La femme masquée

di
genere
etero

Quando l’impalcatura che celava la facciata fu rimossa, dopo diversi mesi, la curiosità di tutti, che si domandavano cosa mai sarebbe comparso, quale negozio o quale altra attività avrebbe avuto inizio, fu in un certo senso delusa.
Un elegantissimo ingresso, in cristallo e lucido ottone inossidabile, con la scritta, sul vetro, «Le Sablier», e, sotto, «spettacoli esclusivi».
Inaugurazione venerdì prossimo.
Prenotazione obbligatoria.
Prezzi piuttosto elevati.
Debutto della «Femme Masquée», vietato ai minori.
Spettacolo unico, ore 9:00 PM.
Non una foto.
Non diceva molto e non se ne sapeva molto.
«Le Sablier» è la clessidra a sabbia (la clepsydre è quella ad acqua).
In cosa consistesse lo spettacolo lo si poteva intuire da quanto trapelava dalla stampa, sapientemente guidata: la «donna più bella del mondo» si esibiva in assoli di danza, e, a quanto era dato intendere, il pezzo forte sarebbe stato «Salomè».

Il locale era descritto, per la verità in modo molto sintetico, come un «café-concert», con tavolini e poltrone intorno alla sala, un palcoscenico che si prolungava con una passerella che s’inseriva tra gli spettatori.
Era specificato che il prezzo del biglietto si riferiva alla sola assegnazione di un posto (quattro ogni tavolo) e che la consumazione era obbligatoria. Non c’era il listino, ma a giudicare dal costo dell’ingresso si capiva che doveva essere abbastanza cara.

Il sabato successivo alla «prima», comprai il giornale, andai subito alla pagina degli spettacoli.
Titolo a tutta pagina: “Il trionfo della donna mascherata a «Le Sablier»”.
Si parlava dell’insuperabile performance della danzatrice misteriosa, lo splendore d’una donna incantevole, sempre elegante e graziosa. Era descritta come una femmina seducente, dalle forme perfette, insuperabili…
Questo lessi mentre mi recavo per andare a scuola.

All’uscita, sulla porta del locale, un avviso precisava che lo spettacolo si ripeteva il lunedì e il venerdì, solo alle 21:00, e si informava il pubblico che era tutto prenotato per i prossimi due mesi!
A me interessava poco. Non avevo ancora diciotto anni, né i soldi per andarci.
Comunque, dai giornali specializzati e riviste teatrali, si parlava molto bene della «Femme Masquée», ma mai una foto. Non solo non si faceva vedere in viso, durante lo spettacolo, ma non consentiva pubblicazione di sue foto.
Poiché nella mia classe c’erano alcuni che già avevano compiuto diciotto anni, si organizzò una riffa tra noi, a spese dell’intera classe, per decidere chi dovesse andarci, e curiosamente anche le ragazze aderirono all’iniziativa.
Fu sorteggiato Daniel, col compito di “…andare a vedere e riferire dettagliatamente”.

Quando l’indomani si mise a raccontare, aveva gli occhi inebriati, lo sguardo incantato.
“Un fenomeno, ragazzi… una bellezza da non credere, una grazia… e nessuna volgarità, nemmeno quando resta completamente nuda, al centro della passerella, e poi si rialza ed elegantemente raggiunge il palcoscenico. Certe gambe, certe tette… per non parlare di un sedere scultoreo. È qualcosa di indescrivibile”.
Mentre parlava si lisciava la patta dei pantaloni.
E lo fece anche qualche ascoltatore, aiutandosi col palpare la compagna più vicina.
Tornai a casa, come al solito.

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Papà Maurice, mio padre, aveva letto di quell’exploit eccezionale; disse che se avesse avuto i soldi lui ci sarebbe andato… così, tanto per… sapere.
“Cosa sarà mai, questo spettacolo di questa danceuse misterieuse…!”.
Ma lui era «imprigionato» in Centrale, a quell’ora. Da anni faceva il turno 15:00-22:00. Abbastanza comodo, gli permetteva di pranzare e cenare a casa. Il sabato era libero, ma «Le Sablier» era chiuso.
Maman Jasmine si stringeva nelle spalle, senza parlare.
Jasmine era ma petite jeune maman, la mia mammina. Era la nuova moglie di papà, ed aveva appena diciotto anni più di me. Era la nostra gamine, la nostra monella, come la definiva papà.
Papà guadagnava bene, ma gamine voleva concorrere alle spese della famiglia e mentre io studiavo o andavo in palestra o al tennis, e papà era in Centrale, lei metteva a frutto la sua prodigiosa esperienza di fisioterapista, e andava da qualche cliente. Era specializzata soprattutto per le artrosi cervicali. Si diceva che avesse mani miracolose.
Girava sempre per casa con degli ampi chemisier, e malgrado l’aiuto di Genéviève, che veniva per qualche ora al mattino, era sempre indaffarata. Ad una cosa però non rinunciava mai: al suo lungo bagno in vasca, dove poltriva immersa nell’acqua lattiginosa che le arrivava fino alla gola. Poi si recava nella sua camera, dove accendeva la solita musica, e vi restava per un bel po’, per poi uscire, allegra e briosa e mettersi a sfaccendare.

