Accettare le condizioni - Capitolo 20-21

di
genere
dominazione

CAPITOLO 20
…fui svuotata e ripulita da testa a piedi, fuori e dentro. Non fu piacevole, affatto ma cosa aspettarsi di diverso?
Ero sfinita, frastornata, vinta. Fui portata in una grande sala che ora era ben illuminata. Al suo interno riconobbi i miei aguzzini, c’erano tutti, tutti i principali carnefici di quella mia lunga agonia. Non vidi ne mio padre ne mio fratello, probabilmente era stato pensato che per quanto complici non sarebbe stato bene farli partecipare a quella serata. Non si trattava solo di sevizie e umiliazioni, il dottore era stato chiaro, non me ne sarei mai andata da quel posto, la mia vita finiva li e mi ritrovai a chiedermi se avendo questa cosa davanti agli occhi i miei famigliari la avrebbero accettata.
Ero sola, davanti a me una lunga scala che conduceva al piano superiore, una specie di terrazza dalle cui balaustre tutti, in silenzio, guardavano me, aspettavano me.
La lunga scala era di legno massiccio, scura, due corsie di scalini divise da una ringhiera imponente, alta, un lungo scivolo interrotto a spazi alterni da grosse decorazioni. Erano come delle grosse perle ovali di liscio legno scuro decorate sulla base dalle riproduzioni di foglie strette intorno a quelle grosse uova. La parte superiore tendeva a stringersi come il collo di una grossa bottiglia. Dalla scala stavano scendendo Mauro, il responsabile della scuderia del dottore e un altro uomo che mi sembrava di ricordare di aver conosciuto alla prima cena, alla mia iniziazione. Gradino dopo gradino vidi Mauro appoggiare una mano su quei grossi cunei. Non potei fare a meno di notare che le sue dita, quando il palmo era appoggia sulla sommità di quelle decorazioni, non raggiungessero neanche la metà della lunghezza di quell’oggetto che aveva il diametro di una bottiglia di acqua da 2 litri.
Fece tutto il percorso fissandomi negli occhi con un ghigno agghiacciante ben stampato in volto, arrivarono al mio fianco ed in silenzio si voltarono alzando lo sguardo sul dottore in attesa di indicazioni.
“Cari amici, a voi che siete i più fidati della mia cerchia, questa sera, è dedicato uno spettacolo speciale. Tania, qui dinnanzi a voi, Tania che tutti conoscete in modo molto approfondito”
Ci fu una risatina generale tra il pubblico. Il ghigno di soddisfazione di quegli esseri che tante atrocità mi avevano inferto.
“Tania si è macchiata del peggiore dei crimini. Nella mia generosità ero corso in suo aiuto quando nessuno poteva aiutarla. Nella mia generosità avevo placato la disperazione in cui stava affogando. L’avevo salvata e cosa avevo chiesto in cambio di questa generosità?
Richieste semplici e chiare ma tutti conoscete la storia e diciamocelo, a nessuno frega nulla della sua storia.
L’unica cosa che conta è che mi ha tradito e facendolo ha donato a voi tutti due cose. La prima è il piacevole spettacolo a cui fra breve parteciperete e la seconda è una chiara dimostrazione di cosa succede a tradirmi”
Quest’ultima frase fu detta con un tono tale da cancellare l’ilarità che regnava in quel luogo. Tutti i presenti, nessuno escluso, abbassarono lo sguardo e si presero un attimo per riflette sulla loro reale situazione.
“La traditrice non uscirà mai più da qui, io la condanno alla schiavitù a vita. Da oggi lei sarà il dono che farò a chi mi compiacerà di più e sarà un dono senza regola alcuna, senza limite alcuno ma forse devo essere più chiaro. Tania sarà un giocattolo da rompere in modo irrecuperabile e quando sarà talmente devastata da non essere più utile a nulla potrà finire di espiare la sua colpa morendo”
Ora la voglia di ridere aveva lasciato definitivamente quel posto. Era ormai chiaro che lo spettacolo non era un dono ma un avvertimento concreto per tutti. Io ero solo un mezzo.
“Ma basta con le parole, diamo inizio alla festa, è ora che Tania ci raggiunga qui sopra”

