Jessica - Solo per amore - Cap. 5
di
Glorfindel
genere
dominazione
CAPITOLO 5
Da quando Jessica mi si era donata come schiava sono ormai trascorsi sei mesi. La sua trasformazione è stata incredibile e il nostro rapporto è ormai cambiato radicalmente.
Siamo una coppia nel vero senso della parola, sia in pubblico che in privato. Lei è diventata una donna elegante e sicura di se. Il suo modo di essere affascina tutti quelli che la conoscono e con la naturalità dei suoi anni è riuscita a farsi amare e apprezzare da amici e parenti.
Quando l'ho portata nella mia vita di tutti i giorni, tutti quelli che mi conoscevano non hanno potuto fare a meno di apprezzarla e per me è stato un piacere vederla districarsi senza problemi fra amiche invidiose e amici affascinati senza mai offendere nessuno ma riuscendo a dire sempre la cosa giusta al momento giusto.
Viviamo insieme, lei si è trasferita a casa mia, a casa nostra ormai. Vi è entrata in punta di piedi e si è amalgamata al mio modo di vivere con la delicatezza di una farfalla portando grandi cambiamenti ma senza rovinare nessuno dei miei equilibri personali.
E' inutile negarlo, adoro quella donna ed è diventato per me un bisogno carnale coccolarla, vezzeggiarla e appagare ogni suo desiderio. Cammino nel mondo con lei al mio fianco come se accompagnassi una regina, in ogni momento della mia vita lei è il centro ed il mio unico interesse è renderla il più felice che posso. Non c'è dono, non vi è attenzione che vorrei negarle e lei si abbandona beatamente nel godere delle mie premure; ma la cosa magica del nostro rapporto è che quando quella creatura stupenda varca la soglia di casa nostra si trasforma divenendo la mia schiava devota desiderosa solo e soltanto di compiacermi, di essere usata e sfruttata nel più completo dei modi, con una sensualità da fare impazzire. Si dona a me nel corpo realizzando con gioia ogni più recondita perversione mi possa passare nella testa ma anche essendo una semplice compagnia nello spirito sostenendomi e curandomi come solo l'amore sa fare.
Non so se ha dei limiti ma ad oggi le mie fantasie si sono incastrate perfettamente con le sue capacità, ad oggi non mi ha mai detto no.
....
Una sera, appena rientrato a casa, mi guarda sorridendo e si avvicina per salutarmi ma io la blocco serio dicendole: "Zitta, vai di sotto e preparati". Ormai esperta si fa subito seria anche lei e dopo aver detto "si padrone" si avvia per le scale.
Al piano di sotto una piccola taverna che ospita un grande letto, molti specchi sparsi qui e la e tutto il necessario per poter giocare con Jessica.
Scendo e lei è li, completamente nuda, il piecing al clitoride che svetta sulla sua fica sempre perfettamente rasata. Mi avvicino e il nostro rito ha inizio, le sposto le mani dietro la schiena e inizia il solito lungo bacio, mi avvolge con le sue labbra vellutate, si infila nella mia bocca e mi attira nella sua. Il suo profumo mi inebria, ogni volta mantenermi calmo e distaccato davanti a lei si fa più difficile. Il bacio continua mentre io allungo le mani verso il suo sesso, la sfioro appena, quel tanto che basta a sganciare il piercing, ancora incollato alle sue labbra le sussurro: "questo anellino lo togliamo, potresti farti male" un sorriso maligno sulla mia bocca, lei freme, si sta eccitando e le sfugge un morso sul mio labbro, mi scrollo con forza e assaggio il sapore del sangue che stilla appena dalla carne. Lei si fa come più piccola, guarda a terra mentre dice "perdono, perdono, scusa io..."
"ZITTA" ha paura, non ama il dolore, certo le piacciono le maniere dure ma il dolore vero la spaventa ed ora teme di essersi messa nei guai.
Non sono un sadico e non provo un piacere perverso nel farle male ma ogni tanto, quando la situazione lo richiede, le sue carni ricevono la mia attenzione ma ho imparato i suoi limiti e non provo nessun desiderio di forzarli troppo ma a lei non l’ho mai detto.
Presi una scatola da dentro un mobile, la aprii e gliela mostrai, un brivido la percorse mentre io godevo nel gustarmi la sua tensione.
Era piena di corde, spesse, nere e robuste, non l'avevo mai legata, non glielo avevo mai chiesto ma sapevo che la spaventava a morte.
