Teresa l'indomita - Cap. 2
di
Glorfindel
genere
dominazione
CAPITOLO 2
Correva l'anno 1037dc, le guerre intestine che avevano colpito la regione in cui si svolge il nostro racconto quasi venti anni prima avevano lasciato la zona priva di una vera guida e in balia di piccoli signorotti e dei malviventi che spadroneggiavano sul popolo indifeso. In mezzo al bosco, non molto distante da una strada di collegamento vi era un palazzo antico, al suo interno, in profondità, in una cella fatiscente, prigioniera da un paio di settimane, Teresa.
Sentivo le piccole pietre infilzarsi nella pelle delle ginocchia mentre con quella lunga asta di carne mi scavavano la bocca in profondità, era solo il primo e ne dovevo prendere un altro per aver finito e sperare di essere lasciata in pace. I miei due aguzzini, puntuali come ogni giorno, avevano inventato un nuovo gioco per me. Si erano presentati portando un grosso sacco assieme al mio pranzo. Era ormai chiaro che mi sarei dovuta guadagnare ogni cena usando il mio corpo e mi ero ormai rassegnata a sottostare a questa condizione ma non mi rendevano la cosa facile. I miei carcerieri non mancavano certo di sadismo e spesso inventavano nuovi giochi che li distraessero dal loro continuo scoparmi e incularmi nei modi più fantasiosi. Per quella serata avevano pensato bene di spargere al suolo uno strato di piccolo pietrisco, denudatisi mi avevano avvertito che li avrei dovuti far venire tutti e due con la bocca, senza usare le mani e inginocchiandomi su quell'aguzzo tappeto. Non mi sarei dovuta alzare per nessun motivo prima di aver finito o si sarebbero portati via ogni pietanza e, nella mia testa, non potei fare a meno di pensare che mi avrebbero anche riempito di botte. Si misero uno di fianco all'altro, un po' distanziati, ad aspettarmi. Rassegnata mi diressi verso il mio calvario, mi inginocchia di fronte al primo uomo appoggiando le ginocchia lentamente e mentre cercavo ancora di riprendermi dal dolore della carne perforata mi ritrovai la bocca occupata. Quel grosso uccello era come sempre disgustoso, lercio e cosparso di una sgradevole patina bianca, l'odore dell'uomo, sudore stantio e sporcizia, era ancora più intenso nei peli del pube che mi ritrovavo proprio sotto il naso, non mi ero ancora abituata a quel trattamento e resistere allo stimolo di vomitare era veramente difficile. Il bestione incominciò a stantuffarmi la bocca con lenti ma robusti affondi in modo da far sobbalzare dolorosamente il mio morbido e abbondante seno da tutte le parti. Provai ad afferrarmi le mammelle per tenerle ferme ma, com'era ovvio che fosse, mi fu subito ordinato di portare le braccia dietro la schiena. I continui affondi facevano lavorare il pietrisco sulle ginocchia e sulle piante dei piedi, sentivo i sassolini entrare sempre più in profondità, il dolore era atroce ma poco potevo fare per sottrarmi e non volevo dare la soddisfazione ai miei torturatori di sentirmi urlare. Alla fine il possente pene riuscì a forzare la mia gola e, affondo dopo affondo, ad entrare per tutta la sua lunghezza tra le mie labbra. La mancanza d'aria unita ai peli pubici che ora ricoprivano totalmente il mio naso mi fecero quasi perdere i sensi ma il lavoro dell'uomo su di me non mi dava la possibilità di stare ferma un secondo e quindi quei sassolini ormai simili ad aghi appuntiti riuscivano a tenermi presente senza problemi. La massa che mi ingombrava la gola si ritrasse di quasi metà della sua lunghezza per poi riaffondare di nuovo in profondità, questo movimento ripetuto sempre più rapidamente mi faceva sentire come un rospo a cui si gonfia la gola spasmodicamente. L'unica cosa a cui riuscivo a pensare era che in quel modo presto mi sarebbe venuto in gola, la cosa forse mi faceva più schifo dell'odore in cui ero immersa ma almeno avrebbe voluto dire che ero a metà strada. I grugniti dell'uomo andavano aumentando e il compagno mi passò il piatto che conteneva la mia cena dicendomi:
“quando ti esce dalla bocca continua a segarlo con una mano e fallo venire nella tua cena, poi farai lo stesso con me, vedrai, sarà più saporita”
Mentre lo sconquassamento delle mie vie respiratorie continuava i due si godettero una lunga risata per la nuova umiliazione che mi stavano imponendo. Con l'aumentare dei respiri dell'uomo che mi stava lavorando aumentarono anche i suoi affondi sia in lunghezza che in brutalità, colpi violenti mi arrivavano sul naso dai muscoli del suo addome mentre trattenevo a stento gli sforzi di stomaco dovuti a quella grossa cappella che mi invadeva la gola. Erano aumentati anche i movimenti impressi al mio corpo e mi sembrava che qualche sassolino avesse raggiunto le ossa mentre tenevo in equilibrio il piatto con il mio unico sostentamento. In fine uscì dalla mia bocca urlando:
“segalo stronza, segalo e fammi venire nel piatto puttana”
Esegui e guardai mentre una delle poche cose che mi erano rimasta da persona normale veniva lordata. Ora anche il mio cibo era cosparso dell'abuso che veniva perpetrato su di me. Non feci neanche in tempo a finire che subito l'altro mi disse:
“forza troia, ora trascinati da me che sei ancora a metà del lavoro e sta attenta a non rovesciare la tua saporita cena o avrai fatto tutto per nulla”
Le loro risate fecero da coro al mio lento trascinarmi verso l'altro uomo che era almeno a un metro di distanza, nuovi spuntoni si andarono ad aggiungere a quelli già presenti nella mia carne ed altri andarono a spingere in profondità dove la pelle era già occupata da vecchia ghiaia. Quando arrivai mi sembrò di aver percorso dieci miglia ma il pasto era ancora nel piatto. Mi venne chiesto prima di leccare bene il cazzo fino a farlo lindo e a coprirlo di saliva e poi di fare tutta da sola in modo da poter fare attenzione a non rovesciare il piatto. Leccare ed ingoiare tutto lo smegma urinario che ricopriva il pene fu un'esperienza terribile, il sapore disgustoso prese possesso del mio palato in modo aggressivo ma alla fine quel membro fu lucido e mi venne dato il permesso di iniziare il mio lavoro. Negli ultimi giorni avevo avuto occasione di lavorare di bocca molte volte e per necessità avevo appreso come farlo in modo da arrivare al godimento di lui il più rapidamente possibile.