Venni presa dai due lati, mi afferrarono con un braccio sotto le ascelle e con l’altro sotto le cosce alzandomi da terra. I due uomini presero la via della scala trasportandomi con loro. C’era silenzio. Salirono sui primi gradini, uno sulla rampa di sinistra e uno su quella di destra, io ero in mezzo, nuda, con il corrimano sotto le cosce tenute ben spalancate. Si fermarono in modo che fossi sopra la prima di quelle grosse uova di legno. Immobili fissando il dottore che voltò lo sguardo su Pamela facendole un segno con il capo.
La donna prese la via delle scale venendo verso di me con un grosso barattolo in mano. Si muoveva con la solita eleganza ma non mi guardava, era strano, guardava a terra e nei suoi occhi non c’era la solita libidine, non c’era il solito sadismo. Sembrava triste o forse… spaventata?
Mi arrivò vicina, stappò il contenitore e la vidi versare un’abbondante dose di liquido denso sul legno. Lo spalmò bene sulle tutta la superficie fino alla base dopodiché, con le mani ben unte iniziò a massaggiarmi la fica in modo meccanico, entrando ben dentro con due, tre, quattro dita. Allontanò la mano e la vidi ungerne bene l’esterno, il dorso, il pollice, fino al polso per poi chiuderla a cuneo, il pollice nascosto dietro le altre quattro dita ben serrate e poi, abbassandosi con un ginocchio su uno scalino, iniziò a infilarla in me, ad infilarci tutta la mano.
“ahi, ahi, ahi, non entra, e troppo grossa, non ci stà”
Impassibile alle mie lamentele iniziò a girare la mano che era dentro di me fino alle nocche, la faceva ruotare per fare spazio e spingeva forte verso dietro, verso l’ano per allontanarsi dall’osso pelvico che si opponeva alla penetrazione. La sentivo scivolare in me millimetro dopo millimetro ma la fica era già tesa fino alo spasmo:
“basta ti prego, non ci sta, non ci entraaaaaa….”
Dissi quelle parole quasi sottovoce, stavo parlando a lei, a lei direttamente stavo porgendo la mia supplica e solo allora mi guardò dritto negli occhi, uno sguardo gelido ma non severo, rattristato:
“zitta, sto facendo quello che posso per aiutarti”
Rimasi a bocca aperta mentre lei riabbassava lo sguardo e dopo un profondo sospiro spinse, forte, verso l’altro, vincendo ogni resistenza del mio corpo, della fica, sprofondandomi dentro fino al polso. Avevo la bocca spalancata in un urlo che non riusciva ad uscire, gli occhi sbarrati a fissare il bianco soffitto.
Restò ferma finché non mi sentì riprendere a respirare fra le lacrime e poi iniziò a muovere la mano nella cavità, a ruotarla per farsi spazio, ad aprire le dita per dilatare di più.
Io piangevo e mi lamentavo per il forte dolore ma lei non si fermò più. Iniziò ad uscire fino a far riapparire le nocche e poi riaffondare provocandomi crampi terribili. Continuò questa manovra fino a che non fu in grado di estrarre la mano dalla fica e riaffondarci agevolmente, senza trovare più resistenza. Si girò, a testa bassa:
“è pronta” e dicendo quelle parole incominciò a risalire la scalinata fermandosi ogni volta che incontrava uno di quei grossi ornamenti, fermandosi per lubrificarli bene dal primo all’ultimo fino a tornare sulla balconata per riprendere il suo posto.
Il dottore:
“bene, ora provvederemo a sfondare per bene la traditrice così che poi possiate godervela meglio o per meglio dire in modo più ampio”
I due uomini iniziarono a calarmi sopra il primo cuneo, la parte iniziale, più affusolata, mi sparì rapidamente nel sesso slabbrato e vi penetrò a fondo fino ad incastrarvisi. Sentivo le braccia dei duo uomini fare poco sforzo per sorreggermi, più che altro mi tenevano a gambe spalancate ma ero ormai appoggiata di peso sul quel coso che era entrato nella vagina neanche per metà. Il buco dolorante si sarebbe dovuto dilatare ancora molto e lo stava facendo, tutto il mio peso in quell’unico punto insieme alla grossa dose di lubrificante stavano facendo si che penetrasse lentamente in me facendosi strada, spietatamente, nelle carni che se pur al limite non potevano sostenere tutto quello sforzo e si arrendevano permettendo la penetrazione.
Scendevo con una lentezza estenuante, urlavo disperata per il dolore della pelle delicata che sembrava strapparsi mentre si dilatava, mentre non potevo sottrarmi.
La gravità faceva il suo lavoro incurante delle mie lacrime, il sesso si apriva sempre più, mi sentivo il ventre gonfio in modo spasmodico, sentivo quel grosso uovo spingere a forza sull’utero, al mio interno, schiacciarlo sempre di più. Non mi resi neanche conto della parte dove vi erano intagliate le foglie, parte più ruvida che si trovava però in una zona in cui l’oggetto non aveva il massimo diametro. Entrarono nella vagina come nulla fosse, il foro dove era passato quell’oggetto era talmente aperto da non opporre resistenza e lentamente, delicatamente, sentii il legno del corrimano sfiorarmi i glutei per poi spingervi con sempre maggiore pressione mentre gli ultimi millimetri di turgido legno mi fottevano la fica. In breve mi trovai seduta su quella lunga lingua che era il corrimano con un oggetto enorme sparito dentro il sesso.