Era una donna capace di ubbidire, quando le intimavo di stare ferma in una posizione eseguiva docile anche sotto i colpi più duri ma c'è differenza fra lo stare fermi e il non potersi muovere. Toglierle la volontarietà di subire e costringerla, legata, ad essere sottomessa senza che potesse nulla richiedeva un livello di fiducia a cui non eravamo mai giunti.
"girati"
le presi le braccia e gliele portai dietro la schiena, iniziai a legarle insieme le mani facendo girare la corda intorno alle braccia, stretta ma non abbastanza da bloccare la circolazione, continuai l'operazione giro dopo giro finché i suo avanbracci non si trovarono ben serrati fra loro dietro la schiena, completamente avvolti e ricoperti dalla corda.
Per quanto lei fosse flessibile, in quella posizione, era costretta ad inarcare indietro le spalle esponendo al massimo i piccoli seni.
Le girai intorno, la guardai, le accarezzai i capezzoli fino a farli inturgidire bene poi mi avvicinai e le baciai il collo, proprio sotto l'orecchio e li le sussurrai: "mi hai morso il labbro tanto da farmi sanguinare, non credi che debba restituirti il favore ?" lei aveva capito perfettamente cosa volevo fare, deglutì "si padrone".
Mentre ancora assaporavo la pelle setosa del collo continuai:
"quale preferisci, il destro o il sinistro ?", era già ad occhi chiusi, il respiro che si faceva più lungo, intenso mentre cercava di rimanere calma "tutti e due padrone"... sorrisi, sapeva sempre cosa rispondere.
Iniziai a baciarle il corpo dolcemente, come un'amante affettuoso, scendendo sempre più giù fino ad incontrare un capezzolo, lo accolsi in bocca, lo leccai con cura e lo succhiai poi ne presi un pezzetto fra i denti, lei strinse gli occhi ancora più forte preparandosi al dolore e io incomincia a stringere, lentamente, sempre di più.
Dalle sue labbra usciva un mugugno trattenuto che si faceva sempre più intenso mano a mano che stringevo, stava quasi per urlare quando sentii una piccola goccia di sangue sulla lingua e lasciai la presa.
La sua bocca si spalancò a cercare aria mentre sospiri pesanti invadevano, l’ambiente. Il mio viso di fronte al suo, gli occhi negli occhi mentre la tenevo da sotto il mento: "brava, ricorda che non puoi urlare, siamo in un interrato ma se urli troppo forte qualcuno ti sentirà comunque e sarebbe un peccato". Senza abbandonare i suoi occhi avvicinai le labbra all'altro capezzolo, chiuse gli occhi: "no, guardami", li riaprì e li piantò nei miei, non mancava mai l'aria di sfida in lei, presi l'altro capezzolo e inizia a stringere, neanche un fiato, non respirava, la mascella serrata a stringere i denti ma non fece un solo rumore e non distolse mai lo sguardo, feroce, dal mio. Quando sentii il sangue mollai la presa e non potei fare a meno di essere orgoglioso di lei e di baciarla appassionatamente mentre si scioglieva fra le mie braccia ma eravamo solo all'inizio.
Le legai un'altra corda intorno alla schiena, intorno ai seni, tre giri di quella corda morbida, vellutata, poi la bloccai in mezzo alle sue scapole e la feci passare in un anello che pendeva dal soffitto in modo da poterla tirare verso l'altro quel tanto da metterla in tensione ma senza alzarla da terra. Da un cassetto presi una scatola, lei mi seguiva con lo sguardo, sapeva cosa conteneva, morsetti, come delle mollette in metallo con una vite che permette di regolare la pressione con cui stringere, la punta dentellata ma con i denti arrotondati. Le aveva già provate e se pur erano uno giochino abbastanza innocuo stringendole troppo avevo visto i suoi occhi lacrimare. Iniziai un lungo lavoro sul suo corpo, ne applicai una sul clitoride e due sulle grandi labbra, le stringevo tutte lentamente fino al punto che, per quanto caparbia fosse, una smorfia appariva sul suo viso. Disegnai due linee di mollette sul suo corpo, non più di tre centimetri l'una dall'altra. Le due linee partivano dal suo sesso e andavano allontanandosi salendo verso l'alto fino a raggiungere, posarsi e superare i sui capezzoli e finendo dove finivano i suoi seni. Lei si adattava morsetto dopo morsetto e per quanto tesa subiva quell'intervento serenamente.
