A terra
di
RomanDeVil
genere
etero
"Capit… ehm, padrone! Finalmente vi trovo!".
Un placido Algernon Phipps contemplò con blando interesse il proprio ex-attendente, e ora dipendente, Bolton, che, caracollando nei lucidissimi stivali militari, lo stava raggiungendo sul molo.
Neanche a dirlo, il suo domestico stava facendo, come sempre, scena.
L'abitudine a passare ogni momento libero sul molo, il nostro Phipps l'aveva acquisita ormai da parecchio tempo, o perlomeno da quando si era acquartierato a Savannah al termine del suo servizio per la Marina statunitense. Servizio terminato, a onor del vero, alquanto bruscamente, per via di un certo indebito strofinìo dei suoi baffi fra le immacolate cosce di una certa demi-vierge biondocrinita, tale miss Tinsbury. Il padre di lei non aveva apprezzato il racconto, inframmezzato dai singulti di orrore, che di tale episodio aveva dato l'ufficiale in seconda della sua nave, uno stramaledetto codino irlandese perdutamente cotto della sunnominata donzella e da lei tradito, il quale, per una malaugurata serie di circostanze (non ultima una porta che avrebbe dovuto essere chiusa a chiave, ma che non lo era…), aveva avuto la ventura di assistere personalmente allo «scempio»… almeno così fu che egli lo definì, anche se sussistono fondati sospetti che l'interessata lo avrebbe rubricato diversamente.
E fu così che, dopo un penoso colloquio con il genitore oltraggiato, e un'imbarazzante discussione con un funzionario dell'ammiragliato che si era prodotto in infinite variazioni sul tema dell'onore e della decenza, Phipps era stato indotto alle dimissioni e si era spiaggiato in quell'incantevole cittadina, patria del trasporto del cotone e dei pappataci.
"Che cosa c'è, Bolton? E non saltellare da un piede all'altro, che i dieci anni li hai passati da un pezzo…".
"Signore! Una signora, signore! Che aspetta il signore da più di mezz'ora in ufficio, signore. E mi sono detto che una signora non si fa mai aspettare troppo…".
Conscio che l'esclamazione dell'ennesimo «signore» lo avrebbe sicuramente condotto all'attendenticidio, Phipps, ignorando ulteriori repliche, aveva preso a percorrere a grandi passi il molo, diretto al suo quartier generale… che non era, in verità, molto più che un dignitoso ufficetto con una vetrata aggettante sulla via, ed in comunicazione diretta col magazzino retrostante. Un'insegna, invero alquanto sbilenca, recitava sulla porta: «PHIPPS – SPEDIZIONI» e l'interno era accessoriato di una scrivania discreta, alcune sedie ed alquante scartoffie, penzolanti qua e là dalle più eterogenee superfici. Scartoffie tra le quali si aggirava, inquieta come una tigre in gabbia, la Stella del Mattino in persona. O almeno tale parve al nostro Phipps (il cui punto debole, come ognun sa, era per l'appunto la beltà femminile) la donna bruna che lo stava aspettando.
Di un'altezza statuaria, abbigliata in un abito di un grigio perlaceo, stellare appunto, portava, acconciatura quanto mai inconsueta in una donna non più giovanissima, i folti capelli corvini sciolti sulle spalle, a malapena trattenuti da un nastro argenteo, il ché le conferiva un aspetto autorevole ed esotico insieme, quanto mai eccitante per l'ex capitano, che non era mai stato attratto dall'insulsa bellezza delle sue connazionali.
Cercando di domare il proprio respiro, fattosi inopinatamente affannoso, si avvicinò alla sua ospite.
"Vi chiedo perdono per avervi fatta attendere, miss?…".
"Mrs. Cornwall per voi, signore. E fate bene a scusarvi, giacché non amo aspettare!", rispose lei con più di un guizzo di alterigia negli occhi grigi e densi, quasi neri.
Phipps, sconvolto dalla rivelazione che quella che aveva di fronte era la moglie di uno dei più incartapecoriti personaggi dell'intera Savannah, lì per lì tacque, sopraffatto dagli eventi.
"Bene! Onde non perdere ulteriore tempo… di entrambi, mr. Phipps, posso venire allo scopo di questa mia fin troppo lunga visita? Mio marito, il giudice Cornwall, mi manda a chiedervi notizie di un pacchetto che dovrebbe essere giunto per lui con il postale di stamane. Dunque, lo avete qui?".
"Malauguratamente no, madame… (altro lampo di stizza negli occhi di lei, accompagnato da uno scatto delle maestose spalle) …temo che vi siano stati alcuni problemi ai moli, per cui prevedo di non vedermi consegnare alcun carico prima di domani…", e poi, guardandole sfacciatamente la sensuale bocca, truccata di rosso, proseguì "…ma sono sorpreso che siate venuta di persona per un'incombenza tanto minuta. Di certo a Jericho House non mancano i domestici a cui affidare l'incarico di ritirarlo per voi…!".
La donna abbassò i temibili occhi per un istante, fissando con intensità gli stivaletti grigi perfettamente lucidi del buon Phipps.
"Ebbene, non vedo come questo sia affar vostro, ma il fatto è che… vedete…" un timido sorriso rischiarò per un attimo il volto olivastro della donna, "…mio marito considera il contenuto di questo pacchetto oltremodo confidenziale, e pertanto…" e il resto della frase si perse fra le travi del soffitto.
