Miele 3
di
beast
genere
etero
Non era la prima volta che Ferdinando aveva dovuto cedere alle proposte omosessuali del gallerista, ma questa volta aveva fatto più fatica del solito.
Solo concentrandosi sull’esile figura della giovane prostituta era riuscito a soddisfare le aspettative del vecchio.
Ma quello squallido episodio era ormai passato, e ora il giovane pittore camminava sotto i portici di Via Po cercando di dimenticare lo schifo che aveva provato, mentre, appoggiato alla credenza in quella lurida cucina, lasciava che il mercante d’arte si sollazzasse con il suo il suo pene semi rigido.
Cercò di concentrarsi sulla banconota da mille lire che portava nel taschino della camicia e su tutte le cose che avrebbe potuto comprare, prima di tutto quante più ore possibili della compagnia di Miele.
Era troppo presto per tornare alla casa d’appuntamenti, per cui al giovane non restò alternativa che tornare in studio.
Appese su un pannello di compensato i quattro fogli su cui aveva disegnato la ragazza e si mise a guardarli come incantato, poi di getto prese una nuova tela e la mise sul cavalletto.
Con un pezzo di carboncino tracciò dei rapidi segni sulla tela immacolata, si allontanò un poco per guardare il suo operato da lontano, probabilmente quello che vide lo soddisfece, perché afferrò la tavolozza e gli spremette sopra due belle dosi di azzurro ceruleo e blu oltremare, cavandole da grossi tubetti che teneva in una cassetta lì vicino.
Impastò i colori con una piccola spatola metallica che poi usò per stenderli con rapidi gesti sulla tela in modo da creare lo sfondo.
Andò avanti a lavorare febbrilmente per qualche ora ed era ormai pomeriggio inoltrato quando lasciò il suo atelier, non aveva pranzato, ma del resto gli capitava sovente di digiunare quando era preda di uno di suoi momenti creativi.
Si diresse verso la casa chiusa di Via Bava con passo rapido e giunto davanti al pesante portone fu riconosciuto senza problemi dal solito buttafuori.
Madame Chantalle gli disse a malincuore che Miele era già impegnata con un altro cliente, ma che poteva tranquillamente scegliere una qualsiasi delle altre ragazze che in quel tranquillo pomeriggio di febbraio erano quasi tutte libere.
Ovviamente non ne volle sapere e si sedette di malumore su uno dei divanetti bordeaux del salone.
In un angolo il vecchio grammofono suonava musica da operetta e una delle ragazze venne a sedersi di fianco a lui.
Si chiamava Lucrezia e lo aveva già avuto come cliente un paio di volte, “Fossero tutti come lui” pensava la ragazza, “questo lavoro sarebbe molto meno schifoso”.
Ricordava molto bene il suo esile corpo peloso, e il suo grosso cazzo, così scuro e nervoso, aveva persino goduto in quelle occasioni e non le sarebbe dispiaciuto per nulla fare cambio con la maggior parte dei clienti con cui era obbligata ad accompagnarsi.
Ma non ci fu niente da fare, il giovane pittore aveva solo una ragazza in testa, voleva Miele e avrebbe aspettato finché non fosse stata disponibile.
Ci vollero solo una ventina di minuti perché il cliente che era con lei scendesse le scale barcollando.
Avrà avuto una sessantina d’anni, aveva l’aspetto di un operaio o forse di un piccolo artigiano, recuperò il soprabito e si defilò velocemente.
La maîtresse fece segno al giovane che poteva salire e lui si diresse rapidamente su per le scale.
Bussò ed entrò senza spettare risposta.
Lei era seduta alla toeletta come la prima volta che l’aveva veduta, ma questa volta era completamente nuda.
Lì vicino un secchio e un bidet di ferro smaltato bianco contenevano ancora l’acqua saponata che era stata usata per lavarsi più velocemente possibile, in modo da eliminare dal proprio corpo ogni traccia del cliente, del suo seme, dei suoi effluvi, del suo olezzo.
Nell’aria aleggiava ancora intenso l’odore acre del sudore dell’uomo e della sua recente eiaculazione, l’odore del sapone e del disinfettante usati dalla ragazza per pulirsi, ma insieme a questi Ferdinando poteva distintamente percepire il profumo del sesso della ragazza, non era lo stesso che aveva odorato e assaggiato sulle sue stesse dita il giorno prima, era decisamente più lieve, probabilmente perché questa volta non era venuta.
Miele si alzò dalla seggiola e si spostò sul piccolo letto in ferro battuto, le lenzuola di lino assai lise erano scomposte e lasciavano intravedere il vecchio materasso in lana.