Presi poi una lunga corda, sottile, la feci passare nell'anello della molletta sul suo clitoride facendone scorrere metà e poi comincia ad infilare morsetto dopo morsetto fino a disegnare una lunga V sul suo corpo che partiva dalla fica e finiva sulle tette. Feci passare le due estremità della corda sullo stesso anello a sofficco a cui era ancorata lei e poi le lascia cadere verso il basso. Jessica non capiva, mi guardava sospettosa. Presi una cavigliera in pelle, le ordinai di alzare una gamba a 90 gradi e le serrai la caviglia, ripresi poi i lembi di corda che penzolavano e li feci passare nell'anello della cavigliera tirando e legando la corda in modo tale che se lei avesse abbassato la gamba si sarebbe strappata di forza le mollette dal corpo. Mi allontanai un poco e la osservai, li, nuda, in quella scomoda posizione, impossibilitata a fare qualunque movimento mentre combatteva per mantenere l'equilibrio su una gamba sola e mi sentii orgoglioso del mio lavoro:
"ho voglia di una sigaretta, aspetta qui, mi raccomando" un brivido mi percorse per l'odio che scaturiva dai suoi occhi e mi diressi al piano di sopra.
Tornai con sigarette, posacenere e il giornale del giorno, non la guardai neppure ma riuscivo a sentire il profumo del suo sudore. Mi sedetti sul letto e inizia a fumare mentre leggevo il giornale, in sottofondo i suoi mugugni per i muscoli indolenziti dal dover tenere la gamba alzata per tanto tempo. Fumai lentamente, praticamente lasica che la sigaretta finisse da sola mentre leggevo. Spensi il mozzicone mentre continuavo a leggere, avevo trovato un articolo interessante e volevo sapere come finiva. Lei trovava un po' di sollievo spingendo il ginocchio della gamba alzata verso il lato e facendo avvicinare il piede al corpo ma durava ben poco, sbuffava contorcendosi per quanto le era concesso nell'infruttuosa ricerca di un po' di riposo.
Dopo almeno dieci minuti mi alzai, misi via il posacenere e il giornale e andai alle sue spalle. Le feci passare una mano sotto la gamba indolenzita e arrivato all'altezza del ginocchio, gradualmente, lentamente, feci pressione verso l'alto a sostenere il suo peso.
Lei iniziò a respirare rapida invasa dal sollievo di quel sostegno appoggiando la schiena su di me quasi volesse salirmi in braccio. La lasciai respirare, non c'era più spavalderia in lei, avevamo raggiunto il punto che mi piaceva di più, era piegata, alla mia mercè, in mio totale potere.
"sai Jessica, mi è venuta voglia di accarezzare il tuo seno"
"accarezzami, ti prego"
"si ma quella corda, quei morsetti che li ricoprono, mi danno fastidio, toglili per favore ma solo quelle sue seni"
e detto questo lascia la sua gamba che divenne subito pesante come un macigno, quasi perse l'equilibrio.
Ci volle quasi un minuto prima che facesse qualcosa e io lo attesi respirando estasiato il profumo dei suoi capelli mentre la schiena strusciava su di me a cercare un appoggio inesistente.
Poi lei iniziò ad abbassare la gamba, le tremava per lo sforzo prolungato dei muscoli e non doveva essere facile riuscire a strapparsi dolorose mollette dalla carne senza neanche strapparle tutte.
Lunghi mugoli strozzati cominciarono a sentirsi mentre la pelle si allungava trattenuta dalle pinze, non volevano straccarsi al punto tale che dovette desistere e rialzare la gamba.
Io nel frattempo mi gustavo tutta la scena carezzandole i capelli, quasi pettinandoli, in assoluto silenzio.
Tornò subito all'attacco ma questa volta provò con piccoli strattoni, aumentando la forza del colpo sempre un po' di più, la sua pelle a fare come da elastico allungandosi per il colpo e poi rimbalzando di nuovo al suo posto mentre la gamba si rialzava.
Uno, due, tre colpi e poi al quarto le mollette si staccarono, due, subito sopra i suoi capezzoli e le sfuggi un urlo che strozzo all'istante.
Sulla carne due solchi rosso violacei a testimoniare il morso di quei piccoli denti di metallo.
