Jessica - Solo per Amore - Cap. 6

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dominazione

CAPITOLO 6

...ma poi una sera il rumore delle chiavi nella serratura, la porta che si apre.
Corro subito ad accoglierlo, lo sorprendo schioccandogli un bacio senza neanche dargli il tempo di entrare. Lui si guarda intorno, quasi sospettoso e il suo sguardo cade su Teresa.
"Lei è una mia vecchia amica, non ci vediamo dalle elementari, ci siamo incontrate oggi per caso, è in città per una settimana per lavoro, fa la rappresentante ed oggi è venuta a proporre un prodotto nell'azienda in cui lavoro. Questa non è la sua zona e domenica ripartirà per tornare in centro Italia. Una cosa tira l'altra e ci siamo ritrovate a cena qui. Scusa, ma chiacchieravamo e mi sono dimenticata di avvisarti. Ti spiace?"
Il suo viso era stanco, doveva essere stata una lunga giornata e non era uno a cui piacessero le sorprese, almeno sorprese come quelle, mi disse che non c'erano problemi ma capii che probabilmente avrebbe preferito una serata diversa.
Si presentò e poi andò in bagno scusandosi, dopo cinque minuti ne uscì, sembrava essersi ripreso un po' , fu elegante e cortese, ci fece ridere tutte e due con il suo spirito pungente, per tutta la sera, fra lui e Teresa, fioccarono doppi sensi sulla nostra relazione senza mai essere, però, volgare o indiscreto, danzò sul filo della verità con maestria, facendo capire molto ma senza dissipare mai il dubbio se fossero verità o scherzi. Fu un ospite eccezionale e mise la mia amica completamente a suo agio. Andavano d'accordo, sembravano conoscersi da anni. Andammo avanti fino alle tre di notte, a un certo punto arrivò un messaggio sul mio cellulare e subito Teresa presa la palla al balzo:
“uh un messaggio a quest’ora tarda Jessica, chissà chi è? Non è che fai la birichina quando sei a spasso eh?”
Io glissai sull’argomento dicendo che sicuramente era pubblicità, Teresa stava ovviamente scherzando e cambiò subito discorso, il mio padrone non sembrava essere minimamente interessato.
Quando Teresa si accomiatò eravamo talmente stanchi da aver solo le energie per andare a dormire.
Mi svegliai la mattina e rimasi stupita, lui era seduto sulla poltrona davanti al nostro letto, già preparato e vestito, sembrava pronto per uscire, in mano aveva il mio cellulare. Mi guardò attendendo che mi destassi del tutto e quando mi vide abbastanza attenta parlò:
“Ho dato uno sguardo al tuo cellulare, sai il messaggio di ieri sera? Non era pubblicità ! Te lo leggo:
Sentire la tua fica bagnata mentre mi stingevi l’uccello mi ha arrapato da matti. Voglio scoparti come una cagna”
Dio, mi ero dimenticata il messaggio, ero disperata, come potevo spiegarglielo?
“No, no, aspetta, non è come credi!”
“Non hai toccato l’uccello di un altro uomo? Non hai lasciato che lui sentisse la tua fica bagnata ?”
Si lo avevo fatto, era vero, abbassai lo sguardo, la testa, cosa potevo dire?
“Avanti tesoro, spiegami pure, ti ascolto” il suo tono era calmo, gelido.
“E’ Mauro, un collega di lavoro ma non mi frega nulla di lui, te lo giuro è solo che; siamo stati nello stesso ufficio per due anni e ogni giorno mi tormentava prendendomi in giro perché ero pudica, imbranata e insicura. Si veniva sempre a strusciare su di me solo per vedermi scattare furiosa, mi ha torturato per due anni e poi è stato trasferito in un’altra sede.
Due giorni fa ero in bagno, ci ero andata perché non riuscivo a togliermi dalla testa il modo in cui mi avevi avuta la sera prima, ero eccitata, mi volevo masturbare ma poi sentii bussare alla porta, mi rivestii e uscii ma lì davanti a me trovai proprio Mauro. All’inizio non mi riconobbe ma poi, resosi conto di chi ero fece apposta a passare dalla porta proprio mentre io uscivo in modo che rimanessimo schiacciati l’uno contro l’altra nel passaggio.