Purtroppo lo stronzo se ne accorse e mi intimò di non provare a farlo venire prima di averlo ingoiato fino in fondo. Questo cazzo era un po' più corto dell'altro ma molto più largo, mi faceva male la mascella per lo sforzo di divaricarla tanto da ospitare quell'ingombro ma almeno la gola ormai allenata aveva vita più facile. Lo feci affondare tutto fino ad immergere il viso nel suo pube e li incomincia a muovermi ritmicamente facendolo uscire e rientrare di poco. Per il movimento veloce sentii colare un po' di zuppa a lordarmi il corpo ma continuai ed ottenni l'effetto voluto.
Il bestione mi grugni di farlo venire, lo feci arretrare dalla mia gola ed inizia a lavorarlo di lingua sul glande mentre succhiavo rumorosamente. Non ci volle molto perché potessi scaricare l'abbondante e denso sperma nel piatto.
I due, soddisfatti, si rivestirono e se ne andarono augurandomi buona cene. Restai a fissare il piatto per un po', lo sperma raggrumato si era andato a mischiare ovunque, toglierlo era impossibile e a malincuore dissi addio anche a quel frammento di dignità, mi nutrii, avevo bisogno di forze, avevo un lavoro da portare avanti.
Ci vollero delle ore perché riuscissi a togliere tutto il pietrisco dalla carne ma la situazione era meno grave di quanto sembrasse mentre la subivo. No riuscivo a pensare ad altro che a portare avanti il mio progetto, dopo aver rubato il cucchiaio, come prima cosa, dovetti scavare una nicchia sotto il letto e dovetti farla in modo che si incastrasse a perfezione ed in modo solido, avevo paura che potesse cadere a terra vista la violenza con cui venivo violentata spesso su quel letto. Fu un lavoro lungo perché non era certo un oggetto affilato ma grazie al legno marcio alla fine riuscii nel mio intento. Dopo quel preparativo mi dedicai al lavoro vero e proprio, con il manico del cucchiaio riuscivo, molto lentamente, ad avere la meglio sulla malta che teneva i mattoni uniti fra loro e sfruttando la parte di muro sottile sopra la nicchia in cui mi lasciavano il vitto, riuscivo a scavare per tutta la profondità fra mattone e mattone, il lavoro procedeva lento perché dovevo liberarmi del materiale scavato e visto che la fossa che mi era stata assegnata come toilette non era in grado di ospitare tutto quel materiale mi trovai costretta e ricacciarlo, con le mani, tra mattone e mattone nelle parti di muro che non mi interessavano, capii subito che si sarebbe trattato di un lavoro di mesi ma non è che avessi molto altro da fare quindi mi aggrappai a quella speranza.
Il tempo scorreva lento mentre il mio progetto andava avanti millimetricamente, come prezzo per ogni mio pasto il mio corpo veniva straziato dalle fantasie dei miei aguzzini, più volte mi fecero rifare il gioco della ghiaia che sembrava dargli una particolare soddisfazione ma quando invece di venire in coppia ne arrivava uno solo forse era anche peggio. Uno aveva una vera passione per il mio culo in cui si divertiva ad infilare oggetti di varia natura e dimensione, a dilatarlo infilando due dita di una mano e due dell'altra per poi allargare l'apertura al massimo che riusciva mentre io urlavo disperata, una volta tentò di infilarci l'intera mano ma il dolore era tanto forte che non riuscivo a stare ferma e starnazzavo talmente tanto che alla fine desistette accontentandosi di sodomizzarmi mentre mi riempiva di sculacciate con quelle mani nerborute che sembravano scavarmi le morbide carni. Il secondo, invece, preferiva le mie tette. Mi faceva impalare la fica mentre lui stava sdraiato per terra e poi inveiva sulle mie grosse mammelle con forti sberle e stringendole nelle mani con tutta la forza che poteva. Si aggrappava spesso ai capezzoli con i denti facendomi contorcere come una pazza per il dolore. Il gioco finiva solo quando riuscivo a farlo venire ma farlo in quel modo era veramente un’impresa, il dolore mi toglieva la capacità di muovermi a piacere quindi la tortura durava un tempo che io percepivo come ore.
Quello che era certo è che ogni mia cena era sempre condita con la sborra di quei due sadici. Tenevo il conto delle albe grazie all'apertura in cima alla cella e dopo quello che contavo come un mese ci fu un cambiamento.