Ansimava forte, strinse le labbra, trattenne il respiro e diede un altro colpo, forte, forse troppo, saltarono le mollette dai capezzoli, quelle subito sotto e una ancora più in basso sul lato di destra. Un lungo mugolo seguito da un basso, rauco grido le uscì dalla bocca continuando fino a quando non fu costretta a zittirsi per respirare.
La gamba era un po' più libera ma non si poteva abbassare più di un tanto, lei tremava tutta mentre io, scostati i capelli che cominciavano ad essere invasi dal sudore le sussurravo: "grazie, ora posso accarezzarti liberamente", feci scorrere le mani da dietro afferrandole i seni, baciavo le sue spalle mentre massaggiavo quelle morbide, sode carni ma lei sfinita:
"sorreggimi la gamba, ti prego padrone, solo per un attimo"
"appena avrò finito con le tette, un momento"
Sentivo tutto il suo corpo fremere, i muscoli ribellarsi al suo controllo, cercava sollievo appendendosi alla corda che la sosteneva ma era inutile e io, con calma, con tocco leggero, accarezzavo ogni segno rimasto sulla pelle offesa, titillavo i capezzoli e giocavo facendo roteare il dito nelle aureole. Sentendola al limite feci scorrere le mani lungo i fianchi, superai il suo stupendo culo e poi, finalmente, andai a sostenere la gamba imprigionata in quella scomoda posizione. L'aria che aspirò rapida entrando nei polmoni per darle sollievo fece un rumore come di un gorgo mentre il corpo non smetteva di tremarmi fra le braccia.
La sostenni forte questa volta, mi feci carico di tutto il suo peso e lasciai che si riprendesse allungo. La tenni come in braccio per almeno cinque minuti mentre riposava, come dei gridolini, risa le uscivano spontanei tanto era il sollievo. Sostenendola per un attimo con un braccio solo le scostai i capelli in modo da potermi avvicinare al suo orecchio e, quasi come non dovessimo sentire nemmeno noi due, le sussurrai:
"sei eccezionale come sempre mia indomabile regina, per me può bastare, sono pienamente soddisfatto"
Fu con lo stesso tono complice, sottovoce, parlando per un istante fuori dai giochi, come due amanti, che mi rispose:
"ti prego, lasciami finire, lascia che ti dia fino all'ultima stilla di me"
La lascia delicatamente, allontanandomi e portandomi davanti a lei, lo sguardo deciso, fiero, alzò la gamba, strinse i denti mordendosi il labbro inferiore e la abbassò, non so quante mollette volarono e non potei contarle perché arrivò subito un altro colpo a strapparne altre accompagnato da un rauco grido di coraggio e poi l'ultimo, violento strattone che divelse anche i morsi dal suo sesso, questa volta il grido fu forte ma se qualcuno sentiva ormai non importava più.
La sollevai di peso e la sgancia dall'anello che la sosteneva mentre l'animale che è in me prendeva il sopravvento, ancora una volta era riuscita a strapparmi fuori la parte più recondita del mio essere, la adagia dolcemente sul letto e mi tolsi i vestiti quasi strappandoli.
Mi stesi a pancia in su e la issai sul mio sesso marmoreo, entrai in lei, in quel lago a farmi abbracciare dal calore unico del suo ventre e rimasi li ad osservarla mentre mi cavalcava. L'ultimo barlume di coscienza mi servì per vedere che i segni sul suo corpo non erano nulla di grave, non avevo esagerato, la mia donna era intatta e poi mi persi nella sua furia, si muoveva, si impalava come una belva impazzita, i respiri sempre più rapidi, non ce la faceva più, voleva farmi godere e stava usando energie che non avrebbe dovuto avere e ci riuscì. Mi riversai urlando nel suo utero liberandomi di ogni angoscia, di ogni problema, del mondo stesso mentre raggiungevo la sublime beatitudine.
Si accasciò su di me, il corpo bagnato come fosse stata una dea appena uscita della acque del paradiso, sfinita quasi assente mentre ripeteva convulsamente:
"ti amo, ti amo, ti amo, ti..."
La abbracciai distrutto sentendomi felice come nessun altro uomo avrebbe potuto e con le mani dietro la sua schiena comincia a slegarle le corde che ancora la opprimevano.
Non era venuta ma era soddisfatta e rilassata come un orgasmo non avrebbe mai potuto.
.........
Le cose andavano molto bene fra di noi, per tutti e due era il periodo più bello della nostra vita ma poi una sera.......