Da così vicino mi disse:
“scusa Jessica, lo so che non ti piace avere degli uomini appiccicati al tuo corpo frigido”
Non ho resistito, la voglia di vendicarmi di quel verme era troppa ed ora, grazie a te, ero in grado di farlo.
Gli ho preso il cazzo con una mano, ho tirato indietro la pancia in modo che si staccasse dai jeans che indossavo e gli ho guidato l’altra mano dentro i pantaloni, dentro le mutande fino a fargli sentire il lago in mezzo alle mie gambe e gli ho detto:
“Lo senti questo calore, tu non hai la minima idea di quanto piacere possa dare la mia passere, lo senti come è morbida, glabra e vellutata? Beh, ricordala bene perché non l’avrai mai, io adoro avere uomini sul mio corpo, adoro farmi fare qualunque cosa gli venga in mente ma per omuncoli come te non c’è spazio fra le mie cosce”
Gli ho sfilato la mano mentre gli stringevo ancora l’uccello diventato di marmo e gli ho chiesto:
“Hai capito Mauro?”
Deglutendo disse “si”
“Bene, allora goditi la vista del mio culo fantastico mentre se ne va perché è l’unica cosa che avrai di me”
L’ho lasciato li a bocca aperta, non pronunciò una parola e non lo sentii più fino al messaggio, quell’uomo non esiste neanche per me, esisti solo tu, mi volevo solo vendicare.
...
“Quindi ti sei presa la libertà di usare il corpo che mi appartiene per una tua vendetta personale? Ti sei presa il diritto di fare assaggiare il tuo frutto ad un altro per una rivincita senza pensare che gli stavi facendo assaggiare un frutto che dovrebbe essere solo mio?
Ora dovrei solo cacciarti a calci nel culo ma mi troverei a sprecare tutto il duro lavoro che ho fatto per renderti adatta a me e non lo trovo giusto di conseguenza ora ti spiegherò come cambierà la nostra situazione e poi deciderai se restare o andartene.
Questa non è più la tua casa, queste mura da oggi sono la mia dimora e tu ne fai parte come ne fanno parte il mio armadio o la vasca da bagno.
"si, si, qualunque cosa per farmi perdonare"
"Zitta! Non ho mai sentito l'armadio parlare, la mia vecchia poltrona cigolava e infatti l'ho cambiata. Tu sei un accessorio, un optional inutile, una comodità di cui si può fare a meno. Non ti riconosco più il ruolo di schiava, non ne sei degna. Da oggi, ogni volta che varcherai quella porta e io sarò in casa, ti dovrai denudare completamente per poi andare a riporti sullo sgabello nell'angolo della sala e li restare fino a quando avrò bisogno di usarti.
Detto questo lui se ne andò.
...
Quando rientrai, la sera, lui era già a casa, era seduto sul divano, in pigiama e stava leggendo un libro, non mi degnò di uno sguardo quasi non si fosse accorto che ero arrivata. Capitava spesso di vederlo così ma quella sera tutto mi sembrava diverso. Mi denudai, riposi i vestiti e mi andai a sistemare dove mi era stato ordinato, lo sgabello non era molto comodo ma ero sicura che quello sarebbe stato il minore dei miei problemi.
Lesse per una buona mezzora, sembrava non stare comodo, non trovava la posizione per le gambe poi alzò lo sguardo, mi diede un'occhiata di sfuggita, fece un sorriso e si alzò. Mi arrivò vicino e senza dire una parola mi prese per i capelli e mi trascinò davanti al divano, sul tappeto, mi fece pressione su una spalla per farmi mettere in ginocchio e poi, dopo uno spintone mi trovai a quattro zampe, parallela al divano. Lui andò al tavolo da pranzo e recuperò sigarette e posacenere. Si stese sul divano per lungo, appoggiò il posacenere sulla mia schiena e accese una sigaretta ricominciando a leggere.
