Teresa l'indomita - Cap. 1
di
Glorfindel
genere
dominazione
CAPITOLO 1
Buoi, freddo, umido, quando aprii gli occhi non riuscivo a capire dove mi trovassi, le pupille si abituarono piano piano a quello che le circondava, muri di pietra di una grande stanza quadrata, nessuna finestra se non per un lucernario ad almeno quattro metri di altezza, c'era il sole di fuori ma da quel piccolo pertugio pochi erano i raggi che riuscivano a filtrare in quell'ambiente permeato da odore di muffa. Avevo i piedi nudi gelati e anche il corpo non se la passava meglio, la sudicia tunica grezza che mi vestiva poco poteva contro il freddo che mi circondava. Mi guardai attorno, una specie di letto in legno marcio senza alcun materasso, un buco in terra in un angolo da cui arrivava un odore disgustoso e una porta di pesante legno rinforzata in metallo. Null'altro.
Mi sedetti sul letto ancora frastornata a guardare il sole sparire mentre non riuscivo a mettere ordine nei pensieri. Ci vollero ore o forse minuti, il tempo distorto dalla mancanza di ogni punto di riferimento ma poi la porta cominciò a cigolare, si aprì facendo entrare una lama di luce che mi ferì gli occhi. Entrarono due uomini, alti, robusti, vestiti di rozza pelle e dalle facce inquietanti.
Trasportavano un grosso braciere di ferro, dal suo interno, intensa e pulsante la luce della fiamma, un manico lungo ne usciva da un lato. Lo posarono a terra e uno dei due si avvicinò a me che lo guardavo impassibile, non mi sarei lasciata sottrarre anche il coraggio.
Mi prese all'improvviso per i capelli, la mano, come una morsa d'acciaio mi alzò di peso mentre l'altra mi strappava di netto il vestito di dosso come fosse fatto di carta bagnata. Mi lasciò e feci un passo indietro sconvolta, completamente nuda, lui puzzava come un animale mentre guardava il mio rigoglioso seno con un ghigno. La furia divampò dentro di me, l'orgoglio leso da quel trattamento mi fece salire il sangue al cervello e scattai, mi lancia su di lui come una gazzella che attacca un leone, le mani tese a cercare il suo volto per lacerarlo ma non si fece cogliere impreparato. Un ceffone mi colpì in pieno, la pesante mano guantata di pelle secca impattò sul mio viso avvolgendolo, colpì l'orecchio, l'occhio, il naso, mi spazzò via come un fuscello e caracollai a terra, priva di forze mentre le orecchie fischiavano piene del rimbombo del mio cuore che batteva all'impazzata, sapore di metallo mi arrivò alla bocca dal labbro lacerato profondamente, la vista si offuscò e il corpo smise di rispondere ai miei ordini.
In modo ovattato mi sentii trascinare, le pietre del pavimento che graffiavano la pancia, il seno, i capezzoli, lo sentivo come se si trattasse del corpo di un'altra tanto ero stordita. L'uomo che mi aveva colpito mi si mise davanti e si calò di peso sopra di me, in ginocchio, in modo che le sue gambe scendessero ad incrociare le mie braccia divaricate. Era un bisonte, sentii le ossa flettersi per il peso e il dolore atroce mi risvegliò, urlai, urlai dannandoli e insultandoli nel misto di sofferenza e rabbia che mi riempiva al che lui si sedette pesantemente sulla mia testa, dovetti girarla da un lato per evitare che mi spappolasse il naso mentre le mie urla venivano soffocate fra la sua carne e il pavimento. Sbattevo le gambe furiosamente fino a che il secondo uomo non ripeté la stessa tecnica dietro di me mettendosi in ginocchio sui miei polpacci e raddoppiando il peso e il dolore sulle mie povere ossa. Non potevo muovermi in alcun modo, l'unica cosa che mi era concessa era raspare il pavimento con le unghie che in poco cominciarono a sanguinare. Sentivo i ghigni dei due giganti che mi avevano sottomessa mentre si guardavano seduti comodi sul mio corpo, il peso da sostenere era enorme e il mio seno abbondante sembrava stare per esplodere per la pressione con il pavimento ma poi sentii un rumore, ferro che striscia sul ferro, non potevo vedere, non potevo capire fino a che la disperazione non prese possesso di me. Il ferro rovente stava mangiando la mia carne proprio sotto la spalla sinistra, sulla schiena, il calore era talmente forte che mi sentivo bruciare fino al petto, il ferro venne tenuto a lungo e spinto forte, in profondità, la carne si consumava sfrigolando mentre l'odore di pelle bruciata, della mia pelle bruciata mi arrivava alle narici.
Urlai, anche in quella posizione urlai tanto che l'eco mi ferì le orecchi mentre i due carnefici ridevano di me sopprimendo con il loro peso ogni mio sobbalzo. Non sentii mai il ferro abbandonarmi, l'aria mi mancò prima, miriadi di puntini luminosi mi apparvero davanti agli occhi illuminandosi sempre più poi il buio e solo il mio urlo incessante a farmi compagnia ma sempre più lontano.
Svenni prima di smettere di sgolarmi per l'atroce sofferenza.
Nel buio in cui mi trovavo sogni angoscianti mi raggiunsero, lavoravo nel campo vicino alla piccola casa dei miei genitori quando vidi passare quel tizio ammantato seguito da molti uomini, raggiunse mio padre distante da me, non potevo sentire cosa dicessero ma l'uomo puntava l'indice verso di lui che indietreggiava, sembrava spaventato. Buoi nella mia mente e poi il ricordo offuscato della notte venni in cui venni svegliata dalla voce dei miei, arrivava da lontano, dal piano di sotto, capivo poco:
“non possiamo”
“non abbiamo scelta, non vogliono lasciarsi dietro una scia di sangue ma se dovranno ci ammazzeranno e prenderanno comunque quello che vogliono”
“non è giusto (singhiozzi), perché lei?”
