Teresa l'indomita - Cap. 4

di
genere
dominazione

CAPITOLO 4

Ripresi conoscenza dopo breve tempo, ero ancora fra le braccia di quell'uomo, avvolta nel suo morbido e caldo mantello, ci stavamo muovendo a cavallo:

“chi sei? chi siete?”

Mi guardò sorridendo, uno sguardo triste, deciso ma morbido e appagante, il suo odore intenso mi pervase le narici quasi familiare:

“io sono Askal e con i miei compagni faccio parte dell'ordine della spada d'argento, attendevamo qui ordini da giorni e ieri sera siamo stati incaricati di sterminare quella banda di briganti e questa è stata la tua fortuna”

Abbassai gli occhi imbarazzata incapace di sostenere quello sguardo gentile:

“beh, potevate arrivare un po' prima, non mi sono proprio divertita in loro compagnia”

“lo prendo per un grazie, non siamo cavalieri che vanno in giro a salvare donzelle e i nostri servigi costano cari, è strano che qualcuno abbia sborsato tanto solo per sterminare dei comuni briganti, siamo killer professionisti e di norma i nostri bersagli sono eminenti personaggi ma, in fondo, la cosa non mi riguarda”

L'ordine della spada d'argento, era famoso in tutte le terre, leggende si narravano su di loro, si diceva che una spada d'argento potesse essere sconfitta solo da un'altra spada d'argento, anche un cavaliere esperto era considerato alla stregua di un infante al loro confronto e la cosa ancor più strana è che si diceva che anche delle donne facessero parte dell'ordine:

“a breve potrai riposare, stiamo per accamparci, abbiamo un appuntamento qui vicino”

Teresa si abbandonò fra le sue possenti braccia sentendosi finalmente protetta e libera, quell'uomo le dava un senso di fiducia ed era troppo stanca, stremata dal trattamento subito per resistere ancora, aveva veramente bisogno di riposo.
Una villa si vedeva in lontananza, erano su una collinetta, su un fianco un alto strapiombo che si gettava nel fiume sottostante, era stato acceso un fuoco e lei giaceva a terra avvolta nel mantello a godere del caldo rinfrancante del falò. In dormiveglia si rese conto che i cinque guerrieri stavano parlando a breve distanza da lei, forse discutendo, non capiva bene e si destò per riuscire a comprendere i loro dialoghi:

“visto che ti sei portato dietro quella troia inutile voglio divertirmici un po, almeno servirà a qualcosa”

“l'ho portata perché sono sicuro che la accoglieranno alla villa e il problema sarà risolto”

“io sono convinto che non la faranno passare neanche dalla porta, altro che problema risolto e in ogni caso anche se ce la portiamo un po' più ammaccata cosa cambia? levati dai coglioni, fra un lavoro e l'altro è più di un mese che non mi faccio una bella scopata”

Askal e un compagno si stavano fronteggiando mentre gli altri tre se ne stavano li ad ascoltare come se la cosa poco li interessasse:

“non te lo concedo, non ti farò avvicinare a lei, la voglio illesa”

“ma chi cazzo credi di essere per darmi ordini?”

“uno che può falciare la tua vita come fossi grano al sole”

Gli eventi si mossero ad una velocità fulminea, l'uomo che discuteva con Askal mise mano all'elsa della spada sulla sua schiena e la sfoderò, il rumore del freddo metallo che grattava la custodia riempì l'aria mentre gli altri tre uomini si facevano attenti ma il mio difensore fu più rapido, estrasse la spada e colpì così rapidamente che mi parve di non vederlo muoversi, nello stesso istante l'arma del suo avversario volò in aria con le mani ancora attaccate all'elsa ed in breve la sua testa seguì il destino del lungo spadone.

“Askal ma che cazzo fai, conosci le regole, sei morto”

Tutti gli uomini estrassero le armi, due lo attaccarono frontalmente mentre uno attendeva titubante.
Il gigantesco guerriero riusciva a tenere testa ai due compagni senza sforzo anche se loro stavano mostrando tutta la loro incredibile maestria. Clangore di lama contro lama, scintille nel buio rischiarato dal fuoco e poi la sua spada si tinse ancora di rosso mentre trapassava da parte a parte il collo di un altro compagno. Davanti a quella scena la spada d'argento che ancora non aveva agito si lanciò alla carica:

“sistemerò quest'assurdità una volta per tutte”

Si era lanciato contro di me, voleva eliminare il motivo della contesa, con la coda dell'occhio Askal intravide i suoi movimenti ma era ormai in ritardo per frapporsi fra me e lui, estrasse di scatto la spada dal collo dell'uomo morente e con un unico movimento la scocco in aria come fosse une freccia. Colpì l'uomo che mi stava caricando in pieno petto e lo scaraventò verso di me dove resto infilzato all'albero alle mie spalle, le sue gambe non toccavano terra sorrette dal pesante spadone conficcato nel legno, i suoi occhi erano stati abbandonati dalla vita. Quel disperato attacco lo aveva lasciato però disarmato e in più gli aveva fatto esporre la schiena all'ultimo nemico rimasto in vita.
Non era certo un avversario alla sua altezza ma era comunque una spada d'argento e non mancò l'occasione, un rapido fendente diagonale attraversò la schiena di Askal da parte a parte facendolo cadere a terra esanime.

“ma che cazzo, guarda che macello, tutti morti, un'intera squadra che si massacra a vicenda ed ora dovrò fare due settimane di marcia per tornare alla sede e spiegare quest'irreale situazione, merda, merda ma non te la farò passare liscia, brutta troia, è colpa delle tue tette se quel fesso ha combinato un casino del genere, me le porterò come prova di quanto è accaduto, te le staccherò e starò a guardare mentre muori maledetta ma prima voglio divertirmi un po', vedrai, mi supplicherai di ucciderti”

Si sfilò la pesante cintura borchiata e si avvicinò a me, cercai di scappare ma le gambe non mi risposero e caddi, nuda e indifesa ad un passo dal quell'avvolgente mantello che ormai apparteneva ad un uomo morto.
I colpi iniziarono violenti ripetendosi veloci, il pesante cuoio borchiato guidato con brutalità dalla mano esperta colpì le mie carni straziandole. Iniziai ad urlare come una matta ma lui mi prese per i capelli, mi sollevò di peso e mi imbavagliò:

“shhhh, non devi urlare, non vorrai che qualcuno ci senta, avremo da fare per un po' e non voglio essere disturbato”

Prese delle corde e sfruttando l'albero su cui era appeso il compagno mi lego le caviglie a due rami distanti e mi issò a testa in giù, completamente divaricata e con il sesso esposto completamente. Mi legò le mani assieme e le assicurò alla base all'albero. Mi guardava così, appesa e indifesa, i seni enormi a ricadermi verso il viso, sul suo volto apparve un ghigno sadico. La cinta ricominciò a fendere l'aria mentre a me era stata tolta anche la possibilità di esternare il mio dolore, colpì metodicamente tutto il mio corpo partendo dalle piante dei piedi che mandarono scariche elettriche al cervello per il contatto con le borchie metalliche, percorse tutte una gambe, scendendo, con sadica attenzione a che ogni centimetro di pelle venisse arrossato dal cuoi e rigato dal metallo, si accanì con cinquanta frustate sul sesso contandole una ad una e gustandosi la mia testa che si dibatteva disperata, gli occhio che sembravano dover schizzare fuori dalle orbite per il dolore e le lacrime che andavano a perdersi nei miei lunghi e scuri capelli. I colpi superarono le grandi labbra ed andarono ad intaccare il sesso nelle sue parti più delicate, sentii contemporaneamente due borchie colpire in pieno il clitoride e il mio forellino anale, il dolore fu accecante e sono sicura che svenni per la troppa intensità ma fui subito risvegliata dal suo continuare ad infliggere colpi. Non si fermò neanche un attimo e dopo aver scaricato i cinquanta colpi sul sesso gustandosi il sottofondo delle mie urla strozzate ricominciò a risalire con la stessa dovizia fino a raggiungere l'atro piede al che la sua mano si fermò al contrario del dolore che credevo non mi avrebbe più abbandonato. Aveva ragione, se il bavaglio me lo avesse permesso gli avrei chiesto di uccidermi pur di sfuggire a quell'orrendo flagello. Rivoli di sangue colavano lenti dalle mie ferite andando a venare il mio corpo come pioggia su un vetro. Lui respirava pesantemente appoggiandosi con le mani sulle ginocchia per riposare:

“non credere che sia finita, ho fatto solo le gambe, manca tutto il resto”

Lo sentii come fosse distante, capii quello che diceva ma non avevo più forze se non per sentire il dolore che mi invadeva. Riprese la fustigazione girandomi intorno, prima se la prese con la schiena colpendo ad oltranza fino a che non vi era più pelle sana poi passò ai fianchi e al ventre e sentii distintamente il metallo cozzare contro le costole esposte. Quando fu soddisfatto dell'aspetto della mia carne lo sentii pronunciare:

“ora la parte più divertente, quelle tue belle tettone morbide”

Contò cinquanta frustate per ogni seno, mirava sempre ai capezzoli ma il risultato fu lo stesso, tutta la morbida carne fu ricoperta di colpi, sentivo le borchie come entrarmi dentro, come fossero dita che vi affondano. Ero tenuta in me solo dal dolore che da una parte mi privava dei sensi e dall'altra mi destava. La pesante massa dei seni veniva sballottata dalla cinghia e dopo un po' fui certa che al colpo successivo si sarebbero staccate. Fu un calvario infinito che mi inflisse senza tregua e che piegò la parte più profonda della mia anima. Mentre il rumore dei colpi si susseguiva, mentre le carni straziate ricevevano nuovi affondi mi persi completamente affogando in una sofferenza tanto totale da annullare qualsiasi altro pensiero, da annullare me come individuo e poi il centesimo colpo arrivò, era finito anche il lavoro sulle mie tette, era finalmente il momento di morire:

“brutta stronza, guarda cosa hai fatto, ora mi hai fatto venire il cazzo duro, credo che ti darò l'ultima scopata della tua vita, goditela perché quando ti riempirò di sborra sarà il momento in cui la tua esistenza avrà fine”

Tagliò le funi e mi fece accasciare a terra, ogni cosa che mi toccava mi mandava nuovi, strazianti, dolori mentre ero in grado solo di mugolare disperata. Si spogliò ma non lo vidi, non vedevo più molto, ero tutto sfuocato intorno a me. Mi afferrò per la vita e mi sollevò, le sue dita sembravano tizzoni ardenti che mi volessero scavare il corpo per entrarvi. Si stese e mi calò sopra il cazzo turgido, entrò dentro di me lubrificato dal sangue, mi afferrò le tette e le strinse forte dando il ritmo a quell'ultima scopata, mi sembrava di avere due secchi di metallo colmi di lava bollente attaccati al petto. La prese con calma, affondi lenti e profondi, la carne del suo uccello sembrava acido nella mia fica, i suoi fianchi che sbattevano ad un lento ritmo sul mio culo facendo sobbalzare le morbide carni ferite, ad ogni impatto mi sembrava che la pelle si dovesse staccare per strapparsi via dai muscoli. Ad un certo punto mi tolse il bavaglio, mi blocco le mani dietro la schiena e mi tirò a se cominciando a baciarmi.
Mentre gli affondi continuavano a torturarmi la sua lingua che mi aveva sondato la gola in ogni parte si ritrasse dalla bocca e mentre i miei gemiti di dolore continuavano appena udibili, mentre anche l'aria che respiravo sembrava darmi dolore lo percepii dire:

“avanti, chiedimi di ucciderti, chiedimi di morire”

Si, si, ti prego, uccidimi, ti prego, poni fine a questa inumana sofferenza, ti prego dammi pace, nel mio cervello queste parole avevano preso come consistenza, forma, sostanza e trovando la forza non so dove parlai:

“no, voglio vivere, NO, VOGLIO VIVERE”

I colpi si fermarono, sentii lo stupore del mio boia anche senza vederlo poi:

“come vuoi puttana, vediamo cosa penserai dopo questo allora”

Si alzò a sedere con me sopra, afferrò la spada che teneva appeso il suo ex-compagno e la divelse dall'albero liberando il corpo morto, si sdraiò e mentre una mano mi bloccava le braccia con l'altra cercò di infilarmi la grossa elsa incastonata di pietre preziose nel culo ma in quella posizione la manovra non gli riuscì allora abbandonò le mie braccia esanimi e si aiutò con l'altra mano per trovare il mio orifizio, sentii distintamente l'oggetto trovare la strada e poi una forte spinta a due mani me lo fece entrare di botto nel culo squarciando tutto quello che incontrava sulla sua strada. Urlai, urlai con un fiato che non pensavo più di avere, urlai come se le mie urla provenissero dall'ultimo girone dell'inferno e mi sentii morire, morire nello spirito, morire nella voglia di vivere e poi il mio urlo di dolore divenne un urlo di rabbia, la mia disperazione divenne furia ed attingendo a risorse più vicine alla mia anima che al mio corpo, sollevai le mani lasciate incautamente libere, afferrai il suo viso indifeso e mentre lui affondava quell'asta di metallo intarsiato nel mio ano io infilai i pollici nei sui occhi, le unghie lunghe e affusolate che perforavano le sue cornee, fu un istante, due pof sordi che quasi non udii e alle mie disperate grida si aggiunsero quelle di un uomo ormai irrimediabilmente cieco. Mi scaraventò a terra trattenendo la spada e si alzò in piedi, cominciò a tirare fendenti nell'aria mentre il sangue sprizzava dalle orbite lese e le sue imprecazioni riempivano l'aria. Mi trascinai disperata fino ad un'altra spada incustodita, mi alzai con uno sforzo titanico ma l'arma rimase a terra, troppo pesante anche solo per trascinarla, mi passo per la testa di cercare un pugnale ma quell'uomo era un guerriero esperto e seguiva i miei movimenti con l'udito, mi avrebbe falciato con il lungo spadone prima ancora che fossi riuscita a fargli un graffio, barcollante acquistai un po' di distanza ma le forze erano esaurite e a breve sarei venuta meno. Involontariamente mi trovai sul bordo del precipizio e la decisione fu semplice, se dovevo morire avrei portato quel mostro maledetto con me:

“allora stronzo, ti sei divertito? Sei soddisfatto di me? Dimmi, cosa si prova a sentir colare il proprio sangue invece del mio? Figlio di puttana, dimmelo, cosa si prova?”

La furia lo invase, individuatami dalla voce caricò, la spada avanti a se come una letale lancia, pochi metri a separare la vita dalla morte e quando ormai il freddo metallo mietitore già gioiva per la sua prossima vittima mi lascia cadere a terra. Le gambe del robusto uomo cozzarono contro il mio fianco mentre il suo corpo volava nella scarpata, cozzarono tanto forte da tirare anche me nello strapiombo ma mi aggrappai alla terra, all'erba, alla vita con tutta la disperazione che avevo in corpo e restai li appesa ad osservare quell'orrenda creatura rotolare verso il basso, le sue ossa che si frantumavano cozzando violentemente sugli spuntoni di roccia, ogni colpo seguito da un urlo lacerante e poi una grossa pietra impatto in pieno sul suo cranio che si aprì tingendola di rosso e grigio e le urla cessarono mentre il cadavere veniva inghiottito dal fiume. Mi issai certa di non poter morire dopo essere sopravvissuta a tanto, nella mia mente avevo solo le sue parole:

“l'ho portata perché sono sicuro che la accoglieranno alla villa”

La villa, dovevo raggiungere la villa e mi avrebbero accolta, un ultimo sguardo ad Askal, quell'uomo aveva cercato di proteggermi, quello sconosciuto, c'era ancora del buono in questo mondo. Rotolai per la collina, il corpo che mandava atroci dolori per ogni metro che percorrevo, il sangue che lasciava il mio corpo assieme alle mie energie, barcollavo in avanti, mi trascinavo in direzione di quella casa, di quella luce e poi vidi il cancello, le guardie che rispondevano alle mie urla e svenni.
Il dolore mi seguì anche nell'oblio in cui mi ero persa, il mio corpo bruciava dentro e fuori mentre galleggiavo nel buio e poi dopo quelle che sembrarono dieci vite, lentamente mi abbandonò e potei riposare abbracciando quella che riconobbi inconfondibilmente come la morte.