Teneva il gomito appoggiato sul mio culo e il braccio disteso sulla mia schiena, sentivo il calore della brace rovente della sigaretta a pochi millimetri dalla pelle mentre il sudore cominciava a ricoprirmi più che altro per la paura che volesse marchiarmi a fuoco. Fumò lentamente mentre leggeva, non mi scotto mai ma ci credetti solo quando lo sentii spegnere il mozzicone nel posacenere di vetro che percepii scaldarsi attraverso la schiena. A quel punto cambiò posizione, si sedette e allungò le gambe sopra di me facendo attenzione a non urtare il posacenere, il bordo della suola delle ciabatte a scavarmi la pelle, aveva sempre voluto un poggia piedi per quando leggeva e lo aveva trovato, ero io.
Continuò la sua lettura nel più completo silenzio, passò almeno un’ora così, aggiustandosi ogni tanto sulla mia schiena. Ero tutta indolenzita, le mani e le ginocchia solcate dalla sottile trama del tappeto, la schiena indolenzita dal suo peso, facevo veramente fatica ma lo avevo visto leggere anche fino alle due di notte ed erano solo le nove. Cominciavo ad aver paura che non avrei resistito ma poi si alzò dando un po' di sollievo ai miei reni.
Durò poco, prese il posacenere, andò in cucina, aprì il frigo e si prese una birra, non era uomo da birra, amava il vino ma solo quello di qualità ma quella birra belga gli era piaciuta, ero io ad avergliela fatta assaggiare e se ne era invaghito. Tornò sul divano, rimise i piedi sul loro improvvisato appoggio, lo fece con poco garbo come se fossi fatta realmente di legno, diede un lungo sorso mentre ricominciava la sua lettura e poi appoggiò la bottiglia proprio tra la fine del culo e l'inizio della mia schiena. Era gelata, mi faceva venire i brividi ma ora, ai vari dolori in tutto il corpo si aggiungeva anche la paura di fare cadere la bottiglia, non riuscivo ad immaginare cosa sarebbe accaduto se l’avessi fatta andare sprecata. Il freddo intenso del vetro sembrava bruciarmi la pelle, stare perfettamente immobile era diventato uno sforzo assurdo.
Passai un'altra mezzora in quella posizione ed ero arrivata a ripetermi:
"sono un poggiapiedi, sono di legno, non sento nulla" per aiutarmi a resistere poi la birra finì, un ultimo, lungo sorso e si alzò, lasciò il libro sul divano e si diresse in cucina immagino per gettare la bottiglia ma si fermò, guardò quell'oggetto di vetro, largo per metà della sua altezza e poi un tubo dritto a farle da collo, un ghigno sul viso, si riavvicinò a me, senza degnarmi di uno sguardo mi pose il collo del contenitore davanti alla bocca, non capivo ma dischiusi le labbra, lui infilò tutta la parte stretta del vetro tra le mie labbra e iniziò a girarvela all'interno, sembravo una specie di temperino elettrico, continuò così fino ad insalivarla tutta poi si portò alle mie spalle, mi allargò le chiappe con una mano e iniziò a infilarmi il collo della bottiglia nel buco del culo, con nessuna grazia, facendo forza e girandolo come a forzare una guarnizione troppo stretta, era poco lubrificata e la carne che strideva contro il freddo vetro bruciava terribilmente, mi morsi un labbro per resistere stringendolo forte con i denti per attenuare il dolore allo sfintere con quello alla bocca.
L'operazione terminò solo quando tutto il collo di vetro fu strisciato completamente al caldo dentro di me. Mi diede una pedata su un fianco facendomi accasciare di lato e se ne andò a letto.
Rimasi li, umiliata con le lacrime agli occhi, da sua schiava devota ripagata da mille attenzioni mi ero tramutata infine nel suo secchio dell'immondizia e tutto per una stupida rivincita verso un porco inutile.
Non ebbi il coraggio di andare a letto con lui, rimasi li distesa senza neanche togliere l'intruso dai miei intestini e lentamente mi addormentai.