Ancora buoi.
Non so per quanto restai svenuta ma, al mio risveglio, il sole era tornato a far filtrare qualche raggio nella cella, ero sdraiata a terra, nuda, esattamente nella posizione in cui mi avevano bloccato, il freddo intenso si era impadronito delle mie ossa e non mi fece rendere conto del mio stato ma appena provai a muovermi tutto esplose, braccia, gambe e collo su cui si vedevano distintamente grossi lividi violacei mi facevano un male atroce, non riuscivo ad alzarmi e le mani mi tremavano convulsamente ma questo era nulla in confronto al dolore alla schiena dove la sensazione era quella che mancasse un grosso pezzo di carne come se qualcuno si fosse preso una grossa cucchiaiata di me con un cucchiaio rovente. Spezzata nel dolore ma non nello spirito mi trascinai lentamente verso il letto e mi ci issai, non potevo girarmi e mi accontentai di essermi almeno liberata del pavimento gelido.
Dovette sparire il sole prima che riuscissi a riacquistare la capacità di muovermi, i lividi davano meno fastidio ma la schiena non mi lasciava pace. Ero debole, due giorni in quella cella lugubre senza mangiare e bere. Mi trovai costretta ad urinare in quel buco fetido trattenendo il fiato per tutto il tempo. Studiai attentamente la porta alla ricerca di punti deboli ma i cardini erano robusti e inattaccabili. Non vi era via d'uscita da li, tornai sul letto azzannata dai morsi della fame e della sete, nel silenzio più totale spezzato solo da un intermittente battere dietro un muro.
Era notte già da un po' quando la porta si aprì, ne entrò uno dei due che mi avevano marchiato a fuoco, in mano aveva un vassoio con cibo, acqua e una pesante coperta.
Non volevo dargli soddisfazione ma alla vista del pane, di un piatto fumante il mio stomaco fece un forte rumore ma feci finta di niente. L'uomo appoggiò tutto in uno scanso nella roccia e poi, mentre lo guardavo stupita si tolse pantaloni e mutande restando davanti a me con un grosso cazzo in tiro. Non ne avevo mai visto uno ma sapevo cosa voleva fare, scattai in piedi incurante dei vari dolori urlando furibonda:
“non osare, schifoso bastardo maledetto, non ti avvicinare a me, non mi avrai mai, preferisco la morte”
Stavo per urlargli che ero vergine ma poi mi trattenni e giocai il tutto per tutto, scattai verso la porta lasciata aperta, ero già al suo fianco, lo avevo quasi sorpassato e cominciavo a crederci quando il suo pugno colpì in pieno, affondandoci dentro, il mio stomaco. L'aria venne aspirata in me con un rumore sordo mentre le gambe subito cedettero, riuscivo solo a stare piegata tenendomi lo stomaco dove la sua mano era ancora conficcata, non avevo la forza per muovere un muscolo. Lui mi alzò con quell'unica mano e praticamente mi lanciò contro il letto.
Le ginocchia cozzarono il pavimento mentre lo spigolo del mobile sferrava un altro colpo al mio addome ferito. Ero immobilizzata dal dolore mentre lo sentivo avvicinarsi dietro di me, volevo reagire, volevo sfuggire a quella condanna ma il corpo non rispondeva. Lui si piazzò alle mie spalle e lo sentii sputare più volte poi le possenti mani mi afferrarono le chiappe e le aprirono con forza, quasi a strapparle, incapace anche di urlare sentii la punta del cazzo appoggiarsi e iniziare a spingere e quasi sorpresa mi resi conto che non stava puntando alla mia virtù, quel bastardo voleva sodomizzarmi. La paura, la furia e l'incapacità di accettare quel destino mi fecero riprendere un po', cercai di divincolarmi e quasi ci riuscii, ero sgattaiolata un po' su un fianco mentre il duro terreno mi lacerava le ginocchia ma la sua enorme mano mi afferrò per il collo ributtandomi in posizione, il divario di forza era troppo enorme ma non avevo la minima intenzione di stare li ferma a farmi infilare quello schifoso pezzo di carne maleodorante nel culo. Mi dimenavo freneticamente riuscendo a rendergli impossibile prendere la mira ma poi arrivò un altro pugno, su un rene, che mi spezzo il fiato e stroncò ogni mia velleità. Per essere certo di non essere disturbato quel mostro mi mise la mano che mi teneva il collo proprio sopra il punto in cui ero stata ustionata e vinta dal dolore lo sentii farsi strada brutalmente nel mio sfintere. Spingeva in modo brutale fregandosene delle mie carni, sentivo il mio forellino mai violato allargarsi e lacerarsi mentre quella carne putrida vi strideva dentro. La mancanza di fiato non mi permetteva neanche di urlare e lui riuscì, affondo dopo affondo, grugnito dopo grugnito ad inserire tutta la sua mazza dentro il mio culo. A quel punto mi prese i fianchi con tutte e due le mani, riusciva quasi a cingermi tutta la vita, mi fece sollevare un po' il busto come fossi una bambola e iniziò a sfondarmi, lo estraeva e riaffondava di colpo, i suoi fianchi sbattevano sul mio culo tanto forte che le tette, libere in aria, sobbalzavano fino a sbattermi sul mento. Era poco lubrificato e il dolore per lo sfregare, per le improvvise dilatazioni del mio canale mi fece ritrovare la forza di urlare la mia disperazione. Continuò ad affondare dentro il mio deretano a lungo, grugnito dopo grugnito, alla fine fui costretta ad allungare le mani per puntellarmi al muro o mi ci avrebbe sbattuta contro, ad ogni affondo le dita si stringevano convulsamente graffiando i mattoni e strappando un po' della fanghiglia che li univa insieme, presto sanguinarono ma finì, un ultimo lungo affondo, un ultimo lungo grugnito e qualcosa di caldo che si riversava a fiotti nelle mie viscere. Estrasse la sua mazza dalle mie interiora e si rivestì con calma mentre io restavo immobile ansimando per quella peculiare iniziazione al sesso, l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era quel misto di malta e sabbia che avevo scavato fra mattone e mattone con la disperazione delle unghie insanguinate. Prima di andarsene riprese il vassoio con il cibo e la coperta lasciando solo l'acqua e oltrepassando la porta mi disse:
“queste me le porto via, vediamo se impari a non fare la difficile, ci vediamo domani sera”
Dopo qualche minuto mi trascinai verso lo scanso nella pietra dove c'era l'acqua, presi la brocca lasciata davanti ai mattoni che in quel punto erano più sottili in modo da creare lo scanso e mi dissetai con la compagnia di quel solito clangore ritmico che mi arrivava proprio da dietro quel muro. Ero sfinita, distrutta nel corpo dallo stupro e dalle botte e distrutta nello spirito dalla fame e dal freddo. Dormii un sonno inquieto popolato dal ricordo di come ero stata strappata dal mio letto, incappucciata e portata via dalla casa dei miei genitori, le grida di mia madre che chiedeva perdono, il silenzio di mio padre e la mia incapacità di capire cosa stesse succedendo.
