"Subito no" disse Bruno.
"Subito no…" ripetè Michela, imitando il suo tono di voce, "…ma magari tra una mezz'ora sì, e tra un'ora certamente sì, te lo dico io…!". Si alzò e ricominciò a vestirsi. "Quindi ti pongo nuovamente la stessa domanda, però con parole diverse: perchè non farlo mai, nella vita?".
Anche Bruno prese a rivestirsi. Il suo animo era in subbuglio.
"Non so… sono confuso…" ammise.
"Ora ti farò conoscere Piero" concluse Michela. "È un maschio che siamo riusciti a sottrarre alla morte, ed ora è vecchio. È qui…".
Il pensiero di un maschio vecchio, vissuto sempre di nascosto, lo mise in agitazione. Decisamente, stava passando di stupore in stupore.
"Vieni", lo invitò Michela.

Aprì la porta della stanza; pazientemente seduta, la tassista era ancora lì, ad aspettare chissà cosa, chissà chi. Tenendolo per mano, Michela condusse Bruno lungo un corridoio, in fondo al quale c'era un uscio parzialmente socchiuso. Si sentivano le note di un pianoforte, ed una musica molto bella giunse alle orecchie di entrambi.
Michela spinse la porta, mostrando così a Bruno un uomo anziano che suonava lo strumento con molto trasporto.
"Lui è Piero", disse.
L'uomo smise di suonare e si voltò. Bruno provò un tuffo al cuore nel vedere quel volto di maschio pieno di rughe, con tutti i segni della vecchiaia ben evidenti.
"C…ciao…" balbettò, incerto su come comportarsi.
"Ciao", rispose Piero. "Sei stupito?".
"M…ma… ma come…", Bruno era decisamente stupefatto.
"A suo tempo io ho rinunciato alla regina. Che la fottessero pure gli altri… anzi, uno solo tra tutti gli altri, e si ammazzassero pure per quella vecchia cicciona. Io ho scelto di vivere, e l'ho fatto ovviamente di nascosto, come un delinquente…". Tacque un secondo, ma poi riprese a raccontare. "Ecco chi sono, mio caro maschio giovane. Mi giudichi un vigliacco? Sbaglieresti. Io sono andato contro le regole. Ho avuto il coraggio di violare la legge. Se mi trovano, mi fanno subito fuori torturandomi in modo indicibile. Tu da che parte vuoi stare?!".
Non sapeva. Non sapeva ragionare su quella domanda.
Quelli erano sovversivi. Terroristi egoisti che pensavano solo a sé stessi ed al proprio tornaconto, senza essere disposti a fare nulla per il bene comune.
Pensò alla madre sul letto di morte, ed alle parole che aveva pronunciato, ai suoi insegnamenti.
"Devo vivere da leone!", decise. "Fatemi uscire, voglio correre al palazzo, lottare…".
"…E forse, anzi molto probabilmente, morire?" domandò Michela, delusa.
"Non ho paura", ribattè lui.
"E dopo? Non hai pensato al dopo?" insistette Michela. "All'attimo in cui…".
"Ci penserò quando sarà il momento", tagliò corto Bruno.
"Sei proprio un coglione, come la maggior parte dei maschi!" sentenziò una voce alle sue spalle: era la tassista. Che però aggiunse: "Allora vieni con me. Conosco una via privilegiata per il palazzo. Ti porterò sino alle scale. Ma lì… sarai tu contro tutti!".
"Sono pronto", disse lui.

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Era lì, sulle scale. Un gran caos tutto intorno, e l'interno del palazzo come una gola echeggiante di urla, minacciosa di volerli ingoiare tutti. I maschi.
Era una sorta di follia collettiva. La legge impediva l'uso delle armi da sparo, per cui lottavano tra di loro con ogni mezzo lecito: bastoni, spranghe, armi da taglio, alcuni con le sole mani nude.
Il sangue scorreva letteralmente a fiumi, scendendo per la scalinata che conduceva ai piani superiori, all'ultimo dei quali c'era lei, la Regina, nell'attesa del maschio vincente, il migliore, degno padre per tutti i figli che sarebbe riuscita a mettere al mondo.
Le poliziotte si limitavano a controllare la situazione. Ogni tanto però si udiva qualche sparo, e qualche gruppo di maschi particolarmente numeroso si smembrava, si assottigliava, così come sempre più erano i cadaveri per terra sui quali Bruno (quel nome gli piaceva, ormai era suo) era costretto a camminare.
Si sentì aggredito alle spalle, spintonato. Ma erano altri tre in lotta tra loro, con la bava tra i denti ed il volto graffiato, uno con una grossa ferita ad un braccio. Ad uno di questi volò via l'arma, una specie di spada fatta in casa, ma molto tagliente. Bruno la impugnò e cominciò a menare fendenti, cercando di salire ogni volta uno scalino più in alto.
Ma era impresa dura, durissima.
I maschi erano veramente tanti, troppi. Avevano ragione, i sovversivi: le probabilità di farcela erano veramente molto scarse. Ed allora erano tutti (lui compreso) solamente dei pazzi?
Fece roteare la sua arma affilata alla cieca. Udì alcune urla: qualcuno era stato pesantemente ferito. Si guardò le mani: erano sporche di sangue addensato.

