Accettare le consizioni - Capitolo 19
di
Glorfindel
genere
dominazione
CAPITOLO 19
Il tempo trascorreva, tre giorni passati nel temere quello che mi sarebbe successo, nell’attendere il momento in cui avrei dovuto espiare l’aver tradito.
Tre giorni di angoscia e null’altro. Tre giorni in cui non avevo visto nessuno se non chi mi portava il cibo. Tre giorni chiusa in una stanza, neanche male devo dire, comoda, spaziosa, silenziosa. Iniziavo quasi a sentirmi al sicuro fra quelle quattro mura e Dio solo sa quanto avevo bisogno di sentirmi al sicuro. L’unico problema? Marco. Tre giorni senza di lui, senza sentirlo, senza spiegargli e poi… come mai non mi cercava? cioè, non so se mi stesse cercando, ero isolata dal mondo ma santo Dio, sapeva dov’ero, mi ci aveva lasciata lui proprio mentre restituiva al Dottore quelle cazzo di carte che erano l’unica catena rimasta. Tre giorni, meglio andare a dormire aspettando il quarto…
Piena notte, profondamente addormentata mentre mi prendevano, tirata su di peso, incappucciata, che cosa strana, vestiti per il corpo mai, ero così abituata a stare nuda che stava divenendo quasi noioso però un cappuccio si, a coprirmi gli occhi, a celare cosa? Non era mai accaduto, nessuno si era mai preoccupato di non farmi vedere qualcosa tanto, per loro, ero solo una cagna ubbidiente che non si sarebbe mai lamentata, che non poteva lamentarsi o forse qualcosa era cambiato?
Che strani pensieri ma intanto stavamo viaggiando, io ero distesa da qualche parte senza sapere dove e senza sapere dove fossi diretta…
Dio, ma quanto tempo è che sono qui? un giorno? avevo visto il sole spuntare e poi nascondersi di nuovo, avevo male ovunque.
Il viaggio era durato un’oretta, venni scaricata e quando la luce artificiale raggiunse i miei occhi mi accorsi di essere in un bagno ma non era il bagno di una casa era tipo quello di un autogrill o una cosa del genere. Vari lavandini uno di fianco all’altro, tante porte a nascondere altrettante latrine e poi toilette, water di quelle appesi ai muri in cui gli uomini fanno pipì in piedi.
Alla fine c’ero io ben agghindata. Dopo aver trascorso la giornata chiusa in quella stanza, all’imbrunire, affamata, assetata, ero stata raggiunta da due uomini mai visti. Non mi avevano rivolto una sola parola mentre, con diligenza, mi preparavano.
Ero stata messa e bloccata proprio su un water di quelli classici da appoggiare a terra. Le gambe, lisce e tornite, erano ai lati del WC, i piedi tirati indietro in modo che le piante puntassero verso il muro alle mie spalle, le caviglie bloccate con una robusta corda che le cingeva passando dietro alla toilette.
Alle spalle del sanitario era stato aggiunto un robusto schienale dietro il quale erano stati legati insieme i miei polsi poi uniti con le caviglie. Già non mi sarei potuta muovere gran che ma la mia preparazione era ben lungi dall’essere completa.
Beh, parlavo di quei water attaccati al muro, quelli per fare la pipì in piedi, ecco, quelli hanno una specie di vaschetta davanti, tipo una grossa ciotola nel cui fondo c’è lo scarico. Subito sotto il mio seno era stata attaccata una cosa del genere con una fascia che mi cingeva lo sterno per allacciarsi dietro lo schienale bloccandomi completamente. E lo scarico? si, c’era ed era proprio in fondo a questa vasca su cui ora penzolavano le mie tette. Unica differenza, al di la dello scarico c’era un tubo, mi ero ormai fatta un’idea di quale fosso il mio ruolo in quel posto e in effetti uno scarico vuole un tubo che porti via quello che nello scarico finisce solo che non mi sarebbe mai venuto in mente che quel tubo, l’estremità opposta di quel tubo potesse andare a finire nel mio culo, nel mio buchino mentre a qualcun altro, vista la situazione, era venuto in mente. Erano almeno due ore che ero legata in quel modo, non era la posizione più comoda del mondo, il tubo del diametro di 5 centimetri nell’ano mi teneva spanata senza sosta, non so bene come lo avessero bloccato, mentre me lo infilavano a forza ben in profondità avevo sentito come delle cinghie sulle cosce ma una cosa era certa, non sarebbe uscito facilmente da dentro di me. La fascia che teneva la vasca subito sotto le tette e subito sopra lo stomaco era ben stretta tanto da fare resistenza ad ogni respiro e se questo non fosse bastato anche la testa era stata bloccata allo schienale con una cinghia. Avevo un divaricatore in bocca, di metallo, tipo due lunghe aste che passavano tra i denti spingendo per allontanarli a tenermi la bocca spalancata. Erano regolati su un lato, ora non riuscivo a vederlo ma i due tipi erano stati ben attenti ad allargarlo tanto da far si che non si muovesse di un solo millimetro. Più di così la mia bocca non poteva aprirsi di sicuro.
Quella, per assurdo, era la cosa più scomoda, la bocca mi faceva male da morire per la posizione mentre dall’esterno iniziai a sentire della musica.
Doveva essere una discoteca o un qualche locale notturno. Quando la porta si apriva vedevo gente ballare nel buio, luci colorate, il volume era molto alto.