Non fu un sonno ristoratore, il duro pavimento se pur attutito dal tappeto non era certo un morbido giaciglio ma quando mi svegliai avevo una coperta addosso e della bottiglia non vi era più traccia.
Presi quel gesto come un segno del suo perdono ma mi sbagliavo.
Proprio mentre mi stavo illudendo lo vidi uscire dalla camera, era in pigiama, si era appena svegliato, fischiettava camminando distrattamente verso di me, mi misi in ginocchio ad attenderlo, bramavo un po’ del suo affetto ma mi passò davanti, ancora neanche uno sguardo, vidi la sua mano allungarsi come a rallentatore, mi afferrò per i capelli come se stesse prendendo una borsa e cominciò a tirarmi senza riguardo. Dovetti sbrigarmi ad alzarmi in piedi in malo modo per seguirlo o mi avrebbe strappato qualche ciocca, mi trascinò con non curanza fino in bagno, mi spinse nella vasca e mi costrinse in ginocchio. Lo vidi mentre si tirava fuori il pene moscio dai pantaloni senza riuscire a immaginare minimamente cosa stesse per accadere e poi iniziò. Un getto caldo mi colpì sui seni, abbondate e con un odore intenso il getto della sua urina mi investì, chiusi gli occhi e la bocca alzando le mani in un vano tentativo di difendermi mentre lui si curava bene di innaffiarmi la faccia e i capelli. Il liquido che riusciva mio malgrado ad entrarmi dal naso mi andò di traverso e non so come riuscii a non vomitare. Si svuotò completamente scrollando le ultime gocce sul mio viso.
Furiosa cercavo di levarmi quel maleodorante liquido dalla faccia mentre lui incurante si ricomponeva. Appena possibile aprii gli occhi pronta ad aggredirlo ma poi incontrai il suo sguardo; era freddo, glaciale, cattivo, non stava giocando, solo allora mi resi conto di quanto il nostro rapporto fosse in pericolo, solo allora mi resi conto di cosa avevo fatto davvero, non era solo senso di possesso verso il mio corpo, lo avevo ferito, deluso, gli avevo nascosto tutto e lo aveva dovuto scoprire da solo, per caso, non avevo neanche avuto la dignità di ammettere il mio errore perché lo sapevo già da sola che era stato un errore, un tradimento. La verità è che avevo ferito i suoi sentimenti, non lo faceva vedere ma stava male perché credeva in me.
Sentii il mio sguardo cambiare e divenire uno sguardo che non avevo più da tanto, che non avevo più veramente dalla prima volta che mi aveva sculacciata, chiusi la bocca e abbassai il capo.
Lui per contro si girò, si lavò i denti con calma e poi andò in camera a prepararsi.
Non ebbi il coraggio di muovermi finché non fu uscito di casa, solo allora aprii la doccia per lavarmi, lasciai che l’acqua lavasse via la sua urina e lo feci piangendo, piangendo per la mia stupidità, piangendo perché dopo aver lottato tanto per averlo avevo scordato di tenermelo stretto, piangendo perché stavo lavando via dal mio corpo una parte di lui.
...
Quando rientrò la sera io ero già nuda da almeno mezzora, appena sentii arrivare la macchina mi proiettai sullo sgabello e li attesi. Lui entrò, si tolse la giacca ed andò in cucina, si versò un bicchiere di vino bianco, una falanghina del sud Italia, piaceva molto anche a me quel vino, si mise qualche pezzo di formaggio in un piattino e poi cominciò a consumare il suo aperitivo appoggiato al bancone della cucina. Della mia esistenza non dava segno di accorgersi. Finito lo spuntino si accese una sigaretta e la fumò alla finestra, sembrava disteso, rilassato. Andò in camera e mise vestiti più comodi poi lo vidi andare al piano di sotto e tornare dopo poco con le palline anali che avevamo acquistato all’inizio della nostra storia per allenare il mio culo. Non provavo nulla, tanto era il senso di colpa che sentivo, tanto era il bisogno di ripagarlo per quello che gli avevo fatto. Quello che aveva in testa per me non mi interessava proprio.