Ben poco avevo da fare se non osservare il sole cambiare tonalità, passeggiare non era piacevole, il dolore alla schiena per l'ustione era ancora aggressivo e il culo deflorato con brutalità per fortuna non sanguinava ma non era certo uscito illeso dal trattamento della sera prima e i vari lividi per le botte prese facevano da contorno al mio corpo martoriato. Mi costrinsi comunque a non arrendermi e misi in pratica un'idea che mi era venuta proprio mentre venivo sodomizzata, le mie mani che scavavano involontariamente le mura della cella mentre il mio canale anale veniva dilatato mi fecero riflettere e allora, avvicinatami alla nicchia dove mi avevano lasciato l'acqua, provai a scavare fra mattone e mattone con le unghie.
L'argilla mista a sabbia che faceva da collante era morbida a causa della forte umidità, riuscivo e scalfirla appena ma in breve mi trovai ad immolare, dolorosamente, un’unghia in quell'infruttuosa impresa e dovetti desistere. Il lento scorrere del tempo ozioso mi condusse comunque all'ora in cui arrivava il mio carnefice, la porta si aprì, stesso uomo, stesso vassoio e stessa coperta ma una differenza c'era, era arrivato anche l'altro tizio che mi aveva marchiato, aveva in mano un robusto manganello, grosso quasi quanto il mio polso e lungo come il mio avambraccio, nell'altra mano una fiaschetta. Il tizio che si era divertito alle mie spalle la sera prima, dopo aver appoggiato vassoio e coperta nel solito scanso, mentre iniziava a spogliarsi dei pantaloni imitato dal degno compare mi disse:
“hai deciso di collaborare? perché siamo in due e non abbiamo tempo da perdere”
“provate ad avvicinarvi e vi cavo gli occhi stronzi” Dissi, insensatamente, questo mentre avanzavo ma l'unica cosa che ottenni e che uno mi scivolò alle spalle bloccandomi le braccia mentre l'altro mi afferrò per le tette indifese, strinse forte, le dita che affondavano nelle morbide carni che andavano deformandosi, mi alzò da terra di peso lasciandomi appesa alle mammelle che sembravano volersi staccare. Per il dolore mi morsi così forti le labbra che cominciarono a sanguinare. Da quella posizione rialzata vedevo perfettamente il vassoio con le cibarie, una brocca d'acqua, un tozzo di pane raffermo, una ciotola piena di brodaglia e un cucchiaio, avevo bisogno di quel vassoio. Mi lasciò cadere a terra dove mi accasciai subito raggiunta da un calcione su un fianco che mi fece volare un metro più in la, le costole che urlavano, offese, nella mia testa. Mi afferrò per i capelli e per la fica immacolata e mi mise a quattro zampe, alzandomi le testa per fissarmi negli occhi scuri mi disse:
“e vedi di non mordere o ti strappo tutti i denti con delle tenaglie arroventate”
Non sembrava una minaccia vana e lui intuì la mia paura perché mi infilò subito il cazzo in bocca, il sapore era peggio dell'odore, sudore di giorni misto ad un'inesistente igiene personale, se avessi avuto qualcosa nello stomaco avrei vomitato. Il compare intanto si era messo alle mie spalle e stava versando qualcosa dalla fiaschetta sul manganello, lo lubrificò bene con la mano e poi iniziò a spingerlo nel mio culo indifeso.