Phipps, che a quel punto se la stava godendo un mondo, inalberò un sorriso da squalo proferendo le sue successive parole con assoluto candore.
"In questo caso sarà per me un onore consegnarvelo personalmente; così il vostro… (lieve colpo di tosse) …segreto sarà maggiormente preservato. Diciamo a casa vostra, domani sera alle sette?".
Mrs. Cornwall si irrigidì un istante, gonfiando con un ragguardevolissimo davanzale la pettorina dell'abito accollato.
"In effetti…" sospirò, "…questa sembra essere la soluzione migliore; per quanto domani mio marito sarà assente, e non so… ma sì, d'altra parte voi non siete che un fattorino che lavora in proprio, dunque non vedo cosa vi sia di male. Domani alle sette, dunque, e non tardate!".
In un turbine di seta moirée e di capelli svolazzanti, la donna era uscita dall'ufficio, lasciando Phipps sconcertato dalla conversazione, incuriosito a morte sul contenuto del misterioso pacchetto (cosa mai poteva volere, con tanto accanimento, l'orrida cartapecora?) e blandamente eccitato dall'aspetto burrascoso ed insieme assai sensuale della sua ospite.
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Era un Algernon Phipps assai più allegro, ma ugualmente sconcertato, quello che il giorno successivo affrontava di buon passo la non breve distanza fra il proprio ufficio e la signorile dimora dei coniugi Cornwall. Lo sconcerto era dovuto più che altro all'inutilità di tutti i tentativi fatti per scoprire il contenuto del modesto pacchetto che stava recando con sé: a nulla erano valsi, infatti, né le discrete indagini svolte presso i docks, dove aveva scoperto che la merce trasportata era banalmente rubricata sotto la voce «medicinali, droghe e spezie alimentari», né un intenso scartabellamento nelle proprie non ordinate carte (il fornitore, ispanico o giù di lì, risultava denominarsi «Chantar Y Dis», nome che non gli diceva un beato piffero), né, infine un continuato scuotimento del pacco stesso, che non aveva prodotto altro che un attutito sciabordìo sabbioso.
Sicché, mentre si rammaricava di non aver chiamato una carrozza a nolo, evitandosi una camminata nel clima soffocante ed umido della giornata, il buon Algernon non smetteva di ruminare insieme gioia e aspettativa, nonché una bruciante curiosità… e, diciamolo pure, una certa eccitazione per l'imminente incontro con la Stella. A proposito, chissà qual era il suo nome…
Discretamente sfiatato, e ansioso come una debuttante al ballo, aveva infine tirato il campanello, atteso un lungo istante e visto profilarsi nello specchio della porta non l'imbalsamato maggiordomo che era logico attendersi in una magione tanto distinta, ma la Stella del Mattino in persona. Solo che la Stella del Mattino, quale lui la ricordava, perlacea e luccicante, dal giorno precedente, si era tramutata in Stella della Sera… e che stella!
Una fascia ed un abito di un rosso purpureo contenevano a stento sia la chioma bruna della donna, scomposta ed ammassata su un lato del viso, sia un corpo spettacolarmente pieno, ed esposto, dalla gola ed i seni ambrati, scoperti fino al solco, alle braccia, ugualmente nude ed abbronzate. Il resto era coperto ma fasciato, in modo che Phipps già dal primo sguardo ne poteva cogliere in tutto e per tutto la strettezza della vita, l'aprirsi armonioso dei fianchi, e percorrere le cosce lunghe e solide e le gambe fino alle caviglie ed i piedi… che erano in pantofole!
"Agh… ehm… SIGNORA! Signora, buona sera a voi…".
"Buona sera, Phipps. Non restate lì impalato come se aveste visto un fantasma… entrate, su!".
Il nostro, che già si era figurato di dover tendere il famigerato pacchetto dall'uscio alla stregua di un mendicante, per essere poi allontanato da un algido domestico, non credeva alle proprie orecchie.
Brandendo l'involto davanti a sé come un dodicenne in visita ad una zia baffuta, l'ex capitano seguiva mrs. Cornwall all'interno della casa, fino ad un accogliente salottino che, dagli arredi e dal vago aroma legnoso di pipa che vi albergava, aveva tutta l'aria di essere il fumoir del padrone di casa.
"Non state in piedi, suvvia, Phipps, accomodatevi. Oh, ecco… e date a me questo, grazie. Un rinfresco?".
Phipps, che, privato del pacco, unica causa della sua presenza in quella casa, e notevolmente imbambolato dall'aspetto di quella donna statuaria, altera e, diciamolo pure, mezza nuda, era momentaneamente privo di parola, annuì e sprofondò in una poltrona davanti al caminetto spento.
"Uno cherry? Temo di dovervi servire io, stasera la servitù è di libertà…".
Su queste sorprendenti parole, in un turbine di taffetas purpureo, mrs. Cornwall sparì in un'altra stanza.
Phipps, sfregando i piedi sul morbido tappeto, riflettè rapidamente. Da un lato stava tutta una serie di bizzarre circostanze: il pacchetto misterioso, la segretezza, l'assenza del padrone di casa e della servitù, il succinto ed arrapante abbigliamento della Stella; e dall'altro l'abbagliante certezza che egli si trovava, in quel momento, solo e a tu per tu con una femmina che, caratteraccio a parte, era stata ed ancora era la protagonista principale dei sogni erotici della Contea negli ultimi vent'anni: bruna, focosa, zingaresca nei tratti, con un corpo pieno e voluttuoso, fatto per aderire morbidamente ad un materasso e per accoglierne uno maschile sopra, e, dentro, quella carne solida e sicuramente bollente… solo ad immaginarlo, Phipps sentiva aumentare il calore della stanza, e qualcosa smuoversi nei piani bassi.