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Da quando Jessica mi si era donata come schiava sono ormai trascorsi sei mesi. La sua trasformazione è stata incredibile e il nostro rapporto è ormai cambiato radicalmente.
Siamo una coppia nel vero senso della parola, sia in pubblico che in privato. Lei è diventata una donna elegante e sicura di se. Il suo modo di essere affascina tutti quelli che la conoscono e con la naturalità dei suoi anni è riuscita a farsi amare e apprezzare da amici e parenti.
Quando l'ho portata nella mia vita di tutti i giorni, tutti quelli che mi conoscevano non hanno potuto fare a meno di apprezzarla e per me è stato un piacere vederla districarsi senza problemi fra amiche invidiose e amici affascinati senza mai offendere nessuno ma riuscendo a dire sempre la cosa giusta al momento giusto.
Viviamo insieme, lei si è trasferita a casa mia, a casa nostra ormai. Vi è entrata in punta di piedi e si è amalgamata al mio modo di vivere con la delicatezza di una farfalla portando grandi cambiamenti ma senza rovinare nessuno dei miei equilibri personali.
E' inutile negarlo, adoro quella donna ed è diventato per me un bisogno carnale coccolarla, vezzeggiarla e appagare ogni suo desiderio. Cammino nel mondo con lei al mio fianco come se accompagnassi una regina, in ogni momento della mia vita lei è il centro ed il mio unico interesse è renderla il più felice che posso. Non c'è dono, non vi è attenzione che vorrei negarle e lei si abbandona beatamente nel godere delle mie premure; ma la cosa magica del nostro rapporto è che quando quella creatura stupenda varca la soglia di casa nostra si trasforma divenendo la mia schiava devota desiderosa solo e soltanto di compiacermi, di essere usata e sfruttata nel più completo dei modi, con una sensualità da fare impazzire. Si dona a me nel corpo realizzando con gioia ogni più recondita perversione mi possa passare nella testa ma anche essendo una semplice compagnia nello spirito sostenendomi e curandomi come solo l'amore sa fare.
Non so se ha dei limiti ma ad oggi le mie fantasie si sono incastrate perfettamente con le sue capacità, ad oggi non mi ha mai detto no.
....
Una sera, appena rientrato a casa, mi guarda sorridendo e si avvicina per salutarmi ma io la blocco serio dicendole: "Zitta, vai di sotto e preparati". Ormai esperta si fa subito seria anche lei e dopo aver detto "si padrone" si avvia per le scale.
Al piano di sotto una piccola taverna che ospita un grande letto, molti specchi sparsi qui e la e tutto il necessario per poter giocare con Jessica.
Scendo e lei è li, completamente nuda, il piecing al clitoride che svetta sulla sua fica sempre perfettamente rasata. Mi avvicino e il nostro rito ha inizio, le sposto le mani dietro la schiena e inizia il solito lungo bacio, mi avvolge con le sue labbra vellutate, si infila nella mia bocca e mi attira nella sua. Il suo profumo mi inebria, ogni volta mantenermi calmo e distaccato davanti a lei si fa più difficile. Il bacio continua mentre io allungo le mani verso il suo sesso, la sfioro appena, quel tanto che basta a sganciare il piercing, ancora incollato alle sue labbra le sussurro: "questo anellino lo togliamo, potresti farti male" un sorriso maligno sulla mia bocca, lei freme, si sta eccitando e le sfugge un morso sul mio labbro, mi scrollo con forza e assaggio il sapore del sangue che stilla appena dalla carne. Lei si fa come più piccola, guarda a terra mentre dice "perdono, perdono, scusa io..."
"ZITTA" ha paura, non ama il dolore, certo le piacciono le maniere dure ma il dolore vero la spaventa ed ora teme di essersi messa nei guai.
Non sono un sadico e non provo un piacere perverso nel farle male ma ogni tanto, quando la situazione lo richiede, le sue carni ricevono la mia attenzione ma ho imparato i suoi limiti e non provo nessun desiderio di forzarli troppo ma a lei non l’ho mai detto.
Presi una scatola da dentro un mobile, la aprii e gliela mostrai, un brivido la percorse mentre io godevo nel gustarmi la sua tensione.
Era piena di corde, spesse, nere e robuste, non l'avevo mai legata, non glielo avevo mai chiesto ma sapevo che la spaventava a morte.