Quell'arnese era veramente troppo grosso e i muscoli del mio sfintere facevano resistenza ma l'immane forza dell'energumeno unita all'abbondante lubrificazione ebbero presto la meglio sul mio buchetto che cedette allargandosi a dismisura. I tessuti divaricati inumanamente lanciarono fitte di dolore acuto verso il cervello e l'urlo lancinante che avrei voluto fare si strozzo sulla cappella dell'uomo che mi stava scavando la gola mentre la mazza di legno veniva fatta scendere nelle mie viscere per quasi tutta la sua lunghezza. Uno mi scavava la bocca alla ricerca della mia gola mentre l'altro muoveva il manganello all'interno del mio corpo, terribili crampi si impossessarono di me mentre sentivo la pelle dello stomaco tirare. L'uccello nelle mie labbra riuscì infine a forzare la lingua e ad iniziare a soffocarmi. Sapeva fare il suo lavoro, mi privava completamente del respiro stantuffando in profondità ma mai abbastanza da farmi perdere i sensi, mi lasciava quel minimo di aria che mi permetteva di non sfuggire alla tortura. Violenti colpi dati da mani pesanti colpirono le mie chiappe, tanto forte che solo il palo che avevo profondamente nel culo mi impediva di cadere su un fianco. Mugoli di disperazione uscivano dalla mia bocca straziata. Durò tanto che, quando sentii i primi fiotti invadermi la gola, le mie chiappe sembravano andare a fuoco per i colpi subiti e il mio stomaco era diventato insensibile. Il sapore salato dello sperma mi avvolse la bocca e dovetti deglutirlo tutto avendo la gola serrata dal cazzo del carnefice che lo teneva infilzato fino alla base per ostruire il passaggio. Infine uscirono tutti e due da me lasciandomi li tremante, portarono via tutto tranne l'acqua chiedendomi se domani avrei avuto abbastanza fame.
Passai la giornata praticamente immobile ad osservare il sole e a riflettere. Non volersi arrendere era una cosa ma farsi picchiare oltre che violentare non aveva senso. Arrivò la sera e i due energumeni si presentarono puntuali, solito vassoio, solita coperta e mi chiesero se avrei collaborato.
Non dissi nulla ma abbassai la testa, lo presero come un si ridendo sguaiatamente poi mi chiesero se ero vergine, alzai per un attimo la testa inferocita ma poi la riabbassai, non aveva senso, presero anche questo per un si e in coro dissero:
“bene, questa sera ti svergineremo per bene”
Si spogliarono completamente tutti e due, stesero la coperta per terra e uno vi si sdraiò sopra, pancia in su, latro mi diede una fiaschetta e mi spiegarono che se volevo mangiare e coprirmi dovevo ungere ben bene i loro due cazzi e poi sedermi, sverginandomi da sola, su quello sdraiato, al resto avrebbero pensato loro. Ormai avevo preso la mia decisione, oppormi sarebbe stato inutile, avrebbero preso quello che volevano con la forza in ogni caso. Mi unsi le mani e inizia a segare quei due luridi cazzi, sicuramente ero maldestra ma a loro interessava poco. Mi arrivò una botta sulla testa come segno che era ora di impalarmi, mi misi in posizione e inizia a puntare il cazzo di quello a terra sul mio sesso, feci fatica a trovare la stretta entrata ma poi sentii la cappella indovinare la strada e inizia a scendere, all'inizio non fu neanche doloroso, il bastone nel culo della sera prima non aveva paragoni, poi incontrai un ostacolo ma per quanto fossi vergine sapevo cosa stava per succedere, presi coraggio e mi lascia andare di peso, il cazzone finì tutto dentro la fica e sentii la sottile pelle strapparsi, fece male ma in confronto al male degli ultimi cinque giorni era nulla, mi sentii quasi sollevata ma una mano mi spinse la schiena da dietro facendomi stendere sul puzzolente aguzzino e impreparata sentii l'uomo dietro di me dire:
“non penserai che sia così facile, ti ho detto che ti avremmo sverginata, tutti e due, manco ancora io”
Bloccata per le braccia da quello che mi stava già impalando potei solo urlare mentre l'altro spingeva per entrare contemporaneamente nella mia stretta fica, non ero mai stata penetrata e i tessuti non erano in grado di dilatarsi così tanto. Fu come se mi avessero legato le gambe a due cavalli e li avessero fatti tirare in due direzioni diverse. Ci volle un'eternità perché il secondo riuscisse ad entrare completamente. La fica si stava squarciando letteralmente e io non smettevo di urlare disperata mentre mi dimenavo inutilmente fra le mani forti di quello che mi tratteneva. Una volta trovato spazio dentro di me cominciarono a scoparmi in modo meticoloso, entravano e usciva in modo alternato poi contemporaneamente e poi uno si fermava per evitare di venire mentre l'altro continuava a stantuffarmi. Dandosi il cambio nel muoversi dentro la fica continuarono a fottermi per un tempo che mi sembrò infinito mentre io non smettevo mai di urlare e piangere. Mi ritrovai, incredula di me, a chiedere pietà cosa che servì solo a farli concentrare di più per allungare il mio supplizio. Alla fine quello dietro di me mi afferrò i capezzoli con le dite e cominciò a stringerli con tutta la forza mentre si scaricava nel mio sesso. I miei urli divennero assurdi, mi sentivo mancare e la vista mi si era offuscata. Quello sotto, eccitato a dismisura dalla mia sofferenza non resistette e si scaricò anche lui. Si ripulirono sul mio corpo insanguinato e mi lasciarono li praticamente esanime. Continuai a vagare fra lucidità e disperazione a lungo ma alla fine mi ripresi, subito alzai gli occhi per controllare, questa volta mi avevano lasciato viveri e coperta. Mi trascinai fra atroci dolori e finalmente sfamai una fame di giorni e giorni, non sentii neanche il sapore tanta era la necessità di nutrirmi.
Alla fine mia avvolsi il più possibile nella pesante coperta macchiata del sangue della mia virtù presa in modo inumano e trovato un debole riparo dal freddo glaciale con cui ormai convivevo caddi addormentata nel letto duro.
Tempo dopo sentii la porta aprirsi, feci finta di non essermi svegliata sperando che mi lasciassero in pace e così fu, qualcuno prese il vassoio e subito se ne andò. Aspettai che si chiudesse la porta prima di guardare la mia ricompensa per tanta sofferenza. Per la prima volta in giorni sorrisi guardando, stretto nella mia mano, il cucchiaio di duro metallo.