Io ero uno dei water del bagno degli uomini e riscuotevo veramente molto successo, gli altri orinatoi erano praticamente intonsi, lustri. Vi era una fila assurda solo per venire da me, sembrava la fila che di solito c’è per il bagno delle donne.
Gli uomini per queste cose si sanno adattare e dopo un po’ iniziarono a utilizzarmi in due o tre alla volta.
Feci il mio lavoro di latrina per molte ore tanto che iniziai e riconoscere dei comportamenti ricorrenti.
In primo luogo molti mi arrivavano davanti per pisciare ma poi il trovare le mie grazie, nude, in quella situazione, faceva crescere i loro uccelli e iniziavano a far fatica ad orinare. Restavano davanti a me sbattendomi la cappella turgida sulle labbra spalancate ma senza riuscire a pisciare. Qualcuno, i più rapidi, finivano per segarsi e sbattermelo in bocca per schizzare incuranti dei fischi di quelli che stavano in fila. Questo tipo di cliente però tornava sempre, se era arrivato da me era perché gli scappava e una volta sborrato, in breve, la necessità tornava e al secondo giro il loro piscio era tutto per me.
C’era il tipo classico, non mi guardava mai negli occhi, fissava la bocca aperta oscenamente e le tette in bella mostra. Iniziava sempre pisciandomi proprio sopra quelle, prima le ricopriva tutte poi puntava i capezzoli, saliva, quasi timido, il collo, un po’ insicuro ma alla fine, quasi tutti, finivano per pisciarmi direttamente in bocca, dritto sulla lingua e li scaricarsi godendosi i miei inutili tentavi di non ingoiare o di ingoiare senza strozzarmi. Piscio dorato a caldo mi finiva ovunque, nel naso, negli occhi, nei capelli ma soprattutto in gola. Inghiottivo pregna di quell’odore pungente, di quel sapore intenso ma era impossibile tenerla tutta, mi usciva a cascate dalle labbra spalancate e, colando sui seni, finiva nella vaschetta e poi nello scarico e poi nel tubo...
Il tipo classico, titubante all’inizio ma in fondo… Sinceramente, ripensandoci, lo capisco. Non dico che a tutti debba piacere pisciare addosso ad un’altra persona, sono gusti però credo che una cosa sia certa. Se ti piace farlo per l’ovvia situazione di sottomissione, di degradazione, per mille motivi beh, se ti piace farlo credo che l’accontentarti di pisciare sulle tette, sul ventre o anche sulla fica spalancata lasci un senso di incompiuto, di incompleto. Se ti piace farlo sono certa che la completa soddisfazione la sia abbia solo vedendo la tua orina uscire dalle labbra spalancate della tua sottomessa dopo averle riempito la bocca tanto da farla tracimare, ne sono certa perché in centinai quella sera fecero tracimare il loro getto dorato dalle mie labbra e anche quelli che al primo giro erano stati troppo timidi per puntare i loro cazzi direttamente sul fondo della mia gola tornavano, li vedevo, immobilizzata, inondata, li vedevo in fila che attendevano. Vedevo il fremere dei loro occhi, il ripensamento per non averlo fatto, per essersi trattenuti. Vedevo il rimpianto e quando finalmente arrivava il loro turno la voglia, il desiderio, aveva cancellato qualsiasi titubanza, qualsiasi timore. Mi piazzavano la cappella a pochi millimetri dalle labbra, non dentro, credo volessero godersi l’immagine del loro piscio che entrava. Senza perder tempo pisciavano tutto nella mia bocca, niente tette, capezzoli o cazzate varie, tutto nella gola e a lungo. Credo che si preparassero prima tanto era il rimpianto, che si riempissero di liquidi prima di tornare da me a recuperare quello che si erano così pentiti di non aver preso. Pisciavano a lungo, sembrava non finire mai, tanto giallo liquido da ingoiare, tanto che mi colava addosso e li, bloccata, li osservavo, osservavo i loro occhi finalmente soddisfatti, inebetiti, sazi. Erano raggianti nel piacere di aver sfogato la loro perversione, quasi svuotati dalla soddisfazione di una lunga, sfacciata e abbondante pisciata sulla mia lingua. Se avessi potuto, per quanto avvilita, avrei sorriso nel vedere quegli occhi.
Questi erano i tipi classici, la mente umana è strana, nel non poter far nulla la mia si era messa a enumerare la psicologia del pissing ma c’era anche la mente degli altri, di quelli davanti a me e non mancarono di certo di sadici.
Si andava dai più disinibiti che incuranti dell’urina e dello sperma che mi ricoprivano avevano il coraggio di gingillarsi contorcendomi i capezzoli o stringendoli ma lo scopo era sempre lo stesso, farmi urlare.
Uno era talmente eccitato dalla situazione che dopo avermi pisciato addosso iniziò a mordermi le tette lasciandomi dolorosi segni. Si masturbava apertamente mentre chinato su di me massacrava le mie mammelle con i denti. Continuò tranquillamente mentre gli altri in fila mi urinavano in faccia, urina che poi cadeva su di lui sempre più eccitato fino a che non mi spruzzo una copiosa sborrata su petto. Se ne andò urlando come un folle per la discoteca.