Ferdinando prese il posto di lei sulla sedia e si preparò a tratteggiare ancora la sua snella figura sul blocco da disegno.
Miele però doveva avere altri progetti, mise giù un piede dal letto, tese verso di lui le candide braccia e con le mani lo invitò a raggiungerla, lui le ubbidì quasi a malincuore e si sedette di fianco a lei.
Le dita della ragazza slacciarono uno ad uno i bottoni del panciotto e glielo sfilarono languidamente dalle spalle, facendolo cadere a terra sul freddo pavimento di esagoni di cemento, poi fece lo stesso con quelli della camicia, e dopo quella, a cadere sul pavimento fu la volta della canottiera di lana, lasciando completamente scoperto il suo torso magro e villoso.
Le dita di miele si infilarono tra i morbidi riccioli di peli neri del suo petto, facendolo rabbrividire, un po’ per l’eccitazione un po’ per il freddo.
I piccoli capezzoli del ragazzo si inturgidirono all’istante, così come il suo pene, più in basso.
Lei sfiorò il collo con la bocca socchiusa facendolo rabbrividire ancora di più e facendo coprire le sue braccia di pelle d’oca.
Avvicinò le labbra all’orecchio e gli sussurrò: “sdraiati!”
Ferdinando ubbidiente si mise a pancia in su tra le coltri ancora tiepide dal precedente amplesso e la guardò dal basso.
Lei gli si mise sopra a cavalcioni, il ragazzo poteva chiaramente percepire attraverso il tessuto dei pantaloni il tepore del sesso di lei.
Miele gli passò ancora e ancora le belle mani tra la nera peluria del petto e dell’addome, usava le dita come fossero i rebbi di un rastrello, solleticandogli al tempo la pelle del torso con le unghie curate.
Sentiva sotto di se il cazzo che premeva ribaldo contro la stoffa dei pantaloni chiedendo di essere liberato.
Si spostò in avanti con le ginocchia, ora il suo sesso era esattamente sopra il viso di lui, tra il folto ciuffo di peli castano chiaro, delle minuscole goccioline di acqua saponata, illuminate dalla luce pomeridiana che passava dalle gelosie, rilucevano come piccole gemme.
Era così vicina che lui poteva scorgere tutte le piccole pieghe rosee che ne disegnavano le labbra e in mezzo a queste il rosa ancora più acceso della carne viva e pulsante.
Ma soprattutto poteva sentirne il meraviglioso profumo.
Era un profumo dolce e fruttato, un profumo caldo e seducente che riportava alla sua memoria ad uno ad uno tanti profumi del suo passato, il profumo di quei dolcetti alla cannella che vendeva la pasticceria sotto casa dei suoi, il profumo delle albicocche secche che sua nonna gli dava come premio quando era piccolo, il profumo della pelle di sua madre, quando lo teneva in braccio da bambino, e anche se non poteva saperlo, il profumo dei suoi capezzoli, così dolci e morbidi, umidi di latte caldo, quando era un neonato.
“Assaggiami” gli disse lei in un sussurro.
Ferdinando dischiuse la bocca e avvicinò la lingua al sesso di lei, lo sfiorò appena con la punta e immediatamente ne percepì il gusto meraviglioso, la toccò di nuovo per capire meglio, in effetti al primo tocco, il gusto era proprio quello del miele millefiori.
Ma se la lingua entrava un po’ più a fondo, se andava a cercare il succo più recondito, allora già ricordava un miele dal sapore più forte, con una punta amarognola, come quello del miele di castagno.
E poi, come per il profumo, anche il gusto di quel nettare cominciò a riportare alla memoria una serie di dolci ricordi, legati ad un sapore del passato.
Le mani di lui erano imprigionate dalle cosce della ragazza, ma la lingua si muoveva sempre più disinvolta tra la carne ormai fradicia di lei.
E leccando, assaporando, succhiando, i ricordi più dolci riaffiorarono a uno ad uno.
Il sapore dello zucchero filato che mangiava da ragazzo, quando andava con gli amici a spassarsela tra i baracconi montati in Piazza Vittorio per il carnevale.
O quello della merenda fatta con pane, burro e zucchero che mangiava con suo fratello quando erano dalla nonna.
La sensazione eccitante che aveva provato baciando la sua prima ragazza, quando le loro lingue si erano toccate e le salive si erano mischiate.
La prima figa che aveva assaporato, anche se il sapore di allora non era nemmeno paragonabile alla dolcezza della figa che stava gustando ora, sempre più avidamente, sempre più a fondo.