Fu pudicamente seduto a braccia conserte che mrs. Cornwall lo trovò al suo rientro, munita di due bicchieri di un liquido ambrato. Algernon Phipps accettò la bevanda esibendo un sorriso a trentadue denti, che la donna ricambiò.
Il nostro si accinse a bere, quasi strozzandosi nel vedere che la Stella, anziché accomodarsi, come si conveniva ad una dama, nella poltrona posta di fronte a lui, si acciambellava gattescamente sul bracciolo della sua.
"Permettete, vero? L'altra poltrona è cooosì scoooomoda…" tubò lei.
Phipps bevve.
E fu come se una lama di fuoco liquido gli pervadesse l'esofago: per un brevissimo istante gli balenò l'idea che la donna lo avesse avvelenato, e strabuzzò gli occhi in un accesso di terrore.
Poi…
Poi la bevanda, che, Phipps lo intuiva, dello sherry aveva solo l'ottimo sapore, scese dolcemente per le sue vene, irradiando calore ovunque, e non solo.
"…Su, un altro sorso… fatelo per me… per Fanny…".
Incoraggiato dai magnetici occhi della sua ospite, Phipps bevve di nuovo. Anzi, vuotò il bicchiere. E al calore andò lentamente sostituendosi una nuova e più acuta consapevolezza dei propri sensi.
La vista: distingueva nettamente il brillìo della saliva sulle labbra socchiuse di Fanny, la solitaria stilla di sudore che esitava fra i due magnifici seni di lei, per poi sprofondare fra di essi.
L'udito: percepiva ogni fruscìo della seta dell'abito che la donna stava lentamente, e ulteriormente, abbassando sulle spalle, lasciando emergere l'intero decollété fino a far intravedere i capezzoli, larghi e violacei come il vestito; udiva inoltre il respiro della sua ospite divenire man mano sempre più profondo ed affrettato.
L'odorato: ondate di profumo di caprifoglio e ambra grigia, unite ad un sentore più basso e più animale di sudore e di sesso, sprigionavano dai gesti di lei, ora voltata di tre quarti verso di lui, in attesa, le labbra luccicanti e protese.
Il tatto: la poltrona sotto il suo sedere ed il tappeto sotto ai suoi piedi parevano aver assunto una nuova consistenza, non più solo morbida, ma vischiosa, e vorace, come se tentassero di inghiottirlo vivo in un osceno pasto.
Ma l'effetto, oh, l'effetto di gran lunga più sorprendente era l'erezione, violentissima e prepotente, che gli stava sorgendo dai calzoni. La cosa buffa era che Algernon non provava alcun imbarazzo… anzi, si contemplava quel paletto con aria compiaciuta.
"Toh, guarda…" sussurrò meravigliato.
"Non faresti vedere anche a me, caro?".
Phipps, soggiogato, guardò Fanny scivolare giù dal bracciolo fino in mezzo alle sue ginocchia, e capì quali erano le sue intenzioni solo quando la donna gli aveva già sbottonato la patta dei calzoni.
Liberato dalla costrizione della stoffa, il suo cazzo svettò verso il cielo.
Mrs. Cornwall lo ammirò per un istante con muta devozione, neanche fosse stato l'obelisco di Trafalgar, indi lo accolse nella propria morbida, calda bocca. Fu come se il calore che si era piacevolmente sparso fra le membra di Phipps tornasse di colpo a concentrarsi tutto nel suo uccello.
Sensazione meravigliosa, ma devastante: Phipps gemette, quasi urlando, mentre le labbra della donna si serravano intorno alla sua carne congestionata e lei cominciava ritmicamente a succhiare. Il palo infuocato che era divenuto il suo cazzo gli parve allora restringersi e gonfiarsi al ritmo alternato del pompino: si chiese oziosamente se del sangue circolasse ancora nelle sue vene o fosse finito tutto lì, fra le labbra e la lingua della sua ospite, a riempirle la bocca.
Poi non vi fu più tempo per oziose considerazioni, perché Phipps venne. Anzi, gli sembrò di riversarsi tutto intero in un torrente di lava in gola a Fanny, che giudiziosamente non smise di succhiare e di ingoiare finché tutto non fu finito.
Oddìo, tutto…
In realtà, mentre Algernon, intento a riprendere fiato e ancora incredulo della propria fortuna, ammirava la propria ospite privarsi del proprio abito e stendersi ai suoi piedi sul tappeto, il suo uccello non aveva perso nemmeno un'oncia della propria marmorea compattezza, e continuava a sbattere, a guisa di un metronomo, contro la sua pancia, mentre anch'egli si liberava di parecchi indumenti e si inginocchiava fra le cosce spalancate di lei.