Un liquido fresco nella gola, tossii e riaprii gli occhi, una giovane ragazza, la vedevo sfuocata, mi stava dando da bere, si, avevo sete e accettai avidamente mentre la vedevo sorridere incontrando per la prima volta il mio sguardo.
Cercai di alzarmi e il mio corpo protestò dolorosamente:

“ferma, non muoverti, sei stata più morta che viva per una settimana e non sei ancora guarita, ti ho dissetata per quanto riuscivo ma non mangi da quando sei arrivata. Stai ferma, ho del brodo per te”

Mi lascia imboccare senza proferire parola, aveva ragione, avevo una fame feroce che non voleva saziarsi. A fine pasto lei si alzò dicendomi di riposare.
Ci volle un mese perché mi ristabilissi completamente, ero accudita sempre dalla stessa persona che si occupava di sfamarmi, lavarmi e aiutarmi a ricominciare a muovermi. Il mio corpo era completamente rimarginato, solo sottili linee biancastre si notavano appena sulla pelle a ricordo del calvario subito. Aria, così si chiamava la mia infermiera, una giovane donna di una bellezza tanto pura da sembrare più una parte della natura stessa che una semplice umana, quella mattina mi raggiunse stupendomi nel dire:

“Il padrone vuole conoscerti”

Avevo fatto migliaia di domande riguardo al luogo in cui mi trovavo ma avevo ottenuto sempre la stessa risposta:

“non spetta a me risponderti, questo è un luogo bello dove vivere ma lo è solo se rispetti le regole del padrone e mi è stato vietato di dipanare i tuoi dubbi”

“mi vuole vedere ora?”

“si, subito”

Arrivammo davanti ad un pesante ed imponente portone blindato, Aria bussò, si aprì uno spioncino e poi la porta quel tanto che bastava per farci entrare, la sentii richiudersi ermeticamente subito dopo il nostro passaggio. Su un pesante scranno intarsiato sedeva un uomo distinto, forse poco più di cinquant'anni, leggermente brizzolato, fisico imponente, ben curato e vestito con stoffe preziose. Mi guardava distrattamente, per educazione e sentendomi in debito cercai di parlare ma:

“ZITTA, per favore. Mi hanno detto che hai un marchio sulla schiena, avvicinati e mostramelo”

Il segno della mia marchiatura? Una mano mi spinse da dietro la schiena facendomi partire nella sua direzione, Aria, era chiaro che in quella casa si potesse vivere bene ma che l'obbedienza doveva essere assoluta. Arrivai di fronte a lui, mi voltai, feci scendere la vestaglia che indossavo a scoprire le spalle e mi inchinai. Sentii le sue mani sfiorare il posto dove la mia carne era stata sfregiata:

“Ora capisco! Le tue ferite sono state sanate, è ora che tu vada ma voglio usarti un'ultima gentilezza, ci sono due uomini che ti cercano disperatamente, vengono da un maniero qui vicino, non oseranno mai avvicinarsi alla mia abitazione ma fuori di qui pochi sono i luoghi sicuri per te.
Ora puoi andare”

“la prego io”

“shhh', mia cara, per quanto creda che essere un po' rudi con il corpo di una bella donna sia diritto di ogni uomo degno di rispetto, intaccarla è una cosa ma quello che hanno fatto a te è un'esagerazione che disapprovo quindi ho voluto porvi rimedio ma tanto basta. Il mondo, soprattutto in questi tempi, è un posto difficile e pullula di fanciulle bisognose di aiuto ma credimi, io non sono un buon samaritano e non ho intenzione di continuare a sfamarti senza motivo. Devi accomiatarti, la tua presenza non ha più motivo nella mia dimora”

Al di fuori di quella casa per me c'erano solo orrori, mi stavano cercando e non sarei andata lontano, nessuno mi avrebbe aiutato anzi probabilmente sarei stata venduta dal primo che sapeva che ero ricercata. Quel posto era la mia unica speranza per ora e anche se sapevo che insistendo lo avrei irritato tentai il tutto per tutto:

“Sarò la sua serva, sarò' quello che vuole, sarò, sarò la sua umile schiava se mi concederà questo onore”

“ahhh, che noia, tutte le serve di questa casa desiderano febbrilmente essere mie schiave, non mi stai offrendo nulla che non abbia già”

“non ha una schiava come me, mi metta alla prova la prego”

Mi guardò con uno sguardo intenso, un accenno di sorriso sul suo volto, per un attimo ebbi la sensazione di aver seguito esattamente un suo piano, per un attimo mi sentii un topolino al cospetto del pifferaio magico:

“Per motivi che non ti riguardano sono costretto da tempo a vivere rintanato nelle mura di questa sfarzosa stanza ove sono privato anche della luce del sole. Tutte le mie serve che per inteso ti sono superiori come regine ad ancelle, provano ogni giorno a saziare la mia malinconia con il loro corpo, sono molto premurose e disposte a tutto per me ma nessuna di loro è più in grado di portarmi all'orgasmo, mi annoiano e sono costretto a finire ogni mio coito masturbandomi da solo sui loro corpi o nelle loro bocche.
Mi concederai che non sia una situazione molto appagante. Sei tu forse una donne in grado di porre rimedio alle mie sofferenze?”

“Si padrone, porrò fine alle sue sofferenze a qualunque costo come voi avete posto fine alle mie”

“bene, per quanto creda che fallirai, non vedo motivo per non farti tentare, sarai comunque un diversivo ma se capitolerai ti prego di togliere il disturbo senza farmi perdere altro tempo, ci vediamo questa sera”

“si padrone, grazie padrone”

Mentre Aria mi riaccompagnava nelle mie stanze le colsi uno sguardo strano sul viso, triste, malinconico:

“ho fatto qualcosa che non dovevo?”

“no no, anzi, sono contenta che tu voglia ricambiare il nostro amabile padrone, è malinconico da lungo tempo e sarei felice se tu potessi alleviare le sue pene, vorrei poterlo fare io di persona”

“tu, così bella, non fai parte delle serve con cui il padrone giace?”