Respiravo a fatica e non osavo muovermi, ogni millimetro del mio corpo era tirato e ogni minima vibrazione mi faceva esplodere il ventre teso dall’ingombro inumano. Cercavo solo di concentrarmi sul respirare, continuare a respirare, l’unica cosa che mi era concessa ma poi mi fu tolta anche quella.
Gli uomini, di botto, con presa salda, mi tirarono verso l’alto con tutta la loro forza mozzandomi il fiato. L’oggetto uscì da me, nel silenzio generale si udì un forte schiocco, il rumore dell’aria che all’improvviso andava a riempire quella parte del mio corpo che era stata liberata. Iniziai a dibattermi fra le loro braccia come un’indemoniata per il forte dolore ma la presa era forte e ottenni solo di sembrare un pesce che si dibatte sulla banchina.
Aspettarono che mi calmassi e una volta ferma fecero si che la mia schiena andasse indietro e i miei glutei si alzassero in modo da mettere in bella vista per gli astanti il risultato di ciò che mi era stato inflitto:
“ohhhhhhhh…..”
Ci fu un brusio generale da parte degli invitati che ammiravano la mia vagina sfondata. Io non potevo certo vederla ma oltre al dolore sentivo chiaramente aria fresca arrivare la dove normalmente il sesso stava chiuso a riprova che la dilatazione forzata mi aveva lasciata ben aperta.
Il dottore: “bene, procediamo”
In breve fui condotta al secondo palo che mi fu cacciato dentro a forza proprio come il primo. Speravo sarebbe stato meno doloroso ma al contrario, salendo le scale piolo dopo piolo, la mia fica era sempre più irritata e l’enorme pezzo di duro legno che vi veniva ficcato dentro faceva sempre più male.
La rampa sembrava infinita e io ero distrutta. Incapace, ormai, di ogni tipo di reazione subivo quella tortura lamentandomi in modo indicibile, implorando pietà senza più implorare precisamente nessuno.
A ogni tappa urla di dolore, a ogni violenta estrazione uno schiocco insieme alle mie lacrime, ad ogni esposizione brusii sempre più increduli.
Quando venni appoggiata sull’ultimo dilatatore vi caddi sopra senza resistenza. Mi entrò dentro talmente in fretta che sbattei il coccige sul duro legno in modo doloroso e poi fui lasciata li. Incastrata su quel corrimano talmente alto che le mie gambe restavano penzolanti a due lati. Facevo fatica a tenere il busto eretto tanto che dovetti sostenermi con le mani al legno davanti a me.
Il dottore:
“bene, direi che la suo fica è stata preparata in modo ottimale e a breve potrete goderne…
però…
stavo pensando…
forse è meglio se ci spostiamo tutti al piano di sotto dove avremo più spazio!”
Tutti iniziarono a muoversi passando ai miei fianchi per scendere. Io li come una statua sfinita, inerme come un ornamento:
“Fate scendere Tania, ovviamente, allo stesso modo in cui è salita”
Tutti si bloccarono sbigottiti, io non riuscivo più ad avere nessuna reazione:
“però di buchi ne ha due, fatela scendere con il culo!”
Vociare nella stanza, parole, incredule, dette sotto voce che subito si zittirono incontrando lo sguardo incattivito del dottore.
“eseguite”
Gli stessi uomini tornarono al mio fianco, con lo sguardo basso mi ripresero e mi alzarono di peso. L’ingombrante legno uscì facilmente dalla fica martoriata fra i miei sommessi lamenti. Salirono gli ultimi gradini per raggiungere la balconata, girarono di 180 gradi per invertirsi le posizioni, scesero al punto in cui erano fino a poco prima.
Li vidi guardarsi fra loro, indecisi e poi appoggiarmi in modo che il cuneo iniziasse ad entrarmi nell’ano impreparato ed esposto agli occhi di tutti. Mi guardavano sconvolti dalla sodomizzazione estrema che stava per essermi inflitta.
Mi penetrò dentro per i primi 10 centimetri dilatandomi il culo tanto che ci sarebbero potuti stare comodamente due cazzi di buone dimensioni.
“basta, vi prego, basta”
La mia voce era talmente debole che si sentiva a malapena, non avevo più la forza neanche di urlare.
L’oggetto mi penetrò spanandomi il culo ancora per qualche centimetro ma poi si fermò, la gravità, il mio peso, il lubrificante non erano sufficienti a far entrare quell’enorme arnese nel mio ano. Rimasi li, appesa, impalata ma non impalata abbastanza.
Provarono anche a fami girare un po’ a sinistra e a destra per far procedere la sodomizzazione forzata ma servì solo a far stridere il mio buchino sul legno che vi si premeva dentro a forza. Non scendevo più, non mi aprivo più.
Mauro guardò il dottore senza sapere cosa fare e lui, infastidito:
“beh, che fate? prendetela per le caviglie e tirate fino a che non riuscirete a ficcarle quel cazzo di coso tutto dentro il culo”
I due erano increduli, si abbassarono lentamente appoggiandomi le mani sulle caviglie incerti. Io dovetti sostenermi con le braccia per non cadere in avanti:
“no, vi prego, no, basta, vi supplico, basta”