Phipps, forse qualcuno lo ricorderà, era sempre stato un gran leccatore di fica. Meritevole inclinazione che, negli anni, gli era valsa peraltro l'imperitura riconoscenza di alcune donzelle, ma che non gli costava alcun sacrificio. Insomma, leccare la fregna non era per il nostro un atto cavalleresco: la passera gli piaceva proprio. Gliene piaceva la consistenza, il gonfiore più o meno accentuato delle labbra che premevano umide contro i suoi baffi… gliene piaceva, soprattutto, il sapore salmastro e segreto, che gli si inerpicava in bocca e nelle narici mentre succhiava, leccava, tastava. Fu quindi con immenso piacere che, dopo un breve tragitto di baci che lo portò a visitare i seni opulenti e il ventre morbido della sua ospite, si accomodò fra le sue cosce aperte, e posò la propria bocca socchiusa nel bel mezzo delle carni bagnate di Fanny, che sospirò.
Algernon si accinse a gustare la propria ospite, e lo fece con tutta calma. Prima qualche tenera lappata esplorativa, poi un più deciso accostarsi di labbra e lingua.
Con blanda sorpresa, mentre il cazzo indomito continuava a svettargli fra le cosce impigliandosi persino nel tappeto, si accorse che gli umori che emanavano da Fanny, una volta ingeriti, parevano acuire la sensazione di calore indotta dallo sherry drogato… era come se il suo intero organismo andasse in fiamme, dalla faccia premuta contro le ustionanti profondità della sua ospite fino ai piedi, incastrati fra il tappeto e la poltrona.
Mentre succhiava, leccava e tastava, Phipps si sentiva dominato da una smania che mai aveva conosciuto: doveva trattenersi per non mordere quella carne gonfia e fradicia che la donna gli schiacciava sul viso, ansimando come un mantice ed agitandosi a tal punto che il nostro perse un paio di volte la presa, trovandosi a lappare l'interno coscia anziché altri, più succosi, punti anatomici. Ma un passato in Marina insegna ad affrontare ben altri rollìi, e Phipps, appoggiata la mano saldamente su una coscia della sua preda, riuscì a stabilizzarla al punto da procurarle svariati e assai coreografici orgasmi, e a lasciarla umida e tremante, col fiato mozzo, inerte sul tappeto.
A questo punto, però, il calore che gli si andava accumulando dentro era diventato quasi insopportabile.
Una sola occhiata al corpo voluttuoso ed assai scomposto di Fanny che giaceva ai suoi piedi, nuda e ancora ansante, gli chiarì con quale idrante quell'incendio sarebbe stato alla fine spento; puntò, quindi, con sicurezza, la prua del suo bompresso fra le cosce della sua ospite ed affondò con lentezza, ma estrema soddisfazione, nelle calde pieghe della consorte del giudice Cornwall.
La donna, a quel punto, si rianimò improvvisamente, spalancando gli splendidi occhi in faccia a Phipps e tirandoselo addosso. L'ex-capitano le franò sul corpo, perdendosi in un bacio profondo, umidiccio e mulinante, e perdendo pure ogni appoggio coi gomiti, sicché, per spingersi dentro di lei, gli rimasero solo l'appiglio dei piedi, agganciati sotto la poltrona, e un intenso, e faticoso, lavorìo di reni. Ma queste erano piccolezze, se confrontate alle sensazioni che andava provando… la bocca annegata in quella di Fanny e l'uccello immerso in un maelström morbido e guizzante, che gli lavorava la carne con dita e bocche e forse anche ventose, attirandolo e respingendolo in un moto peristaltico continuo, ipnotico.
La donna aveva chiuso gli occhi e, senza smettere di baciarlo, si lasciava sfuggire brevi rauchi sospiri; aveva incollato il corpo al suo, premendogli contro il bacino e incrociandogli strettamente le gambe dietro la schiena.
Phipps era in un bagno di sudore, il cuore che martellava contro le costole, il corpo consapevole di ogni morbida rotondità premuta contro la sua pelle madida, i piedi ormai insensibili, ed il centro di tutto il calore della Terra saldamente agganciato al suo cazzo gonfio, marmoreo fino al dolore, circondato da quella carne elastica, e ora fremente degli spasmi di un orgasmo che si affrettò ad assecondare, finalmente venendo.
Con lentezza, il fuoco liquido che gli aveva tormentato le vene defluì fra le cosce di Fanny, che, dopo un ultimo singulto orgasmico, girò il capo di lato.
All'improvviso Phipps realizzò appieno in che situazione si trovava. Disincagliò i piedi dalla poltrona e prese fiato, pur non sapendo che dire. Non si sentiva contento. Non fino in fondo, almeno.
"Io… ecco… io…" esordì, sentendo improvvisamente freddo.
Fanny si girò verso di lui, e il vero gelo fu quello che balenava dai suoi occhi mentre lo guardava e si tirava a sedere di scatto, abbracciandosi le gambe.
"Voi… cosa? Vorreste ringraziarmi? O essere ringraziato, magari? Quello che è successo qui, questa sera, non è stato nulla. Meno di nulla, è stato… un esperimento. Vedete di imprimervelo bene nella mente, Phipps".
Avvolta alla bell'e meglio nella purpurea vestaglia, la donna si alzò, una smorfia di impazienza sulle belle labbra scarlatte. Phipps, che a quel punto finiva di capire e di accettare il suo ruolo di cavia consenziente, restò a guardarla, un sorriso amaro all'angolo della bocca.
"Ma certo, signora. Nulla è accaduto, ne sono consapevole. Rammentate solo, vi prego, di tarare bene le dosi del vostro… come dire… elisir sull'età e la salute di vostro marito… o di colui su cui vorrete usarlo. Il cuore, sapete, è un muscolo bizzarro…".
La donna, che era già giunta sulla porta, si voltò.