Era una donna capace di ubbidire, quando le intimavo di stare ferma in una posizione eseguiva docile anche sotto i colpi più duri ma c'è differenza fra lo stare fermi e il non potersi muovere. Toglierle la volontarietà di subire e costringerla, legata, ad essere sottomessa senza che potesse nulla richiedeva un livello di fiducia a cui non eravamo mai giunti.
"girati"
le presi le braccia e gliele portai dietro la schiena, iniziai a legarle insieme le mani facendo girare la corda intorno alle braccia, stretta ma non abbastanza da bloccare la circolazione, continuai l'operazione giro dopo giro finché i suo avanbracci non si trovarono ben serrati fra loro dietro la schiena, completamente avvolti e ricoperti dalla corda.
Per quanto lei fosse flessibile, in quella posizione, era costretta ad inarcare indietro le spalle esponendo al massimo i piccoli seni.
Le girai intorno, la guardai, le accarezzai i capezzoli fino a farli inturgidire bene poi mi avvicinai e le baciai il collo, proprio sotto l'orecchio e li le sussurrai: "mi hai morso il labbro tanto da farmi sanguinare, non credi che debba restituirti il favore ?" lei aveva capito perfettamente cosa volevo fare, deglutì "si padrone".
Mentre ancora assaporavo la pelle setosa del collo continuai:
"quale preferisci, il destro o il sinistro ?", era già ad occhi chiusi, il respiro che si faceva più lungo, intenso mentre cercava di rimanere calma "tutti e due padrone"... sorrisi, sapeva sempre cosa rispondere.
Iniziai a baciarle il corpo dolcemente, come un'amante affettuoso, scendendo sempre più giù fino ad incontrare un capezzolo, lo accolsi in bocca, lo leccai con cura e lo succhiai poi ne presi un pezzetto fra i denti, lei strinse gli occhi ancora più forte preparandosi al dolore e io incomincia a stringere, lentamente, sempre di più.
Dalle sue labbra usciva un mugugno trattenuto che si faceva sempre più intenso mano a mano che stringevo, stava quasi per urlare quando sentii una piccola goccia di sangue sulla lingua e lasciai la presa.
La sua bocca si spalancò a cercare aria mentre sospiri pesanti invadevano, l’ambiente. Il mio viso di fronte al suo, gli occhi negli occhi mentre la tenevo da sotto il mento: "brava, ricorda che non puoi urlare, siamo in un interrato ma se urli troppo forte qualcuno ti sentirà comunque e sarebbe un peccato". Senza abbandonare i suoi occhi avvicinai le labbra all'altro capezzolo, chiuse gli occhi: "no, guardami", li riaprì e li piantò nei miei, non mancava mai l'aria di sfida in lei, presi l'altro capezzolo e inizia a stringere, neanche un fiato, non respirava, la mascella serrata a stringere i denti ma non fece un solo rumore e non distolse mai lo sguardo, feroce, dal mio. Quando sentii il sangue mollai la presa e non potei fare a meno di essere orgoglioso di lei e di baciarla appassionatamente mentre si scioglieva fra le mie braccia ma eravamo solo all'inizio.
Le legai un'altra corda intorno alla schiena, intorno ai seni, tre giri di quella corda morbida, vellutata, poi la bloccai in mezzo alle sue scapole e la feci passare in un anello che pendeva dal soffitto in modo da poterla tirare verso l'altro quel tanto da metterla in tensione ma senza alzarla da terra. Da un cassetto presi una scatola, lei mi seguiva con lo sguardo, sapeva cosa conteneva, morsetti, come delle mollette in metallo con una vite che permette di regolare la pressione con cui stringere, la punta dentellata ma con i denti arrotondati. Le aveva già provate e se pur erano uno giochino abbastanza innocuo stringendole troppo avevo visto i suoi occhi lacrimare. Iniziai un lungo lavoro sul suo corpo, ne applicai una sul clitoride e due sulle grandi labbra, le stringevo tutte lentamente fino al punto che, per quanto caparbia fosse, una smorfia appariva sul suo viso. Disegnai due linee di mollette sul suo corpo, non più di tre centimetri l'una dall'altra. Le due linee partivano dal suo sesso e andavano allontanandosi salendo verso l'alto fino a raggiungere, posarsi e superare i sui capezzoli e finendo dove finivano i suoi seni. Lei si adattava morsetto dopo morsetto e per quanto tesa subiva quell'intervento serenamente.