Urla.
Improvvise.
“CARABINIERI, fermi tutti, faccia a terra”

Stavo cadendo, lentamente, non vi era più nessuno a tenermi, a sostenermi e le mie braccia… ero troppo stanca, stavo cadendo dal corrimano e poi, braccia a salvarmi, a sorreggermi. Ero quasi svenuta ma riconobbi il suo volto.
MARCO


CAPITOLO 21

“Tania ma sei sicura ?”

“si Marco, credo di doverlo fare, di averne bisogno, dopo tutto quello che è successo, dopo tutto quello che ho dovuto lasciare che succedesse, dopo tutto quello che mi sono forzata a dare non è questo il momento di farmi sconti. Ora devo forzarmi ad affrontare quest’ultima prova per ritrovare me stessa e devo farlo da sola, vorrei tanto averti al mio fianco ma sai che non sarebbe giusto, devo farlo io”

“lo capisco, ti ammiro, sei una donna incredibile e sono fiero di essere il tuo uomo”

“sei sicuro al 100% che saremo soli, io e lui e che nessuno potrà mai venire a sapere nulla di quello che accadrà?”

“si, non preoccuparti di nulla, pensa solo a ciò che devi fare”



Erano passati tre giorni da quando ero stata salvata dai Carabinieri. Ero in uno stato pietoso e ci era voluto tempo perché mi riprendessi. A dire il vero ero ancora in uno stato pietoso ma almeno riuscivo a stare in piedi sulle mie gambe, quello che dovevo affrontare lo volevo affrontare a testa alta.
Marco mi aveva accompagnato alla stazione dove lavorava, erano tutti li, detenuti in attesa di processo, tutti i miei aguzzini, arrestati la sera della festa. Quando le forze dell’ordine avevano fatto irruzione molti avevano provato a scappare ma tutte le uscite erano presidiate.
Il Dottore con la moglie, Pamela, i proprietari del negozio di abiti, lo stalliere Mauro e un’altra decina di persone tra i più fedeli di quell’uomo che mi aveva soggiogata, ingannata e che ad un certo punto avevo pensato addirittura di amare. A loro si erano aggiunti in una retata avvenuta in contemporanea i vari servitori del Dottore, il maggiordomo, la cuoca, tutti quelli che avevano approfittato della mia situazione o che erano stati a guardare senza fare nulla sia nella villa che in campagna.
Mancavano i miei famigliari, ero stata io a chiedere a Marco di darmi tempo per pensare, per pensare a loro ma non mi andava proprio di farlo ancora, non ci riuscivo.
Per me era stata riservata una stanza particolare alla stazione dei Carabinieri, una stanza senza occhi ne orecchie, così la chiamavano. Era una stanza che in teoria doveva essere un magazzino ma che in realtà serviva per quelle pratiche per cui era bene che nessuno vedesse e nessuno sentisse.
Entrai, un ambiente vuoto, totalmente. Qualche scaffale per dare la parvenza di magazzino sui lati. Un tavolo al centro, due sedie di metallo agli estremi del tavolo. Una era già occupata dal dottore, in camice da detenuto con cui mandava un’immagine molto diversa da quella solita. Le manette incatenate al tavolo gli donavamo meno del suo amato orologio.
Era la prima volta che ci vedevamo da quell’ultima sera. Mi guardò entrare, il suo sguardo era sempre fiero, non certo vinto ma da lui si espandeva una profonda rabbia che cercava di celare. Potevo capirlo, o si che potevo capirlo, un uomo così potente, abituato a comandare e dominare doveva aver digerito veramente a fatica gli ultimi tre giorni passati in prigione in pigiama a righe.
Mi sedetti, lentamente, cercando di celare i dolori che ancora provavo per il trattamento a cui mi aveva sottoposta:
“Salve Alessandro, che strano, è la prima volta che ti chiamo per nome, Dottore, Dottore”
“infatti non dovresti Tania, non te ne ho mai dato il permesso, la situazione è temporaneamente strana ma i miei avvocati risolveranno molto in fretta e presto ritorneremo la dove eravamo pochi giorni fa”
Che strano, aveva cambiato completamente luce. Certo, anche li in quel luogo cercava di sembrare l’uomo distinto che avevo conosciuto ma non ci riusciva, non ci riusciva più o forse io non lo vedevo più così:
“Alessandro, non credo che andrà così, anzi, diciamo che posso anticiparti che non andrà così. Non posso essere sicura che non rivedrai mai più casa tua ma posso assicurarti che non riavrai più la tua libertà per tanti, tanti anni”
Esplose, era la prima volta che lo vedevo urlare, la maschera si era rotta, l’uomo intangibile era diventato un semplice uomo che affrontava la situazione, le sue paure, come tutti gli altri uomini; avendo paura e dimostrandola con la rabbia:
“stupida puttana, chi ti credi di essere, sarò fuori di qui in un attimo, non avete nulla contro di me, non ho fatto nulla di male” abbassò la voce, tanto da poter essere udito appena, sicuramente aveva paura di essere registrato. Dovetti quasi leggergli le labbra per capirlo:
“ho un contratto che dice chiaramente che tu VOLEVI fare ciò che i carabinieri ti hanno trovata a fare. Rimarrà solo la tua parola contro la mia, contro me e un esercito di avvocati. Ti seppellirò in tribunale e poi distruggerò te e la tua famiglia. Davvero mi credi così sciocco, pensi che io mi sia mosso senza avere pensato ad un’eventualità come questa? E’ fastidioso oggi ma tutto si sistemerà in brevissimo, sono in una botte di ferro e tu non puoi farmi nulla”
Qualche istante di silenzio per guardare quell’uomo che quasi sbavava:
“Alessandro, veramente non hai capito? Non ti sei reso conto di nulla? Non hai usato questi giorni di cella per riflettere? Non ti sei reso conto di quello che è successo nell’ultimo periodo e che nulla è successo per caso?”