“a me non è concesso, dice che per lui sono come uno stupendo affresco e che devo rimanere pura e luminoso per essere un sollazzo per i suoi occhi, al suo corpo ci sono molte altre che ci pensano. Quando richiede la mia presenza è solo per farmi giacere nuda sul suo letto mentre svolge i suoi affari in modo che possa godere della mia bellezza, questo, almeno, è quello che mi dice.
Teresa, vorrei con tutto il cuore che tu riuscissi nel tuo intento, che tu riuscissi dove noi abbiamo fallito e ti dirò quello che so.
Al padrone non piace estorcere con la forza, lui ama che gli venga donato tutto come atto di amore e sottomissione, non ama infliggere dolore gratuitamente ma è certo che vedere una donna che soffre per dargli piacere lo eccita molto. Non ci sono particolari regole da seguire ma la cosa fondamentale è chiedere il suo consenso, domandare docilmente prima di fare e poi eseguire alla lettera. La sua stanza è piena di un'infinità di oggetti che potrebbero esserti utili questa notte, sono a tua disposizione perché tu li usi per donarti nel modo più assoluto possibile. Questo è tutto quello che mi è concesso sapere e spero ne farai buon uso”

Il pomeriggio trascorse lento mentre attendevo il momento fatidico e mi rendevo conto che tutti gli abusi che avevo subito negli ultimi tempi, tutte quelle pratiche sessuali a cui mi avevano sottoposto per la maggior parte contro la mia volontà ora le desideravo, quell'uomo aveva ottenuto potere assoluto su di me e lo aveva fatto in modo spontaneo, naturale. Mi rendevo conto di volergli donare tutto ciò che fino a ieri mi era stato estorto con la forza.
Passai il tempo a ripensare alle angherie subite allo scopo di focalizzare le cose che più erano piaciute agli uomini che mi avevano posseduta. Alla passione comune a tutti di affondare i loro membri nella mia gola trovando soddisfazione solo quando anche l'ultimo centimetro di carne spariva nelle mie labbra. All'attrazione nel percuotere i miei seni e le mie natiche mentre mi usavano ogni sorta di violenza. All'eccitazione nel vedermi soffrire e mugolare che faceva guizzare i loro cazzi dentro il mio corpo. Alla lussuria che li prendeva quando vedevano che il mio corpo provava piacere nell'essere costretto a fare ciò che non avrei voluto. Alla dovizia con cui si occupavano dei miei buchi cercandone sempre il limite estremo mentre io mi contorcevo disperata. Passai il pomeriggio a ricordare il periodo più brutto della mia vita cercando di capire come donare con soddisfazione quello che di norma mi veniva rubato con forza. Vedendo l'imbrunire avvicinarsi inizia a preparare il mio corpo, lo liberai con dovizia di ogni pelo, lavai, profumai e spazzolai scrupolosamente i capelli scuri e lisci, massaggiai ogni parte del corpo con oli profumati a lungo soffermandomi sui seni, percorrendone le generose curve mentre mi sembrava di sentire le sue mani su di me.
Preparai allo stesso modo le parti intime senza risparmiare il culo che volevo fosse suo almeno quanto la mia vagina, volevo che se le sue labbra si fossero appoggiate sul mio corpo lo trovassero buono, profumato, volevo che desiderasse assaggiarmi, mordermi. Curai i piedi, le unghie, i denti e la lingua, controllai e ricontrollai finché non mi sentii immacolata, priva di ogni contaminazione per potermi donare pura da ogni precedente minuto vissuto.
Sentii un leggero colpo alla porta che però rimase chiusa e vidi scivolarvi sotto un foglietto:

“fai in modo che la porta non sia bloccata, me lo devi. A.”

Cosa significava quel biglietto? Chi lo aveva portato e chi era A.? Non poteva essere lui ma non ebbi il tempo di riflettere, Aria mi stava chiamando, era ora, indossai una leggera veste chiusa in vita da una cinta di seta e mi diressi da quell'uomo che mi ero ritrovata a desiderare in maniera febbrile.
La pesante porta blindata si chiuse appena fui entrata, vidi il padrone, in vestaglia, spingere verso l'alto una pesante sbarra di metallo che conficcandosi nel soffitto rendeva inviolabile quella stanza. Eravamo soli, in penombra, rischiarati da miriadi di candele, il cuore mi batteva a mille mentre lui restava in piedi vicino a me, sereno, impassibile, gli occhi nei miei che non ressero lo sguardo neanche per un istante. Nell'imbarazzo presi un profondo respiro e poi allungai lentamente le mani verso la sua vestaglia, ne allargai un po' i lembi per scoprire il petto possente, il mio corpo che si avvicinava al suo come attirato da un enorme magnete. In breve mi trovai a strusciarmi su di lui come una cagna in calore, nel ventre, fra le mie gambe sentivo un fuoco bruciare intenso. Appoggia la bocca sulla pelle del suo petto mentre lui perdeva, delicatamente, le mani nei miei soffici capelli. Lo bacia lentamente facendo aderire le labbra socchiuse per assaporare il più possibile di lui. La pelle profumata mi accarezzava il naso inebriante mentre gli schiocchi dei miei baci si susseguivano. Le sue mani seguivano la mia testa mentre spaziavo per il suo corpo, un desiderio intenso mi stava prendendo e ci volle tutta la mia volontà per impedirmi di prendergli l'uccello ed affondarlo nel sesso desideroso di penetrazione.
Scendendo millimetro dopo millimetro trovai un suo capezzolo e non potei fare a meno di farlo sparire subito in bocca. La lingua ne percorreva i contorni avida, sentivo la forma dell'aureola mentre la punta si inturgidiva. Mi staccai un attimo per leccarmi, insalivandole bene, due dita che inizia ad usare per titillare l'altro capezzolo mentre la lingua era tornata al suo posto per continuare il lavoro. Lui era tranquillo, mi lasciava fare docile, quasi distratto ma mentre succhiavo, lappavo senza osare mordere sentivo il suo pene ingrossarsi a contatto con il mio corpo, ingrossarsi sempre più, quasi senza fine.
Mi ero calmata un po' e conscia che il mio era un lavoro ove donne più esperte avevano fallito ritrovai la lucidità per proseguire con calma. Mi slaccia la cinta che chiudeva il vestito e lui lo spinse a terra delicatamente lasciandomi nuda, non so quanti uomini mi avevano già spogliata ormai ma con lui mi sentii in imbarazzo, mi vergognavo temendo di non essere abbastanza bella. Le sue dita percorrevano la mia schiena mandando brividi in tutto il corpo, ne scorreva tutta la lunghezza con dovizia fermandosi solo dove la curva dava inizio al sedere.
Costretta dall'eccitazione indomabile gli slaccia la veste e senza guardarlo negli occhi:

“posso padrone?”

“si”

Mentre la mia lingua lavorava il suo petto, i capezzoli, cercando di capire quali fossero i punti, le movenze che più lo appagavano spinsi via il suo abito e mentre un capezzolo era al riparo nella mia bocca, con lo sguardo rivolto verso il basso, vidi il suo enorme pene, superiore a qualunque altro prima, ne ebbi quasi paura sentendomi insufficiente per tanta abbondanza. Era grosso quasi quanto l'asta di una lancia, almeno otto centimetri e lungo più di venticinque, le mie mani si mossero tremanti per andare ad afferrarlo mentre la lingua, instancabile, continuava i suoi arabeschi.
Lo presi a piene mani, caldo, pulsante e cominciai a far scorrere la pelle verso l'alto, percorrendolo per tutta la sua lunghezza finché il prepuzio non nascose il glande, le mani a trattenere nella pelle quell'enorme cappella, un desiderio indomito di stringerla forte, farla mia e poi la discesa a liberarlo giù, giù fino alla base mentre le sue mani alzavano la mia testa, i miei occhi colmi di lussuria a perdersi nei sui calmi e rassicuranti, le mie labbra, finalmente, a trovare le sue, dischiudendosi, lasciando che la ruvida lingua prendesse possesso della mia bocca per farne ciò che preferiva. Sapore di buono in cui perdermi mentre le mani continuavano quasi autonome la lunga corse su e giù per quella mostruosa asta di carne bollente. Si saziò a lungo delle mie labbra giocando con la lingua in modo esperto e guidandomi come non avessi più volontà, capace solo di sentire i battiti del suo cuore, imperturbabili, attraverso i palmi delle mani che non riuscivano a trovare fine in quell'enorme membro poi, però, ritrovai un attimo di lucidità e ricordai che ero li per lui e non per me.
Senza staccarmi del tutto dalle sue invitanti labbra:

“padrone, vorrei lubrificarvi un po' se me lo permettete per far scorrere meglio le mani sul vostro stupendo pene”