Venni completamente abbandonata, passarono quattro giorni senza che vedessi nessuno e senza che ricevessi ne cibo ne acqua. Il quarto giorno la porta si aprì, avevo la gola riarsa tanto che nella disperazione avevo provato a leccare l'umidità dai muri, già dalla fine del terzo giorno non lavoravo più ai miei scavi, facevo fatica a respirare come se l'aria che passava nella gola secca fosse sabbia. Forti dolori erano comparsi in tutti il corpo durante le ultime ore quindi, quando vidi qualcuno entrare dalla porta, riuscii solo a chiedere acqua disperata. Acqua ebbi, era una donna di mezza età quella giunta in mio soccorso e mi fece subito dissetare, il senso di sollievo fu indicibile e continuai a bere avidamente mentre nella cella venivano sistemati una vasca da bagno che fu riempita di acqua calda e vari contenitori. La donna mi spiegò che il padrone voleva vedermi quindi ero stata lasciata sola perché mi purificassi dai residui che i miei compiti normali lasciavano su di me, in pratica dovevo pulirmi delle violenze che subivo normalmente. Ora avrei dovuto essere lavata, profumata e preparata per il mio padrone e dopo aver indossato una vestaglia lei mia avrebbe condotto al suo cospetto. Fu molto scrupolosa nel suo lavoro, mi liberò di ogni pelo sul corpo, mi lavò con attenzione senza tralasciare gli angoli più nascosti e pulì approfonditamente i miei orifizi penetrandoli con le dita per lustrare anche l'interno. Fu scrupolosa anche con la bocca, i denti e perfino la lingua chiedendomi di farle sentire l'alito e continuando fino alla completa soddisfazione del risultato.
Alla fine mi vestì con una sottile stoffa, mi fece mettere dei sandali ai piedi perché non si sporcassero durante il tragitto, mi bendò con attenzione e mi disse di andare. Per la strada provai a dirle che dopo quattro giorni morivo di fame e lei mi spiegò che c'erano delle regole. Non avrei dovuto per nessun motivo togliermi la benda, non dovevo parlare per nessuna ragione, se lui avesse parlato io dovevo solo eseguire e mai e poi mai rispondere, ogni cosa che mi veniva chiesta dovevo eseguirla all'istante senza indecisione. Se non avessi fatto una di queste cose sarei stata abbandonata nella mia cella a morire di sete. Se avessi eseguito alla lettera, al mio ritorno, avrei trovato del cibo e sarei tornata alla mia vita normale fino a quando il padrone non avesse richiesto di me.
Il percorso che dovetti fare nell'assoluta cecità fu lungo e dopo le prime svolte non riuscii più a memorizzarlo, alla fine arrivammo e la mia guida mi disse:
“ora entriamo, ricorda bene quello che ti ho detto, con lui non sono ammessi errori, ne va della tua vita”
Entrammo e dopo pochi passi ci fermammo e subito sentii il vestito che mi veniva sfilato lasciandomi completamente nuda e indifesa. Sentii i suoi occhi che mi osservavano penetranti, 1,55 centimetri, capelli scuri, lisci che mi arrivavano fino all'altezza del seno prosperoso e sodo che svettava indomito sul mio vitino stretto ornato da capezzoli con grosse aureole, non propriamente magra neanche dopo la dieta forzata ma semplicemente morbida quanto basta. Labbra carnose incastonato in un viso adolescente che sembrava voler sfidare il mondo. Un culo sodo, prepotente ed invitante sorretto da cosce morbide. Restai li in piedi per svariati minuti, immobile ed in assoluto silenzio mentre godevo finalmente di aria fresca e pulita che accarezzava il mio corpo facendo inturgidire i miei capezzoli. Mi sentii prendere da mani femminili per un braccio e fui accompagnata verso quello che sembrava un tavolo, mi fece sdraiare a pancia in su, il tavolo era corto, mi lasciava la testa e parte del culo fuori dal piano. Sentii la mia accompagnatrice prendermi le braccia e allungarle gentilmente verso il basso per poi legarle alle gambe del tavolo, dopo mi legò la vita al piano che mi sosteneva e fu poi la volta delle gambe che furono rannicchiate sul mio ventre, allargate in modo che non coprissero il seno e così bloccate. In breve, per la mancanza di qualcosa che sorreggesse il collo, dovetti abbandonare la testa indietro.