Presi poi una lunga corda, sottile, la feci passare nell'anello della molletta sul suo clitoride facendone scorrere metà e poi comincia ad infilare morsetto dopo morsetto fino a disegnare una lunga V sul suo corpo che partiva dalla fica e finiva sulle tette. Feci passare le due estremità della corda sullo stesso anello a sofficco a cui era ancorata lei e poi le lascia cadere verso il basso. Jessica non capiva, mi guardava sospettosa. Presi una cavigliera in pelle, le ordinai di alzare una gamba a 90 gradi e le serrai la caviglia, ripresi poi i lembi di corda che penzolavano e li feci passare nell'anello della cavigliera tirando e legando la corda in modo tale che se lei avesse abbassato la gamba si sarebbe strappata di forza le mollette dal corpo. Mi allontanai un poco e la osservai, li, nuda, in quella scomoda posizione, impossibilitata a fare qualunque movimento mentre combatteva per mantenere l'equilibrio su una gamba sola e mi sentii orgoglioso del mio lavoro:
"ho voglia di una sigaretta, aspetta qui, mi raccomando" un brivido mi percorse per l'odio che scaturiva dai suoi occhi e mi diressi al piano di sopra.
Tornai con sigarette, posacenere e il giornale del giorno, non la guardai neppure ma riuscivo a sentire il profumo del suo sudore. Mi sedetti sul letto e inizia a fumare mentre leggevo il giornale, in sottofondo i suoi mugugni per i muscoli indolenziti dal dover tenere la gamba alzata per tanto tempo. Fumai lentamente, praticamente lasica che la sigaretta finisse da sola mentre leggevo. Spensi il mozzicone mentre continuavo a leggere, avevo trovato un articolo interessante e volevo sapere come finiva. Lei trovava un po' di sollievo spingendo il ginocchio della gamba alzata verso il lato e facendo avvicinare il piede al corpo ma durava ben poco, sbuffava contorcendosi per quanto le era concesso nell'infruttuosa ricerca di un po' di riposo.
Dopo almeno dieci minuti mi alzai, misi via il posacenere e il giornale e andai alle sue spalle. Le feci passare una mano sotto la gamba indolenzita e arrivato all'altezza del ginocchio, gradualmente, lentamente, feci pressione verso l'alto a sostenere il suo peso.
Lei iniziò a respirare rapida invasa dal sollievo di quel sostegno appoggiando la schiena su di me quasi volesse salirmi in braccio. La lasciai respirare, non c'era più spavalderia in lei, avevamo raggiunto il punto che mi piaceva di più, era piegata, alla mia mercè, in mio totale potere.
"sai Jessica, mi è venuta voglia di accarezzare il tuo seno"
"accarezzami, ti prego"
"si ma quella corda, quei morsetti che li ricoprono, mi danno fastidio, toglili per favore ma solo quelle sue seni"
e detto questo lascia la sua gamba che divenne subito pesante come un macigno, quasi perse l'equilibrio.
Ci volle quasi un minuto prima che facesse qualcosa e io lo attesi respirando estasiato il profumo dei suoi capelli mentre la schiena strusciava su di me a cercare un appoggio inesistente.
Poi lei iniziò ad abbassare la gamba, le tremava per lo sforzo prolungato dei muscoli e non doveva essere facile riuscire a strapparsi dolorose mollette dalla carne senza neanche strapparle tutte.
Lunghi mugoli strozzati cominciarono a sentirsi mentre la pelle si allungava trattenuta dalle pinze, non volevano straccarsi al punto tale che dovette desistere e rialzare la gamba.
Io nel frattempo mi gustavo tutta la scena carezzandole i capelli, quasi pettinandoli, in assoluto silenzio.
Tornò subito all'attacco ma questa volta provò con piccoli strattoni, aumentando la forza del colpo sempre un po' di più, la sua pelle a fare come da elastico allungandosi per il colpo e poi rimbalzando di nuovo al suo posto mentre la gamba si rialzava.
Uno, due, tre colpi e poi al quarto le mollette si staccarono, due, subito sopra i suoi capezzoli e le sfuggi un urlo che strozzo all'istante.
Sulla carne due solchi rosso violacei a testimoniare il morso di quei piccoli denti di metallo.