“che vuoi dire?”

“ti faccio una domanda. Come ci hanno trovato i carabinieri? Tu stesso avevi descritto quel posto come sicuro, introvabile ma ci hanno trovato, come”

Ora era a bocca aperta, rifletteva sull’ultimo periodo, sull’ultima sera:
“non lo so ma poco cambia, resta il fatto che non mi può essere addebitato alcun che, sarò fuori a breve”

“Alessandro, ora facciamo un gioco” lo vidi sorridere per il sarcasmo della mia frase, io che sceglievo un gioco per lui:
“ti prego, ascolta prima le regole e poi gioca come vuoi.
Io ora ti racconterò una storia e tu potrai scegliere se ascoltarla fino alla fine e sapere tutto ma proprio tutto quello che ho contro di te oppure potrai interrompermi, dire anche solo una sillaba e io smetterò di raccontare, smetterò di dirti tutte le cose che non sai ok?”

Non mi rispose, ne si ne no, semplicemente appoggiò la schiena sullo schienale e incrociò le braccia per quanto le manette glielo permettevano:

“la storia, per te, inizia la sera in cui i ladri sono entrati nella tua casa” spalancò la bocca, stava per parlare ma alzai un dito come monito e si trattenne: “quelli non erano ladri, erano uomini ingaggiati per un lavoro, pensa, neanche io lo sapevo, anche io ne ero all’oscuro così che la mia reazione fosse la più spontanea possibile. Quella sera quegli uomini presero i soldi dalla tua giacca, doveva sembrare una rapina in fondo. Poi presero i documenti dalla cassaforte e fuggirono”
Di nuovi un suo sussulto in avanti e il mio dito ad ammonirlo e rimetterlo al suo posto:
“lo so, vorresti dirmi che i documenti, le fottutissime cambiali ti sono state rese ma ti ripeto, era tutta una cosa organizzate. Il carabiniere ti ha riportato delle cambiali ma sono false, se avessi controllato bene il timbro ti saresti accorto che erano fasulle”
Ora non cercava più di parlare, era spiazzato:
“siamo solo all’inizio ma intanto le cambiali, Alessandro, non esistono più, le ho bruciate molto tempo fa. Questo però non bastava, c’era il problema del contratto che non sapevo dove avessi riposto e che potrebbe, come dicevi poco fa, fungerti da scappatoia, da alibi”
Era molto attento e silenzioso:
“Immagino che tu sappia molto bene che nessun contratto può costringere qualcuno a fare o subire pratiche illegali. Certo, lo so, il concetto di pratiche illegali è labile e voler subire pratiche BDSM non è reato quindi, in assenza di prove che dimostrino che la persona che le subisce sia costretta contro la sua volontà, il tuo bel contratto ti terrebbe al sicuro da ogni accusa.

Però, però il problema è che sei una persona abitudinaria, legata ai suoi riti, ai suoi oggetti, ai suoi orologi”
Vidi rughe apparire sulla fronte di Alessandro
“non ci crederai ma dopo l’arresto, come previsto per legge, le forze dell’ordine hanno controllato i tuoi beni personali e hanno scoperto che il tuo amato orologio in realtà registrava ogni cosa che sentiva, conteneva una microfono, Alessandro, è stato stupido registrare tutto quello che hai detto quella sera”
Uno scatto in avanti a bocca aperta, non alzai neanche il dito, alzai solo le sopracciglia, non emise fiato:
“già, quell’orologio che la stessa sera della rapina il carabiniere prese e tirò contro il ladro per poi riportartelo, insieme alle cambiali false riportati quell’orologio registratore”
Ora fui io a sussurrare anche se sapevo che non ce ne era bisogno:
“anche l’orologio era falso, stesso identico modello ma modificato, all’interno vi era un registratore e un GPS, ecco come ci hanno trovati”

Ricadde sullo schienale della pesante sedia di metallo, le spalle basse, non vi era più rabia in lui, lo sconforto si stava facendo strada.

“ho quasi finito, concludo un attimo ok?”
Solo sconforto:
“tu e tutto il tuo enturage siete accusati di rapimento, stupro, sevizie, lesioni e il pubblico ministero che ha sentito le registrazioni mi ha già detto che viste le tue chiare dichiarazioni di volermi portare alla morte tu personalmente verrai accusato di tentato omicidio doloso, la pena prevista è la detenzione da 12 anni all’ergastolo. Il procuratore chiederà, te lo anticipo, l’ergastolo e è sicuro che lo otterrà”
Sconforto
“tranquillo Alessandro, è tutto preparato, in carcere ti aspettano. Abbiamo già un nutrito gruppo di energumeni che vi aspettano, abbiamo stretto un patto con loro, in cambio di diverse facilitazioni per le loro vite in prigione hanno ACCETTATO LA CONDIZIONE di prendersi cura di voi.
Vorrei tranquillizzarti dicendoti che dopo un po’ vi abituerete a tutte le attenzioni che avranno per voi, vorrei sollevarti dicendoti che i detenuti che vi cureranno non passeranno l’ingente tempo libero che hanno a disposizione a pensare a quale giochi potrete fare assieme, vorrei dirti che non avrete la privacy necessaria ad approfondire a pieno il vostro rapporto ma no, Dottore, non ci si abitua mai, la fantasia galoppa e la privacy sarà sempre, ogni giorno, ogni ora, assicurata in carcere”
Mi alzai, il suo sguardo era basso, sconfitto. Me ne andai.