Sentivo passi pesanti intorno a me mentre immaginavo l'uomo che di fatto e contro la mia volontà era ormai il mio padrone. Sentii in contemporanea mani forti sfiorarmi il corpo ovunque e qualcosa di non molto grosso introdursi nel mio ano per poi gonfiarsi un po' fino a rimanervi incastrato. Dopo poco sentii un liquido caldo uscire dall'intruso nel culo ed invadere l’addome, non era doloroso e cercai di rimanere rilassata. Man mano che il liquido mi riempiva le mani che mi sondavano si facevano più invadenti, iniziarono a palparmi il seno in modo pieno, giocarono con i capezzoli a lungo ma non divennero mai violente. Dopo un po' si spostarono e saggiarono ogni centimetro di pelle esposta, percorsero a lungo le gambe rannicchiate, saggiarono i fianchi facendomi venire i brividi, si posarono sul viso a cercare le labbra, le scavarono e io non opposi resistenza quando si introdussero nella bocca a giocare con la lingua. Nel frattempo il liquido continuava ad entrare in me e sentivo il ventre gonfiarsi sempre più. Dopo un po' la pressione al mio interno diede il suo effetto e dei crampi allo stomaco mi strapparono a quel trattamento che sicuramente era stato il più piacevole da che ero prigioniera. I dolori si fecero presto lancinanti e la voglia di liberarmi impellente ma lo strumento che mi sodomizzava era ben piantato in me ed impediva ogni fuoriuscita. Mi sfuggi qualche gemito di dolere e subito dopo sentii un bacio leggero, soffice, appoggiarsi sulle mie labbra. Un odore forte e piacevole mi arrivò alle narici, non riuscivo a capire cosa fosse, non avevo mai sentito un odore così poi lui parlò solo per dirmi: “shhhhhh'' Staccò le labbra dalle mie labbra per sostituirle con quello che riconobbi subito come un glande, aprii la bocca mentre le corde mi impedivano di contorcermi per i dolori dati dall’addome rigonfio. Lui entrò, senza violenza ma deciso, forzò ogni resistenza e si infilò subito nella gola ad azzittirmi, si aggrappò al seno e li restò a scoparmi lentamente e implacabilmente la gola mentre io mi sentivo talmente piena da scoppiare. Non c'era il minimo segno di violenza sadica in quello che mi stava facendo, era semplicemente metodico, faceva di me quello che voleva come se io fossi un puro oggetto privo di volontà, non si accaniva sul seno, lo palpava con forza, mi stropicciava i capezzoli come stesse lavorando della pelle per farne un abito. Non vi era rabbia ne godimento del mio dolore, doveva essere fatto e così era, semplicemente. Svenni diverse volte per la mancanza di aria e subito fui ridestata da un forte odore che mi veniva messo vicino al naso solo per ricominciare il lavoro sul mio corpo, se non fossi stata bendata ero sicura che avrei visto il mio addome gonfio come fossi una gestante poco prima del parto. Poi, mentre quel lento andirivieni nella gola continuava come fosse una macchina a guidarlo il liquido si fermo e la donna che mi aveva accompagnato mi disse: “stringi bene il sedere, non fare uscire una goccia” Quella situazione mi aveva come distaccata dal corpo, venivo trattata da oggetto e cominciavo a sentirmi come un oggetto, come se il mio corpo non mi appartenesse. Per quanto i dolori fossero forti esegui stringendo i muscoli dello sfintere più che potevo e mentre lo stantuffare nella bocca procedeva impietoso sentii la pallina nel mio culo sgonfiarsi e la cannula ritrarsi per essere subito sostituita da un grosso tubo, grosso almeno quanto un polso che penetrò dolorosamente l’ano forzando i muscoli che tenevo contratti per non far fuoriuscire il liquido che mi invadeva lo stomaco. Appena il tubo entrò in me mi sentii svuotare rapidamente e un gran senso di sollievo mi invase, non sentivo il liquido che defluiva e mi chiesi dove fosse andato a finire. Se per riempirmi c'era voluta un'infinità svuotarmi fu un attimo e l'ingombrante tubo mi fu tolto dal culo in breve tempo ma solo per essere sostituito da una cannula più grossa della precedente che si gonfiò anch'essa per andare a sopperire al cedere del mio orifizio. Venni gonfiata e sgonfiata altre due volte, la quantità di liquido immesso era sempre maggiore e la pelle dell'addome sembrava volersi strappare. Mentre i crampi non mi lasciavano scampo la gola si era ormai abituata al lento e profondo stantuffare che mi faceva sembrare la mascella slogata. L'ultimo clistere fu di acqua fredda e fu terribile, non riuscivo a fare a meno di dimenarmi ma, in quanto mero oggetto, non sembrava esserci nessuno interessato alla mia sofferenza. Per fortuna il liquido fu iniettato più rapidamente e la tortura finì in breve tempo dichiarata dalla voce della serva che diceva: “signore, ora è pulita”
Il grosso membro uscì dalla mia bocca, avevo il volto ricoperto di saliva, se me lo avessero chiesto avrei giurato di essere stata scopata in gola per almeno due ore. Ancora passi intorno a me, mani maschili che mi afferrano le chiappe e poi un cazzo virile che si infila sfacciatamente nel mio ano fino alla radice. Ancora nessun segno di violenza ma una semplice, lunga, metodica, inculata. Mani grosse a cingere i miei fianchi mentre, senza alcun rumore, quell'uomo prendeva possesso del mio culo con autorità come a comprovare che Teresa ormai era un suo semplice possedimento. Tutto il dolore provato per i clisteri mi aveva sfiancata e restai li vinta a farmi sodomizzare per tutto il tempo che volle gemendo leggermente. Quando ormai il bruciore al culetto era insopportabile per i lunghi e infiniti affondi lo sentii uscire e avvertii dei lunghi, caldi getti sul mio ventre, sui seni e anche sul volto. Come in trans mi leccai le labbra e conobbi il suo sapore.
Il resto è confuso, ero stordita mentre mi riaccompagnavano nella mia cella, venni fatta accasciare sul letto e li riposai. L'unica cosa di cui mi resi conto è che avevano cominciato a prepararmi per il mio padrone che era mattina ed ora il sole era tramontato.
Al mio risveglio il cibo era al suo posto con abbondante acqua e non era condito con sperma di sporchi aguzzini.
Mangiai con gusto anche se dovetti farlo in piedi, stare seduta non era ancora nelle mie possibilità visto il dolore al culo, appena finito ripresi il cucchiaio e ricomincia il mio lavoro.
Passarono nella solita routine quelli che contai come sei mesi, il padrone mi volle vedere altre due volte e ogni volta si ripeté il solito, straziante, processo anche se devo dire che mi ci sottoponevo, in un qualche modo, volontariamente. Stavo, mio malgrado, iniziando a riconoscere a quell'uomo una sorta di diritto su di me e questo non mi piaceva. Una sera, finalmente, dopo aver saziato i soliti due aguzzini e dopo aver divorato la cena da loro condita, approfittando della notte che avevo di fronte, ebbi la meglio sull'ultimo mattone, riuscii ad aprire una breccia nel muro.