Lui sorrise appena facendo pressione sulle mie spalle perché mi inginocchiassi e io mi lasciai piegare docile come mi venisse fatto un dono. L'enorme asta svettava nodosa davanti al mio viso, le mani sui grossi testicoli a massaggiarli delicatamente mentre appoggiavo la punta della lingua alla base della grande vena dorsale percorrendola minuziosamente verso l'alto. Il mio piacere mentre il membro si contraeva involontariamente allo sfiorare del frenulo, il ripetersi dell'operazione nelle due direzioni come stessi assaporando un frutto gustoso, irresistibile, lo abbassai un po' con la mano, a fatica tanto era duro e succhiai la punta della cappella mentre, agevolata dall'abbondante saliva lasciata, riprendevo la sega che avevo interrotto. Assaggia ogni sua parte avvolgendo con la lingua la cappella violacea più e più volte, succhiando avidamente e percorrendo ogni vena pulsante come fossero strade per il paradiso. Mentre lui, distratto, accarezzava i miei capelli continua insaziabile il mio lavoro aggiungendo lubrificante dalle mie labbra ove il sue e giù della mano andava ad asciugare ma non sentendo nessun mutamento nel mio padrone mi decisi a provare ad ospitare quell'enorme cappella nel caldo della mia gola, Divaricai più che mi era possibile per non infastidirlo con i denti e sentendo la mandibola quasi slogarsi, come a pressione, il glande entrò in me ospitato a fatica. Lavorare con la lingua era ardua impresa visto il poco spazio di manovra rimasto libero ma facendola strisciare fra la sua carne e la mia riuscivo a massaggiare le parti più sensibili. Agendo con ostinazione sul frenulo senza mai smettere di segarlo ottenni dei risultati, afferrò la mia testa con decisione e cominciò a spingersi dentro di me per sfuggire alle sensazioni troppo intense date dalla mia lingua. I suoi affondi decisi andavano a forzare il mio palato indifeso facendo strusciare quel membro, troppo grosso, di qualche centimetro in avanti, avevo finalmente ottenuto la sua attenzione, gli occhi chiusi, le testa rivolta verso l'alto ma per quanto stimolassi i testicoli, l'asta, la cappella con la lingua e allargassi la bocca oltre quello che il mio corpo consentiva, ad ogni affondo i risultati erano pochi ed il mio capo veniva spinto indietro dall'enorme massa. Persi quell'istante e sentii le sue spinte interrompersi:

“l'obbiettivo che aneli è stato cercato da tutte quelle che ti hanno preceduto ma le ha lasciate tutte sconfitte mio malgrado”

Estrassi l'asta dalla bocca sentendomi stappata come una bottiglia di buon vino:

“il compito di una schiava è quello di soddisfare il suo padrone, non esserne in grado fa di lei una schiava indegna e non vi è scusa da addurre a discolpa. Vi prego padrone, perdonatemi o punitemi per il mio fallimento se volete ma lasciatemi tentare fino a che non sarò degna di voi”

Mi guardò perplesso come se l'ovvietà delle mie parole superasse l'ovvietà di non poter raggiungere quello che volevo:

“tenta pure fino a che non ti dichiarerai sconfitta”

Restando accovacciata indietreggiai fino ad appoggiare la schiena sul pesante montante di freddo metallo che teneva serrata la porta, alzai le mani ad afferrare la maniglia e guardandolo negli occhi con fare deciso aprii la bocca.
L'ingombrante cappella riprese spazio nel mio palato seguita dall'asta che affondò fino a tornare dov'era arrivata al tentativo precedente. Calore, pulsazioni trasmesse alla mia lingua schiacciata, lui appoggiò le mani al pesante portone e cominciò lenti, intensi, affondi. Sentivo le guance come si dovessero strappare, i muscoli subito sotto le orecchie urlavano il loro dolore per quanto erano tesi ma avevo provato sofferenze ben più intense e volevo dare a quell'uomo che si era preso cura di me qualcosa che non avesse mai avuto.
Centimetro dopo centimetro, approfittando della testa che non poteva più indietreggiare, fui percorsa dal suo cazzo che veniva martellato a forza dentro di me, le mie mani che si stringevano spasmodicamente sul loro appiglio mentre i suoi occhi si erano richiusi, ogni colpo d'anca vinceva un po' di spazio nella bocca e alla fine sentii la cappella prendere possesso del fondo, della gola, forzare l'apertura troppo stretta per tanta vigorosità ed introdurvisi dentro.
Ancora metà di quell'incredibile pene era la di fuori dal mio corpo e l'unica strada rimasta per farlo entrare era la gola.
Avevo imparato a respirare in quelle situazioni tante erano le volte in cui vi ero stata costretta mio malgrado e riuscivo a rubare quel minimo di aria di cui avevo bisogno. Lui iniziò a grugnire, quella pratica lo aveva preso e si era dimenticato completamente di me, spingeva accompagnando ogni affondo con rochi sospiri mentre le lacrime solcavano il mio viso, mentre i miei umori bagnavano le cosce aperte a far spazio alle sue gambe.
Sentii la gola gonfiarsi ritmicamente di più in ogni lungo minuto, sentivo il suo bacino sempre più vicino al viso ma comunque troppo lontano mentre allungavo le labbra all'infuori per ingoiare più sesso che potevo. Quel doloroso lavoro continuò e continuò, ogni lenta spinta squarciava la mia bocca divelta vincendola un po' e ogni lenta spinta sembrava lasciare sempre troppo ancora da ingoiare.
Sorreggevo il mio corpo scosso dagli affondi con le mani mentre la chiusura a cui mi ero aggrappata scivolava un po' verso il basso. Con la coda dell'occhio vidi una piccola candela consumarsi fino a spegnersi mentre il padrone procedeva nel farmi ingoiare tutto il suo sesso. Quando la fiammella si estinse sentii finalmente il naso sfiorare la sua pancia piatta, ancora qualche centimetro ci separava e non vi era veramente più posto, lui mi guardò, nei sui occhi ardore:

“arrivati a questo punto”

Si aggrappò alle maniglie della porta e iniziò a spingere con violenza senza mai ritrarsi, quel cazzo enorme mi alzava praticamente di peso per riabbandonarmi fino alla spinta successiva, la sbarra che mi sosteneva cedeva sempre più mentre quel violento trattamento mi toglieva la possibilità di respirare e quando ormai ero convinta di svenire, un ultimo, animalesco, affondo mandò il mio viso a perdersi nel suo addome, il cazzo, in fine, tutto inserito a forza nella mia gola fino all'ultimo millimetro, sentii un leggero click ma lo sentii solo io e con la vista offuscata dalle lacrime incontrai il suo sguardo soddisfatto e mi sentii fiera:

“beh' sei riuscita dove tutte hanno fallito e te ne rendo merito ma questa è stata solo la preparazione e se permetti, visto che ne sei in grado, ora è il momento di scoparti quella bella bocca carnosa”

Avrei sorriso se le mie labbra avessero potuto permetterselo. Lui estrasse un po', aria nei miei polmoni, riaffondò di botto con noncuranza per tutta la profondità che gli era concessa, mi trattava esattamente per quello che ero, roba sua. Si ritraeva sempre un po' di più per poi riforzarmi sadicamente fino a che non arrivò ad uscire completamente dalla mia bocca spanata e ributtarcisi dentro con autorità, scivolando ormai bene, avendo ormai fatto capitolare la mia gola, il mio collo che si gonfiava al ritmo degli affondi. Ora si stava divertendo e mentre la mascella mi mandava segnali chiari di voler cedere mi trovai a pensare che presto avrei assaporato il suo sperma raggiungendo il mio scopo. Mi fece spostare, mi mise a quattro zampe, le braccia completamente distese per tenere la testa vicino al suo pene e li continuò gli scavi nella mia gola, si chinò in avanti per spingermi con le mani da dietro la testa a finché potessi inghiottire proprio tutto quel mostruoso sesso. Mi spingeva con forza e a ritmo veloce, con cattiveria, godendo di potersi togliere quello sfizio che nessuna donna prima era riuscita a donargli, sembrava non trovare fine al piacere di scavarmi mentre suoni osceni si liberavano dalla mia gola trapanata in modo furioso, allungò le mani sulla mia schiena, raggiunse le morbide natiche, le divaricò con prepotenza e inserì due dita nel mio ano, senza lubrificazione, facendole strusciare il più in profondità possibile e poi le usò per tirare tutto il mio corpo verso di lui. Per quanto soddisfatta del risultato il dolore si stava impadronendo di me per il lungo usarmi, non mi era neanche concesso urlare e dovevo fare attenzione a non morderlo. Le dita da due divennero tre, affiancate, per tirarmi meglio e quella cavalcata continuò per un tempo estenuante mentre abbondante saliva ricopriva il mio volto. Alla fine arrivò un ultimo lungo affondo che sembrava non avere fine, soffrii per la privazione dell'ossigeno mentre gioivo attendendo che il bianco, denso frutto dei miei sforzi si riversasse nel mio stomaco ma non accadde. Mi liberò bocca e culo, lo guardai stupita, lui infoiato che ricambiava il mio sguardo:

“non avrai creduto che stessi venendo ragazzina? Non sai quanto sei lontana dalla verità ma mi sto divertendo e anche se i nostri accordi non cambiano ora vorrei che ti sdraiassi sul letto, pancia in alto e testa fuori dal materasso, ho voglia di giocare ancora un po' con quella tua incredibile bocca, sempre che tu non voglia arrenderti, si capisce”

Senza neanche pensarci mi alzai sulle gambe indolenzite che mal mi reggevano e mentre mi toglievo un po' di saliva dal viso mi andai a posizionare come richiesto:

“sono felice padrone che voglia usarmi ancora”

“devo ammettere che sei brava e voglio darti un premio, sappi che, se non verrò prima, dovrai resistere mentre affonderò fra le tue labbra per duecento volte e poi con loro avrò finito e ti concederò di continuare nel tuo intento in altro modo, sempre se vorrai”

Dicendo questo iniziò ad avvicinarsi a me raccogliendo per la strada una paletta di legno larga quanto un palmo e lunga venti centimetri dalla fine del manico alla sommità.
Allargai la bocca mentre si impadroniva d'un botto di ciò che ormai gli apparteneva, in quella posizione scivolò meglio in me occupandomi in modo più totale, sentii un botto, dolore e calore mi invasero una coscia dove aveva impattato la paletta e lo sentii dire: “uno”
Ogni volta usciva completamente per poi reintrodursi, a volte velocemente, a volte centimetro per centimetro, a volte con scariche violente di affondi. Appena i suoi peli pubici raggiungevano il mio viso un colpo arrivava ad una coscia, non erano troppo violenti ma dati per lasciare il segno e quando fummo a cinquanta la pelle arrossata cominciava a mal digerire la paletta mentre io godevo spasmodicamente nel subire quel dolore accettato volontariamente e così lontano da quello delle frustate dell'uomo che mi aveva quasi uccisa. Gioivo dell'essere in grado di interessare il mio padrone. La sua voce contava gli affondi e i colpi mentre con le mani gli avevo preso un po' i glutei per guidarlo in me e un po' i testicoli per dargli il massimo del piacere possibile: “cento”
Ero stravolta da dolore misto a piacere, quell'asta ingombrante che mi scavava, pulsava e guizzava ogni minuto di più a farmi intendere un orgasmo imminente che egoisticamente quasi speravo non arrivasse tanto mi sentivo posseduta. Avevo alzato le gambe verso l'alto per lasciare più spazio ai suoi colpi e lui, credo per ripagarmi, aveva iniziato a massaggiarmi il sesso grondante fra un colpo e il successivo. Le sue dita mi frugavano abilmente dandomi piacere intenso senza permettermi di venire. Divenivano poi rudi afferrandomi la fica con forza, le quattro dita a penetrarmi facilmente grazie al lago in cui erano immerse e usando il mio buco come appiglio si lanciava per una nuova, totale, penetrazione della mia bocca seguita poi da un colpo di palette. Il ritrarsi lentamente a dar spazio ai miei gemiti di piacere nel respirare e le dolci carezze sul ventre, le grandi labbra, il clitoride in un ciclo infinito: “centocinquanta”
Abbandonò la paletta ed andò ad affondare il suo viso nella mia fica grondante, quasi mi sentivo in colpa del doverlo far tuffare in un tale mare di umori e mentre continuava il suo lento andirivieni nella mia bocca, contando ogni suo colpo di reni senza staccare le labbra dalla mia vagina, con la voce che sembrava entrarmi dal buco dilatato per uscirmi nel cervello iniziò a leccarmi convulsamente il clitoride, accanendosi, dandomi sensazioni troppo forti, troppo intense, bloccava i miei involontari sussulti col peso del corpo mentre leccava, leccava, leccava sempre li, solo li. Cinquanta affondi, lunghi, interminabili mentre la lingua mi torturava di piacere, le mie urla di godimento spezzate dal pene che entrava e usciva a imbavagliarmi per qualche secondo per poi liberarmi e lasciarmi urlare. Ebbi non so quanti orgasmi e dopo ognuno le sue leccate insistenti e spietate le sentivo più intense, crampi allo stomaco, crampi alla gola, inerme e incapace di oppormi anche volendolo subii quella terribile, intensa, appagante tortura fino alla fine, tremante, frastornata e completamente annichilita dal piacere che mi stava donando l'uomo a cui io dovevo donare:
“centonovantotto, centonovantanove, duecento”
Uscì e mi liberò senza donarmi il suo sperma mentre a me aveva strappato un infinito susseguirsi di orgasmi. Si sdraiò con appena il fiatone a guardarmi mentre non riuscivo a smettere di tremare, mi coprì con una coperta e cominciò ad accarezzarmi i capelli, non riuscivo ancora a riprendere il controllo di me ma dissi:

“non mi arrendo padrone, la prego, voglio provare ancora, le ho dato solo la bocca ma voglio donarle tutto e se fallirò me ne andrò ma lasci che mi doni completamente la prego”

“ormai ho capito come sei piccola e non ho motivo di dirti di no, ti dono questa notte, puoi riuscire, puoi arrenderti o puoi essere sconfitta dall'alba ma ho voglia di fare un gioco con te che sei così caparbia, ogni tuo tentativo sarà scandito da duecento dei miei colpi sul tuo corpo. Sarai tu a scegliere cosa fare e dove farti colpire ma al duecentesimo colpo dovrai cambiare approccio”

“grazie padrone”

Mentre osservavo il suo imponente sesso perdere rigidità lentamente ripresi il controllo di me, sgusciai fuori dalla coperta per strisciare sopra di lui, feci colare saliva dalle labbra direttamente sui seni mentre fissavo il suo sguardo divertito, li massaggia vistosamente spalmando il naturale lubrificante e poi, chinandomi su di lui, ospitai il cazzo in mezzo alle mie morbide carni stringendo forte le mammelle per fare pressione sul pene e inizia a farlo scivolare. Lo facevo sparire spingendo il seno verso l'alto e poi scendevo, vedevo la cappella spuntare fuori scavandomi e la lasciavo correre fino a poterla baciare, laccare con lussuria. Il trattamento ebbe subito il suo effetto donando nuovo vigore e rigidità all'asta. Era un piacere sentirla pulsare mentre attraversava i miei seni, sentirla fremere mentre con la lingua davo leggere stoccate al frenulo, vedere lui sorridere rilassato per questo intramezzo fatto di morbide carni impiegate a contenere il rigido sesso ma l'alba era il mio limite e anche se dai piccoli spiragli nel tetto ancora si vedeva solo la notte più nera non potevo perdermi in infruttuosi passatempi. Gli montai sopra, mi girai dandogli la schiena e inizia a lavorare per penetrarmi, la mia fica aveva ospitato volumi anche superiori a quello ma farlo scivolare in me, anche se schifosamente lubrificata, fu un lavoro lungo. Gemevo mentre la pelle della vagina si tendeva per adattarsi all'intruso, sentii la cappella perforarmi con un flop e rimasi li sospesa, muovendo i fianchi mentre la lunga sbarra di carne mi apriva piano piano. Traevo piacere dal dolore del sentire le piccole labbra tese quasi a volersi strappare e la vagina che si dilatava, all'interno, prendendo la forma del membro che implacabile penetrava in me. Sembrava non avere fine e dopo un po' lo sentii toccare il fondo e continuare ancora quasi volesse penetrare anche l'utero.
Movimenti rotatori del mio culo mentre le braccia, appoggiate sui suoi fianchi, cedevano man mano lasciandomi riempire. Sentii le chiappe toccare il suo corpo e mi abbandonai di peso ad accogliere l'ultimo pezzo di lui, finalmente piena, posseduta, sconquassata, lo sentivo fino allo stomaco ed ero ebbra della gioia di avere tanto del mio padrone all'interno del corpo. Muovendomi a fatica per quanto ero piena presi la paletta abbandonata sul letto e gliela passai, mi chinai in avanti aumentando la pressione che il pene marmoreo esercitava sul mio stomaco, esposi completamente i glutei e il forellino del mio ano invitandolo:

“il sedere padrone, mi percuota il sedere”

Sciaf: “uno” Un colpo deciso, non violento ma intenso abbastanza da far sobbalzare le mie morbide carni fino ai fianchi, mi sfuggi un guaito poi, ad occhi chiusi, appoggiai le mani sopra le sue ginocchia, mi issai fino a far rimanere solo l'imponente cappella nella vagina e mi riabbassai sentendomi impalata. Mossi circolarmente i fianchi per dargli tutte le sensazioni che potevo mentre era come se un grosso mestolo mi frugasse l'intimità, in profondità alla ricerca di non so che. Continuammo quella danza colpo dopo colpo, la fica si adattò alle sue dimensioni e inizia ad aumentai il ritmo, i miei umori colavano abbandonati bagnandoci entrambe e in una trentina di sculacciate la scena si era trasformata in una donna, travolta dal piacere che si ritraeva per poi ricadere su un enorme cazzo con un suono di risucchio, di sciabordio. Si infilzava fino alla base per poi ruotare cercando di scavarsi ancora di più, le mie chiappe rosse per i colpi subiti, improvvisi cambi dal ruotare al fare avanti e indietro completamente penetrata per sentire quella mazza spingere meglio l’interno.
Allungai una mano a massaggiare i coglioni gonfi, desiderosi di scaricarsi e inizia affondi più veloci, estraendo di meno ma in modo più frenetico e aumentò così il ritmo delle percosse sulle mie bianche carni. Umori colavano fino a bagnarmi la mano che massaggiava lo scroto, bruciore alla pelle che faceva da intonato contorno alla libidine che mi avvolgeva, due dita ad entrare perentorie nel mio ano per domarmi e obbligarmi al ritmo deciso da lui, la speranza che questa sua presa di controllo mi aiutasse a fare finalmente sfogare quella densa crema che tanto desideravo ma che non riuscivo ad ottenere. Le dita che ruotavano fino ad accarezzare il membro nell'altro canale e i colpi che si susseguivano fino ad arrivare al: “cento”
Non rallentai minimamente anche se lui estrasse le dita, mi sentii spingere la schiena a chinarmi ancora più in avanti fino ad appoggiare le tette sulle sue gambe, le mani ambedue libere di massaggiare coglioni e scroto mentre lo sentii, dolorosamente, infilare il piatto manico della paletta del mio sfintere e iniziare a ruotarlo mentre i colpi si susseguivano inferti dalle sue mani ora, mani che colpivano il mio corpo desideroso di lui dando un attimo di dolore per poi lasciare il piacere delle sue carezze, del suo palparmi. Il ritmo della scopata che gli stavo donando si sfasò da quello dei suoi colpi e mentre io lo cavalcavo ansimante e ricoperta di sudore lui ruotava la paletta nel mio ano e inveiva sulle mie chiappe al ritmo che più gli concerneva.
Il cazzo enorme che mi scavava spietatamente, il rumore della fica fradicia che veniva aperta violentemente schizzando qua e la, il fastidioso oggetto e rasparmi l'interno del culo e le sue mani ad accarezzarmi le chiappe fra un colpo e l'altro. Mi stavo perdendo di nuovo, il piacere si stava rimpossessando di me mentre mi allontanavo dal suo orgasmo per avvicinarmi al mio:
“centocinquanta” Estrasse la paletta di botto, mi prese per i fianchi e mi fece alzare la schiena come lui aveva alzato la sua, mi tirò indietro le braccia a cingere i suoi fianchi, una mano la sentii scivolare sul mio ventre, premendo alla ricerca della cappella che mi stantuffava dentro, ricerca fruttuosa, quella mano che frugava da fuori amplificava le sensazioni che percepivo dentro di dieci volte. L'altra mano a scorrere in mezzo ai miei seni rigogliosi, salire fino al collo, afferrarmi con prepotenza il mento per girare la testa fino a fare incontrare le mie labbra con le sue in un bacio lussurioso, fatto più di lingua e saliva che cola che di labbra. Rimasi li inchiodata sulla sua bocca, i suoi reni che mi facevano sobbalzare indifesa e la punta del cazzo che incontrava la sua mano che spingeva dall'esterno, il mio corpo nel mezzo quasi come ostacolo, i colpi sui miei fianchi che riprendevano. Mi ero persa di nuovo in balia di quell'instancabile ed inappagabile uomo. La lingua fuori dalla bocca, esposta al massimo a cercare la sua che si ritraeva quel tanto che serviva a farmi tendere al massimo per raggiungerlo, la mano sul mio ventre a scendere come percorresse il membro virile che divaricava la fica, il suono degli sciaf di cui non ascoltavo più il conteggio poi la sua mano che si immerge nei miei umori a trovare il clitoride gonfio. Ansimare crescente, purtroppo il mio, fuori controllo, colpi, affondi, massaggi, cambiò modo di spingere e sentii il cazzo andare a premere dentro di me, a trovare un punto ove tutto perse senso, l'ultimo barlume di lucidità mi abbandono e divenni un ammasso bollente di libidine e piacere mentre lui afferrava e pizzicava con sadismo il mio clitoride. Mi incollai alle sue labbra soffocando li un lungo, appagate e liberatorio orgasmo vaginale che mi percorse tutta la schiena partendo dalla vagina oscenamente dilatata ed arrivando al cervello investendolo in pieno:
“duecento” Si sfilò da me e si sdraiò su un fianco senza lasciarmi, le sue labbra che sfioravano la mia schiena grondante sudore, io incapace di parlare mentre la consapevolezza della nuova sconfitta mi giungeva lentamente. Non mi concessi il lusso di riposare:

“è ancora buio fuori, mi è concesso del lubrificante padrone?”