Dodici anni dopo.
Sto rientrando a casa, chiudo la porta: “ciao amoreee”, non mi risponde ma oggi è normale, sorrido, sono eccitata.
Io e Marco stiamo assieme, da dodici anni, fanno dodici proprio oggi e dobbiamo festeggiare.
Il nostro è un rapporto di coppia normale, si, normale, lui è il mio amore e io sono il suo.
Un rapporto BDSM al livello di quello che ho subito o voluto nel mio passato non credo che sia sostenibile in un rapporto di coppia che punta a durare tutta la vita.
Essere puniti, torturati, brutalizzati in quel modo credo sia troppo anche per una persona masochista quale io, in fondo, sono. Forse mi sbaglio ma di sicuro è troppo per me però; però sono anche la sua schiava e lui il mio padrone. E’ un equilibrio delicato da mantenere. La vita con tutte le sue infinite curve, i suoi infiniti saliscendi, influenza i rapporti di coppia rendendo per me impossibile essere sempre una schiava e avere sempre un padrone. Spesso devo essere una donna che interagisce con il suo uomo.
Non sono stati dodici anni sempre facili, ci hanno trasformato e abbiamo dovuto trovare il nostro equilibrio, lo stiamo ancora facendo, con un po’ di fortuna continueremo a farlo per tutta la vita ma abbiamo fatto dei patti. Diciamo che abbiamo ACCETTATO DELLE CONDIZIONI.
Lui ha accettato di essere solo il mio uomo, il grande amore della mia vita e io ho accettato di essere anche la sua schiava e non solo la sua donna.
Più precisamente ho dei compiti di mia responsabilità.
Il primo compito è quello di baciarlo ogni volta che rientro, non sono ammesse deroghe, anche se avessimo litigato e ci stessimo sbranando, anche se fossi triste per qualcosa, arrabbiata, frustrata o che so io, rientrando è mio compito ricordargli che lo amo baciandolo.
Il secondo compito è quello di dover ospitare il suo sperma nel mio corpo, in ogni orifizio del mio corpo, almeno una volta alla settimana. In pratica devo assicurarmi che ogni settimana lui eiaculi sia nella mia fica che nella bocca che nel culo.
Il terzo compito è quello di portare sempre un segno di lui. Forse è quello più complicato, non è facile farsi lasciare un segno sul corpo, non basta una sculacciata, bisogna insistere tanto perché duri giorno. Devo assicurarmi di avere addosso almeno un livido che dimostri la mia appartenenza a lui facendomene fare uno nuovo prima che sparisca il vecchio.
L’ultimo compito è un compito che Marco non conosce, non me lo ha assegnato lui, l’ho imparato io negli anni. Mi sono resa conto che quando le cose fra noi non vanno bene è inutile cercare il motivo della singola lite. Quando le cose fra noi non vanno bene è perché lui ha bisogno di sentirsi più padrone, essere solo il mio uomo non gli basta e non credo che possa farci nulla, ha bisogno di sentirsi il mio Dio, l’unico mio pensiero e quindi devo assicurarmi di portarlo un po’ più verso gli estremi della parte BDSM del nostro rapporto, un po’ più vicino a quegli anni passiti che poi, alla fine, lui si accanisce solo un po’ di più sul mio corpo, diventa un po’ più pesante della normalità ma mai troppo, mi ama, se si rende conto che gli lascerei fare qualsiasi cosa si placa senza mai arrivare a pratiche a cui io non vorrei arrivare.

Altro di questi dodici anni? La mia famiglia? No, nulla di nuovo, è una cosa a cui non volevo pensare e non ho cambiato idea. Io sento di aver fatto tutto quello che ero tenuta a fare e ora, semplicemente, non voglio avere più nulla a che fare con loro, mi fa troppo male e io voglio vivere stando bene.

Bene, oggi è il nostro anniversario e fra i nostri piccoli accordi di coppia c’è anche che le feste si festeggiano con il sesso anale, beh, è ancora il mio Marco fissato per il culo però, però questa volta abbiamo in programma una cosa mai fatta, sto fremendo, è ora che mi prepari.