Scivolai nella stanza accanto.
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Correva l'anno 1037dc, le guerre intestine che avevano colpito la regione in cui si svolge il nostro racconto quasi venti anni prima avevano lasciato la zona priva di una vera guida e in balia di piccoli signorotti e dei malviventi che spadroneggiavano sul popolo indifeso. In mezzo al bosco, non molto distante da una strada di collegamento vi era un palazzo antico, al suo interno, in profondità, in una cella fatiscente, prigioniera da un paio di settimane, Teresa.
Sentivo le piccole pietre infilzarsi nella pelle delle ginocchia mentre con quella lunga asta di carne mi scavavano la bocca in profondità, era solo il primo e ne dovevo prendere un altro per aver finito e sperare di essere lasciata in pace. I miei due aguzzini, puntuali come ogni giorno, avevano inventato un nuovo gioco per me. Si erano presentati portando un grosso sacco assieme al mio pranzo. Era ormai chiaro che mi sarei dovuta guadagnare ogni cena usando il mio corpo e mi ero ormai rassegnata a sottostare a questa condizione ma non mi rendevano la cosa facile. I miei carcerieri non mancavano certo di sadismo e spesso inventavano nuovi giochi che li distraessero dal loro continuo scoparmi e incularmi nei modi più fantasiosi. Per quella serata avevano pensato bene di spargere al suolo uno strato di piccolo pietrisco, denudatisi mi avevano avvertito che li avrei dovuti far venire tutti e due con la bocca, senza usare le mani e inginocchiandomi su quell'aguzzo tappeto. Non mi sarei dovuta alzare per nessun motivo prima di aver finito o si sarebbero portati via ogni pietanza e, nella mia testa, non potei fare a meno di pensare che mi avrebbero anche riempito di botte. Si misero uno di fianco all'altro, un po' distanziati, ad aspettarmi. Rassegnata mi diressi verso il mio calvario, mi inginocchia di fronte al primo uomo appoggiando le ginocchia lentamente e mentre cercavo ancora di riprendermi dal dolore della carne perforata mi ritrovai la bocca occupata. Quel grosso uccello era come sempre disgustoso, lercio e cosparso di una sgradevole patina bianca, l'odore dell'uomo, sudore stantio e sporcizia, era ancora più intenso nei peli del pube che mi ritrovavo proprio sotto il naso, non mi ero ancora abituata a quel trattamento e resistere allo stimolo di vomitare era veramente difficile. Il bestione incominciò a stantuffarmi la bocca con lenti ma robusti affondi in modo da far sobbalzare dolorosamente il mio morbido e abbondante seno da tutte le parti. Provai ad afferrarmi le mammelle per tenerle ferme ma, com'era ovvio che fosse, mi fu subito ordinato di portare le braccia dietro la schiena. I continui affondi facevano lavorare il pietrisco sulle ginocchia e sulle piante dei piedi, sentivo i sassolini entrare sempre più in profondità, il dolore era atroce ma poco potevo fare per sottrarmi e non volevo dare la soddisfazione ai miei torturatori di sentirmi urlare. Alla fine il possente pene riuscì a forzare la mia gola e, affondo dopo affondo, ad entrare per tutta la sua lunghezza tra le mie labbra. La mancanza d'aria unita ai peli pubici che ora ricoprivano totalmente il mio naso mi fecero quasi perdere i sensi ma il lavoro dell'uomo su di me non mi dava la possibilità di stare ferma un secondo e quindi quei sassolini ormai simili ad aghi appuntiti riuscivano a tenermi presente senza problemi. La massa che mi ingombrava la gola si ritrasse di quasi metà della sua lunghezza per poi riaffondare di nuovo in profondità, questo movimento ripetuto sempre più rapidamente mi faceva sentire come un rospo a cui si gonfia la gola spasmodicamente. L'unica cosa a cui riuscivo a pensare era che in quel modo presto mi sarebbe venuto in gola, la cosa forse mi faceva più schifo dell'odore in cui ero immersa ma almeno avrebbe voluto dire che ero a metà strada. I grugniti dell'uomo andavano aumentando e il compagno mi passò il piatto che conteneva la mia cena dicendomi:
“quando ti esce dalla bocca continua a segarlo con una mano e fallo venire nella tua cena, poi farai lo stesso con me, vedrai, sarà più saporita”
Mentre lo sconquassamento delle mie vie respiratorie continuava i due si godettero una lunga risata per la nuova umiliazione che mi stavano imponendo. Con l'aumentare dei respiri dell'uomo che mi stava lavorando aumentarono anche i suoi affondi sia in lunghezza che in brutalità, colpi violenti mi arrivavano sul naso dai muscoli del suo addome mentre trattenevo a stento gli sforzi di stomaco dovuti a quella grossa cappella che mi invadeva la gola. Erano aumentati anche i movimenti impressi al mio corpo e mi sembrava che qualche sassolino avesse raggiunto le ossa mentre tenevo in equilibrio il piatto con il mio unico sostentamento. In fine uscì dalla mia bocca urlando:
“segalo stronza, segalo e fammi venire nel piatto puttana”
Esegui e guardai mentre una delle poche cose che mi erano rimasta da persona normale veniva lordata. Ora anche il mio cibo era cosparso dell'abuso che veniva perpetrato su di me. Non feci neanche in tempo a finire che subito l'altro mi disse:
“forza troia, ora trascinati da me che sei ancora a metà del lavoro e sta attenta a non rovesciare la tua saporita cena o avrai fatto tutto per nulla”
Le loro risate fecero da coro al mio lento trascinarmi verso l'altro uomo che era almeno a un metro di distanza, nuovi spuntoni si andarono ad aggiungere a quelli già presenti nella mia carne ed altri andarono a spingere in profondità dove la pelle era già occupata da vecchia ghiaia. Quando arrivai mi sembrò di aver percorso dieci miglia ma il pasto era ancora nel piatto. Mi venne chiesto prima di leccare bene il cazzo fino a farlo lindo e a coprirlo di saliva e poi di fare tutta da sola in modo da poter fare attenzione a non rovesciare il piatto. Leccare ed ingoiare tutto lo smegma urinario che ricopriva il pene fu un'esperienza terribile, il sapore disgustoso prese possesso del mio palato in modo aggressivo ma alla fine quel membro fu lucido e mi venne dato il permesso di iniziare il mio lavoro. Negli ultimi giorni avevo avuto occasione di lavorare di bocca molte volte e per necessità avevo appreso come farlo in modo da arrivare al godimento di lui il più rapidamente possibile.