Ad ogni tocco Miele gemeva e inarcava la schiena, e la sua vagina magicamente produceva un altro poco di quel meraviglioso distillato, sottili rivoli sempre più dolci e densi le scendevano tra le pieghe delle labbra e ad ogni leccata di Ferdinando rispondeva con un sospiro, sempre più lungo e intenso.
Gli liberò le mani e se le portò sui piccoli seni.
“Stringi” lo implorò con la voce roca.
E lui strinse quei minuscoli capezzoli rosa, già duri e ricettivi al massimo.
Li strinse e pizzicò e torturò, mentre continuava a leccarla sempre più a profondamente.
Miele gettò la testa all’indietro, il suo corpo fu scosso da un tremito violento, venne singhiozzando e inondando la sua faccia con quel meraviglioso nettare d’ambrosia.
Poi si accasciò, abbandonandosi come fosse morta sul corpo di lui, rantolando e ansimando per l’incredibile intensità dell’orgasmo appena provato.
Quando il respiro e il battito del suo cuore si furono stabilizzati Miele fece per dedicarsi all’uomo che giaceva sotto di lei, voleva dare piacere anche a lui, rendendogli il servizio, del resto era pagata per quello.
Ma quando gli sbottonò la patta si accorse che la stoffa era fradicia, lui era venuto nei pantaloni, non aveva resistito e poco prima che Miele raggiungesse l’orgasmo, mentre le torturava i capezzoli con le sue lunghe dita da artista l’eccitazione lo aveva sopraffatto e il suo pene era esploso in una serie di schizzi, riempiendogli le mutande di sperma caldo e appiccicoso.
Ora Ferdinando aveva fretta di andarsene, si rivestì velocemente, vergognandosi della vistosa macchia che gli sporcava i calzoni.
Miele trafficò un poco alla toeletta mentre lui si rivestiva lentamente, si salutarono quasi imbarazzati e Ferdinando si incamminò giù per le scale scricchiolanti, lo sguardo perso nel vuoto mentre con gli occhi della mente riviveva quella ultima incredibile mezz’ora.
Mentre usciva, dopo aver pagato la doppia alla maîtresse, infilò una mano nella tasca del cappotto e vi trovò un pezzo di carta che non ricordava, lo aprì e quasi gli si fermò il cuore quando vi lesse le parole che vi erano scritte:
“Domani non lavoro.”
Seguite da un indirizzo.
Miele
Un sorriso gli increspò le labbra.
Solo concentrandosi sull’esile figura della giovane prostituta era riuscito a soddisfare le aspettative del vecchio.
Ma quello squallido episodio era ormai passato, e ora il giovane pittore camminava sotto i portici di Via Po cercando di dimenticare lo schifo che aveva provato, mentre, appoggiato alla credenza in quella lurida cucina, lasciava che il mercante d’arte si sollazzasse con il suo il suo pene semi rigido.
Cercò di concentrarsi sulla banconota da mille lire che portava nel taschino della camicia e su tutte le cose che avrebbe potuto comprare, prima di tutto quante più ore possibili della compagnia di Miele.
Era troppo presto per tornare alla casa d’appuntamenti, per cui al giovane non restò alternativa che tornare in studio.
Appese su un pannello di compensato i quattro fogli su cui aveva disegnato la ragazza e si mise a guardarli come incantato, poi di getto prese una nuova tela e la mise sul cavalletto.
Con un pezzo di carboncino tracciò dei rapidi segni sulla tela immacolata, si allontanò un poco per guardare il suo operato da lontano, probabilmente quello che vide lo soddisfece, perché afferrò la tavolozza e gli spremette sopra due belle dosi di azzurro ceruleo e blu oltremare, cavandole da grossi tubetti che teneva in una cassetta lì vicino.
Impastò i colori con una piccola spatola metallica che poi usò per stenderli con rapidi gesti sulla tela in modo da creare lo sfondo.
Andò avanti a lavorare febbrilmente per qualche ora ed era ormai pomeriggio inoltrato quando lasciò il suo atelier, non aveva pranzato, ma del resto gli capitava sovente di digiunare quando era preda di uno di suoi momenti creativi.
Si diresse verso la casa chiusa di Via Bava con passo rapido e giunto davanti al pesante portone fu riconosciuto senza problemi dal solito buttafuori.
Madame Chantalle gli disse a malincuore che Miele era già impegnata con un altro cliente, ma che poteva tranquillamente scegliere una qualsiasi delle altre ragazze che in quel tranquillo pomeriggio di febbraio erano quasi tutte libere.
