Una questione di peli
di
fabrizio
genere
orge
In fondo è poi tutta una questione di peli, nient’altro che una questione di peli, penso mentre mi accarezzo la barba fluente...
Appena maggiorenne mi aveva fatto depilare interamente, con particolare attenzione ai pochi, radi peli della barba; un minimo di permanente per accentuare i miei già naturali capelli ricci, e da ultimo un leggero colore rosso sulla bocca, capezzoli e glande, per sottolineare per contrasto la diafana adolescenzialità del mio corpo.
Poi mi aveva portato al Casale, una villa sulla collina, dove il tanfo di muffa faceva intuire che non fosse normalmente abitata, ma utilizzata appunto per quel tipo di conventicole.
Nel salone in penombra una dozzina di uomini, stravaccati su divani in pelle o in piedi su tappeti persiani a confabulare; riconosco, dai vestiti di sartoria, dalle barbe fluenti o risorgimentali, dal gesticolare intenso e insieme distaccato, il loro lignaggio, la loro nobiltà o il loro subitaneo arricchimento; sicuramente la loro alienità del mio mondo di strade, piazzette e piccoli baretti di periferia.
La penombra interrotta da macchie di luce in corrispondenza del buffet e dei tavolini colmi di alcolici, bicchieri e cestelli del ghiaccio. Nell’aria risuonante di jazz ambient, una nuvola di fumo di sigaro che aleggia a mezz’aria e si mescola all’odore di piedi costretti nella calzature di cuoio inglese.
Vengo presentato al padrone di casa, i cui occhi luccicano per il dono come un bambino a Natale. Si inginocchia ai miei piedi e rivendica la sua primogenitura prendendolo in bocca e succhiandomi rapacemente. Quando vengo, solleva il volto colante di sperma, ed è il segnale per il branco che mi si avventa addosso, famelico, per trarre piacere da ogni pieno e da ogni vuoto del mio corpo liscio.
Qualche anno dopo, la depilazione ha risparmiato solo un riccio triangolo al pube; ai loro occhi sono un giovane uomo, arrogante e sfrontato, che si offre al branco dando loro l’opportunità di riaffermare il loro potere nei confronti di tutti i giovani uomini, arroganti e sfrontati quanto me, che osano sfidarli nei sindacati delle loro aziende, nei letti con le loro donne, nel mondo di cui si sono incoronati padroni; così, in quell’arena che puzza di piedi, offro il mio triangolo riccio alla loro vendetta rancorosa.
Svincolato dalle regole civili e sociali che cominciano a valere solo fuori dalla porta, il loro l’assalto è rabbioso e violento, mirato non al loro piacere sessuale ma alla mia umiliante mortificazione. I loro peni mi penetrano, mi percuotono, mi forzano fino a che il loro furore, una volta sfogatosi, li induce ad accoppiarsi l’un l’altro in un orgiastico delirio di amplessi.
Qualche anno ancora, e la depilazione non è più necessaria; siamo tutti uomini maturi, un’esistenza di rivalità, passioni, rivincite hanno lasciato spazio ad una pacificata comunanza generazionale, una condivisione fra persone che tutto hanno assaggiato, tutto hanno digerito e tutto hanno evacuato, come testimonia il vello argenteo che ricopre abbondantemente i nostri corpi adulti.
Un cameratismo caritatevole che non cancella le differenze sociali ma che, per una notte, le rende permeabili offrendo una illusione dell’uguaglianza fra uomini tutti parimenti pelosi e che l’un l’altro scambiano il loro piacere e la loro esperienza disincantata dell’esistenza.
Qualche anno ancora, e sono io ad introdurre il ragazzo perfettamente depilato al Casale presentandolo al nuovo padrone di casa, a cui luccicano gli occhi per il dono.
Mentre lo vedo inginocchiarsi goloso, mi siedo su un divano appoggiando l’esagerata pancia alle grasse cosce. Dopo pochi attimi lo vedo alzare il volto, sbavante sperma, ed il gruppo dei presenti avventarsi sulla preda.
Ho la bocca amara, bevo un sorso di whiskey poi accendo un sigaro per contrastare la leggera puzza di piedi che si sprigiona dalle mie scarpe di cuoio inglese.
Sento l’urlo agghiacciante del ragazzo quando le sue natiche glabre vengono violate e, cinicamente, mi accarezzo la barba fluente.
In fondo non è poi nient’altro che una questione di peli.