Purtroppo lo stronzo se ne accorse e mi intimò di non provare a farlo venire prima di averlo ingoiato fino in fondo. Questo cazzo era un po' più corto dell'altro ma molto più largo, mi faceva male la mascella per lo sforzo di divaricarla tanto da ospitare quell'ingombro ma almeno la gola ormai allenata aveva vita più facile. Lo feci affondare tutto fino ad immergere il viso nel suo pube e li incomincia a muovermi ritmicamente facendolo uscire e rientrare di poco. Per il movimento veloce sentii colare un po' di zuppa a lordarmi il corpo ma continuai ed ottenni l'effetto voluto.
Il bestione mi grugni di farlo venire, lo feci arretrare dalla mia gola ed inizia a lavorarlo di lingua sul glande mentre succhiavo rumorosamente. Non ci volle molto perché potessi scaricare l'abbondante e denso sperma nel piatto.
I due, soddisfatti, si rivestirono e se ne andarono augurandomi buona cene. Restai a fissare il piatto per un po', lo sperma raggrumato si era andato a mischiare ovunque, toglierlo era impossibile e a malincuore dissi addio anche a quel frammento di dignità, mi nutrii, avevo bisogno di forze, avevo un lavoro da portare avanti.
Ci vollero delle ore perché riuscissi a togliere tutto il pietrisco dalla carne ma la situazione era meno grave di quanto sembrasse mentre la subivo. No riuscivo a pensare ad altro che a portare avanti il mio progetto, dopo aver rubato il cucchiaio, come prima cosa, dovetti scavare una nicchia sotto il letto e dovetti farla in modo che si incastrasse a perfezione ed in modo solido, avevo paura che potesse cadere a terra vista la violenza con cui venivo violentata spesso su quel letto. Fu un lavoro lungo perché non era certo un oggetto affilato ma grazie al legno marcio alla fine riuscii nel mio intento. Dopo quel preparativo mi dedicai al lavoro vero e proprio, con il manico del cucchiaio riuscivo, molto lentamente, ad avere la meglio sulla malta che teneva i mattoni uniti fra loro e sfruttando la parte di muro sottile sopra la nicchia in cui mi lasciavano il vitto, riuscivo a scavare per tutta la profondità fra mattone e mattone, il lavoro procedeva lento perché dovevo liberarmi del materiale scavato e visto che la fossa che mi era stata assegnata come toilette non era in grado di ospitare tutto quel materiale mi trovai costretta e ricacciarlo, con le mani, tra mattone e mattone nelle parti di muro che non mi interessavano, capii subito che si sarebbe trattato di un lavoro di mesi ma non è che avessi molto altro da fare quindi mi aggrappai a quella speranza.
Il tempo scorreva lento mentre il mio progetto andava avanti millimetricamente, come prezzo per ogni mio pasto il mio corpo veniva straziato dalle fantasie dei miei aguzzini, più volte mi fecero rifare il gioco della ghiaia che sembrava dargli una particolare soddisfazione ma quando invece di venire in coppia ne arrivava uno solo forse era anche peggio. Uno aveva una vera passione per il mio culo in cui si divertiva ad infilare oggetti di varia natura e dimensione, a dilatarlo infilando due dita di una mano e due dell'altra per poi allargare l'apertura al massimo che riusciva mentre io urlavo disperata, una volta tentò di infilarci l'intera mano ma il dolore era tanto forte che non riuscivo a stare ferma e starnazzavo talmente tanto che alla fine desistette accontentandosi di sodomizzarmi mentre mi riempiva di sculacciate con quelle mani nerborute che sembravano scavarmi le morbide carni. Il secondo, invece, preferiva le mie tette. Mi faceva impalare la fica mentre lui stava sdraiato per terra e poi inveiva sulle mie grosse mammelle con forti sberle e stringendole nelle mani con tutta la forza che poteva. Si aggrappava spesso ai capezzoli con i denti facendomi contorcere come una pazza per il dolore. Il gioco finiva solo quando riuscivo a farlo venire ma farlo in quel modo era veramente un’impresa, il dolore mi toglieva la capacità di muovermi a piacere quindi la tortura durava un tempo che io percepivo come ore.
Quello che era certo è che ogni mia cena era sempre condita con la sborra di quei due sadici. Tenevo il conto delle albe grazie all'apertura in cima alla cella e dopo quello che contavo come un mese ci fu un cambiamento.