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Buoi, freddo, umido, quando aprii gli occhi non riuscivo a capire dove mi trovassi, le pupille si abituarono piano piano a quello che le circondava, muri di pietra di una grande stanza quadrata, nessuna finestra se non per un lucernario ad almeno quattro metri di altezza, c'era il sole di fuori ma da quel piccolo pertugio pochi erano i raggi che riuscivano a filtrare in quell'ambiente permeato da odore di muffa. Avevo i piedi nudi gelati e anche il corpo non se la passava meglio, la sudicia tunica grezza che mi vestiva poco poteva contro il freddo che mi circondava. Mi guardai attorno, una specie di letto in legno marcio senza alcun materasso, un buco in terra in un angolo da cui arrivava un odore disgustoso e una porta di pesante legno rinforzata in metallo. Null'altro.
Mi sedetti sul letto ancora frastornata a guardare il sole sparire mentre non riuscivo a mettere ordine nei pensieri. Ci vollero ore o forse minuti, il tempo distorto dalla mancanza di ogni punto di riferimento ma poi la porta cominciò a cigolare, si aprì facendo entrare una lama di luce che mi ferì gli occhi. Entrarono due uomini, alti, robusti, vestiti di rozza pelle e dalle facce inquietanti.
Trasportavano un grosso braciere di ferro, dal suo interno, intensa e pulsante la luce della fiamma, un manico lungo ne usciva da un lato. Lo posarono a terra e uno dei due si avvicinò a me che lo guardavo impassibile, non mi sarei lasciata sottrarre anche il coraggio.
Mi prese all'improvviso per i capelli, la mano, come una morsa d'acciaio mi alzò di peso mentre l'altra mi strappava di netto il vestito di dosso come fosse fatto di carta bagnata. Mi lasciò e feci un passo indietro sconvolta, completamente nuda, lui puzzava come un animale mentre guardava il mio rigoglioso seno con un ghigno. La furia divampò dentro di me, l'orgoglio leso da quel trattamento mi fece salire il sangue al cervello e scattai, mi lancia su di lui come una gazzella che attacca un leone, le mani tese a cercare il suo volto per lacerarlo ma non si fece cogliere impreparato. Un ceffone mi colpì in pieno, la pesante mano guantata di pelle secca impattò sul mio viso avvolgendolo, colpì l'orecchio, l'occhio, il naso, mi spazzò via come un fuscello e caracollai a terra, priva di forze mentre le orecchie fischiavano piene del rimbombo del mio cuore che batteva all'impazzata, sapore di metallo mi arrivò alla bocca dal labbro lacerato profondamente, la vista si offuscò e il corpo smise di rispondere ai miei ordini.
In modo ovattato mi sentii trascinare, le pietre del pavimento che graffiavano la pancia, il seno, i capezzoli, lo sentivo come se si trattasse del corpo di un'altra tanto ero stordita. L'uomo che mi aveva colpito mi si mise davanti e si calò di peso sopra di me, in ginocchio, in modo che le sue gambe scendessero ad incrociare le mie braccia divaricate. Era un bisonte, sentii le ossa flettersi per il peso e il dolore atroce mi risvegliò, urlai, urlai dannandoli e insultandoli nel misto di sofferenza e rabbia che mi riempiva al che lui si sedette pesantemente sulla mia testa, dovetti girarla da un lato per evitare che mi spappolasse il naso mentre le mie urla venivano soffocate fra la sua carne e il pavimento. Sbattevo le gambe furiosamente fino a che il secondo uomo non ripeté la stessa tecnica dietro di me mettendosi in ginocchio sui miei polpacci e raddoppiando il peso e il dolore sulle mie povere ossa. Non potevo muovermi in alcun modo, l'unica cosa che mi era concessa era raspare il pavimento con le unghie che in poco cominciarono a sanguinare. Sentivo i ghigni dei due giganti che mi avevano sottomessa mentre si guardavano seduti comodi sul mio corpo, il peso da sostenere era enorme e il mio seno abbondante sembrava stare per esplodere per la pressione con il pavimento ma poi sentii un rumore, ferro che striscia sul ferro, non potevo vedere, non potevo capire fino a che la disperazione non prese possesso di me. Il ferro rovente stava mangiando la mia carne proprio sotto la spalla sinistra, sulla schiena, il calore era talmente forte che mi sentivo bruciare fino al petto, il ferro venne tenuto a lungo e spinto forte, in profondità, la carne si consumava sfrigolando mentre l'odore di pelle bruciata, della mia pelle bruciata mi arrivava alle narici.
Urlai, anche in quella posizione urlai tanto che l'eco mi ferì le orecchi mentre i due carnefici ridevano di me sopprimendo con il loro peso ogni mio sobbalzo. Non sentii mai il ferro abbandonarmi, l'aria mi mancò prima, miriadi di puntini luminosi mi apparvero davanti agli occhi illuminandosi sempre più poi il buio e solo il mio urlo incessante a farmi compagnia ma sempre più lontano.
Svenni prima di smettere di sgolarmi per l'atroce sofferenza.
Nel buio in cui mi trovavo sogni angoscianti mi raggiunsero, lavoravo nel campo vicino alla piccola casa dei miei genitori quando vidi passare quel tizio ammantato seguito da molti uomini, raggiunse mio padre distante da me, non potevo sentire cosa dicessero ma l'uomo puntava l'indice verso di lui che indietreggiava, sembrava spaventato. Buoi nella mia mente e poi il ricordo offuscato della notte venni in cui venni svegliata dalla voce dei miei, arrivava da lontano, dal piano di sotto, capivo poco:
“non possiamo”
“non abbiamo scelta, non vogliono lasciarsi dietro una scia di sangue ma se dovranno ci ammazzeranno e prenderanno comunque quello che vogliono”
“non è giusto (singhiozzi), perché lei?”
