La portineria

di
genere
prime esperienze

Eravamo a metà degli anni sessanta, le cose per la mia famiglia avevano cominciato ad andare bene, papà aveva un lavoro fisso come operaio specializzato alla Fiat, mamma faceva le ore presso una famiglia benestante che abitava in Crocetta, il quartiere dei ricchi di Torino, lavorava solo alla mattina ma ogni tanto le chiedevano di fare delle ore anche al pomeriggio, e quando capitava mi portava con lei in centro e mi lasciava da Antonia, la portinaia del palazzo dei padroni.
Il palazzo era bellissimo, in confronto il nostro condominio popolare del quartiere San Paolo sembrava veramente una schifezza.
L’atrio aveva un fantastico pavimento in mosaico e le scale erano di marmo bianco, coperte da una passatoia rossa, tenuta ferma da bacchette di ottone lucido.
Il vano scale era enorme e c’era perfino l'ascensore, una grande cabina di legno che aveva addirittura due panche di legno rivestite in pelle, in modo che i signori potessero sedersi mentre andavano su e giù.
Mi piaceva un sacco quando mamma mi portava con lei e mi lasciava da Antonia, la portineria era piccola ma pulitissima, profumava di sapone per il bucato e cera d’api, quella che si usava una volta per i pavimenti e i mobili di legno.
Anche Antonia profumava, aveva un profumo dolce e penetrante che mi piaceva moltissimo e che mi sognavo anche di notte, nel letto mentre aspettavo di addormentarmi.
Pensavo ad Antonia, lei e suo marito erano arrivati giovanissimi a Torino dalla campagna, poi suo marito, appena più che un ragazzo, era partito per la guerra e non aveva mai fatto ritorno, uno dei tanti caduti sul fronte russo.
Lei era piccola e minuta, non saprei dire quanti anni avesse, mi sembrava un poco più giovane di mamma, forse aveva l’età di zia, e come lei mi sembrava bellissima.
Lunghi capelli neri raccolti con lo chignon, una pelle liscia e leggermente olivastra, due meravigliosi occhi castani, ornati da lunghissime ciglia scure, labbra carnose e ben disegnate, sempre sorridenti.
E i seni? Aveva dei seni meravigliosi, che a fatica cercava di tenere racchiusi dentro un grembiule nero, i cui bottoncini sembravano sempre sul punto di essere sparati via come granate.
Pensavo ad Antonia la notte, ai suoi seni morbidi, profumati e caldi che mi carezzavano il viso mentre affondavo la faccia in mezzo a loro.
Pensavo ai suoi seni enormi e il pisello mi si rizzava all’istante.
Non vedevo l’ora che mamma dovesse andare a fare delle ore extra dai suoi padroni, per poter passare due o tre ore nella portineria con Antonia.
In genere mi portavo dei compiti e lei mi faceva mettere al tavolo di fianco a lei, io facevo gli esercizi di matematica e lei si dedicava ai suoi amati fotoromanzi o leggeva qualche romanzo d’amore che le prestavano le domestiche che lavoravano più su, negli appartamenti di lusso del palazzo.
Sotto il tavolo di formica con le gambe cromate, sotto la tovaglia plastificata a fiori, capitava a volte che le mie ginocchia sfiorassero le sue, lei non si scostava mai, anzi, avevo la sensazione che quel contatto casuale non le dispiacesse per niente, che addirittura lo cercasse, e un brivido caldo mi percorreva la schiena.
Pensavo ad Antonia quasi tutte le notti ora, mi immaginavo la gamba che sfregava contro la sua, poi la mano che vincendo la mia timidezza si posava su una delle sue cosce, immaginavo che lei l’avrebbe presa e l’avrebbe trascinata più su, facendola infilare sotto il grembiule, immaginavo che non portasse altro che delle mutandine di pizzo nero, e che le mie dita sfiorassero le sue carni attraverso quel pizzo.
Oppure immaginavo che fosse lei a prendere l’iniziativa, si sfilava uno zoccoletto dal piede e con questo mi accarezzava il polpaccio, infilandosi sotto l’orlo dei pantaloni e risalendo lungo la mia gamba, facendomi il solletico e provocandomi una vistosa erezione, allora con le dita del piede mi carezzava l’inguine attraverso la stoffa dei pantaloni, fino a farmi impazzire di desiderio.
Altre volte, mentre facevo finta di studiare, lei stava un poco china sul lavello di ceramica, intenta a lavare qualcosa, il sedere pieno e tornito ondeggiava leggermente, seguendo il ritmo dei suoi movimenti. O peggio ancora si chinava intenta nei mestieri di casa che faceva per tenere sempre lindo e ordinato quel piccolo locale e io registravo avidamente con lo sguardo ogni centimetro di gambe che rimanevano esposte al mio ludibrio.