“sulla mensola vicino alla scrivania cara”

Corsi ad afferrare la bottiglia indicatami, le tette che sobbalzavano per il piacere dei suoi occhi. Mi precipitai da lui, cosparsi il liquido sul suo sesso e inizia un veloce massaggio per ben distribuirlo mentre baciavo le sue cosce, il suo inguine, le sue palle. Gli salii di nuovo sopra ma guardandolo fisso negli occhi e comincia a puntare la cappella sul mio ano, spingendo forte. Il mio splendido viso incorniciato dai capelli scuri, ormai ondulati, contratto in una smorfia di dolore per l'impietoso modo in cui costringevo l'enorme massa di carne pulsante a forzare i muscoli del mio ano, a scivolarmi dentro con la fretta del cielo che cominciava a rischiararsi. I miei occhi nei suoi come sorridendo in contrasto con le smorfie di dolore che non potevo fare a meno di esternare. Mugoli lancinanti e sommessi mentre gli ultimi centimetri mi violavano, mentre mi accomodavo sopra di lui, completamente e oscenamente sodomizzata da lui. Gli porsi la paletta, alzai le braccia e con le mani cinsi i capelli dietro la testa esponendo appieno le morbide rotondità dei seni indicandogli coi gesti dove colpire ma lui si liberò dell'oggetto:

“basta colpi, il tuo seno, perfetto, abbondante voglio goderlo, non colpirlo”

Si alzò verso di me, afferrò ogni mammella con una mano e iniziò a lappare, succhiare i capezzoli facendomi subito impazzire. Lo ricambia cominciando a cavalcarlo, a volte estraendolo quasi tutto, a volte poco, stringevo i muscoli del culo al massimo recandomi dolori lancinanti nel tentativo di trasmettere il massimo delle sensazioni al suo corpo. Mi palpava, massaggiava, succhiava e masturbava i seni allo stesso, infuriato, ritmo mentre sentivo il mio orifizio allungarsi verso l'esterno incollato al suo membro per poi venire ricacciato dentro con prepotenza. Lo stomaco in subbuglio, le mani sulla sua testa che tanto piacere mi stava donando. Ansimavo, sudore, colpi violenti alle mie interiora. Mi sentivo dilatata oscenamente immaginando il mio orifizio aperto a dismisura da quell'inumano pene che stavo ospitando. Mi aveva, mio malgrado, soggiogata di nuovo, non riuscivo ad avere controllo su di lui, alzò la testa a cercale le mie labbra e mi incatenò in un nuovo, coinvolgente, umido bacio mentre una mano scivolava fra i nostri corpi, trovava la mia fica, la penetrava con tre dita lasciando spazio al pollice per torturarmi il clitoride. Facendo leva su un seno e sulla mia fica iniziò a sbattermi al suo ritmo, ero completamente abbandonata, il pollice che spingeva con prepotenza sul mio bottoncino, strisciandolo con forza, schiacciandolo e mandandomi scosse in tutto il corpo. L'ano, squarciato, che veniva trivellato a ripetizione, in profondità, la fica che non smetteva di grondare. Era instancabile, appena affannato mentre io avevo finito da tempo ogni mia energia, abbandonato ormai ogni velleità. Mentre il cielo si rischiarava mi donò un altro, intenso, travolgente orgasmo che protrasse a lungo, abbandonandomi poi li, seduta e impalata mentre lui tornava a stendersi sorridente:

“sei stata fantastica ma un patto è un patto e temo che, tristemente, dovrò anche questa volta provvedere da solo a me”

Non lo accettavo e i raggi del sole non ci avevano ancora raggiunti, presi la fiaschetta con il lubrificante, mi alzai in piedi sopra di lui stappandomi dolorosamente e sentendo che il mio ano non riusciva a richiudersi del tutto, gli presi una mano e gli feci allungare un braccio dritto verso l'alto, lo lubrificai bene, abbondantemente tutto partendo dalla mano, lo massaggia mentre lui mi guardava curioso, gli feci mettere le dita a cuneo e le puntai verso la mia vagina cominciando a farle penetrare prepotentemente, ero già dilatata anche se non abbastanza ma non avevo tempo, provocandomi forti dolori spinsi in su la sua mano ruotandola mentre mi abbassavo con le gambe e mordendomi le labbra mentre trattenevo le lacrime continua finché tutta la mano non venne risucchiata dentro di me. L'urlo non potei contenerlo ma mi ripresi in fretta.
Tirandolo verso di me con movimenti resi goffi dall'essere così impalata mi sdraia sulla schiena, gambe larghe, la vagina dilatata oscenamente e lui in ginocchio di fronte a me. Gli presi il cazzo che sembrava essere divenuto ancora più duro e lo accompagnai verso il mio culo, lui capì alla fine il mio intento e per la prima volta lo vidi spiazzato, decise di accontentarmi e di farlo in pieno, spinse la cappella nel mio orifizio che si era ristretto per l'ingombro che avevo in fica e poi con un brusco, doloroso colpo di reni mi invase tutta d'un botto. Una mano interamente nella fica, un'enorme uccello piantato nel culo mentre sbattevo la testa di qua e di la in attesa che il dolore diminuisse:

“lo senti il tuo uccello nel mio culo? Afferralo con la mano che hai dentro di me e se vuoi segarti allora fallo così, ti prego”

Era senza parole, sentii la mano al mio interno muoversi lentamente ed afferrare, infine, l'asta nel culo con la sottile pelle che divide i due canali a fare da guaina. La mano che si muoveva su e giù al mio interno, l'uccello che stantuffava il mio culo, i suoi occhi ad osservare la scena dei miei buchi assurdamente dilatati. Per la prima volta non stava osservando me, stava facendo qualcosa che piaceva a lui, non mi considerò più minimamente e mentre trattenevo le urla per il dolore che veniva dal mio interno in modo da non disturbarlo, iniziò una lenta, strana, sega. Ben poco potevo fare se non stare li ed essere il più accogliente possibile. Le sue dita dentro di me stringevano ogni secondo di più aumento le mie sofferenze, iniziò ad usare la pelle del mio corpo per massaggiarsi la cappella facendo scorrere sopra due dita fino ad arrivare all'estremità e scivolarci sopra dandomi pizzicotti di un'intensità terribile.
Stringeva forte l'asta e iniziava a stantuffarmi forte godendo della pressione della mano e di quella del mio orifizio che io tendevo al massimo che mi era possibile. Si piantò nel mio culo più in profondità possibile segandosi poi liberamente e abbondantemente come se io non ci fossi. La mano che percorreva tutta la lunghezza dell'asta dentro di me sembrava dovermi strappare tutta e non potei fare a meno di urlare ma a lui la cosa non interessava minimamente:

“dai, segati, segati dentro di me e spaccami, godi del mio corpo più che puoi, fatti la sega migliore della tua vita dentro la mia fica, dentro il mio culo”
Straziata dal dolore godevo del vedere i suoi occhi persi e la parte animale prendere il controllo. Lo incitavo a fare il peggio che poteva e desideravo che lo facesse a discapito delle mie sofferenze. Con gli occhi piantati sul mio sesso incominciò a segarsi velocemente per poi fermarsi stringere forte e partire con violenti, rapidi affondi che facevano scorrere il pene attraverso il mio culo e la sua mano. Sentivo la vagina spinta verso l'esterno come dovesse strapparsi e poi il culo, stretto nella morsa dall'interno, venire trapanato come da un uccello tre volte più grosso. Ero ormai incapace di qualsiasi azione e subivo quel trattamento che avevo voluto indifesa mentre vedevo il risultato dipingersi sul suo volto, farsi sentire nel suo respiro. Vidi la luce raggiungerci dal tetto mentre lui iniziava una violenta sega contemporanea ad una bestiale inculata, lunga, infinita, la sua voce sempre più roca, i suoi respiri sempre più affannosi. Il mio corpo nudo, morbido, stupendo e totalmente esposto, il seno che veniva sbatacchiato in ogni direzione, allungò una mano ad infilarsi nella mia bocca e io ne accolse il più che potevo leccando avidamente e lasciandomi frugare dalle dita che andavano a riempire l'ultimo spazio rimasto libero di me. Sberle sulle tette da quell'uomo che aveva abbandonato, finalmente, ogni controllo. Sentivo lo sperma come risalisse millimetro dopo millimetro la sua lunga asta e alla fine, così lungamente atteso, urlò, urlò liberamente mentre abbondanti fiotti eruttavano senza fine nel mio culo, la mano a stringere l'asta dentro di me con tutta la forza nelle ultime, appaganti, raspate sul sesso. Accolsi quell'ultimo, indicibile, dolore con un sorriso mentre gioivo della gioia che ero finalmente riuscita a dare al padrone. Si fermò in me mentre risolini gli sfuggivano incontrollati nel dire:

“hai vinto, incredibile, pazza, donna”

Proprio mentre una lunga striscia rossa si disegnava improvvisa sul suo collo da orecchio a orecchio.

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2025-03-10
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