Ancora buoi.
Non so per quanto restai svenuta ma, al mio risveglio, il sole era tornato a far filtrare qualche raggio nella cella, ero sdraiata a terra, nuda, esattamente nella posizione in cui mi avevano bloccato, il freddo intenso si era impadronito delle mie ossa e non mi fece rendere conto del mio stato ma appena provai a muovermi tutto esplose, braccia, gambe e collo su cui si vedevano distintamente grossi lividi violacei mi facevano un male atroce, non riuscivo ad alzarmi e le mani mi tremavano convulsamente ma questo era nulla in confronto al dolore alla schiena dove la sensazione era quella che mancasse un grosso pezzo di carne come se qualcuno si fosse preso una grossa cucchiaiata di me con un cucchiaio rovente. Spezzata nel dolore ma non nello spirito mi trascinai lentamente verso il letto e mi ci issai, non potevo girarmi e mi accontentai di essermi almeno liberata del pavimento gelido.
Dovette sparire il sole prima che riuscissi a riacquistare la capacità di muovermi, i lividi davano meno fastidio ma la schiena non mi lasciava pace. Ero debole, due giorni in quella cella lugubre senza mangiare e bere. Mi trovai costretta ad urinare in quel buco fetido trattenendo il fiato per tutto il tempo. Studiai attentamente la porta alla ricerca di punti deboli ma i cardini erano robusti e inattaccabili. Non vi era via d'uscita da li, tornai sul letto azzannata dai morsi della fame e della sete, nel silenzio più totale spezzato solo da un intermittente battere dietro un muro.
Era notte già da un po' quando la porta si aprì, ne entrò uno dei due che mi avevano marchiato a fuoco, in mano aveva un vassoio con cibo, acqua e una pesante coperta.
Non volevo dargli soddisfazione ma alla vista del pane, di un piatto fumante il mio stomaco fece un forte rumore ma feci finta di niente. L'uomo appoggiò tutto in uno scanso nella roccia e poi, mentre lo guardavo stupita si tolse pantaloni e mutande restando davanti a me con un grosso cazzo in tiro. Non ne avevo mai visto uno ma sapevo cosa voleva fare, scattai in piedi incurante dei vari dolori urlando furibonda:
“non osare, schifoso bastardo maledetto, non ti avvicinare a me, non mi avrai mai, preferisco la morte”
Stavo per urlargli che ero vergine ma poi mi trattenni e giocai il tutto per tutto, scattai verso la porta lasciata aperta, ero già al suo fianco, lo avevo quasi sorpassato e cominciavo a crederci quando il suo pugno colpì in pieno, affondandoci dentro, il mio stomaco. L'aria venne aspirata in me con un rumore sordo mentre le gambe subito cedettero, riuscivo solo a stare piegata tenendomi lo stomaco dove la sua mano era ancora conficcata, non avevo la forza per muovere un muscolo. Lui mi alzò con quell'unica mano e praticamente mi lanciò contro il letto.
Le ginocchia cozzarono il pavimento mentre lo spigolo del mobile sferrava un altro colpo al mio addome ferito. Ero immobilizzata dal dolore mentre lo sentivo avvicinarsi dietro di me, volevo reagire, volevo sfuggire a quella condanna ma il corpo non rispondeva. Lui si piazzò alle mie spalle e lo sentii sputare più volte poi le possenti mani mi afferrarono le chiappe e le aprirono con forza, quasi a strapparle, incapace anche di urlare sentii la punta del cazzo appoggiarsi e iniziare a spingere e quasi sorpresa mi resi conto che non stava puntando alla mia virtù, quel bastardo voleva sodomizzarmi. La paura, la furia e l'incapacità di accettare quel destino mi fecero riprendere un po', cercai di divincolarmi e quasi ci riuscii, ero sgattaiolata un po' su un fianco mentre il duro terreno mi lacerava le ginocchia ma la sua enorme mano mi afferrò per il collo ributtandomi in posizione, il divario di forza era troppo enorme ma non avevo la minima intenzione di stare li ferma a farmi infilare quello schifoso pezzo di carne maleodorante nel culo. Mi dimenavo freneticamente riuscendo a rendergli impossibile prendere la mira ma poi arrivò un altro pugno, su un rene, che mi spezzo il fiato e stroncò ogni mia velleità. Per essere certo di non essere disturbato quel mostro mi mise la mano che mi teneva il collo proprio sopra il punto in cui ero stata ustionata e vinta dal dolore lo sentii farsi strada brutalmente nel mio sfintere. Spingeva in modo brutale fregandosene delle mie carni, sentivo il mio forellino mai violato allargarsi e lacerarsi mentre quella carne putrida vi strideva dentro. La mancanza di fiato non mi permetteva neanche di urlare e lui riuscì, affondo dopo affondo, grugnito dopo grugnito ad inserire tutta la sua mazza dentro il mio culo. A quel punto mi prese i fianchi con tutte e due le mani, riusciva quasi a cingermi tutta la vita, mi fece sollevare un po' il busto come fossi una bambola e iniziò a sfondarmi, lo estraeva e riaffondava di colpo, i suoi fianchi sbattevano sul mio culo tanto forte che le tette, libere in aria, sobbalzavano fino a sbattermi sul mento. Era poco lubrificato e il dolore per lo sfregare, per le improvvise dilatazioni del mio canale mi fece ritrovare la forza di urlare la mia disperazione. Continuò ad affondare dentro il mio deretano a lungo, grugnito dopo grugnito, alla fine fui costretta ad allungare le mani per puntellarmi al muro o mi ci avrebbe sbattuta contro, ad ogni affondo le dita si stringevano convulsamente graffiando i mattoni e strappando un po' della fanghiglia che li univa insieme, presto sanguinarono ma finì, un ultimo lungo affondo, un ultimo lungo grugnito e qualcosa di caldo che si riversava a fiotti nelle mie viscere. Estrasse la sua mazza dalle mie interiora e si rivestì con calma mentre io restavo immobile ansimando per quella peculiare iniziazione al sesso, l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era quel misto di malta e sabbia che avevo scavato fra mattone e mattone con la disperazione delle unghie insanguinate. Prima di andarsene riprese il vassoio con il cibo e la coperta lasciando solo l'acqua e oltrepassando la porta mi disse:
“queste me le porto via, vediamo se impari a non fare la difficile, ci vediamo domani sera”
Dopo qualche minuto mi trascinai verso lo scanso nella pietra dove c'era l'acqua, presi la brocca lasciata davanti ai mattoni che in quel punto erano più sottili in modo da creare lo scanso e mi dissetai con la compagnia di quel solito clangore ritmico che mi arrivava proprio da dietro quel muro. Ero sfinita, distrutta nel corpo dallo stupro e dalle botte e distrutta nello spirito dalla fame e dal freddo. Dormii un sonno inquieto popolato dal ricordo di come ero stata strappata dal mio letto, incappucciata e portata via dalla casa dei miei genitori, le grida di mia madre che chiedeva perdono, il silenzio di mio padre e la mia incapacità di capire cosa stesse succedendo.