Entro nella nostra camera da letto, lui è li, sdraiato a pancia in giù, nudo, girato in modo che il viso sia dalla parte opposta a me. Non mi vede e non mi parla, è il nostro accordo è il motivo per cui non mi ha risposto quando l’ho salutato entrando.
Sono nuda, lui mi vuole nuda, non ama la lingerie, vuol solo me senza nulla, neanche profumo o gioielli di sorta. Devo ancora baciarlo visto che sono appena tornata, un bacio un po’ speciale questa volta.
Salgo sul letto, mi infilo fra le sue gambe divaricate, appoggio le mani ai glutei e li allargo gentilmente, scendo e bacio il suo ano, lo lecco un po’ con la lingua proprio come bacio lui quando ci rivediamo e poi mi sdraio sopra il suo corpo, sulla sua schiena.
Nel silenzio inizio a sbaciucchiarlo a leccarlo sul collo, sotto l’orecchi e scendo verso la schiena.
Devo ricordarmi che è un uomo, funziona diversamente dalle donne, preliminari soft troppo lunghi rischiano di divenire noiosi. Bacio qui e la la schiena, mi piace il sapore della sua pelle, lentamente scendo fino ad arrivare alla parte lombo sacrale. Mi appoggio sulle sue gambe, il seno sul suo sedere e senza smettere di leccare faccio scivolare le mani sotto di lui che mi fa spazio alzando il pube. Trovo il sesso turgido, lo afferro con entrambe le mani, lo stimolo. Scendo con la mano sinistra mentre scendo con la lingua. Lo masturbo con la destra e accolgo i testicoli nella sinistra, lo scroto, più freddo, voglio scaldarlo con la mano, mi ha detto che è piacevole e intanto posso massaggiargli anche le palle. E’ scesa anche la lingua, con cerchi concentrici sono tornata dove ero partita, al suo ano. Lui si alza di più, mi fa più spazio per lavorare sul sesso e espone meglio il sedere. Lo lappo con avidità, non è una cosa nuova, so che gli piace, spesso si siede sulla mia faccia e sta li a farsi leccare il culo finché non riesco a farlo venire con le mani, finché non lo faccio sborrare sulle tette.
Questo è un lavoro su cui posso soffermarmi più a lungo, non lo annoia di certo ma lo sento troppo caldo, il cazzo troppo caldo, non devo farlo venire adesso, il programma è un altro:
“padrone, sicuro?”
“perché no?” sorride mentre si mette a pecora, con il busto sul materasso e il culo ben esposto.
Prendo la bottiglietta del lubrificante, sono quasi gelosa, è mia quella bottiglietta, serve ad infilarmi cose dentro e poi ho paura di fare un casino, sono incerta, credo sia normale non avendolo mai fatto.
Mi spalmo le mani di liquido vischioso, con la sinistra riprendo il massaggio sul sesso che ora raggiungo meglio, passo dalla cappella fino ai coglioni con lunghe carezze, ungendolo tutto. Non posso fare a meno di pensare alla possibilità che voglia venirmi in bocca, odio leccale il lubrificante ma a volte mi tocca. Con la mano destra inizio ad infastidire il suo ano, spalmo bene il liquido, abbondante, giri concentrici e ad ogni giro finisco spingendo un po’ la punta del dito al centro, con calma, ho paura di fargli male:
“tutto ok?”
“ehi, abbiamo un patto, tu fai ciò che vuoi, se dovesse servire ti fermerò io”
Ci penso un attimo e poi spingo piano, la prima falange entra bene, scivola bene, si porta dietro la seconda e in men che non si dica ho un dito dentro il suo culo. Sono quasi stupita me è una cosa fica. Ho letto in un sacco di posti che se stimoli la prostata agli uomini da dentro il culo quelli godono un sacco e io amo far godere un sacco Marco.
Inizio a cercare, spingo il dito contro la parete anale in direzione del suo pene, mi muovo lentamente qui e la fino ad identificare una zona che quando stimolata fa vibrare il cazzo che ho nell’altra mano. Trovata? Direi di si, forse si, giochiamoci un pochino.
Spingo in quella zona, esco un po’ con il dito e poi rientro a cercarla, me lo sditalino delicatamente mentre sento i muscoli dell’ano stringere sul mio dito. Se stringessi io così quando mi infila i plug enormi che gli piacciono non riuscirebbe mai a farmeli entrare nel culo però per lui è la prima volta e poi non si lamenta, non lo sento teso, non credo gli faccia male, vorrei tanto chiederglielo ma non posso.
Estraggo il dito, lubrifico ancora un po’ e questa volta ne punto due, spingo piano, non entrano, stringe troppo ma lui inarca la schiena ad incitarmi e allora spingo di più, lo forzo, entro, lo masturbo e affondo in lui, non è male, dovremo rifarlo con lui girato dall’altra parte così potrei succhiargli il cazzo. Prossima volta.
Continuo il mio lavoro e lo ammorbidisco quanto basta per quello che dobbiamo fare.
“direi che sei pronto”
Lui si sdraia di nuovo sul letto, gambe aperte e culo alzato. Io mi avvicino, mi addentro fra le sue gambe fino ad arrivare a puntare lo strapon che indosso al suo orifizio.
