Sogno o son desto, un autobus in mezzo al traffico parte 3

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Mentre mi chiedo se sono sveglio o se sto sognando, distrattamente allento per un attimo la presa e il liquido caldo che mi scorre fra le mani non ha nulla di onirico.
Torno a bloccare la testa dell’uomo mentre tento di tamponare l’emorragia; sento tutta la responsabilità di trattenere la vita di quell’uomo che ora sta fuggendo via fra le dita.

Come in un sogno al rallentatore, la brusca frenata, poi uno schianto assordante, vetri esplosi che volano ovunque e lei, che prima ancora il rumore sia cessato, come una furia passa dal sonno all’impeto, afferrandomi un polso e trascinandomi lungo il corridoio dell’autobus.
Scavalchiamo persone che si lamentano, ortaggi che rotolano, bambini che piangono, e a tutti lei rivolge una rapida occhiata professionale, immagino formulando mentalmente una diagnosi, assicurandosi che i feriti possano resistere fino all’arrivo dei soccorsi.
Arrivati alla cabina di guida vedo l’autista che giace riverso sul sedile, con la testa che pare una pera spiaccicata contro il parabrezza, sfondato; sangue ovunque.
Con tono tranquillo ma che non accetta repliche od obiezioni mi fa sfilare la maglietta, ovviamente la mia preferita, pagata una cifra, e l’avvolge a turbante intorno alla testa del malcapitato, imponendomi di trattenerla con una pressione costante e di avvertirla se avessi notato qualcosa di anomalo.
Poi si butta fuori dall’automezzo, ed attraverso la ragnatela del vetro anteriore la vedo accosciata a terra mentre preme ritmicamente con tutto il suo peso il petto di un uomo riverso a fianco di una macchina completamente accartocciata.
Non posso fare a meno di notare che ha perso le scarpe, le calze sono ridotte ad un colabrodo e quando si piega in avanti a massaggiare l’uomo la corta gonna lascia scoperte un paio di deliziose natiche dalle quali fa capolino il filo di un perizoma. La sua nudità contrasta con la decisione con cui abbaia indicazioni al cellulare che un passante le accosta alla bocca e con il quale, immagino, sta comunicando con i mezzi di soccorso.
Mentre non posso non restare affascinato da quel suo miscuglio di femminilità e di direttività, torno a concentrarmi sulla macedonia di cranio che tengo fra le mani e mi accorgo che nella frenesia dei primi attimi i miei pantaloni si sono definitivamente squarciati; non è un grosso guaio, tanto sono ricoperto di sangue che manco un macellaio a fine giornata, e restare praticamente in mutande non peggiora di molto la situazione.
Sopra di noi volteggia un elicottero e in lontananza l'urlo delle ambulanze lacerano l’aria.
In un istante che mi pare infinito, lei si volta verso di me, mi fa l’occhiolino, e ritorna a massaggiare il ferito; sento che noi due, insieme, possiamo sfidare qualsiasi incidente stradale.

Ci mancava, questo gran casino, se ne sentiva proprio il bisogno; alla fine i colleghi del 118, come la cavalleria nei film western più banali, sono arrivati a passo di carica appena in tempo e tutto si è risolto, con un eufemismo, per il meglio; comunque nessuno ci ha rimesso le penne, e vista la composizione della squadra di primo soccorso, è stato veramente un inaspettato successo.
Poco per volta il traffico ritorna al suo consueto caos, il capannello di curiosi si disperde alla ricerca di nuove tragedie a cui assistere e alla fine rimaniamo soli: io, lercia e lacera da far schifo, con una scarpa sotto il braccio e l’altra finita chissà dove, e il bel dormiente, a torso nudo e con i pantaloni squarciati trattenuti con la mano.
Onestamente devo dire che alla prova dei fatti si è dimostrato più sveglio di quanto pensassi; per lo meno più sveglio di me, che a suo tempo, alla prima vista del sangue, andai lunga stesa. E poi, a petto nudo, non è affatto male.
Lo invito a casa mia, che è giusto qua dietro, un po’ per darsi una ripulita, che sembriamo due reduci della grande guerra, e un po’ perché, quando si danza assieme sul limite, è poi faticoso sciogliere all’improvviso quell’abbraccio.
Le vecchiette postulanti hanno il buon gusto di non farsi vedere, e nell’abitazione Poldo, capita l’antifona, dopo un breve strusciamento e un timido miagolio, si ritira sdegnosamente; ci serviamo un abbondante caffè corretto, poi lo accompagno in bagno consegnandogli degli asciugamani puliti e una mia tuta di quando, qualche anno fa, pesavo il doppio; non sarà il massimo della virilità ma è sempre meglio di quegli abiti da Jack the ripper.
Si fa una lunga doccia, ed esce rinfrancato, con i capelli umidi e la faccia un po’ più rilassata; ci prendiamo una seconda dose di caffé alla sambuca, poi lo lascio sul divano a riposarsi e a riprendersi da quella mattinata demenziale.
L’acqua scorre bollente sul mio corpo, allontanando sangue, sudore e stanchezza; lo scarico di adrenalina e l’immagine del suo bozzo gonfio fra le gambe sollecitano il ritorno prepotente di quella voglia; così, in maniera speranzosa, anziché una rapida doccia mi lavo con cura con un docciaschiuma speziato, già che ci sono mi faccio pure lo shampoo e infine do’ anche una rapida passata di rasoio sulle gambe, tanto i tagli si confondono con i graffi.
Torno in salotto giusto per sentire il suo curioso verso mentre risucchia la saliva; allento un poco il nodo dell’accappatoio, e lo scrollo delicatamente riportandolo alla realtà.

Una volta ancora mi chiedo se sto sognando o son desto; mi sveglio di soprassalto e lei è in accappatoio in piedi davanti a me; dopo la mattinata passata assieme, quella che avevo inteso come altezzosità ora mi appare la fierezza di donna matura che sa cosa va fatto e sa di saperlo fare bene; che sa essere al tempo stesso dolce e decisa, paziente e impetuosa; che sa distinguere ciò che vale la pena di essere vissuto fino all’ultimo istante da ciò che serve solo a illuderci di mascherare la nostra impotenza di fronte alla vita.
Gli occhi mi scivolano sulle gambe toniche che scompaiono al di sotto dell’orlo dell’accappatoio e sento nuovamente su di me il suo sguardo tranquillo ma che non accetta repliche od obiezioni; poi abbassa per un attimo gli occhi al bozzo che gonfia il cavallo della tuta rosa Dimensione Danza e mi strizza l’occhiolino.
Come in un sogno, a dir la verità un sogno molto realistico, le sciolgo il nodo della cintura e le falde che si scostano fanno intravvedere uno stretto triangolo di peluria castana, una pancia magra e nervosa, due seni lievemente appesantiti; non più trattenuto, l’accappatoio scivola ai suoi piedi; io allungo una mano e mentre le spettino la peluria le sfugge un sospiro...

Se è un sogno, per favore, non svegliatemi…
Se son desto, spero di restarlo ancora per un po’...
scritto il
2018-04-24
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