I giorni trascorrevano più o meno uguali, ma c’erano sempre tante cose da fare, non avevamo tempo per annoiarci.
Il sabato mattina loro andavano per compere. Poi si pranzava insieme, e si decideva per il pomeriggio e per l’indomani.
Non c’erano grosse varianti: cinema, stadio, gite in periferia con rientri che stancavano più di una settimana di lavori pesanti!

Eravamo alla vigilia della conclusione del liceo.
Se riuscivo, contavo di iscrivermi all’ESSEC, École supérieure des sciences économiques et commerciales.
Intanto compivo diciotto anni. Ricevetti molti regali, ed anche una bella sommetta di denaro, oltre all’annuncio che mi sarebbe stata raddoppiata la paghetta, l’argent de poche.
Finalmente potevo andare a «Le Sablier».
Avevo prenotato il posto da tempo, pagando solo il diritto di prenotazione.
Andai a ritirare il biglietto, era per venerdì, alle 09:00 PM juste, in punto. Porta alle 08:30 PM.
Gamine stava per uscire. Il suo solito impegno, verso le otto.
Vide che mi preparavo accuratamente.
“Perché così elegante, Pierre?”.
“Vado a un compleanno…”.
“Farai tardi?”.
“No, darò gli auguri, ma dopo un po’ me la filo”.
“Ciao, tesoro…”.
Dopo poco uscii anche io.

Alle 08:35 ero seduto al mio tavolo. Prima fila, centrale!
Era severamente proibito l’uso di macchine fotografiche o di ripresa di qualsiasi genere. Era consentito il binocolo. Ma io ero in prima fila…
In pochi minuti la sala era al completo.
In sottofondo suonavano, in sordina, motivi lenti, armoniosi, avvincenti.
Assoluto divieto di fumare, defense de fumer.
Erano già passati per l’ordinazione, avrebbero servito subito, per non disturbare lo spettacolo.

Lo speaker dette il benvenuto, ci spiegò che quella sera “madame” avrebbe eseguito tre danze sulle musiche di illustri compositori: Canto indù, Sheherazade, Salomé.
Si pregava di applaudire solo alla fine e di non lasciare il proprio posto durante le danze.
La solita conclusione: “Grazie per la vostra presenza, e buon divertimento!”.
Era giunta la consumazione. Ci eravamo messi d’accordo, al nostro tavolo (una coppia non giovanissima, un signore di mezza età, ed io), ed avevamo ordinato champagne. Il signore solo aveva commentato: “…À la guerre comme à la guerre”, in effetti, quando si è in ballo si balla.
Champagne di marca e millesimato, caro come se avessimo invitato a cena una dozzina di Veuve Cliquot!

Le luci si abbassarono, si alzò il sipario.
Nel centro, la donna mascherata, raccolta su sé stessa, con le braccia intorno alle gambe, avvolta in veli multicolore. La testa nascosta da una impenetrabile maschera di seta.
A mano a mano che le languide note si susseguivano, si alzò lentamente e prese a danzare con una grazia avvincente; passò velocemente sulla passerella, tornò indietro. S’intravedeva il suo corpo perfetto, ammaliante, e i veli lo esaltavano più che celarlo.
Da ultimo, sembrò sbocciare dai quei veli e rimase immobile, completamente nuda, con un seno meraviglioso, gambe perfette, un fondoschiena da sogno. Rimase così, addirittura per qualche minuto, perché gli applausi erano scroscianti, interminabili.
Sì, era veramente uno spettacolo avvincente, e per me anche molto, molto eccitante.
Il signore solo sussurrò che quelle erano miches, chiappe, formidabili. L’altro, quello della coppia, aggiunse che anche le nénés, le tette, non erano da meno e sghignazzando aggiunse figurarsi il resto e sottovoce borbottò all’altro che era proprio un bel pezzo di minette!
La moglie faceva finta di essere distratta.
Sheherazade fu ancora più coinvolgente della prima danza, ma quella che ci afferrò tutti, ci coinvolse, ci travolse, sì che era difficile non applaudire, restare seduti, fu Salomé. Con i veli che cadevano ad uno ad uno, lasciandola completamente spoglia, in atteggiamento rapito e statuario, sulla passerella, a pochi metri da me. Una danza languida, voluttuosa, seducente.
Era di spalle, con la sua schiena incantevole. Le sue gambe perfette.
Si voltò per ringraziare.
Lo spettacolo del suo seno, del suo ventre, del suo pube, del lieve rigonfiamento del monte di Venere, dove cominciava il boschetto delle delizie che a malapena nascondeva la grotta del tesoro, non può descriversi. Non ci sono espressioni adeguate.
Piegò la gamba per inchinarsi a ringraziare.
Sulla coscia sinistra, in alto, quasi nascosto dai riccioli corvini, un piccolo tatuaggio: un giglio stilizzato. Minuscolo, rosso.
Gli spettatori non finivano più di applaudire.
Come aveva detto lo speaker, alle 10:00 PM precise, il sipario cadde, le luci si spensero in parte, la gente sfollava lentamente. I commenti si incrociavano, entusiasti.
Era vero, la «femme masquée» era superiore ad ogni aspettativa.