Quelli più raffinati dirigevano il dorato getto con calma e precisione. Puntavano il naso impedendomi di respirare o meglio, costringendomi a respirare aria mischiata al loro piscio. Ci fu un gruppo di sei ragazzi che fece questo gioco a tre a tre per un tempo che mi sembrò infinito. Una vera e propria tortura, credevo sarei svenuta. I loro getti puntati al naso e alla bocca rendevano il prendere aria impossibile. Urina mi finiva ovunque, su di me ma anche dentro di me, nello stomaco, nei polmoni. Tossivo disperata sparando pipì ovunque, piangente.
La lunga fila di uomini però sembrava quasi proteggermi, nessuno si poteva attardare troppo essendo pressato da quelli che attendevano dopo di lui. Ci fu chi si allungò a cercare il mio sesso esposto, chi mi cacciò dentro con fretta e brutalità più dita che poteva, chi mi mollò delle sonore sberle proprio in mezzo alle gambe, chi mi pizzicò il clitoride tanto forte da farlo pulsare ma nessuno poteva attardarsi per più di qualche secondo.
Così almeno fu per la prima parte della serata ma man mano che l’ora si faceva tarda le persone nel locale iniziarono a diminuire.
Non so che ore fosse ma tutto quello che mi stava succedendo era aggravato da una cosa che avevo sottovalutato. Il recipiente legato al mio sterno non ero colmo per un solo motivo, scaricava per andare a finire nei miei intestini. Solo quando il bruciore allo stomaco iniziò a farsi sentire capii che nulla era stato fatto a caso. La bacinella era legata subito sotto il mio seno ma era più in alto rispetto alle mie viscere. Era un gioco di vasi comunicanti. Il tubo nel culo era ben in profondità in modo che tutto il caldo liquido non trovasse ostacoli nell’entrare in me e visto che la vasca era in alto l’urina mi si stava riversando dentro gonfiandomi per effetto della gravità.
Quel liquido acido contenente ammoniaca stava irritando tutto ciò che incontrava dandomi crampi allucinanti. L’enorme quantità che me ne venne servita mi gonfiò letteralmente. Non potevo vederlo ma sentivo chiaramente il mio ventre tendersi sempre di più fino ad aderire alla parte inferiore della vasca e alle cosce.
Era assurdo, io mi sentivo dilatata, dilaniata orrendamente e non riuscivo a capire come facesse altro liquido ad entrare eppure la gravità faceva il suo lavoro e io mi gonfiavo sempre di più.
Fu in questa situazione, lurida, stremata, gonfia e disperata che incontrai quelli che ricordo come i mostri di quella pratica.
La poca gente nel locale e il fatto che ormai credo che tutti avessero fatto la mia conoscenza sfogandosi più volte creò un po’ di privacy e di tempo per alcune menti sadiche.
Un uomo sulla quarantina si prese il tempo di osservarmi con calma, prese della carta e con del sapone pulì le parti del mio corpo che stavano sotto il recipiente. Credo che non volesse sporcarsi. Con calma e molta decisione mi penetrò il sesso ristretto dal tubo nel culo con diverse dita allargandolo più che poteva, a fatica e con impegno e una volta soddisfatto prese lo spazzolino per pulire il water da uno dei bagni chiusi.
Ci mise veramente una vita, la poca lubrificazione e l’ingombro notevole resero il suo lavoro complicato mentre il tutto veniva farcito dalle mie urla disperate.
Insistette con incrollabile caparbietà e non fu pago fino a che non riuscì ad infilarmi tutta la testa appuntita dello spazzolino nella fica.
I robusti fili di plastica di cui era ricoperto quell’oggetto sembravano volermi provocare centinaia di fori nella passera. Le sue spinte decise e spietate a farli scivolare millimetro dopo millimetro in me provocavano fitte allucinanti che mi si allargavano per tutto il corpo.
Se avessi dovuto descriverlo avrei giurato che più che penetrarmi nel sesso lo stessero forando ovunque ma quando quel sadico si rialzò dalle mie gambe le sue mani erano candide, credevo che lo avrei visto ricoperto di sangue ma non lo percepivo colare e lui non ne era sporco. Una cosa era certa, lui sorrideva soddisfatto e lo spazzolino aveva come fodero la mia fica.
Divaricò le gambe per mettersi a cavalcioni sulla ciotola, più vicino a me. Mi appoggiò le palle alla bocca e l’uccello sul naso, fra gli occhi e pisciò, direttamente sulla mia fronte e sui capelli, inondandomi. Sentivo il liquido colare su tutta la testa, sul viso e sul suo cazzo. Scivolare tiepido fra me e lui, nella ciotola, nel mio culo, nei miei intestini.
Si pulì e soddisfatto se ne andò lasciandomi nella disperazione dell’acuminato attrezzo che aveva incastrato in me.
L’ultimo ricordo atroce di quella sessione va ad un ragazzo visibilmente ubriaco. Credo uno degli ultimi rimasti nel locale. Ormai non vi era più la musica e l’eco delle mie urla si sentiva chiaramente.
Barcollava ma voleva divertirsi però sembrava vagare senza meta. Mi pisciò ovunque non tanto per volontà ma perché l’alcool che aveva in corpo non gli permetteva di prendere la mira.
Mi schiacciò il culo nudo sulla faccia per farselo leccare, cercai di tirare fuori la lingua il più possibile per accontentarlo ma il suo dondolare instabile lo portava a schiacciarmi le natiche al viso soffocandomi.