Mi prese per i capelli come al solito e mi portò verso il divano, si sedette e mi tirò sulle sue gambe, il culo bello in alto, dovetti tenermi con le mani per evitare di sbattere la faccia contro il pavimento.
Accese la TV, una rapida occhiata al palinsesto poi scelse un film e con non curanza, ben assorto nello spettacolo televisivo iniziò a fare entrare le palline nel mio ano senza un minimo di lubrificazione. La gomma dura non voleva scorrere sulla pelle e per ovviare al problema lui non fece altro che spingere più forte e fare pressione con l’indice per raggiungere lo scopo. Arrivati alla sesta pallina il mio culo bruciava come fosse scorticato e coperto di sale ma lui non sembrava proprio rendersene conto, erano almeno dieci minuti che faceva uscire la sfera dal mio sfintere per poi ricacciarcela dentro senza fretta ma implacabilmente. La settima pallina però non voleva proprio entrare in quel modo per quanto lui ci provasse, alla fine, sbuffando infastidito estrasse tutto l’oggetto di botto, mi sputò sul culo e poi inserì due dita di colpo, le roteò spingendo bene sui lati del buchetto per allargarlo, ci lavorò a lungo, sembrava dovesse sturare un tubo intasato poi riprese le palline, me le infilò tutte nella fica che, visto il sadico trattamento a cui ero sottoposta, grondava di umori, le rigirò ben bene dentro di me e poi, con un movimento rapido, le estrasse ber sbattermele violentemente dentro il culo. Mi sembrava di essere stata infilzata da una lancia ma ne erano entrate otto.
Evitare di urlare essendo sottoposta a quel trattamento era veramente difficile, non facevo che mordermi le labbra ma non cedetti, avevo capito il mio ruolo, gli oggetti non urlano.
Continuò tranquillo il suo lavoro mentre si gustava il film, sinceramente non so neanche che film fosse, ci volle ben un’ora per far si che la decima pallina, quella più grossa, quella che non avevo mai ospitato nel culo, entrasse; dovette usare gli umori della mia passera più volte per lubrificarla, li prendeva dalle cosce con la mano e li spalmava sul suo giochino ma alla fine, con un flop, l’ultimo intruso entrò ad invadermi l’ano. Una forte sberla su una chiappa a dimostrare la sua soddisfazione, sulla TV si leggeva, fine primo tempo.
Mi buttò giù dalle sue gambe, si alzo e si sfilo pantaloni e mutande prima di riaccomodarsi seduto senza mai distogliere lo sguardo dallo schermo, usò di nuovo i miei capelli per guidarmi in ginocchio fra le sue gambe, mi afferrò la testa con tutte due le mani e mi fece entrare il cazzo in bocca mentre partiva il secondo tempo. All’inizio pensai di succhiaglielo, leccarlo, giocarci ma mi sentivo veramente un mero giochino sessuale inanimato quindi feci solo aderire le labbra al suo pene e lasciai che usasse la mia testa a suo piacimento.
Si segò il cazzo con le mie labbra per tutto il secondo tempo, mi faceva male la mandibola, le ginocchia e quel intruso nel culo in quella posizione era più fastidioso del normale. Man mano che le scene scorrevano lui muoveva la mia testa lentamente, spingeva il cazzo più in profondità possibile forzandomi la gola poi mi ritirava su lentamente e ripeteva da capo, un ritmo lento e intenso per non giungere all’orgasmo. Solo sui titoli di coda si concentrò sul pompino e in breve raggiunse sborrò. Le palle gonfie per la lunga attesa rigettarono sul mio volto un’incredibile quantità di sperma liquido e bollente, mi ricoprì la faccia e una volta terminato si ripulì sui miei capelli. Appena finito spense la tivù e se ne andò a dormire.
Io ero sfinita, mi aveva usata per due ore ininterrottamente e non avevo più energie, mi assopii li, sporca, violata nel di dietro e sola.