E’ rosa, lo strapon, dimensioni normali, come quelle di un cazzo medio, più piccolo del suo cazzo. E’ di quelli senza cinghie, si fissa dentro la fica, in profondità in modo che muovendolo io venga stimolata. Con una mano gli tengo i glutei aperti per vedere il suo buco e con l’altra punto il mio cazzo finto. Provo ad entrare ma non riesco, cazzo, la posizione è sbagliata, in questo modo spingo verso avanti e invece dovrei spingere verso il basso per entrargli dentro. Faccio più forza con la mano con cui gli allargo le chiappe in modo da alzare il mio bacino e poi tiro il dildo per inclinarlo verso il basso, verso di lui ma nel contempo ottengo di spingermelo bene verso il punto G. Ho un brivido, prendo la mira e spingo un po’, la punta affonda, entra nel suo culo, qualche centimetro ma la sua mano scorre verso dietro, verso di me, a spingermi indietro. Esco subito, oddio, gli ho fatto male:
“scusa, scusa”
“shhh, non è nulla, non mi hai fatto nulla, devi solo darmi un attimo come io faccio con te. Entra poco, e poi esci, un po’ di più e esci e così via”
Mi riposiziono e faccio come ha detto lui, faccio affondare un pezzettino di cazzo rosa nel suo culo e subito esco, lo faccio e lo rifaccio e anche senza volere mi trovo ad entrare sempre di più.
La sua mano mi afferra di nuovo, mi irrigidisco ma non mi manda indietro, mi afferra per una chiappa e mi tira verso di lui, sono in un equilibrio precario e non riesco a tenermi, lentamente mi appoggio a lui entrandogli tutto nel culo, il mio pube sulle sue chiappe, lo strapon dentro il mio uomo che però continua a tenermi, tirarmi verso di lui.
Con l’altra mano mi prende da dietro la testa, mi porta la bocca alla sua pelle, lo bacio, lo lecco.
Ora che mi ha messo la bocca dove voleva porta entrambe le mani al culo, me lo afferra, spinge indietro il suo e mi incita a scoparlo. Ora ho caldo, ora non ho più paura e quella situazione inversa, lui che mi istiga, il tutto mi sta facendo effetto.
Mentre lo bacio mi striscio sopra di lui per muovere il plug. Il mio petto a contatto con la sua schiena, ci strusciamo mentre faccio avanti e indietro inculando lui e al contempo masturbando me con la parte interna di quel sex toys.
Sento lui, in silenzio, aumentare il respiro mentre mi tira con forza il culo a lui, spalancandomi le chiappe. Lo seguo spingendo con forza il mio pube in modo da penetrarlo il più possibile. Senza neanche accorgermi lo mordo, geme, mi stacco ma subito mi afferra la testa e la riporta sul segno dei miei denti.
“dai, fottimi, Tania fottimi”
Gli appoggio le mani sui fianchi appoggiando tutto il peso su di lui, lui riafferra il mio culo e se lo spinge forte contro. Baccio, lecco e mordo, forse a volte troppo, lo sento irrigidirsi ma non mi fermo, ha detto che se serve mi ferma lui. Il mio non è un entrare e uscire dal suo culo, mi sono eccitata e ora sto pensando a me. Resto ben piantata in lui e spingo avanti e indietro. La penetrazione, sempre completa, varia di pochi millimetri nella profondità del suo ano spalancato però in questo modo riesco a trasferire il movimento al punto G e al clitoride. Dopo pochi minuti mi ritrovo a godere. Non è l’orgasmo più forte della mia vita ma se considerate che non immaginavo neanche che scopandomelo sarei venuta è una bella sorpresa.
Mi accascio su di lui ansimando. Punto le braccia per alzarmi e per liberargli il culo ma mi afferra e mi tiene li:
“non c’è fretta, resta su di me e goditi il tuo orgasmo fino alla fine, io lo faccio sempre senza preoccuparmi minimamente di te e poi non mi dai fastidio”
Resto sdraiata su di lui finché il mio respiro non si calma. Con l’orecchio appoggiato alla sua schiena mi godo il battito del suo cuore poi alzo lentamente il pube e esco dal suo culo. Non resisto alla tentazione di infilarci due dita dentro per sentirlo:
“hihihih, questa volta ti ho sfondato io il culo, è morbido morbido come di solito tu riduci il mio”
“non hai mica finito”
Esce da sotto di me, mi fa girare a pancia in su, mi sale sopra e si impala da solo mentre mi porta le mani al cazzo.
“fottimi e fai venire me adesso ma fottimi forte”
Inizio a sbattermelo con tutte le forze, lui sta un po’ alzato in modo che io abba il modo di fare avanti e indietro usando gli addominali. Entro e esco da lui, me lo scopo come lui mi ha scopata tante volte e intanto lo masturbo, lo guardo, lui mi guarda. Dopo poco mi afferra i seni, stringe, è un segno chiaro. Affaticata, sudata, raccolgo le forze per sbattergli lo strapon dentro il culo più forte che riesco. Il mio bacino sbatte forte contro il suo culo mentre me lo inculo furiosamente mentre me lo masturbo intensamente e lui viene, spruzza, il primo getto sul seno, il secondo, più copioso, mi raggiunge le labbra. Lecco il suo sperma, lo raccolgo con la lingua mentre ancora viene, mentre ancora lo inculo e poi si siede su di me, si accomoda sul pene di gomma, si stente su di me, il petto contro il petto, sudati, fra i nostri corpi ansimanti il suo seme:
“è stato carino padrone”
“si, beh, ora sai cosa voglio quando mi trovi sul letto in quel modo”
Sorrido:
“ti amo”

…FINE. NON CONTINUA PIU’
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scritto il
2025-02-27
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