Ad un certo punto si accorse dello spazzolino nella fica, rise, rise come un pazzo mentre ci giocherellava, lo muoveva, lo strattonava divertito dalle mie suppliche. Voleva toglierlo ma era veramente incastrato, tirava e tirava incerto sulle gambe ma l’unica cosa che riusciva ad ottenere fu di allungare le labbra del mio sesso in modo disumano.
Ad un certo punto cadde, in ginocchio, in mezzo all’urina e per non sbattere la testa si afferrò di peso allo spazzolino tirandolo verso il basso.
Il dolore fu così intento che le urla mi si bloccarono in gola con il respiro. I fili dello spazzolino che nell’entrare in me si erano piegati dal centro verso l’esterno dovettero girarsi di 180 gradi per uscire e nel farlo si allargarono spingendo, acuminati, sulle morbide pareti interne della fica. Uscì, trafiggendomi mi stappo ma solo dopo lunghi secondi riuscii a riprendere aria piangendo, disperata.
Rideva, rideva felice vantandosi con me di avermi liberata.
Fu in quella posizione, in ginocchio a fianco a me che si rese conto dello stato del mio ventre rigonfio. Rimase a bocca aperta, stupito, senza capire. Vide il tubo, lo seguì e lo vide sparire nel mio ano. Ci impiegò un po’ e poi come un bambino che ha avuto un’epifania, lentamente, appoggiò una mano sul mio ventre, la appoggiò e spinse piano.
Ero talmente gonfia, così innaturalmente gonfia che quella leggera pressione mi diede dei dolori inimmaginabili, tentai di divincolarmi disperata ma poco vi era che potessi fare.
Ero talmente piena che con quella leggera pressione vidi urina ritornare indietro nel tubo ed affacciarsi nella ciotola creando una minuscola pozzanghera. La vidi io e la vide lui, a bocca aperta, la mia bloccata e la sua estasiata.
Fino a quel momento era stato un ragazzetto ubriaco senza controllo ma ora nei suoi occhi vidi qualcosa di sadico.
Appoggiò entrambe le mani al mio ventre e spinse, senza fretta ma con decisione. Il liquido iniziò a defluire dai miei intestini e a riemergere nella tinozza. La pozzanghera divenne sempre più grande, io urlavo man mano che il livello saliva, lui era concentrato. Spinse fino ad avere cinque cm dita di profondità e poi lasciò, di botto e lento, il giallo liquido, miscuglio di centinaia di pisciate, rientrò in me.
“ora riempiamo la bacinella”
Lo sentii dire queste parole mentre ricominciava a spingere. Per fare tornare indietro tutto quel liquido serviva tanta pressione, pressione da fare sul mio ventre rigonfio. Le sue mani sembravano affondarci come mani nella creta fresca. Mi sbattevo, urlavo, sputavo, cercavo di divincolarmi in tutti i modi più per disperazione che nella speranza di sfuggire.
Respiravo a fatica, a tratti urina mi tornava in gola dallo stomaco, il dolore era agghiacciante ma lui non si fermò fino a che non riempì la vaschetta fino all’orlo e poi, con un ghigno, levò le mani di botto, levò la pressione che teneva tutta quell’urina fuori da me, sentii il ventre ballonzolare riallargandosi dolorosamente e mi dovetti subire tutto il lento defluire di quel maleodorante liquido nel mio corpo, tutto in una volta.
Ci volle una vita per svuotare quell’otre ripugnante, ero disperata, avrei chiesto la morte se mi fosse stato concesso ma lui non sembrava conoscere pietà, stava a guardare il piscio riempirmi ed ero certa che lo avrebbe fatto ancora e ancora e ancora.
Si girò di scatto, all’improvviso, per vomitare e poi cadde, in mezzo al suo vomito, svenuto, vinto dall’alcool.
Non so quanto passò, non ero perfettamente cosciente ma ad un certo punto le luci si accesero. Nel bagno entrò il Dottore, Pamela, Il padrone del negozio di vestiti con sua moglie e degli energumeni in giacca e cravatta.
Il dottore ordinò agli energumeni di portare via il ragazzo svenuto e parlò:
“Allora Tania, come ti senti? Sono molto deluso da come ti sei comportata, molto deluso dal tuo tradimento. Non posso più credere in te quindi da oggi tu espierai i tuoi peccati in questo locale di mia proprietà. Tutti i giorni sarai l’attrazione di questo posto. Tutti i giorni ti verranno fatte cose barbare, medievali. Tutti i giorni la tua vita peggiorerà fino a che, come accade a molti, sparirai, per sempre, ho già organizzato tutto.
Non potrai fuggire e poi non sai dove sei ma posso dirti che sei in un posto molto isolato. Senza sapere la strada giusta non arriveresti da nessuna parte e nessuno ti troverà mai qui ne nessuno della mia scelta clientela verrà mai in tuo soccorso.
Non preoccuparti di tua madre, manterrò i miei impegni e in cambio la tua famiglia non farà problemi per la tua sparizione e poi, anche se volessero, con quello che so di loro potrei rovinarli.
Qui in questo posto finisce la tua vita cara Tania, nessuno mi tradisce però una cosa non è ancora finita. Prima di lasciarti a consumarti fino a spegnerti in questo posto devo ancora finire con te, finire di punirti”
Diede ordine ai presenti di liberarmi, svuotarmi e pulirmi per bene per poi condurmi da lui per proseguire la festa con pochi intimi.