Mi avviai verso casa, adagio, senza fretta.
Entrai. Ero il primo.
Poco dopo ecco maman, allegra e frizzante come di consueto, e come al solito nel suo chemisier svolazzante.
Attendemmo papà per la cena. Non importava fare tardi. Domani riposo.
La notte sognai la donna mascherata.
E la pensai anche il mattino successivo, e durante il giorno.
Mi era entrata nel sangue.
Sarei andato tutte le sere a vederla, ma il portamonete non me lo consentiva.

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Stavo svolgendo la tesina assegnatami dall’insegnante di storia: i Borbone.
Avevo molto materiale, raccolto qua e la, specie in biblioteca. Dovevo solo coordinare il tutto, e, come si dice, «buttarla giù».

Domenica mattina.
Papà Maurice era uscito da poco. Ogni tanto, come capo turno, gli toccava la giornata festiva, dalle nove del mattino alla stessa ora del giorno successivo.
La bella gamine aveva fatto il suo bagno, aveva ascoltato la sua musica (credo che le servisse d’accompagnamento alla ginnastica), ed era venuta nella mia camera-studio, portandomi una tazza di caffelatte. La poggiò sulla scrivania, sedette sul bracciolo della poltrona.
Era in accappatoio, bianco, corto, e in testa aveva avvolto un asciugamano, a mo’ di turbante. Sorridente, particolarmente bella.
Si chinò per leggere il contenuto del mio quaderno.
L’accappatoio le si aprì un po’… tette superbe… come quelle della donna mascherata.
“Prendi un po’ di latte, Pierre… cosa fai?”.
“Sto cercando di mettere insieme una tesina che devo consegnare martedì…”.
“Posso vedere?”.
“Certo”.
Sedette sulle mie gambe.
Leggero l’accappatoio, e altrettanto i miei pantaloncini.
Si era seduta altre volte sulle mie ginocchia, gamine, ma quella volta, sia per la veduta delle tette, sia per l’accostamento alla signora mascherata, la cosa era diversa.
Sentivo chiaramente le sue natiche tonde e sode, il solco che le divideva. E sentivo ancor più l’eccitazione che mi stava pervadendo.
Maman lesse qualcosa.
“Ah! È sui Borbone. I miei preferiti. Io sono una contraddizione in termini: repubblicana convinta e sfegatata simpatizzante dei Borbone…”.
“Come mai?”.
“Non lo so come è nata questa specie di ammirazione. La ho da bambina, mi mascheravo da regina borbonica. Due matte, io ed Amélie, la mia migliore amica…”.
Parlava, e intanto si muoveva. Era una carezza continua al mio sesso, che in quel momento non ne aveva proprio bisogno. Ero in tiro… possibile che non se ne accorgesse? Temevo che, seguitando così, da un momento all’altro mi sarei impiastricciato tutto. Forse era meglio, mi sarei liberato da quella tensione spasmodica. Ma lei se ne sarebbe accorta?

Forse, se le avessi parlato, l’eccitazione si sarebbe attenuata. Dovevo… distrarla!
“Quale dei Borbone ti interessa di più?”.
“Un po’ tutti. È il fascino della «casata». I Borbone! Pensa che eravamo tanto pazzoidi che io e Amélie ci siamo fatte tatuare, da sua sorella più grande che è una tatuatrice professionista, un piccolo stemma dei Borboni…”.
“Uno… stemma borbonico?”.
“Sì, un giglio stilizzato…”.
Per poco non mi veniva un colpo. Anche la donna mascherata aveva un piccolo giglio stilizzato, sulla coscia sinistra, molto in alto, seminascosto dai riccioli del pube.
“Un giglio? E dove? Non l’ho mai visto!”.
“Non è in un posto accessibile agli occhi di tutti!” sorrise, con quella sua aria maliziosa per cui papà la chiamava gamine.
“Ma io posso vederlo, vero?”.
“Non so… devo pensarci…”.
“Dai, ma’, adesso abbiamo segreti tra noi? Fammelo vedere…”.
“Un’altra volta… devo mettermi il tanga…”.
“E che c’entra il tanga…?!”.
Sorrideva divertita, io stavo sulle spine.
“È che si trova quasi sull’inguine…”.
Rosso… sull’inguine…
“Sinistro?”.
“Bravo, hai indovinato!”.
“Devo vederlo adesso, subito!”.
“Perché tanta fretta?”.
“Te lo dico dopo…”.