Venni completamente abbandonata, passarono quattro giorni senza che vedessi nessuno e senza che ricevessi ne cibo ne acqua. Il quarto giorno la porta si aprì, avevo la gola riarsa tanto che nella disperazione avevo provato a leccare l'umidità dai muri, già dalla fine del terzo giorno non lavoravo più ai miei scavi, facevo fatica a respirare come se l'aria che passava nella gola secca fosse sabbia. Forti dolori erano comparsi in tutti il corpo durante le ultime ore quindi, quando vidi qualcuno entrare dalla porta, riuscii solo a chiedere acqua disperata. Acqua ebbi, era una donna di mezza età quella giunta in mio soccorso e mi fece subito dissetare, il senso di sollievo fu indicibile e continuai a bere avidamente mentre nella cella venivano sistemati una vasca da bagno che fu riempita di acqua calda e vari contenitori. La donna mi spiegò che il padrone voleva vedermi quindi ero stata lasciata sola perché mi purificassi dai residui che i miei compiti normali lasciavano su di me, in pratica dovevo pulirmi delle violenze che subivo normalmente. Ora avrei dovuto essere lavata, profumata e preparata per il mio padrone e dopo aver indossato una vestaglia lei mia avrebbe condotto al suo cospetto. Fu molto scrupolosa nel suo lavoro, mi liberò di ogni pelo sul corpo, mi lavò con attenzione senza tralasciare gli angoli più nascosti e pulì approfonditamente i miei orifizi penetrandoli con le dita per lustrare anche l'interno. Fu scrupolosa anche con la bocca, i denti e perfino la lingua chiedendomi di farle sentire l'alito e continuando fino alla completa soddisfazione del risultato.
Alla fine mi vestì con una sottile stoffa, mi fece mettere dei sandali ai piedi perché non si sporcassero durante il tragitto, mi bendò con attenzione e mi disse di andare. Per la strada provai a dirle che dopo quattro giorni morivo di fame e lei mi spiegò che c'erano delle regole. Non avrei dovuto per nessun motivo togliermi la benda, non dovevo parlare per nessuna ragione, se lui avesse parlato io dovevo solo eseguire e mai e poi mai rispondere, ogni cosa che mi veniva chiesta dovevo eseguirla all'istante senza indecisione. Se non avessi fatto una di queste cose sarei stata abbandonata nella mia cella a morire di sete. Se avessi eseguito alla lettera, al mio ritorno, avrei trovato del cibo e sarei tornata alla mia vita normale fino a quando il padrone non avesse richiesto di me.
Il percorso che dovetti fare nell'assoluta cecità fu lungo e dopo le prime svolte non riuscii più a memorizzarlo, alla fine arrivammo e la mia guida mi disse:
“ora entriamo, ricorda bene quello che ti ho detto, con lui non sono ammessi errori, ne va della tua vita”
Entrammo e dopo pochi passi ci fermammo e subito sentii il vestito che mi veniva sfilato lasciandomi completamente nuda e indifesa. Sentii i suoi occhi che mi osservavano penetranti, 1,55 centimetri, capelli scuri, lisci che mi arrivavano fino all'altezza del seno prosperoso e sodo che svettava indomito sul mio vitino stretto ornato da capezzoli con grosse aureole, non propriamente magra neanche dopo la dieta forzata ma semplicemente morbida quanto basta. Labbra carnose incastonato in un viso adolescente che sembrava voler sfidare il mondo. Un culo sodo, prepotente ed invitante sorretto da cosce morbide. Restai li in piedi per svariati minuti, immobile ed in assoluto silenzio mentre godevo finalmente di aria fresca e pulita che accarezzava il mio corpo facendo inturgidire i miei capezzoli. Mi sentii prendere da mani femminili per un braccio e fui accompagnata verso quello che sembrava un tavolo, mi fece sdraiare a pancia in su, il tavolo era corto, mi lasciava la testa e parte del culo fuori dal piano. Sentii la mia accompagnatrice prendermi le braccia e allungarle gentilmente verso il basso per poi legarle alle gambe del tavolo, dopo mi legò la vita al piano che mi sosteneva e fu poi la volta delle gambe che furono rannicchiate sul mio ventre, allargate in modo che non coprissero il seno e così bloccate. In breve, per la mancanza di qualcosa che sorreggesse il collo, dovetti abbandonare la testa indietro.