Ben poco avevo da fare se non osservare il sole cambiare tonalità, passeggiare non era piacevole, il dolore alla schiena per l'ustione era ancora aggressivo e il culo deflorato con brutalità per fortuna non sanguinava ma non era certo uscito illeso dal trattamento della sera prima e i vari lividi per le botte prese facevano da contorno al mio corpo martoriato. Mi costrinsi comunque a non arrendermi e misi in pratica un'idea che mi era venuta proprio mentre venivo sodomizzata, le mie mani che scavavano involontariamente le mura della cella mentre il mio canale anale veniva dilatato mi fecero riflettere e allora, avvicinatami alla nicchia dove mi avevano lasciato l'acqua, provai a scavare fra mattone e mattone con le unghie.
L'argilla mista a sabbia che faceva da collante era morbida a causa della forte umidità, riuscivo e scalfirla appena ma in breve mi trovai ad immolare, dolorosamente, un’unghia in quell'infruttuosa impresa e dovetti desistere. Il lento scorrere del tempo ozioso mi condusse comunque all'ora in cui arrivava il mio carnefice, la porta si aprì, stesso uomo, stesso vassoio e stessa coperta ma una differenza c'era, era arrivato anche l'altro tizio che mi aveva marchiato, aveva in mano un robusto manganello, grosso quasi quanto il mio polso e lungo come il mio avambraccio, nell'altra mano una fiaschetta. Il tizio che si era divertito alle mie spalle la sera prima, dopo aver appoggiato vassoio e coperta nel solito scanso, mentre iniziava a spogliarsi dei pantaloni imitato dal degno compare mi disse:
“hai deciso di collaborare? perché siamo in due e non abbiamo tempo da perdere”
“provate ad avvicinarvi e vi cavo gli occhi stronzi” Dissi, insensatamente, questo mentre avanzavo ma l'unica cosa che ottenni e che uno mi scivolò alle spalle bloccandomi le braccia mentre l'altro mi afferrò per le tette indifese, strinse forte, le dita che affondavano nelle morbide carni che andavano deformandosi, mi alzò da terra di peso lasciandomi appesa alle mammelle che sembravano volersi staccare. Per il dolore mi morsi così forti le labbra che cominciarono a sanguinare. Da quella posizione rialzata vedevo perfettamente il vassoio con le cibarie, una brocca d'acqua, un tozzo di pane raffermo, una ciotola piena di brodaglia e un cucchiaio, avevo bisogno di quel vassoio. Mi lasciò cadere a terra dove mi accasciai subito raggiunta da un calcione su un fianco che mi fece volare un metro più in la, le costole che urlavano, offese, nella mia testa. Mi afferrò per i capelli e per la fica immacolata e mi mise a quattro zampe, alzandomi le testa per fissarmi negli occhi scuri mi disse:
“e vedi di non mordere o ti strappo tutti i denti con delle tenaglie arroventate”
Non sembrava una minaccia vana e lui intuì la mia paura perché mi infilò subito il cazzo in bocca, il sapore era peggio dell'odore, sudore di giorni misto ad un'inesistente igiene personale, se avessi avuto qualcosa nello stomaco avrei vomitato. Il compare intanto si era messo alle mie spalle e stava versando qualcosa dalla fiaschetta sul manganello, lo lubrificò bene con la mano e poi iniziò a spingerlo nel mio culo indifeso.