Scavalcò un mucchio di corpi e si incamminò velocemente, inerpicandosi su un'intera rampa di scale.
Un grosso maschio con in mano una bottiglia rotta gli si parò innanzi.
"Dove credi di andare, pezzo di merda?!".
Era alto e muscoloso; il vetro della bottiglia aveva l'aria di essere assai tagliente. Lo osservò da vicino quando quello fece roteare il braccio e per poco non gli affettò il collo. Con sua grande sorpresa, lo vide perdere l'equilibrio e ruzzolare giù per le scale, trascinato dal suo stesso slancio. Era ubriaco, ubriaco fradicio. Si guardò intorno e capì perchè: protette e circondate da poliziotte, alcune mucche alcooliche erano a disposizione di chiunque. Era sufficiente farsi largo ed attaccarsi con le labbra a quelle poppe gonfie di succoso e corroborante liquore.
Pochi maschi riuscivano a resistere alla tentazione: l'alcool delle mucche era il divertimento migliore tra quelli loro concessi, in quella società asessuata e dominata dal genere femminile. Le donne non ne bevevano, impegnate com'erano a mandare avanti la baracca, a vari livelli. Loro invece, i maschi, non avevano doveri, non avevano compiti. Gozzovigliavano ed attendevano il grande momento, quello della contesa per arrivare alla regina, la grande e grossa grassa laida puttana madre di tutti, l'unica che aspettava ansiosa e vogliosa l'arrivo di un maschio, uno solo. Per fottere e rimanere gravida, al primo colpo.
Avvertì fortissimo il desiderio di sentire il liquore scorrere in gola. Si sarebbe stordito, gli sarebbe passata ogni paura ed avrebbe cancellato dalla mente l'idea di essere un deficiente, uno che stava combattendo per nulla, per un'idea insana, per un ideale sbagliato. Ma poi, si disse, avrebbe fatto probabilmente la fine del suo ultimo avversario: sarebbe rotolato ubriaco spezzandosi l'osso del collo. Deglutì: avrebbe resistito.

Molti maschi ubriachi ciondolavano ormai inermi. I più deboli, si accorse, venivano finiti senza pietà dalle poliziotte armate. Gli spari inoltre si facevano sempre più frequenti: capì che quelli che rimanevano troppo indietro venivano sistematicamente uccisi.
Ora era salito abbastanza in alto, non c'era tutta la ressa dei piani inferiori. Si guardò attorno: tutti pensavano a salire. Ai lati dei gradini le poliziotte facevano cenno di correre, di sbrigarsi. Scattò in avanti, cercando di essere veloce come una saetta. Udì degli spari: stavano uccidendo gli ultimi.
Qualcuno lo afferrò per una gamba, frenandolo. Era quello proprio dietro di lui, un maschio biondo e lentigginoso. Era scivolato ed aveva pensato bene di prenderlo per una caviglia. Bruno si voltò e lo colpì con il piede della gamba rimasta libera sulla mascella. Si udì un rumore secco, come di qualcosa che si spezza. Il biondo ruzzolò giù emettendo un grido di dolore.
Però era rimasto molto indietro, per colpa di quel contrattempo. Ebbe paura di essere rimasto ultimo: in tal caso, sarebbe stato colpito a morte da uno sciame di proiettili.
Riprese quindi a correre; gli sembrava quasi di volare, mentre saliva i gradini tre per volta, afferrando per il collo quelli che gli stavano davanti e tirandoli all'indietro mentre lui avanzava, avanzava sempre di più, sempre più su, capendo di avercela quasi fatta, era ormai in cima… di fronte a lui, l'ultima rampa di scale.
Un gruppo di poliziotte armate lo accolse come in un abbraccio, proteggendolo dagli altri che lo seguivano. Venne come fagocitato da quel muro di donne asessuate, volte alla protezione ed alla salvaguardia delle regole. Come era strano, pensò: era stato portato all'inizio della giornata in un covo di terroristi, ove era stato iniziato al sesso ed aveva appreso con stupore che potevano esistere altre donne non asessuate, regina a parte, e maschi vecchi, ed ora veniva tratto in salvo e protetto dalle poliziotte.
Queste ultime iniziarono a sparare sugli altri maschi. Bruno le guardò attonito sparare sul mucchio con spietata efficienza, compiendo una carneficina.
"Ce l'hai fatta, complimenti", disse con apparente distacco una di loro. Era una donna senza alcuna attrattiva, come le altre. "Vai…!".
Bruno, affacciatosi ad una finestra, diede un ultimo sguardo alla piazza. L'organizzazione era perfetta: i maschi ancora in vita venivano uccisi sistematicamente dalle donne poliziotte, mentre le altre femmine, di ogni classe e censo, portavano via i cadaveri per fare pulizia e rimettere ordine.
"Vai", lo incitò ancora la poliziotta. "La Regina è nella sala in fondo al corridoio. Vai!".
Si incamminò, quasi di corsa. Non stava forse coronando lo scopo di una vita? Non era forse riuscito là dove tutti gli altri avevano fallito? Ed allora, come mai il suo cuore non era gonfio di gioia, ma al contrario una certa amarezza stava prendendo il sopravvento?!