E ancora la notte nel mio lettino a immaginare di alzarmi dalla sedia e appoggiarmi da dietro al suo corpo, facendo aderire la mia asta che premeva verticale attraverso la patta dei pantaloni alla linea verticale che divideva in due perfette metà il suo fondoschiena.
Mi muovo ondeggiando su e giù e lei rispondeva premendo col sedere contro il mio inguine, mi prendeva le mani e se le poggiava sui quei seni ingombranti e io affondavo in quella morbida carne, facendomi trascinare in un gorgo di lussuria oscena.
Purtroppo gli anni passarono, ero ormai un ragazzone e mia madre non aveva più la necessità di portarmi con se.
Con grande dispiacere i miei pomeriggi nella portineria della Crocetta finirono, e io dopo un po’ smisi di pensare a lei, e i miei sogni erotici di adolescente si spostarono sulle compagne di classe del liceo o su qualche attricetta americana che mostrava un po’ di carne nei film di serie b.
Ma non mi dimenticai certo di Antonia e delle sue forme morbide e voluttuose...
Un pomeriggio di settembre, poco prima che iniziasse l’ultimo anno di liceo mi trovai casualmente a passare con due compagni di classe proprio davanti al portone di quel palazzo, come d’incanto una serie di dolci immagini mi passarono davanti agli occhi.
Feci con loro una decina di metri e poi congedai i miei compagni con una scusa qualunque, e una volta che li vidi svoltare verso il centro ritornai sui miei passi e come se fossi comandato da una forza estranea mi infilai nell’androne poco illuminato.
La portineria era immersa nel buio, la tenda era abbassata nascondendo la vista del piccolo locale, erano le prime ore del pomeriggio e Antonia aveva diritto a due ore di intervallo, avrebbe ripreso il suo posto solo dalle quattro in avanti.
Incurante del suo diritto al riposo bussai energicamente al vetro della porta.
Nessuno rispose e bussai di nuovo, si accese la luce e un’ombra si avvicinò, la portina si dischiuse e il bel volto un po’ scocciato un po’ preoccupato di Antonia si affacciò con una espressione interlocutoria, dopo qualche secondo però mi riconobbe, spalancò l’anta e mi abbracciò prendendomi la faccia tra le mani e dandomi due sonori baci sulle guance.
“Carlo, come ti sei fatto grande” mi disse, “quasi quasi non ti riconoscevo, che bel ragazzone sei diventato” mi schernii balbettando qualche sciocchezza, ma lei insistette con i complimenti, “chissà le ragazze come ti fanno il filo, sarai pieno di fidanzate...”
Mi schernii di nuovo, lei mi afferrò per un braccio e mi fece entrare, “vieni bello, prima che a qualcuno venga in mente che la mia pausa sia terminata”.
Mi ritrovai nel piccolo ambiente in cui avevo passato tanti anni della mia adolescenza, il suo inconfondibile odore di buono mi risalì per le narici riportando alla memoria tutti quei dolci ricordi e facendomi capire perché avevo dovuto a tutti i costi liquidare i miei amici per ritornare a sentire quel dolce profumo.
Antonia non indossava il suo solito grembiule ma una camicetta di cotone leggero, solo gli ultimi bottoni erano allacciati e il seno procace debordava prepotentemente.
Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quelle morbide bocce e lei se ne accorse, mi prese per un mano e mi fece salire i cinque scalini che portavano alla parte privata del suo minuscolo appartamento.
“Vieni bello, vieni di sopra, non stiamo qua che tutti possono ficcare il naso, ormai non sei più un bambino, e chissà cosa potrebbero pensare le malelingue, guarda come ti sei fatto grande”
Non ero mai stato nella sua camera, un grande letto con una orrenda bambola spagnola la occupava quasi completamente, sul muro una ceramica con una madonna benedicente e un enorme rosario di legno erano le uniche decorazioni.
Antonia si sedette sul letto, io in piedi di fronte a lei ero imbarazzatissimo e non sapevo che fare, per l’ennesima volta mi sentii dire quanto mi ero fatto grande e bello, ma non sentivo le parole, completamente assorbito dalla vista delle sue morbide labbra e soprattutto da quei seni meravigliosi, non resistetti oltre, mi chinai su di lei e le diedi un bacio in bocca.
Pensavo che rispondesse con un ceffone e invece si alzò di scatto mi prese la faccia tra le mani rendendomi il bacio mentre ripeteva ancora una volta che ero diventato proprio bello.
E così, quel pomeriggio del 1972 diventai uomo, ma questa è un’altra storia…
di
scritto il
2019-01-07
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