Appena maggiorenne mi aveva fatto depilare interamente, con particolare attenzione ai pochi, radi peli della barba; un minimo di permanente per accentuare i miei già naturali capelli ricci, e da ultimo un leggero colore rosso sulla bocca, capezzoli e glande, per sottolineare per contrasto la diafana adolescenzialità del mio corpo.
Poi mi aveva portato al Casale, una villa sulla collina, dove il tanfo di muffa faceva intuire che non fosse normalmente abitata, ma utilizzata appunto per quel tipo di conventicole.
Nel salone in penombra una dozzina di uomini, stravaccati su divani in pelle o in piedi su tappeti persiani a confabulare; riconosco, dai vestiti di sartoria, dalle barbe fluenti o risorgimentali, dal gesticolare intenso e insieme distaccato, il loro lignaggio, la loro nobiltà o il loro subitaneo arricchimento; sicuramente la loro alienità del mio mondo di strade, piazzette e piccoli baretti di periferia.
La penombra interrotta da macchie di luce in corrispondenza del buffet e dei tavolini colmi di alcolici, bicchieri e cestelli del ghiaccio. Nell’aria risuonante di jazz ambient, una nuvola di fumo di sigaro che aleggia a mezz’aria e si mescola all’odore di piedi costretti nella calzature di cuoio inglese.
Vengo presentato al padrone di casa, i cui occhi luccicano per il dono come un bambino a Natale. Si inginocchia ai miei piedi e rivendica la sua primogenitura prendendolo in bocca e succhiandomi rapacemente. Quando vengo, solleva il volto colante di sperma, ed è il segnale per il branco che mi si avventa addosso, famelico, per trarre piacere da ogni pieno e da ogni vuoto del mio corpo liscio.
Qualche anno dopo, la depilazione ha risparmiato solo un riccio triangolo al pube; ai loro occhi sono un giovane uomo, arrogante e sfrontato, che si offre al branco dando loro l’opportunità di riaffermare il loro potere nei confronti di tutti i giovani uomini, arroganti e sfrontati quanto me, che osano sfidarli nei sindacati delle loro aziende, nei letti con le loro donne, nel mondo di cui si sono incoronati padroni; così, in quell’arena che puzza di piedi, offro il mio triangolo riccio alla loro vendetta rancorosa.
Svincolato dalle regole civili e sociali che cominciano a valere solo fuori dalla porta, il loro l’assalto è rabbioso e violento, mirato non al loro piacere sessuale ma alla mia umiliante mortificazione. I loro peni mi penetrano, mi percuotono, mi forzano fino a che il loro furore, una volta sfogatosi, li induce ad accoppiarsi l’un l’altro in un orgiastico delirio di amplessi.
Qualche anno ancora, e la depilazione non è più necessaria; siamo tutti uomini maturi, un’esistenza di rivalità, passioni, rivincite hanno lasciato spazio ad una pacificata comunanza generazionale, una condivisione fra persone che tutto hanno assaggiato, tutto hanno digerito e tutto hanno evacuato, come testimonia il vello argenteo che ricopre abbondantemente i nostri corpi adulti.
Un cameratismo caritatevole che non cancella le differenze sociali ma che, per una notte, le rende permeabili offrendo una illusione dell’uguaglianza fra uomini tutti parimenti pelosi e che l’un l’altro scambiano il loro piacere e la loro esperienza disincantata dell’esistenza.
Qualche anno ancora, e sono io ad introdurre il ragazzo perfettamente depilato al Casale presentandolo al nuovo padrone di casa, a cui luccicano gli occhi per il dono.
Mentre lo vedo inginocchiarsi goloso, mi siedo su un divano appoggiando l’esagerata pancia alle grasse cosce. Dopo pochi attimi lo vedo alzare il volto, sbavante sperma, ed il gruppo dei presenti avventarsi sulla preda.
Ho la bocca amara, bevo un sorso di whiskey poi accendo un sigaro per contrastare la leggera puzza di piedi che si sprigiona dalle mie scarpe di cuoio inglese.
Sento l’urlo agghiacciante del ragazzo quando le sue natiche glabre vengono violate e, cinicamente, mi accarezzo la barba fluente.
In fondo non è poi nient’altro che una questione di peli.
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
When a man loves a womanracconto sucessivo
Sogno o son desto, un autobus in mezzo al traffico parte 3
Commenti dei lettori al racconto erotico