Ansimava forte, strinse le labbra, trattenne il respiro e diede un altro colpo, forte, forse troppo, saltarono le mollette dai capezzoli, quelle subito sotto e una ancora più in basso sul lato di destra. Un lungo mugolo seguito da un basso, rauco grido le uscì dalla bocca continuando fino a quando non fu costretta a zittirsi per respirare.
La gamba era un po' più libera ma non si poteva abbassare più di un tanto, lei tremava tutta mentre io, scostati i capelli che cominciavano ad essere invasi dal sudore le sussurravo: "grazie, ora posso accarezzarti liberamente", feci scorrere le mani da dietro afferrandole i seni, baciavo le sue spalle mentre massaggiavo quelle morbide, sode carni ma lei sfinita:
"sorreggimi la gamba, ti prego padrone, solo per un attimo"
"appena avrò finito con le tette, un momento"
Sentivo tutto il suo corpo fremere, i muscoli ribellarsi al suo controllo, cercava sollievo appendendosi alla corda che la sosteneva ma era inutile e io, con calma, con tocco leggero, accarezzavo ogni segno rimasto sulla pelle offesa, titillavo i capezzoli e giocavo facendo roteare il dito nelle aureole. Sentendola al limite feci scorrere le mani lungo i fianchi, superai il suo stupendo culo e poi, finalmente, andai a sostenere la gamba imprigionata in quella scomoda posizione. L'aria che aspirò rapida entrando nei polmoni per darle sollievo fece un rumore come di un gorgo mentre il corpo non smetteva di tremarmi fra le braccia.
La sostenni forte questa volta, mi feci carico di tutto il suo peso e lasciai che si riprendesse allungo. La tenni come in braccio per almeno cinque minuti mentre riposava, come dei gridolini, risa le uscivano spontanei tanto era il sollievo. Sostenendola per un attimo con un braccio solo le scostai i capelli in modo da potermi avvicinare al suo orecchio e, quasi come non dovessimo sentire nemmeno noi due, le sussurrai:
"sei eccezionale come sempre mia indomabile regina, per me può bastare, sono pienamente soddisfatto"
Fu con lo stesso tono complice, sottovoce, parlando per un istante fuori dai giochi, come due amanti, che mi rispose:
"ti prego, lasciami finire, lascia che ti dia fino all'ultima stilla di me"
La lascia delicatamente, allontanandomi e portandomi davanti a lei, lo sguardo deciso, fiero, alzò la gamba, strinse i denti mordendosi il labbro inferiore e la abbassò, non so quante mollette volarono e non potei contarle perché arrivò subito un altro colpo a strapparne altre accompagnato da un rauco grido di coraggio e poi l'ultimo, violento strattone che divelse anche i morsi dal suo sesso, questa volta il grido fu forte ma se qualcuno sentiva ormai non importava più.
La sollevai di peso e la sgancia dall'anello che la sosteneva mentre l'animale che è in me prendeva il sopravvento, ancora una volta era riuscita a strapparmi fuori la parte più recondita del mio essere, la adagia dolcemente sul letto e mi tolsi i vestiti quasi strappandoli.
Mi stesi a pancia in su e la issai sul mio sesso marmoreo, entrai in lei, in quel lago a farmi abbracciare dal calore unico del suo ventre e rimasi li ad osservarla mentre mi cavalcava. L'ultimo barlume di coscienza mi servì per vedere che i segni sul suo corpo non erano nulla di grave, non avevo esagerato, la mia donna era intatta e poi mi persi nella sua furia, si muoveva, si impalava come una belva impazzita, i respiri sempre più rapidi, non ce la faceva più, voleva farmi godere e stava usando energie che non avrebbe dovuto avere e ci riuscì. Mi riversai urlando nel suo utero liberandomi di ogni angoscia, di ogni problema, del mondo stesso mentre raggiungevo la sublime beatitudine.
Si accasciò su di me, il corpo bagnato come fosse stata una dea appena uscita della acque del paradiso, sfinita quasi assente mentre ripeteva convulsamente:
"ti amo, ti amo, ti amo, ti..."
La abbracciai distrutto sentendomi felice come nessun altro uomo avrebbe potuto e con le mani dietro la sua schiena comincia a slegarle le corde che ancora la opprimevano.
Non era venuta ma era soddisfatta e rilassata come un orgasmo non avrebbe mai potuto.
.........
Le cose andavano molto bene fra di noi, per tutti e due era il periodo più bello della nostra vita ma poi una sera.......
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