Ovviamente non ne volle sapere e si sedette di malumore su uno dei divanetti bordeaux del salone.
In un angolo il vecchio grammofono suonava musica da operetta e una delle ragazze venne a sedersi di fianco a lui.
Si chiamava Lucrezia e lo aveva già avuto come cliente un paio di volte, “Fossero tutti come lui” pensava la ragazza, “questo lavoro sarebbe molto meno schifoso”.
Ricordava molto bene il suo esile corpo peloso, e il suo grosso cazzo, così scuro e nervoso, aveva persino goduto in quelle occasioni e non le sarebbe dispiaciuto per nulla fare cambio con la maggior parte dei clienti con cui era obbligata ad accompagnarsi.
Ma non ci fu niente da fare, il giovane pittore aveva solo una ragazza in testa, voleva Miele e avrebbe aspettato finché non fosse stata disponibile.
Ci vollero solo una ventina di minuti perché il cliente che era con lei scendesse le scale barcollando.
Avrà avuto una sessantina d’anni, aveva l’aspetto di un operaio o forse di un piccolo artigiano, recuperò il soprabito e si defilò velocemente.
La maîtresse fece segno al giovane che poteva salire e lui si diresse rapidamente su per le scale.
Bussò ed entrò senza spettare risposta.
Lei era seduta alla toeletta come la prima volta che l’aveva veduta, ma questa volta era completamente nuda.
Lì vicino un secchio e un bidet di ferro smaltato bianco contenevano ancora l’acqua saponata che era stata usata per lavarsi più velocemente possibile, in modo da eliminare dal proprio corpo ogni traccia del cliente, del suo seme, dei suoi effluvi, del suo olezzo.
Nell’aria aleggiava ancora intenso l’odore acre del sudore dell’uomo e della sua recente eiaculazione, l’odore del sapone e del disinfettante usati dalla ragazza per pulirsi, ma insieme a questi Ferdinando poteva distintamente percepire il profumo del sesso della ragazza, non era lo stesso che aveva odorato e assaggiato sulle sue stesse dita il giorno prima, era decisamente più lieve, probabilmente perché questa volta non era venuta.
Miele si alzò dalla seggiola e si spostò sul piccolo letto in ferro battuto, le lenzuola di lino assai lise erano scomposte e lasciavano intravedere il vecchio materasso in lana.
Ferdinando prese il posto di lei sulla sedia e si preparò a tratteggiare ancora la sua snella figura sul blocco da disegno.
Miele però doveva avere altri progetti, mise giù un piede dal letto, tese verso di lui le candide braccia e con le mani lo invitò a raggiungerla, lui le ubbidì quasi a malincuore e si sedette di fianco a lei.
Le dita della ragazza slacciarono uno ad uno i bottoni del panciotto e glielo sfilarono languidamente dalle spalle, facendolo cadere a terra sul freddo pavimento di esagoni di cemento, poi fece lo stesso con quelli della camicia, e dopo quella, a cadere sul pavimento fu la volta della canottiera di lana, lasciando completamente scoperto il suo torso magro e villoso.
Le dita di miele si infilarono tra i morbidi riccioli di peli neri del suo petto, facendolo rabbrividire, un po’ per l’eccitazione un po’ per il freddo.
I piccoli capezzoli del ragazzo si inturgidirono all’istante, così come il suo pene, più in basso.
Lei sfiorò il collo con la bocca socchiusa facendolo rabbrividire ancora di più e facendo coprire le sue braccia di pelle d’oca.
Avvicinò le labbra all’orecchio e gli sussurrò: “sdraiati!”
Ferdinando ubbidiente si mise a pancia in su tra le coltri ancora tiepide dal precedente amplesso e la guardò dal basso.
Lei gli si mise sopra a cavalcioni, il ragazzo poteva chiaramente percepire attraverso il tessuto dei pantaloni il tepore del sesso di lei.
Miele gli passò ancora e ancora le belle mani tra la nera peluria del petto e dell’addome, usava le dita come fossero i rebbi di un rastrello, solleticandogli al tempo la pelle del torso con le unghie curate.
Sentiva sotto di se il cazzo che premeva ribaldo contro la stoffa dei pantaloni chiedendo di essere liberato.
Si spostò in avanti con le ginocchia, ora il suo sesso era esattamente sopra il viso di lui, tra il folto ciuffo di peli castano chiaro, delle minuscole goccioline di acqua saponata, illuminate dalla luce pomeridiana che passava dalle gelosie, rilucevano come piccole gemme.
Era così vicina che lui poteva scorgere tutte le piccole pieghe rosee che ne disegnavano le labbra e in mezzo a queste il rosa ancora più acceso della carne viva e pulsante.