…CONTINUA. IL RACCONTO TI E' PIACIUTO? LO HAI ODIATO O ALTRO? DARE UN'OPINIONE AIUTA A MIGLIORARSI glorfindel75@gmail.com
Il tempo trascorreva, tre giorni passati nel temere quello che mi sarebbe successo, nell’attendere il momento in cui avrei dovuto espiare l’aver tradito.
Tre giorni di angoscia e null’altro. Tre giorni in cui non avevo visto nessuno se non chi mi portava il cibo. Tre giorni chiusa in una stanza, neanche male devo dire, comoda, spaziosa, silenziosa. Iniziavo quasi a sentirmi al sicuro fra quelle quattro mura e Dio solo sa quanto avevo bisogno di sentirmi al sicuro. L’unico problema? Marco. Tre giorni senza di lui, senza sentirlo, senza spiegargli e poi… come mai non mi cercava? cioè, non so se mi stesse cercando, ero isolata dal mondo ma santo Dio, sapeva dov’ero, mi ci aveva lasciata lui proprio mentre restituiva al Dottore quelle cazzo di carte che erano l’unica catena rimasta. Tre giorni, meglio andare a dormire aspettando il quarto…
Piena notte, profondamente addormentata mentre mi prendevano, tirata su di peso, incappucciata, che cosa strana, vestiti per il corpo mai, ero così abituata a stare nuda che stava divenendo quasi noioso però un cappuccio si, a coprirmi gli occhi, a celare cosa? Non era mai accaduto, nessuno si era mai preoccupato di non farmi vedere qualcosa tanto, per loro, ero solo una cagna ubbidiente che non si sarebbe mai lamentata, che non poteva lamentarsi o forse qualcosa era cambiato?
Che strani pensieri ma intanto stavamo viaggiando, io ero distesa da qualche parte senza sapere dove e senza sapere dove fossi diretta…
Dio, ma quanto tempo è che sono qui? un giorno? avevo visto il sole spuntare e poi nascondersi di nuovo, avevo male ovunque.
Il viaggio era durato un’oretta, venni scaricata e quando la luce artificiale raggiunse i miei occhi mi accorsi di essere in un bagno ma non era il bagno di una casa era tipo quello di un autogrill o una cosa del genere. Vari lavandini uno di fianco all’altro, tante porte a nascondere altrettante latrine e poi toilette, water di quelle appesi ai muri in cui gli uomini fanno pipì in piedi.
Alla fine c’ero io ben agghindata. Dopo aver trascorso la giornata chiusa in quella stanza, all’imbrunire, affamata, assetata, ero stata raggiunta da due uomini mai visti. Non mi avevano rivolto una sola parola mentre, con diligenza, mi preparavano.
Ero stata messa e bloccata proprio su un water di quelli classici da appoggiare a terra. Le gambe, lisce e tornite, erano ai lati del WC, i piedi tirati indietro in modo che le piante puntassero verso il muro alle mie spalle, le caviglie bloccate con una robusta corda che le cingeva passando dietro alla toilette.
Alle spalle del sanitario era stato aggiunto un robusto schienale dietro il quale erano stati legati insieme i miei polsi poi uniti con le caviglie. Già non mi sarei potuta muovere gran che ma la mia preparazione era ben lungi dall’essere completa.
Beh, parlavo di quei water attaccati al muro, quelli per fare la pipì in piedi, ecco, quelli hanno una specie di vaschetta davanti, tipo una grossa ciotola nel cui fondo c’è lo scarico. Subito sotto il mio seno era stata attaccata una cosa del genere con una fascia che mi cingeva lo sterno per allacciarsi dietro lo schienale bloccandomi completamente. E lo scarico? si, c’era ed era proprio in fondo a questa vasca su cui ora penzolavano le mie tette. Unica differenza, al di la dello scarico c’era un tubo, mi ero ormai fatta un’idea di quale fosso il mio ruolo in quel posto e in effetti uno scarico vuole un tubo che porti via quello che nello scarico finisce solo che non mi sarebbe mai venuto in mente che quel tubo, l’estremità opposta di quel tubo potesse andare a finire nel mio culo, nel mio buchino mentre a qualcun altro, vista la situazione, era venuto in mente. Erano almeno due ore che ero legata in quel modo, non era la posizione più comoda del mondo, il tubo del diametro di 5 centimetri nell’ano mi teneva spanata senza sosta, non so bene come lo avessero bloccato, mentre me lo infilavano a forza ben in profondità avevo sentito come delle cinghie sulle cosce ma una cosa era certa, non sarebbe uscito facilmente da dentro di me. La fascia che teneva la vasca subito sotto le tette e subito sopra lo stomaco era ben stretta tanto da fare resistenza ad ogni respiro e se questo non fosse bastato anche la testa era stata bloccata allo schienale con una cinghia. Avevo un divaricatore in bocca, di metallo, tipo due lunghe aste che passavano tra i denti spingendo per allontanarli a tenermi la bocca spalancata. Erano regolati su un lato, ora non riuscivo a vederlo ma i due tipi erano stati ben attenti ad allargarlo tanto da far si che non si muovesse di un solo millimetro. Più di così la mia bocca non poteva aprirsi di sicuro.
Quella, per assurdo, era la cosa più scomoda, la bocca mi faceva male da morire per la posizione mentre dall’esterno iniziai a sentire della musica.
Doveva essere una discoteca o un qualche locale notturno. Quando la porta si apriva vedevo gente ballare nel buio, luci colorate, il volume era molto alto.
