Da Una Sponda all'Altra
di
suo schiavo
genere
gay
Colleghi di lavoro, lui un tipo normalissimo, l'altro uno di quei fichi a cui bastava alzare un dito solo per ottenere udienza (privata) da qualsiasi femmina che incrociava con lo sguardo e già stillava nelle mutandine goccia a goccia il desiderio. Alcune se le faceva, altre le lasciava perdere e le teneva di riserva per colmare qualche falla che si producesse nel suo calendario di incontri. Si chiamava “Enzo” e per scherzo lo chiamavano “Lanzo”, in ricordo dei “Lanzichenecchi”, di cui almeno a letto era un emulo. Il suo motto era “Prendere mai Lasciare” ma poteva anche essere “Mi Cascano Tutte fra gli Inguini” o “Fuori Una Dentro l'Altra”, tanto per darvi un'idea di come giravano le sue tresche e anche le sue palle una volta che si fiondava in coscia. Gli piacevano bionde, more, castane purchessia, con un balcone vista amore almeno di “Terza”, avendo una particolare predilezione per certi tappetini a trapezio, curati e non del tutto spogli intorno alla fragola, della stessa tinta o anche a contrasto di tono, che chiamava i “Drizza Cazzo” e le “Piste di Atterraggio” e gli sembravano bandiere issate al vento, funzionanti da sprone, a evocargli uno scherzoso grido di battaglia, che suonava all'incirca così:
-“Mio Pube Mormorava, Calmo e Placido al Passaggio, del Fante in Arme il Ventiquattro Maggio”.
Ma anche di Giugno o di Luglio e così per tutti i mesi dell'anno, pure sotto “Quaresima”. Proprio lui che irsuto di natura si teneva invece depilatissimo nei dintorni del suo “Obelix”, in manutenzione settimanale da un'amata estetista di fiducia, la quale lo tirava a lucido e poi adorava le sue “Fastidiose”, ma sarebbe meglio definirle “Fastose”, erezioni e iniezioni di “Fiducia”. Non c'è che dire, gli piacevano da morire le “Vongole” lesse e ancora di più le “Ostriche” crude. Ci sapeva fare e riusciva ad arroventarle, a cucinarle e a trangugiarsele, innalzandole nei cieli variopinti prima del “Turbamento”, poi della “Eccitazione”, poi di un “Orgasmo” assoluto, che mai mancava di riscuote plausi e ovazioni e una resa incondizionate, a fronte della brillante prestanza che sapeva bellamente donare quanto suscitare a scossa. Il suo collega era opaco, sordo al richiamo, chiuso in se stesso. In un parola era “Gay”. Si era iscritto alla stessa palestra solo per frequentarla nei medesimi orari, a sudare fatica e a fare pesi insieme di sforzo, per ritrovarlo in doccia meravigliosamente nudo, splendido come una divinità dell'Olimpo, vagheggiando che forse prima o poi gli sarebbe potuto venire a genio. E fu così. Successe quasi per caso che si sentisse dire:
-”Che bel culetto vispo che hai. Vienimi vicino dai”.
La verga del femminiere si alzò in durezza e tanto per cambiare se lo sbafò. In un attimo e lo travolse di stratosferiche spinte, cui corrisposero lamenti così melodiosi da mandare in seconda quelli che era solito udire dalle sue donne e che lo convertirono di botto a dedicargli in esclusiva la sua canna per votarsi a lui, al termine della sua carriera da etero e all'inizio di una innovativa sorprendente passione per il deretano, dei maschietti in genere e del suo caro amico in particolare, che gli si concedeva e che si piegò a servirlo per sempre.
-“Mio Pube Mormorava, Calmo e Placido al Passaggio, del Fante in Arme il Ventiquattro Maggio”.
Ma anche di Giugno o di Luglio e così per tutti i mesi dell'anno, pure sotto “Quaresima”. Proprio lui che irsuto di natura si teneva invece depilatissimo nei dintorni del suo “Obelix”, in manutenzione settimanale da un'amata estetista di fiducia, la quale lo tirava a lucido e poi adorava le sue “Fastidiose”, ma sarebbe meglio definirle “Fastose”, erezioni e iniezioni di “Fiducia”. Non c'è che dire, gli piacevano da morire le “Vongole” lesse e ancora di più le “Ostriche” crude. Ci sapeva fare e riusciva ad arroventarle, a cucinarle e a trangugiarsele, innalzandole nei cieli variopinti prima del “Turbamento”, poi della “Eccitazione”, poi di un “Orgasmo” assoluto, che mai mancava di riscuote plausi e ovazioni e una resa incondizionate, a fronte della brillante prestanza che sapeva bellamente donare quanto suscitare a scossa. Il suo collega era opaco, sordo al richiamo, chiuso in se stesso. In un parola era “Gay”. Si era iscritto alla stessa palestra solo per frequentarla nei medesimi orari, a sudare fatica e a fare pesi insieme di sforzo, per ritrovarlo in doccia meravigliosamente nudo, splendido come una divinità dell'Olimpo, vagheggiando che forse prima o poi gli sarebbe potuto venire a genio. E fu così. Successe quasi per caso che si sentisse dire:
-”Che bel culetto vispo che hai. Vienimi vicino dai”.
La verga del femminiere si alzò in durezza e tanto per cambiare se lo sbafò. In un attimo e lo travolse di stratosferiche spinte, cui corrisposero lamenti così melodiosi da mandare in seconda quelli che era solito udire dalle sue donne e che lo convertirono di botto a dedicargli in esclusiva la sua canna per votarsi a lui, al termine della sua carriera da etero e all'inizio di una innovativa sorprendente passione per il deretano, dei maschietti in genere e del suo caro amico in particolare, che gli si concedeva e che si piegò a servirlo per sempre.
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