Sentivo passi pesanti intorno a me mentre immaginavo l'uomo che di fatto e contro la mia volontà era ormai il mio padrone. Sentii in contemporanea mani forti sfiorarmi il corpo ovunque e qualcosa di non molto grosso introdursi nel mio ano per poi gonfiarsi un po' fino a rimanervi incastrato. Dopo poco sentii un liquido caldo uscire dall'intruso nel culo ed invadere l’addome, non era doloroso e cercai di rimanere rilassata. Man mano che il liquido mi riempiva le mani che mi sondavano si facevano più invadenti, iniziarono a palparmi il seno in modo pieno, giocarono con i capezzoli a lungo ma non divennero mai violente. Dopo un po' si spostarono e saggiarono ogni centimetro di pelle esposta, percorsero a lungo le gambe rannicchiate, saggiarono i fianchi facendomi venire i brividi, si posarono sul viso a cercare le labbra, le scavarono e io non opposi resistenza quando si introdussero nella bocca a giocare con la lingua. Nel frattempo il liquido continuava ad entrare in me e sentivo il ventre gonfiarsi sempre più. Dopo un po' la pressione al mio interno diede il suo effetto e dei crampi allo stomaco mi strapparono a quel trattamento che sicuramente era stato il più piacevole da che ero prigioniera. I dolori si fecero presto lancinanti e la voglia di liberarmi impellente ma lo strumento che mi sodomizzava era ben piantato in me ed impediva ogni fuoriuscita. Mi sfuggi qualche gemito di dolere e subito dopo sentii un bacio leggero, soffice, appoggiarsi sulle mie labbra. Un odore forte e piacevole mi arrivò alle narici, non riuscivo a capire cosa fosse, non avevo mai sentito un odore così poi lui parlò solo per dirmi: “shhhhhh'' Staccò le labbra dalle mie labbra per sostituirle con quello che riconobbi subito come un glande, aprii la bocca mentre le corde mi impedivano di contorcermi per i dolori dati dall’addome rigonfio. Lui entrò, senza violenza ma deciso, forzò ogni resistenza e si infilò subito nella gola ad azzittirmi, si aggrappò al seno e li restò a scoparmi lentamente e implacabilmente la gola mentre io mi sentivo talmente piena da scoppiare. Non c'era il minimo segno di violenza sadica in quello che mi stava facendo, era semplicemente metodico, faceva di me quello che voleva come se io fossi un puro oggetto privo di volontà, non si accaniva sul seno, lo palpava con forza, mi stropicciava i capezzoli come stesse lavorando della pelle per farne un abito. Non vi era rabbia ne godimento del mio dolore, doveva essere fatto e così era, semplicemente. Svenni diverse volte per la mancanza di aria e subito fui ridestata da un forte odore che mi veniva messo vicino al naso solo per ricominciare il lavoro sul mio corpo, se non fossi stata bendata ero sicura che avrei visto il mio addome gonfio come fossi una gestante poco prima del parto. Poi, mentre quel lento andirivieni nella gola continuava come fosse una macchina a guidarlo il liquido si fermo e la donna che mi aveva accompagnato mi disse: “stringi bene il sedere, non fare uscire una goccia” Quella situazione mi aveva come distaccata dal corpo, venivo trattata da oggetto e cominciavo a sentirmi come un oggetto, come se il mio corpo non mi appartenesse. Per quanto i dolori fossero forti esegui stringendo i muscoli dello sfintere più che potevo e mentre lo stantuffare nella bocca procedeva impietoso sentii la pallina nel mio culo sgonfiarsi e la cannula ritrarsi per essere subito sostituita da un grosso tubo, grosso almeno quanto un polso che penetrò dolorosamente l’ano forzando i muscoli che tenevo contratti per non far fuoriuscire il liquido che mi invadeva lo stomaco. Appena il tubo entrò in me mi sentii svuotare rapidamente e un gran senso di sollievo mi invase, non sentivo il liquido che defluiva e mi chiesi dove fosse andato a finire. Se per riempirmi c'era voluta un'infinità svuotarmi fu un attimo e l'ingombrante tubo mi fu tolto dal culo in breve tempo ma solo per essere sostituito da una cannula più grossa della precedente che si gonfiò anch'essa per andare a sopperire al cedere del mio orifizio. Venni gonfiata e sgonfiata altre due volte, la quantità di liquido immesso era sempre maggiore e la pelle dell'addome sembrava volersi strappare. Mentre i crampi non mi lasciavano scampo la gola si era ormai abituata al lento e profondo stantuffare che mi faceva sembrare la mascella slogata. L'ultimo clistere fu di acqua fredda e fu terribile, non riuscivo a fare a meno di dimenarmi ma, in quanto mero oggetto, non sembrava esserci nessuno interessato alla mia sofferenza. Per fortuna il liquido fu iniettato più rapidamente e la tortura finì in breve tempo dichiarata dalla voce della serva che diceva: “signore, ora è pulita”
Il grosso membro uscì dalla mia bocca, avevo il volto ricoperto di saliva, se me lo avessero chiesto avrei giurato di essere stata scopata in gola per almeno due ore. Ancora passi intorno a me, mani maschili che mi afferrano le chiappe e poi un cazzo virile che si infila sfacciatamente nel mio ano fino alla radice. Ancora nessun segno di violenza ma una semplice, lunga, metodica, inculata. Mani grosse a cingere i miei fianchi mentre, senza alcun rumore, quell'uomo prendeva possesso del mio culo con autorità come a comprovare che Teresa ormai era un suo semplice possedimento. Tutto il dolore provato per i clisteri mi aveva sfiancata e restai li vinta a farmi sodomizzare per tutto il tempo che volle gemendo leggermente. Quando ormai il bruciore al culetto era insopportabile per i lunghi e infiniti affondi lo sentii uscire e avvertii dei lunghi, caldi getti sul mio ventre, sui seni e anche sul volto. Come in trans mi leccai le labbra e conobbi il suo sapore.
Il resto è confuso, ero stordita mentre mi riaccompagnavano nella mia cella, venni fatta accasciare sul letto e li riposai. L'unica cosa di cui mi resi conto è che avevano cominciato a prepararmi per il mio padrone che era mattina ed ora il sole era tramontato.
Al mio risveglio il cibo era al suo posto con abbondante acqua e non era condito con sperma di sporchi aguzzini.
Mangiai con gusto anche se dovetti farlo in piedi, stare seduta non era ancora nelle mie possibilità visto il dolore al culo, appena finito ripresi il cucchiaio e ricomincia il mio lavoro.
Passarono nella solita routine quelli che contai come sei mesi, il padrone mi volle vedere altre due volte e ogni volta si ripeté il solito, straziante, processo anche se devo dire che mi ci sottoponevo, in un qualche modo, volontariamente. Stavo, mio malgrado, iniziando a riconoscere a quell'uomo una sorta di diritto su di me e questo non mi piaceva. Una sera, finalmente, dopo aver saziato i soliti due aguzzini e dopo aver divorato la cena da loro condita, approfittando della notte che avevo di fronte, ebbi la meglio sull'ultimo mattone, riuscii ad aprire una breccia nel muro.
Scivolai nella stanza accanto.
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