Io ero uno dei water del bagno degli uomini e riscuotevo veramente molto successo, gli altri orinatoi erano praticamente intonsi, lustri. Vi era una fila assurda solo per venire da me, sembrava la fila che di solito c’è per il bagno delle donne.
Gli uomini per queste cose si sanno adattare e dopo un po’ iniziarono a utilizzarmi in due o tre alla volta.
Feci il mio lavoro di latrina per molte ore tanto che iniziai e riconoscere dei comportamenti ricorrenti.
In primo luogo molti mi arrivavano davanti per pisciare ma poi il trovare le mie grazie, nude, in quella situazione, faceva crescere i loro uccelli e iniziavano a far fatica ad orinare. Restavano davanti a me sbattendomi la cappella turgida sulle labbra spalancate ma senza riuscire a pisciare. Qualcuno, i più rapidi, finivano per segarsi e sbattermelo in bocca per schizzare incuranti dei fischi di quelli che stavano in fila. Questo tipo di cliente però tornava sempre, se era arrivato da me era perché gli scappava e una volta sborrato, in breve, la necessità tornava e al secondo giro il loro piscio era tutto per me.
C’era il tipo classico, non mi guardava mai negli occhi, fissava la bocca aperta oscenamente e le tette in bella mostra. Iniziava sempre pisciandomi proprio sopra quelle, prima le ricopriva tutte poi puntava i capezzoli, saliva, quasi timido, il collo, un po’ insicuro ma alla fine, quasi tutti, finivano per pisciarmi direttamente in bocca, dritto sulla lingua e li scaricarsi godendosi i miei inutili tentavi di non ingoiare o di ingoiare senza strozzarmi. Piscio dorato a caldo mi finiva ovunque, nel naso, negli occhi, nei capelli ma soprattutto in gola. Inghiottivo pregna di quell’odore pungente, di quel sapore intenso ma era impossibile tenerla tutta, mi usciva a cascate dalle labbra spalancate e, colando sui seni, finiva nella vaschetta e poi nello scarico e poi nel tubo...
Il tipo classico, titubante all’inizio ma in fondo… Sinceramente, ripensandoci, lo capisco. Non dico che a tutti debba piacere pisciare addosso ad un’altra persona, sono gusti però credo che una cosa sia certa. Se ti piace farlo per l’ovvia situazione di sottomissione, di degradazione, per mille motivi beh, se ti piace farlo credo che l’accontentarti di pisciare sulle tette, sul ventre o anche sulla fica spalancata lasci un senso di incompiuto, di incompleto. Se ti piace farlo sono certa che la completa soddisfazione la sia abbia solo vedendo la tua orina uscire dalle labbra spalancate della tua sottomessa dopo averle riempito la bocca tanto da farla tracimare, ne sono certa perché in centinai quella sera fecero tracimare il loro getto dorato dalle mie labbra e anche quelli che al primo giro erano stati troppo timidi per puntare i loro cazzi direttamente sul fondo della mia gola tornavano, li vedevo, immobilizzata, inondata, li vedevo in fila che attendevano. Vedevo il fremere dei loro occhi, il ripensamento per non averlo fatto, per essersi trattenuti. Vedevo il rimpianto e quando finalmente arrivava il loro turno la voglia, il desiderio, aveva cancellato qualsiasi titubanza, qualsiasi timore. Mi piazzavano la cappella a pochi millimetri dalle labbra, non dentro, credo volessero godersi l’immagine del loro piscio che entrava. Senza perder tempo pisciavano tutto nella mia bocca, niente tette, capezzoli o cazzate varie, tutto nella gola e a lungo. Credo che si preparassero prima tanto era il rimpianto, che si riempissero di liquidi prima di tornare da me a recuperare quello che si erano così pentiti di non aver preso. Pisciavano a lungo, sembrava non finire mai, tanto giallo liquido da ingoiare, tanto che mi colava addosso e li, bloccata, li osservavo, osservavo i loro occhi finalmente soddisfatti, inebetiti, sazi. Erano raggianti nel piacere di aver sfogato la loro perversione, quasi svuotati dalla soddisfazione di una lunga, sfacciata e abbondante pisciata sulla mia lingua. Se avessi potuto, per quanto avvilita, avrei sorriso nel vedere quegli occhi.
Questi erano i tipi classici, la mente umana è strana, nel non poter far nulla la mia si era messa a enumerare la psicologia del pissing ma c’era anche la mente degli altri, di quelli davanti a me e non mancarono di certo di sadici.
Si andava dai più disinibiti che incuranti dell’urina e dello sperma che mi ricoprivano avevano il coraggio di gingillarsi contorcendomi i capezzoli o stringendoli ma lo scopo era sempre lo stesso, farmi urlare.
Uno era talmente eccitato dalla situazione che dopo avermi pisciato addosso iniziò a mordermi le tette lasciandomi dolorosi segni. Si masturbava apertamente mentre chinato su di me massacrava le mie mammelle con i denti. Continuò tranquillamente mentre gli altri in fila mi urinavano in faccia, urina che poi cadeva su di lui sempre più eccitato fino a che non mi spruzzo una copiosa sborrata su petto. Se ne andò urlando come un folle per la discoteca.