Entrò con questi pensieri nella sala della Regina. Si sarebbe aspettato chissà quale fasto e lusso: al contrario, era una camera squallida e spoglia, con al centro un enorme letto sul quale la Regina era distesa, completamente nuda. Era una donna grassa che emanava un forte odore di sesso, così intenso da stordire.
Bruno lo conosceva già: Michela. Aveva conosciuto un'altra donna non asessuata, e si era accostato con la bocca e con il naso al suo sesso.
Il confronto tra le due donne gli venne spontaneo: Michela era certamente meglio della Regina, che godeva di tanta fama presso i maschi in quanto, ufficialmente, era la sola in grado di farli godere; però uno solo di essi, per una sola volta nella vita. In cambio, il privilegio di essere padre di tutta una nuova generazione.
"Sei arrivato, finalmente" lo accolse la Regina, con voce rauca e baritonale. Allargò le gambe e mostrò la propria fica umida, tra le cosce flaccide e grasse. "Vieni, giovane maschio…" aggiunse, "…spogliati…".
Bruno si spogliò. Si accorse quasi con stupore che aveva il membro già eretto, nonostante la Regina non gli sembrasse poi così eccitante. La colpa, si disse, era tutta della giovane Michela, la sovversiva, che gli aveva già fatto provare l'ebbrezza dell'amore.

Si accostò al letto. La Regina avidamente gli prese in mano il membro carezzandolo con fare sapiente. Poi si mise seduta. Nel fare questo movimento, il seno abbondante si rivelò poco sodo, cascante. La Regina con la lingua diede un rapido tocco alla cappella; quindi, certa di aver suscitato sensazioni dirompenti ed irripetibili nel giovane maschio, gli domandò: "Ti è piaciuto?".
Bruno fece cenno di sì con la testa.
"Toccami!", lo invitò lei, carezzandosi i seni e sollevandoli. "Non essere timido. Godiamoci questi momenti…".
Non se lo fece ripetere un'altra volta. Si riempì le mani di quelle mammelle poco sode ma abbondanti. Poco dopo la Regina lo tirò a sè; lui le entrò dentro con gran facilità.

"Fermi!" urlò una voce.
Bruno si voltò. Vide una donna non asessuata, giovane e bellissima, addirittura migliore di Michela. Ma allora quante ce ne erano?
"Chi sei…? Cosa vuoi?", chiese allarmata la Regina.
"Sono la nuova regina", rispose la giovane, con un accenno di sottile perfidia nella voce ed una traccia di perverso godimento. Era bionda di capelli, alta e con una pelle diafana, vestita solo di una tunica bianca semitrasparente.
"Come sarebbe, la nuova regina? Io sono la regina. Come mai ti hanno fatto passare?".
Alle spalle della giovane apparvero numerose poliziotte.
"È un complotto, allora!" urlò la Regina, capendo che erano dalla parte della giovane.
"È una necessità", rispose una delle poliziotte. "Tu ormai sei troppo vecchia, non puoi più fare figli sani e forti". Dicendo così si avvicinò minacciosa alla Regina. "Sei troppo vecchia…" ribadì la giovane bionda, beandosi della crudeltà insita nelle parole che stava pronunciando.
La Regina balzò sul letto.
"Siete delle serpi!" urlò. "A mia insaputa avete allevato e nutrito una nuova regina…", puntò l'indice contro la giovane bionda. "Tu! Una delle mie figlie!".
Furono le ultime parole della vecchia regina. Le poliziotte spararono… e Bruno vide, come al rallentatore, le pallottole bucare quel corpo anziano, interamente ricoperto da una spessa coltre di adipe. Vide lo strato superficiale della pelle aprirsi in corrispondenza di ogni colpo andato a segno. Osservò stupito quei piccoli fori aprirsi come crateri per schizzare uno sputo di sangue e poi richiudersi elasticamente fino a quasi scomparire alla vista, per poi riaffiorare sbocciando come fiori di un rosso intenso.
La giovane bionda, non asessuata, era quindi la nuova regina, non una terrorista. Aveva assistito ad uno scontro avvenuto all'interno del palazzo del potere. Si trattava, evidentemente, di un'altra durissima legge che regolava l'organizzazione perfetta della città.