E, pure se Phipps non ne fu mai del tutto certo, prima di uscire gli fece un occhiolino.
Un placido Algernon Phipps contemplò con blando interesse il proprio ex-attendente, e ora dipendente, Bolton, che, caracollando nei lucidissimi stivali militari, lo stava raggiungendo sul molo.
Neanche a dirlo, il suo domestico stava facendo, come sempre, scena.
L'abitudine a passare ogni momento libero sul molo, il nostro Phipps l'aveva acquisita ormai da parecchio tempo, o perlomeno da quando si era acquartierato a Savannah al termine del suo servizio per la Marina statunitense. Servizio terminato, a onor del vero, alquanto bruscamente, per via di un certo indebito strofinìo dei suoi baffi fra le immacolate cosce di una certa demi-vierge biondocrinita, tale miss Tinsbury. Il padre di lei non aveva apprezzato il racconto, inframmezzato dai singulti di orrore, che di tale episodio aveva dato l'ufficiale in seconda della sua nave, uno stramaledetto codino irlandese perdutamente cotto della sunnominata donzella e da lei tradito, il quale, per una malaugurata serie di circostanze (non ultima una porta che avrebbe dovuto essere chiusa a chiave, ma che non lo era…), aveva avuto la ventura di assistere personalmente allo «scempio»… almeno così fu che egli lo definì, anche se sussistono fondati sospetti che l'interessata lo avrebbe rubricato diversamente.
E fu così che, dopo un penoso colloquio con il genitore oltraggiato, e un'imbarazzante discussione con un funzionario dell'ammiragliato che si era prodotto in infinite variazioni sul tema dell'onore e della decenza, Phipps era stato indotto alle dimissioni e si era spiaggiato in quell'incantevole cittadina, patria del trasporto del cotone e dei pappataci.
"Che cosa c'è, Bolton? E non saltellare da un piede all'altro, che i dieci anni li hai passati da un pezzo…".
"Signore! Una signora, signore! Che aspetta il signore da più di mezz'ora in ufficio, signore. E mi sono detto che una signora non si fa mai aspettare troppo…".
Conscio che l'esclamazione dell'ennesimo «signore» lo avrebbe sicuramente condotto all'attendenticidio, Phipps, ignorando ulteriori repliche, aveva preso a percorrere a grandi passi il molo, diretto al suo quartier generale… che non era, in verità, molto più che un dignitoso ufficetto con una vetrata aggettante sulla via, ed in comunicazione diretta col magazzino retrostante. Un'insegna, invero alquanto sbilenca, recitava sulla porta: «PHIPPS – SPEDIZIONI» e l'interno era accessoriato di una scrivania discreta, alcune sedie ed alquante scartoffie, penzolanti qua e là dalle più eterogenee superfici. Scartoffie tra le quali si aggirava, inquieta come una tigre in gabbia, la Stella del Mattino in persona. O almeno tale parve al nostro Phipps (il cui punto debole, come ognun sa, era per l'appunto la beltà femminile) la donna bruna che lo stava aspettando.
Di un'altezza statuaria, abbigliata in un abito di un grigio perlaceo, stellare appunto, portava, acconciatura quanto mai inconsueta in una donna non più giovanissima, i folti capelli corvini sciolti sulle spalle, a malapena trattenuti da un nastro argenteo, il ché le conferiva un aspetto autorevole ed esotico insieme, quanto mai eccitante per l'ex capitano, che non era mai stato attratto dall'insulsa bellezza delle sue connazionali.
Cercando di domare il proprio respiro, fattosi inopinatamente affannoso, si avvicinò alla sua ospite.
"Vi chiedo perdono per avervi fatta attendere, miss?…".
"Mrs. Cornwall per voi, signore. E fate bene a scusarvi, giacché non amo aspettare!", rispose lei con più di un guizzo di alterigia negli occhi grigi e densi, quasi neri.
Phipps, sconvolto dalla rivelazione che quella che aveva di fronte era la moglie di uno dei più incartapecoriti personaggi dell'intera Savannah, lì per lì tacque, sopraffatto dagli eventi.
"Bene! Onde non perdere ulteriore tempo… di entrambi, mr. Phipps, posso venire allo scopo di questa mia fin troppo lunga visita? Mio marito, il giudice Cornwall, mi manda a chiedervi notizie di un pacchetto che dovrebbe essere giunto per lui con il postale di stamane. Dunque, lo avete qui?".
"Malauguratamente no, madame… (altro lampo di stizza negli occhi di lei, accompagnato da uno scatto delle maestose spalle) …temo che vi siano stati alcuni problemi ai moli, per cui prevedo di non vedermi consegnare alcun carico prima di domani…", e poi, guardandole sfacciatamente la sensuale bocca, truccata di rosso, proseguì "…ma sono sorpreso che siate venuta di persona per un'incombenza tanto minuta. Di certo a Jericho House non mancano i domestici a cui affidare l'incarico di ritirarlo per voi…!".
La donna abbassò i temibili occhi per un istante, fissando con intensità gli stivaletti grigi perfettamente lucidi del buon Phipps.
"Ebbene, non vedo come questo sia affar vostro, ma il fatto è che… vedete…" un timido sorriso rischiarò per un attimo il volto olivastro della donna, "…mio marito considera il contenuto di questo pacchetto oltremodo confidenziale, e pertanto…" e il resto della frase si perse fra le travi del soffitto.
Phipps, che a quel punto se la stava godendo un mondo, inalberò un sorriso da squalo proferendo le sue successive parole con assoluto candore.