Mi stavo agitando, tormentato da un dubbio atroce. Una coincidenza stranissima: lo stesso tatuaggio, stesso colore, stesso posto!
Mi alzai, cercando di dominarmi. La sollevai di peso e la deposi sul letto.
“Ma Pierre, cosa fai?!”. Stava ridendo, per lei era uno scherzo. Per me no!
Aprii senza tante cerimonie l’accappatoio, le dischiusi le cosce. Era quello! Era quello!
Rimasi in ginocchio, incantato. La guardai, sbalordito, sgomento.
“La Femme Masquée…!” riuscii a dire con un filo di voce.
Nel sentirmi, Jasmine sbarrò gli occhi, impaurita, sconvolta.
Nascosi il volto tra le sue gambe, baciando, lambendo il giglio dei Borboni.
Cercò di alzarsi, di mettersi seduta.
“Ti scongiuro, Pierre, ti prego… sta zitto… non rovinarmi… non distruggere tutto…”.
Ma non l’ascoltavo, come non mi saziavo di baciarla; ora la mia lingua era tra le sue grandi labbra.
Era rimasta immobile, di sasso, le dita nei miei capelli.
Alzai le mani, le afferrai il seno, lo strinsi, freneticamente. E seguitavo a leccarla, quasi furiosamente; avevo succhiato il clitoride, ora la lingua era dentro di lei, con movimento circolare. Stavo divenendo meno nervoso, meno furioso, ma sempre più eccitato.
Gamine era la donna mascherata… Sheherazade, Salomé.
Era bellissima, stimolante. Avevo voglia di morderla. Sì, dovevo morderla.
Mi arrampicai su lei, le presi i capezzoli tra i denti, leggermente.
“Pierre, ti prego, non lasciarmi segni… ti prego…”.
Tornai a leccarle il sesso.
Sentii che cominciava a muoversi… dapprima lentamente, poi sempre più smaniosa, e gemeva, con gli occhi chiusi, una mano sulla bocca.
“Pierre, tesoro, bambino mio… cosa vuoi fare…”.
“Questo, ma’…”.

Via pantaloncini, boxer, camiciola. Via tutto.
Puntai il mio fallo rigido e irrequieto tra le sue gambe; la penetrai, stringendo i denti, avvinghiato alle sue cosce, trattenendomi a stento dall’essere quasi brutale.
Era una cosa meravigliosa. Jasmine la gamine, la mia giovane matrigna, era Sheherazade, era Salomè… era la Femme Masquée.
Il mio pompare diveniva sempre più deciso. E lei, ormai, s’era abbandonata completamente ai sensi. Aveva incrociato le gambe sulla mia schiena, inarcato il bacino, e contraccambiava voluttuosamente le mie spinte, accompagnandole con gemiti incalzanti che sfociarono in un grido, alto, incontrollato e dal fremito convulso che la scosse e poi la lasciò inerte, mentre una colata bollente di liquido seminale la invadeva.

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Quella notte non conoscemmo tregua.
Ormai la diga era rotta.
Quella notte nacque la nostra complicità.
Lei avrebbe tolto la maschera solo quando era con me.
E, come me, non vedeva l’ora di toglierla…

La cosa andò avanti per un bel pezzo.
Non avevamo paura di nulla, non temevamo nessuno.
L’essenziale era fare l’amore.
Ma ve lo immaginate che io, il piccolo, umile Pierre, andavo a letto con la donna misteriosa di cui parlava tutta Marsiglia, e che tutta Marsiglia, e anche tutta la provincia e anche di più, desiderava?
E lei veniva a letto con me, passionalmente, voluttuosamente.
L’unico che ci guardava e non si rendeva conto della nostra allegria, della nostra connivenza, era il buon papà Maurice. E non riusciva neppure a capire come la sua donna fosse sempre meno desiderosa di amplessi coniugali.

Un giorno, sulla porta a vetri de «Le Sablier», apparve un cartello:
«LE RAPPRESENTAZIONI SONO SOSPESE PER INDISPOSIZIONE DELLA "FEMME MASQUÉE"».
Poco più di quattro mesi dopo nacque Theodora, dono di Dio.
La mia sorellina…
…O mia figlia?
scritto il
2024-08-31
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