Quell'arnese era veramente troppo grosso e i muscoli del mio sfintere facevano resistenza ma l'immane forza dell'energumeno unita all'abbondante lubrificazione ebbero presto la meglio sul mio buchetto che cedette allargandosi a dismisura. I tessuti divaricati inumanamente lanciarono fitte di dolore acuto verso il cervello e l'urlo lancinante che avrei voluto fare si strozzo sulla cappella dell'uomo che mi stava scavando la gola mentre la mazza di legno veniva fatta scendere nelle mie viscere per quasi tutta la sua lunghezza. Uno mi scavava la bocca alla ricerca della mia gola mentre l'altro muoveva il manganello all'interno del mio corpo, terribili crampi si impossessarono di me mentre sentivo la pelle dello stomaco tirare. L'uccello nelle mie labbra riuscì infine a forzare la lingua e ad iniziare a soffocarmi. Sapeva fare il suo lavoro, mi privava completamente del respiro stantuffando in profondità ma mai abbastanza da farmi perdere i sensi, mi lasciava quel minimo di aria che mi permetteva di non sfuggire alla tortura. Violenti colpi dati da mani pesanti colpirono le mie chiappe, tanto forte che solo il palo che avevo profondamente nel culo mi impediva di cadere su un fianco. Mugoli di disperazione uscivano dalla mia bocca straziata. Durò tanto che, quando sentii i primi fiotti invadermi la gola, le mie chiappe sembravano andare a fuoco per i colpi subiti e il mio stomaco era diventato insensibile. Il sapore salato dello sperma mi avvolse la bocca e dovetti deglutirlo tutto avendo la gola serrata dal cazzo del carnefice che lo teneva infilzato fino alla base per ostruire il passaggio. Infine uscirono tutti e due da me lasciandomi li tremante, portarono via tutto tranne l'acqua chiedendomi se domani avrei avuto abbastanza fame.
Passai la giornata praticamente immobile ad osservare il sole e a riflettere. Non volersi arrendere era una cosa ma farsi picchiare oltre che violentare non aveva senso. Arrivò la sera e i due energumeni si presentarono puntuali, solito vassoio, solita coperta e mi chiesero se avrei collaborato.
Non dissi nulla ma abbassai la testa, lo presero come un si ridendo sguaiatamente poi mi chiesero se ero vergine, alzai per un attimo la testa inferocita ma poi la riabbassai, non aveva senso, presero anche questo per un si e in coro dissero:
“bene, questa sera ti svergineremo per bene”
Si spogliarono completamente tutti e due, stesero la coperta per terra e uno vi si sdraiò sopra, pancia in su, latro mi diede una fiaschetta e mi spiegarono che se volevo mangiare e coprirmi dovevo ungere ben bene i loro due cazzi e poi sedermi, sverginandomi da sola, su quello sdraiato, al resto avrebbero pensato loro. Ormai avevo preso la mia decisione, oppormi sarebbe stato inutile, avrebbero preso quello che volevano con la forza in ogni caso. Mi unsi le mani e inizia a segare quei due luridi cazzi, sicuramente ero maldestra ma a loro interessava poco. Mi arrivò una botta sulla testa come segno che era ora di impalarmi, mi misi in posizione e inizia a puntare il cazzo di quello a terra sul mio sesso, feci fatica a trovare la stretta entrata ma poi sentii la cappella indovinare la strada e inizia a scendere, all'inizio non fu neanche doloroso, il bastone nel culo della sera prima non aveva paragoni, poi incontrai un ostacolo ma per quanto fossi vergine sapevo cosa stava per succedere, presi coraggio e mi lascia andare di peso, il cazzone finì tutto dentro la fica e sentii la sottile pelle strapparsi, fece male ma in confronto al male degli ultimi cinque giorni era nulla, mi sentii quasi sollevata ma una mano mi spinse la schiena da dietro facendomi stendere sul puzzolente aguzzino e impreparata sentii l'uomo dietro di me dire:
“non penserai che sia così facile, ti ho detto che ti avremmo sverginata, tutti e due, manco ancora io”
Bloccata per le braccia da quello che mi stava già impalando potei solo urlare mentre l'altro spingeva per entrare contemporaneamente nella mia stretta fica, non ero mai stata penetrata e i tessuti non erano in grado di dilatarsi così tanto. Fu come se mi avessero legato le gambe a due cavalli e li avessero fatti tirare in due direzioni diverse. Ci volle un'eternità perché il secondo riuscisse ad entrare completamente. La fica si stava squarciando letteralmente e io non smettevo di urlare disperata mentre mi dimenavo inutilmente fra le mani forti di quello che mi tratteneva. Una volta trovato spazio dentro di me cominciarono a scoparmi in modo meticoloso, entravano e usciva in modo alternato poi contemporaneamente e poi uno si fermava per evitare di venire mentre l'altro continuava a stantuffarmi. Dandosi il cambio nel muoversi dentro la fica continuarono a fottermi per un tempo che mi sembrò infinito mentre io non smettevo mai di urlare e piangere. Mi ritrovai, incredula di me, a chiedere pietà cosa che servì solo a farli concentrare di più per allungare il mio supplizio. Alla fine quello dietro di me mi afferrò i capezzoli con le dite e cominciò a stringerli con tutta la forza mentre si scaricava nel mio sesso. I miei urli divennero assurdi, mi sentivo mancare e la vista mi si era offuscata. Quello sotto, eccitato a dismisura dalla mia sofferenza non resistette e si scaricò anche lui. Si ripulirono sul mio corpo insanguinato e mi lasciarono li praticamente esanime. Continuai a vagare fra lucidità e disperazione a lungo ma alla fine mi ripresi, subito alzai gli occhi per controllare, questa volta mi avevano lasciato viveri e coperta. Mi trascinai fra atroci dolori e finalmente sfamai una fame di giorni e giorni, non sentii neanche il sapore tanta era la necessità di nutrirmi.
Alla fine mia avvolsi il più possibile nella pesante coperta macchiata del sangue della mia virtù presa in modo inumano e trovato un debole riparo dal freddo glaciale con cui ormai convivevo caddi addormentata nel letto duro.
Tempo dopo sentii la porta aprirsi, feci finta di non essermi svegliata sperando che mi lasciassero in pace e così fu, qualcuno prese il vassoio e subito se ne andò. Aspettai che si chiudesse la porta prima di guardare la mia ricompensa per tanta sofferenza. Per la prima volta in giorni sorrisi guardando, stretto nella mia mano, il cucchiaio di duro metallo.
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