"In questo caso sarà per me un onore consegnarvelo personalmente; così il vostro… (lieve colpo di tosse) …segreto sarà maggiormente preservato. Diciamo a casa vostra, domani sera alle sette?".
Mrs. Cornwall si irrigidì un istante, gonfiando con un ragguardevolissimo davanzale la pettorina dell'abito accollato.
"In effetti…" sospirò, "…questa sembra essere la soluzione migliore; per quanto domani mio marito sarà assente, e non so… ma sì, d'altra parte voi non siete che un fattorino che lavora in proprio, dunque non vedo cosa vi sia di male. Domani alle sette, dunque, e non tardate!".
In un turbine di seta moirée e di capelli svolazzanti, la donna era uscita dall'ufficio, lasciando Phipps sconcertato dalla conversazione, incuriosito a morte sul contenuto del misterioso pacchetto (cosa mai poteva volere, con tanto accanimento, l'orrida cartapecora?) e blandamente eccitato dall'aspetto burrascoso ed insieme assai sensuale della sua ospite.
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Era un Algernon Phipps assai più allegro, ma ugualmente sconcertato, quello che il giorno successivo affrontava di buon passo la non breve distanza fra il proprio ufficio e la signorile dimora dei coniugi Cornwall. Lo sconcerto era dovuto più che altro all'inutilità di tutti i tentativi fatti per scoprire il contenuto del modesto pacchetto che stava recando con sé: a nulla erano valsi, infatti, né le discrete indagini svolte presso i docks, dove aveva scoperto che la merce trasportata era banalmente rubricata sotto la voce «medicinali, droghe e spezie alimentari», né un intenso scartabellamento nelle proprie non ordinate carte (il fornitore, ispanico o giù di lì, risultava denominarsi «Chantar Y Dis», nome che non gli diceva un beato piffero), né, infine un continuato scuotimento del pacco stesso, che non aveva prodotto altro che un attutito sciabordìo sabbioso.
Sicché, mentre si rammaricava di non aver chiamato una carrozza a nolo, evitandosi una camminata nel clima soffocante ed umido della giornata, il buon Algernon non smetteva di ruminare insieme gioia e aspettativa, nonché una bruciante curiosità… e, diciamolo pure, una certa eccitazione per l'imminente incontro con la Stella. A proposito, chissà qual era il suo nome…
Discretamente sfiatato, e ansioso come una debuttante al ballo, aveva infine tirato il campanello, atteso un lungo istante e visto profilarsi nello specchio della porta non l'imbalsamato maggiordomo che era logico attendersi in una magione tanto distinta, ma la Stella del Mattino in persona. Solo che la Stella del Mattino, quale lui la ricordava, perlacea e luccicante, dal giorno precedente, si era tramutata in Stella della Sera… e che stella!
Una fascia ed un abito di un rosso purpureo contenevano a stento sia la chioma bruna della donna, scomposta ed ammassata su un lato del viso, sia un corpo spettacolarmente pieno, ed esposto, dalla gola ed i seni ambrati, scoperti fino al solco, alle braccia, ugualmente nude ed abbronzate. Il resto era coperto ma fasciato, in modo che Phipps già dal primo sguardo ne poteva cogliere in tutto e per tutto la strettezza della vita, l'aprirsi armonioso dei fianchi, e percorrere le cosce lunghe e solide e le gambe fino alle caviglie ed i piedi… che erano in pantofole!
"Agh… ehm… SIGNORA! Signora, buona sera a voi…".
"Buona sera, Phipps. Non restate lì impalato come se aveste visto un fantasma… entrate, su!".
Il nostro, che già si era figurato di dover tendere il famigerato pacchetto dall'uscio alla stregua di un mendicante, per essere poi allontanato da un algido domestico, non credeva alle proprie orecchie.
Brandendo l'involto davanti a sé come un dodicenne in visita ad una zia baffuta, l'ex capitano seguiva mrs. Cornwall all'interno della casa, fino ad un accogliente salottino che, dagli arredi e dal vago aroma legnoso di pipa che vi albergava, aveva tutta l'aria di essere il fumoir del padrone di casa.
"Non state in piedi, suvvia, Phipps, accomodatevi. Oh, ecco… e date a me questo, grazie. Un rinfresco?".
Phipps, che, privato del pacco, unica causa della sua presenza in quella casa, e notevolmente imbambolato dall'aspetto di quella donna statuaria, altera e, diciamolo pure, mezza nuda, era momentaneamente privo di parola, annuì e sprofondò in una poltrona davanti al caminetto spento.
"Uno cherry? Temo di dovervi servire io, stasera la servitù è di libertà…".
Su queste sorprendenti parole, in un turbine di taffetas purpureo, mrs. Cornwall sparì in un'altra stanza.
Phipps, sfregando i piedi sul morbido tappeto, riflettè rapidamente. Da un lato stava tutta una serie di bizzarre circostanze: il pacchetto misterioso, la segretezza, l'assenza del padrone di casa e della servitù, il succinto ed arrapante abbigliamento della Stella; e dall'altro l'abbagliante certezza che egli si trovava, in quel momento, solo e a tu per tu con una femmina che, caratteraccio a parte, era stata ed ancora era la protagonista principale dei sogni erotici della Contea negli ultimi vent'anni: bruna, focosa, zingaresca nei tratti, con un corpo pieno e voluttuoso, fatto per aderire morbidamente ad un materasso e per accoglierne uno maschile sopra, e, dentro, quella carne solida e sicuramente bollente… solo ad immaginarlo, Phipps sentiva aumentare il calore della stanza, e qualcosa smuoversi nei piani bassi.