Quelli più raffinati dirigevano il dorato getto con calma e precisione. Puntavano il naso impedendomi di respirare o meglio, costringendomi a respirare aria mischiata al loro piscio. Ci fu un gruppo di sei ragazzi che fece questo gioco a tre a tre per un tempo che mi sembrò infinito. Una vera e propria tortura, credevo sarei svenuta. I loro getti puntati al naso e alla bocca rendevano il prendere aria impossibile. Urina mi finiva ovunque, su di me ma anche dentro di me, nello stomaco, nei polmoni. Tossivo disperata sparando pipì ovunque, piangente.
La lunga fila di uomini però sembrava quasi proteggermi, nessuno si poteva attardare troppo essendo pressato da quelli che attendevano dopo di lui. Ci fu chi si allungò a cercare il mio sesso esposto, chi mi cacciò dentro con fretta e brutalità più dita che poteva, chi mi mollò delle sonore sberle proprio in mezzo alle gambe, chi mi pizzicò il clitoride tanto forte da farlo pulsare ma nessuno poteva attardarsi per più di qualche secondo.
Così almeno fu per la prima parte della serata ma man mano che l’ora si faceva tarda le persone nel locale iniziarono a diminuire.
Non so che ore fosse ma tutto quello che mi stava succedendo era aggravato da una cosa che avevo sottovalutato. Il recipiente legato al mio sterno non ero colmo per un solo motivo, scaricava per andare a finire nei miei intestini. Solo quando il bruciore allo stomaco iniziò a farsi sentire capii che nulla era stato fatto a caso. La bacinella era legata subito sotto il mio seno ma era più in alto rispetto alle mie viscere. Era un gioco di vasi comunicanti. Il tubo nel culo era ben in profondità in modo che tutto il caldo liquido non trovasse ostacoli nell’entrare in me e visto che la vasca era in alto l’urina mi si stava riversando dentro gonfiandomi per effetto della gravità.
Quel liquido acido contenente ammoniaca stava irritando tutto ciò che incontrava dandomi crampi allucinanti. L’enorme quantità che me ne venne servita mi gonfiò letteralmente. Non potevo vederlo ma sentivo chiaramente il mio ventre tendersi sempre di più fino ad aderire alla parte inferiore della vasca e alle cosce.
Era assurdo, io mi sentivo dilatata, dilaniata orrendamente e non riuscivo a capire come facesse altro liquido ad entrare eppure la gravità faceva il suo lavoro e io mi gonfiavo sempre di più.
Fu in questa situazione, lurida, stremata, gonfia e disperata che incontrai quelli che ricordo come i mostri di quella pratica.
La poca gente nel locale e il fatto che ormai credo che tutti avessero fatto la mia conoscenza sfogandosi più volte creò un po’ di privacy e di tempo per alcune menti sadiche.
Un uomo sulla quarantina si prese il tempo di osservarmi con calma, prese della carta e con del sapone pulì le parti del mio corpo che stavano sotto il recipiente. Credo che non volesse sporcarsi. Con calma e molta decisione mi penetrò il sesso ristretto dal tubo nel culo con diverse dita allargandolo più che poteva, a fatica e con impegno e una volta soddisfatto prese lo spazzolino per pulire il water da uno dei bagni chiusi.
Ci mise veramente una vita, la poca lubrificazione e l’ingombro notevole resero il suo lavoro complicato mentre il tutto veniva farcito dalle mie urla disperate.
Insistette con incrollabile caparbietà e non fu pago fino a che non riuscì ad infilarmi tutta la testa appuntita dello spazzolino nella fica.
I robusti fili di plastica di cui era ricoperto quell’oggetto sembravano volermi provocare centinaia di fori nella passera. Le sue spinte decise e spietate a farli scivolare millimetro dopo millimetro in me provocavano fitte allucinanti che mi si allargavano per tutto il corpo.
Se avessi dovuto descriverlo avrei giurato che più che penetrarmi nel sesso lo stessero forando ovunque ma quando quel sadico si rialzò dalle mie gambe le sue mani erano candide, credevo che lo avrei visto ricoperto di sangue ma non lo percepivo colare e lui non ne era sporco. Una cosa era certa, lui sorrideva soddisfatto e lo spazzolino aveva come fodero la mia fica.
Divaricò le gambe per mettersi a cavalcioni sulla ciotola, più vicino a me. Mi appoggiò le palle alla bocca e l’uccello sul naso, fra gli occhi e pisciò, direttamente sulla mia fronte e sui capelli, inondandomi. Sentivo il liquido colare su tutta la testa, sul viso e sul suo cazzo. Scivolare tiepido fra me e lui, nella ciotola, nel mio culo, nei miei intestini.
Si pulì e soddisfatto se ne andò lasciandomi nella disperazione dell’acuminato attrezzo che aveva incastrato in me.
L’ultimo ricordo atroce di quella sessione va ad un ragazzo visibilmente ubriaco. Credo uno degli ultimi rimasti nel locale. Ormai non vi era più la musica e l’eco delle mie urla si sentiva chiaramente.
Barcollava ma voleva divertirsi però sembrava vagare senza meta. Mi pisciò ovunque non tanto per volontà ma perché l’alcool che aveva in corpo non gli permetteva di prendere la mira.
Mi schiacciò il culo nudo sulla faccia per farselo leccare, cercai di tirare fuori la lingua il più possibile per accontentarlo ma il suo dondolare instabile lo portava a schiacciarmi le natiche al viso soffocandomi.
Ad un certo punto si accorse dello spazzolino nella fica, rise, rise come un pazzo mentre ci giocherellava, lo muoveva, lo strattonava divertito dalle mie suppliche. Voleva toglierlo ma era veramente incastrato, tirava e tirava incerto sulle gambe ma l’unica cosa che riusciva ad ottenere fu di allungare le labbra del mio sesso in modo disumano.