Venni svegliata al mattino dalla stretta della sua mano sui capelli, non mi degnò di attenzioni ma attese quel minimo che mi servì per alzarmi in piedi, di nuovo la vasca, di nuovo la sua urina, restai in ginocchio, le mani sulle cosce mentre lui mi lavava, si accanì sul mio volto tanto che mi chiedetti se voleva che aprissi la bocca. In mancanza di ordini mi evitai quell’esperienza ma se me lo avesse chiesto l’avrei spalancata, dopo quello che avevo fatto non spettava a me decidere e lo avevo capito.
Finito di lavarsi, mentre io aspettavo immobile nella vasca, coperta di urina, di sperma rinsecchito della sera prima e ancora sodomizzata, fece per uscire, si fermò sulla porta del bagno e dandomi le spalle lo sentii dire:
“puoi toglierti quel coso dal culo e lavarti. Questa sera ho da fare, non tornerò”
Erano tre giorni che non sentivo la sua voce e mi mancava così tanto.

Le cose andarono avanti così per giorni, la mattina ero il suo cesso e la sera il suo passatempo, non dedicava mai attenzioni alla fica, si curava solo della bocca e si accaniva sul culo tanto che mentre lui era fuori avevo preso l’abitudine di spalmarmi abbondanti dosi di crema lenitiva per cercare di farlo riprendere un po’. Non mi parlava mai, praticamente non mi guardava e in tutto quel silenzio io mi straziavo al pensiero che non avrei avuto mai più il suo affetto.
Però mi era stato concesso un piccolo privilegio, già dalla terza sera, dopo aver finito di trastullarsi con il mio corpo mi aveva lasciata sopra il divano tirandomi con non curanza una coperta. Era incredibile ma tutte le mie speranze erano legare a quel piccolo gesto.
...
Al quinto giorno, di notte, lo sentii arrivare da me, ero nel dormi veglia, pensai che gli fosse venuta una voglia notturna, spesso gli capitava e allora mi saltava addosso mentre ero ancora addormentata e iniziava a chiavarmi piano, era una cosa che mi faceva impazzire, svegliarmi nel cuore della notte mentre lui mi possedeva intensamente, era come svegliarmi da un sogno per venire gettata in un altro. Mi scopava piano fino a farmi venire e poi mi cavalcava furiosamente godendo nel vedermi contorcermi per le sensazioni troppo intense che mi mandava la fica subito dopo l’orgasmo ma ero certa che quella sera non mi sarebbe andata così bene.
Arrivò davanti al divano, mi strappò via la coperta e rimase li ad osservare la mia nudità immobile, in silenzio. Io non mi mossi, non aprii neanche gli occhi, in quei cinque giorni avevo imparato bene il mio ruolo di giocattolo poi, inaspettatamente, sentii le sue braccia insinuarsi sotto le mie ginocchia e sotto il collo, mi alzò dal divano come un fuscello e mi strinse fra le sue braccia. Non riuscii a controllarmi, mi avvinghia a lui e singhiozzando incomincia a ripetere:
“scusa, scusa, perdono, sono stata un’idiota, non voglio perderti”
Lui mi trasportò fino al nostro letto che sentivo no appartenermi più, mi ci distese dolcemente, si stese alle mie spalle e coprì entrambe con la coperta.
Le sue braccia che mi avvinghiavano stringendomi a lui mi diedero una sensazione di pace come solo ritrovare la tua vita perduta può dare. Mi abbandonai in quell’abbraccio lasciando che il suo calore mi invadesse il corpo e impiegai dieci minuti per trovare il coraggio di parlare, incerta se fosse un diritto a me riservato ma poi lo feci, non riuscii ad evitarlo:
“mi hai perdonata ?”
...
“NO, ti ho solo ripresa come mia schiava”
Era tutto ciò che volevo, non vi era altro che desiderassi e nel buio della stanza sorrisi felice ma poi lui parlò di nuovo:
“se non sbaglio la tua amica, Teresa, riparte dopo domani, organizza un’altra cena per domani sera, mi farebbe piacere salutarla”
...
“ah, do per scontato che tu sappia che il tuo obbligo di stare nuda in casa rimane, puoi evitare lo sgabello per ora ma non voglio vederti mai con un vestito addosso, ovviamente questo vale anche per la cena con Teresa”

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scritto il
2025-02-26
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