Fu pudicamente seduto a braccia conserte che mrs. Cornwall lo trovò al suo rientro, munita di due bicchieri di un liquido ambrato. Algernon Phipps accettò la bevanda esibendo un sorriso a trentadue denti, che la donna ricambiò.
Il nostro si accinse a bere, quasi strozzandosi nel vedere che la Stella, anziché accomodarsi, come si conveniva ad una dama, nella poltrona posta di fronte a lui, si acciambellava gattescamente sul bracciolo della sua.
"Permettete, vero? L'altra poltrona è cooosì scoooomoda…" tubò lei.
Phipps bevve.
E fu come se una lama di fuoco liquido gli pervadesse l'esofago: per un brevissimo istante gli balenò l'idea che la donna lo avesse avvelenato, e strabuzzò gli occhi in un accesso di terrore.
Poi…
Poi la bevanda, che, Phipps lo intuiva, dello sherry aveva solo l'ottimo sapore, scese dolcemente per le sue vene, irradiando calore ovunque, e non solo.
"…Su, un altro sorso… fatelo per me… per Fanny…".
Incoraggiato dai magnetici occhi della sua ospite, Phipps bevve di nuovo. Anzi, vuotò il bicchiere. E al calore andò lentamente sostituendosi una nuova e più acuta consapevolezza dei propri sensi.
La vista: distingueva nettamente il brillìo della saliva sulle labbra socchiuse di Fanny, la solitaria stilla di sudore che esitava fra i due magnifici seni di lei, per poi sprofondare fra di essi.
L'udito: percepiva ogni fruscìo della seta dell'abito che la donna stava lentamente, e ulteriormente, abbassando sulle spalle, lasciando emergere l'intero decollété fino a far intravedere i capezzoli, larghi e violacei come il vestito; udiva inoltre il respiro della sua ospite divenire man mano sempre più profondo ed affrettato.
L'odorato: ondate di profumo di caprifoglio e ambra grigia, unite ad un sentore più basso e più animale di sudore e di sesso, sprigionavano dai gesti di lei, ora voltata di tre quarti verso di lui, in attesa, le labbra luccicanti e protese.
Il tatto: la poltrona sotto il suo sedere ed il tappeto sotto ai suoi piedi parevano aver assunto una nuova consistenza, non più solo morbida, ma vischiosa, e vorace, come se tentassero di inghiottirlo vivo in un osceno pasto.
Ma l'effetto, oh, l'effetto di gran lunga più sorprendente era l'erezione, violentissima e prepotente, che gli stava sorgendo dai calzoni. La cosa buffa era che Algernon non provava alcun imbarazzo… anzi, si contemplava quel paletto con aria compiaciuta.
"Toh, guarda…" sussurrò meravigliato.
"Non faresti vedere anche a me, caro?".
Phipps, soggiogato, guardò Fanny scivolare giù dal bracciolo fino in mezzo alle sue ginocchia, e capì quali erano le sue intenzioni solo quando la donna gli aveva già sbottonato la patta dei calzoni.
Liberato dalla costrizione della stoffa, il suo cazzo svettò verso il cielo.
Mrs. Cornwall lo ammirò per un istante con muta devozione, neanche fosse stato l'obelisco di Trafalgar, indi lo accolse nella propria morbida, calda bocca. Fu come se il calore che si era piacevolmente sparso fra le membra di Phipps tornasse di colpo a concentrarsi tutto nel suo uccello.
Sensazione meravigliosa, ma devastante: Phipps gemette, quasi urlando, mentre le labbra della donna si serravano intorno alla sua carne congestionata e lei cominciava ritmicamente a succhiare. Il palo infuocato che era divenuto il suo cazzo gli parve allora restringersi e gonfiarsi al ritmo alternato del pompino: si chiese oziosamente se del sangue circolasse ancora nelle sue vene o fosse finito tutto lì, fra le labbra e la lingua della sua ospite, a riempirle la bocca.
Poi non vi fu più tempo per oziose considerazioni, perché Phipps venne. Anzi, gli sembrò di riversarsi tutto intero in un torrente di lava in gola a Fanny, che giudiziosamente non smise di succhiare e di ingoiare finché tutto non fu finito.
Oddìo, tutto…
In realtà, mentre Algernon, intento a riprendere fiato e ancora incredulo della propria fortuna, ammirava la propria ospite privarsi del proprio abito e stendersi ai suoi piedi sul tappeto, il suo uccello non aveva perso nemmeno un'oncia della propria marmorea compattezza, e continuava a sbattere, a guisa di un metronomo, contro la sua pancia, mentre anch'egli si liberava di parecchi indumenti e si inginocchiava fra le cosce spalancate di lei.
Phipps, forse qualcuno lo ricorderà, era sempre stato un gran leccatore di fica. Meritevole inclinazione che, negli anni, gli era valsa peraltro l'imperitura riconoscenza di alcune donzelle, ma che non gli costava alcun sacrificio. Insomma, leccare la fregna non era per il nostro un atto cavalleresco: la passera gli piaceva proprio. Gliene piaceva la consistenza, il gonfiore più o meno accentuato delle labbra che premevano umide contro i suoi baffi… gliene piaceva, soprattutto, il sapore salmastro e segreto, che gli si inerpicava in bocca e nelle narici mentre succhiava, leccava, tastava. Fu quindi con immenso piacere che, dopo un breve tragitto di baci che lo portò a visitare i seni opulenti e il ventre morbido della sua ospite, si accomodò fra le sue cosce aperte, e posò la propria bocca socchiusa nel bel mezzo delle carni bagnate di Fanny, che sospirò.