Ad un certo punto cadde, in ginocchio, in mezzo all’urina e per non sbattere la testa si afferrò di peso allo spazzolino tirandolo verso il basso.
Il dolore fu così intento che le urla mi si bloccarono in gola con il respiro. I fili dello spazzolino che nell’entrare in me si erano piegati dal centro verso l’esterno dovettero girarsi di 180 gradi per uscire e nel farlo si allargarono spingendo, acuminati, sulle morbide pareti interne della fica. Uscì, trafiggendomi mi stappo ma solo dopo lunghi secondi riuscii a riprendere aria piangendo, disperata.
Rideva, rideva felice vantandosi con me di avermi liberata.
Fu in quella posizione, in ginocchio a fianco a me che si rese conto dello stato del mio ventre rigonfio. Rimase a bocca aperta, stupito, senza capire. Vide il tubo, lo seguì e lo vide sparire nel mio ano. Ci impiegò un po’ e poi come un bambino che ha avuto un’epifania, lentamente, appoggiò una mano sul mio ventre, la appoggiò e spinse piano.
Ero talmente gonfia, così innaturalmente gonfia che quella leggera pressione mi diede dei dolori inimmaginabili, tentai di divincolarmi disperata ma poco vi era che potessi fare.
Ero talmente piena che con quella leggera pressione vidi urina ritornare indietro nel tubo ed affacciarsi nella ciotola creando una minuscola pozzanghera. La vidi io e la vide lui, a bocca aperta, la mia bloccata e la sua estasiata.
Fino a quel momento era stato un ragazzetto ubriaco senza controllo ma ora nei suoi occhi vidi qualcosa di sadico.
Appoggiò entrambe le mani al mio ventre e spinse, senza fretta ma con decisione. Il liquido iniziò a defluire dai miei intestini e a riemergere nella tinozza. La pozzanghera divenne sempre più grande, io urlavo man mano che il livello saliva, lui era concentrato. Spinse fino ad avere cinque cm dita di profondità e poi lasciò, di botto e lento, il giallo liquido, miscuglio di centinaia di pisciate, rientrò in me.
“ora riempiamo la bacinella”
Lo sentii dire queste parole mentre ricominciava a spingere. Per fare tornare indietro tutto quel liquido serviva tanta pressione, pressione da fare sul mio ventre rigonfio. Le sue mani sembravano affondarci come mani nella creta fresca. Mi sbattevo, urlavo, sputavo, cercavo di divincolarmi in tutti i modi più per disperazione che nella speranza di sfuggire.
Respiravo a fatica, a tratti urina mi tornava in gola dallo stomaco, il dolore era agghiacciante ma lui non si fermò fino a che non riempì la vaschetta fino all’orlo e poi, con un ghigno, levò le mani di botto, levò la pressione che teneva tutta quell’urina fuori da me, sentii il ventre ballonzolare riallargandosi dolorosamente e mi dovetti subire tutto il lento defluire di quel maleodorante liquido nel mio corpo, tutto in una volta.
Ci volle una vita per svuotare quell’otre ripugnante, ero disperata, avrei chiesto la morte se mi fosse stato concesso ma lui non sembrava conoscere pietà, stava a guardare il piscio riempirmi ed ero certa che lo avrebbe fatto ancora e ancora e ancora.
Si girò di scatto, all’improvviso, per vomitare e poi cadde, in mezzo al suo vomito, svenuto, vinto dall’alcool.
Non so quanto passò, non ero perfettamente cosciente ma ad un certo punto le luci si accesero. Nel bagno entrò il Dottore, Pamela, Il padrone del negozio di vestiti con sua moglie e degli energumeni in giacca e cravatta.
Il dottore ordinò agli energumeni di portare via il ragazzo svenuto e parlò:
“Allora Tania, come ti senti? Sono molto deluso da come ti sei comportata, molto deluso dal tuo tradimento. Non posso più credere in te quindi da oggi tu espierai i tuoi peccati in questo locale di mia proprietà. Tutti i giorni sarai l’attrazione di questo posto. Tutti i giorni ti verranno fatte cose barbare, medievali. Tutti i giorni la tua vita peggiorerà fino a che, come accade a molti, sparirai, per sempre, ho già organizzato tutto.
Non potrai fuggire e poi non sai dove sei ma posso dirti che sei in un posto molto isolato. Senza sapere la strada giusta non arriveresti da nessuna parte e nessuno ti troverà mai qui ne nessuno della mia scelta clientela verrà mai in tuo soccorso.
Non preoccuparti di tua madre, manterrò i miei impegni e in cambio la tua famiglia non farà problemi per la tua sparizione e poi, anche se volessero, con quello che so di loro potrei rovinarli.
Qui in questo posto finisce la tua vita cara Tania, nessuno mi tradisce però una cosa non è ancora finita. Prima di lasciarti a consumarti fino a spegnerti in questo posto devo ancora finire con te, finire di punirti”
Diede ordine ai presenti di liberarmi, svuotarmi e pulirmi per bene per poi condurmi da lui per proseguire la festa con pochi intimi.
…CONTINUA. IL RACCONTO TI E' PIACIUTO? LO HAI ODIATO O ALTRO? DARE UN'OPINIONE AIUTA A MIGLIORARSI glorfindel75@gmail.com
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