Ma soprattutto poteva sentirne il meraviglioso profumo.
Era un profumo dolce e fruttato, un profumo caldo e seducente che riportava alla sua memoria ad uno ad uno tanti profumi del suo passato, il profumo di quei dolcetti alla cannella che vendeva la pasticceria sotto casa dei suoi, il profumo delle albicocche secche che sua nonna gli dava come premio quando era piccolo, il profumo della pelle di sua madre, quando lo teneva in braccio da bambino, e anche se non poteva saperlo, il profumo dei suoi capezzoli, così dolci e morbidi, umidi di latte caldo, quando era un neonato.
“Assaggiami” gli disse lei in un sussurro.
Ferdinando dischiuse la bocca e avvicinò la lingua al sesso di lei, lo sfiorò appena con la punta e immediatamente ne percepì il gusto meraviglioso, la toccò di nuovo per capire meglio, in effetti al primo tocco, il gusto era proprio quello del miele millefiori.
Ma se la lingua entrava un po’ più a fondo, se andava a cercare il succo più recondito, allora già ricordava un miele dal sapore più forte, con una punta amarognola, come quello del miele di castagno.
E poi, come per il profumo, anche il gusto di quel nettare cominciò a riportare alla memoria una serie di dolci ricordi, legati ad un sapore del passato.
Le mani di lui erano imprigionate dalle cosce della ragazza, ma la lingua si muoveva sempre più disinvolta tra la carne ormai fradicia di lei.
E leccando, assaporando, succhiando, i ricordi più dolci riaffiorarono a uno ad uno.
Il sapore dello zucchero filato che mangiava da ragazzo, quando andava con gli amici a spassarsela tra i baracconi montati in Piazza Vittorio per il carnevale.
O quello della merenda fatta con pane, burro e zucchero che mangiava con suo fratello quando erano dalla nonna.
La sensazione eccitante che aveva provato baciando la sua prima ragazza, quando le loro lingue si erano toccate e le salive si erano mischiate.
La prima figa che aveva assaporato, anche se il sapore di allora non era nemmeno paragonabile alla dolcezza della figa che stava gustando ora, sempre più avidamente, sempre più a fondo.
Ad ogni tocco Miele gemeva e inarcava la schiena, e la sua vagina magicamente produceva un altro poco di quel meraviglioso distillato, sottili rivoli sempre più dolci e densi le scendevano tra le pieghe delle labbra e ad ogni leccata di Ferdinando rispondeva con un sospiro, sempre più lungo e intenso.
Gli liberò le mani e se le portò sui piccoli seni.
“Stringi” lo implorò con la voce roca.
E lui strinse quei minuscoli capezzoli rosa, già duri e ricettivi al massimo.
Li strinse e pizzicò e torturò, mentre continuava a leccarla sempre più a profondamente.
Miele gettò la testa all’indietro, il suo corpo fu scosso da un tremito violento, venne singhiozzando e inondando la sua faccia con quel meraviglioso nettare d’ambrosia.
Poi si accasciò, abbandonandosi come fosse morta sul corpo di lui, rantolando e ansimando per l’incredibile intensità dell’orgasmo appena provato.
Quando il respiro e il battito del suo cuore si furono stabilizzati Miele fece per dedicarsi all’uomo che giaceva sotto di lei, voleva dare piacere anche a lui, rendendogli il servizio, del resto era pagata per quello.
Ma quando gli sbottonò la patta si accorse che la stoffa era fradicia, lui era venuto nei pantaloni, non aveva resistito e poco prima che Miele raggiungesse l’orgasmo, mentre le torturava i capezzoli con le sue lunghe dita da artista l’eccitazione lo aveva sopraffatto e il suo pene era esploso in una serie di schizzi, riempiendogli le mutande di sperma caldo e appiccicoso.
Ora Ferdinando aveva fretta di andarsene, si rivestì velocemente, vergognandosi della vistosa macchia che gli sporcava i calzoni.
Miele trafficò un poco alla toeletta mentre lui si rivestiva lentamente, si salutarono quasi imbarazzati e Ferdinando si incamminò giù per le scale scricchiolanti, lo sguardo perso nel vuoto mentre con gli occhi della mente riviveva quella ultima incredibile mezz’ora.
Mentre usciva, dopo aver pagato la doppia alla maîtresse, infilò una mano nella tasca del cappotto e vi trovò un pezzo di carta che non ricordava, lo aprì e quasi gli si fermò il cuore quando vi lesse le parole che vi erano scritte:
“Domani non lavoro.”
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