Le poliziotte, in quattro, afferrarono il corpo della vecchia regina e lo trascinarono fuori dalla stanza. Altre due immediatamente asportarono il giaciglio sporco di sangue. Altre due ancora rifecero il letto con un nuovo materasso e un paio di lenzuola pulite. Un'altra si preoccupò di arieggiare l'ambiente aprendo una finestra e di profumarlo con boccette di essenze. Alla fine uscirono in silenzio.
"Ora sarai mio!" disse la nuova Regina a Bruno, guardandolo concupiscente. Lui però la scansò.
"Scusami…", disse, "…ma…".
"Quello che è accaduto è assolutamente normale", lo tranquillizzò la giovane. "Tra le nuove femmine che nascono, alcune vengono allevate come «regine di scorta», diciamo. Quando la regina in carica è troppo vecchia, le poliziotte la sostituiscono, e ne scelgono una tra quelle nuove…".
"Ma allora…" se ne uscì lui, "…ma allora chi comanda, veramente? Chi è il capo di tutta questa organizzazione crudele, spietata? Chi c'è?".
"Che io sappia, nessuno…" rispose la regina.
"Quindi anche tu, tra alcuni anni, dopo che sarai stata usata per fare figli su figli, anche tu…".
Lei fece spallucce.
"Che ci pensiamo a fare?" disse. "Ai nostri piedi abbiamo la città intera, che soffre e lavora, e produce. Noi siamo i privilegiati. Ora. Adesso. Qui…!".

Fece scivolare la tunica a terra, rimanendo completamente nuda. Si avvicinò a lui gettandogli le braccia al collo. Ma sì, pensò Bruno. Il mondo era regolato da leggi severissime, perchè solo grazie a quelle leggi poteva continuare ad andare avanti. La morte era la più crudele tra quelle. Perchè meravigliarsi? Di cosa? Lui aveva a disposizione il grande privilegio di far sua una Regina nuova, giovane e bellissima. Più bella di Michela, quella pazza sovversiva.
Accostò le proprie labbra a quelle della Regina. Sapeva come muoversi e, per quanto potesse sembrare incredibile, le circostanze avevano fatto sì che lui fosse più esperto di lei. Fece scorrere le mani sui fianchi, partendo dall'altezza dei seni per finire sulle curve del bacino, le dolci colline delle natiche, per poi risalire lungo la schiena. La fece rabbrividire baciandola sul collo. Sentì quel corpo agile e snello aderire al suo, pronto al dono reciproco.
La giovane aveva il gusto di una mela acerba.
Gli donò la sua prima giovinezza.

Fecero l'amore per tutta la notte…!
All'alba, lei si scostò da lui e gli diede l'ultimo bacio. Poi si alzò dal letto ed uscì dalla stanza.
Bruno si sentiva spossato, ma felice. Dai seni della giovane regina aveva succhiato non solo l'ebbrezza dell'eccitazione sessuale, ma anche liquore inebriante.
Perchè pensare se fosse giusto o no? Lui aveva rispettato le regole, aveva fatto il suo dovere, e gli era piaciuto. Sapeva ora di essere diventato rapidamente inutile, come la vecchia regina.
Per cui, quando le poliziotte entrarono nella stanza con le armi in pugno, non oppose alcuna resistenza. Puntarono una pistola alla sua tempia mentre era ancora inebetito, e fecero fuoco.

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Attorno al palazzo si estendeva la città, vero e proprio alveare umano. La vita pulsava seguendo un copione prestabilito, frutto di antiche, crudeli regole, cui mai si era derogato, pur senza sapere chi le avesse mai imposte.
scritto il
2024-09-05
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