Algernon si accinse a gustare la propria ospite, e lo fece con tutta calma. Prima qualche tenera lappata esplorativa, poi un più deciso accostarsi di labbra e lingua.
Con blanda sorpresa, mentre il cazzo indomito continuava a svettargli fra le cosce impigliandosi persino nel tappeto, si accorse che gli umori che emanavano da Fanny, una volta ingeriti, parevano acuire la sensazione di calore indotta dallo sherry drogato… era come se il suo intero organismo andasse in fiamme, dalla faccia premuta contro le ustionanti profondità della sua ospite fino ai piedi, incastrati fra il tappeto e la poltrona.
Mentre succhiava, leccava e tastava, Phipps si sentiva dominato da una smania che mai aveva conosciuto: doveva trattenersi per non mordere quella carne gonfia e fradicia che la donna gli schiacciava sul viso, ansimando come un mantice ed agitandosi a tal punto che il nostro perse un paio di volte la presa, trovandosi a lappare l'interno coscia anziché altri, più succosi, punti anatomici. Ma un passato in Marina insegna ad affrontare ben altri rollìi, e Phipps, appoggiata la mano saldamente su una coscia della sua preda, riuscì a stabilizzarla al punto da procurarle svariati e assai coreografici orgasmi, e a lasciarla umida e tremante, col fiato mozzo, inerte sul tappeto.
A questo punto, però, il calore che gli si andava accumulando dentro era diventato quasi insopportabile.
Una sola occhiata al corpo voluttuoso ed assai scomposto di Fanny che giaceva ai suoi piedi, nuda e ancora ansante, gli chiarì con quale idrante quell'incendio sarebbe stato alla fine spento; puntò, quindi, con sicurezza, la prua del suo bompresso fra le cosce della sua ospite ed affondò con lentezza, ma estrema soddisfazione, nelle calde pieghe della consorte del giudice Cornwall.
La donna, a quel punto, si rianimò improvvisamente, spalancando gli splendidi occhi in faccia a Phipps e tirandoselo addosso. L'ex-capitano le franò sul corpo, perdendosi in un bacio profondo, umidiccio e mulinante, e perdendo pure ogni appoggio coi gomiti, sicché, per spingersi dentro di lei, gli rimasero solo l'appiglio dei piedi, agganciati sotto la poltrona, e un intenso, e faticoso, lavorìo di reni. Ma queste erano piccolezze, se confrontate alle sensazioni che andava provando… la bocca annegata in quella di Fanny e l'uccello immerso in un maelström morbido e guizzante, che gli lavorava la carne con dita e bocche e forse anche ventose, attirandolo e respingendolo in un moto peristaltico continuo, ipnotico.
La donna aveva chiuso gli occhi e, senza smettere di baciarlo, si lasciava sfuggire brevi rauchi sospiri; aveva incollato il corpo al suo, premendogli contro il bacino e incrociandogli strettamente le gambe dietro la schiena.
Phipps era in un bagno di sudore, il cuore che martellava contro le costole, il corpo consapevole di ogni morbida rotondità premuta contro la sua pelle madida, i piedi ormai insensibili, ed il centro di tutto il calore della Terra saldamente agganciato al suo cazzo gonfio, marmoreo fino al dolore, circondato da quella carne elastica, e ora fremente degli spasmi di un orgasmo che si affrettò ad assecondare, finalmente venendo.
Con lentezza, il fuoco liquido che gli aveva tormentato le vene defluì fra le cosce di Fanny, che, dopo un ultimo singulto orgasmico, girò il capo di lato.
All'improvviso Phipps realizzò appieno in che situazione si trovava. Disincagliò i piedi dalla poltrona e prese fiato, pur non sapendo che dire. Non si sentiva contento. Non fino in fondo, almeno.
"Io… ecco… io…" esordì, sentendo improvvisamente freddo.
Fanny si girò verso di lui, e il vero gelo fu quello che balenava dai suoi occhi mentre lo guardava e si tirava a sedere di scatto, abbracciandosi le gambe.
"Voi… cosa? Vorreste ringraziarmi? O essere ringraziato, magari? Quello che è successo qui, questa sera, non è stato nulla. Meno di nulla, è stato… un esperimento. Vedete di imprimervelo bene nella mente, Phipps".
Avvolta alla bell'e meglio nella purpurea vestaglia, la donna si alzò, una smorfia di impazienza sulle belle labbra scarlatte. Phipps, che a quel punto finiva di capire e di accettare il suo ruolo di cavia consenziente, restò a guardarla, un sorriso amaro all'angolo della bocca.
"Ma certo, signora. Nulla è accaduto, ne sono consapevole. Rammentate solo, vi prego, di tarare bene le dosi del vostro… come dire… elisir sull'età e la salute di vostro marito… o di colui su cui vorrete usarlo. Il cuore, sapete, è un muscolo bizzarro…".
La donna, che era già giunta sulla porta, si voltò.
E, pure se Phipps non ne fu mai del tutto certo, prima di uscire gli fece un occhiolino.
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