La lattaia 2 - (la spagnola)
di
beast
genere
prime esperienze
Erano quasi le sette e mezza, il sole stava tramontando dietro i grandi palazzoni che facevano da panorama nel quartiere periferico milanese della mia infanzia.
Nel cielo, lunghe strisce di nuvole grigie si coloravano di mille sfumature rosse, rosa e arancione, creando un effetto assai melodrammatico, o almeno, a me che camminavo col cuore in gola, facevano quell’impressione, come se quei colori volessero dirmi qualcosa.
Poche ore prima ero stato invitato da Carmela, la lattaia del quartiere a passare a trovarla.
All’inizio della settimana aveva scoperto me e Piero che la spiavamo mentre si faceva scopare dal appresentante della Invernizzi, e quando, tre giorni dopo, vergognandomi come un cane, mi ero recato da lei per comprare del latte, invece di darmi un ceffone, mi aveva appunto invitato a ritornare all’ora di chiusura.
Quel pomeriggio, anche se non era sabato, mi ero addirittura fatto il bagno, mi ero cambiato la biancheria e mi ero messo la camicia più bella che avevo, avevo anche usato un po’ dell’acqua di Colonia di papà sperando che non se ne accorgesse.
Ed ora eccomi lì, davanti alla porta della piccola latteria, il cuore batteva all’impazzata, ma mi feci coraggio ed entrai.
Lei era dietro il bancone, raggiante come sempre, il corpo formoso stretto dentro uno dei suoi grembiuli attillati che ne mettevano in risalto le forme giunoniche.
Senza dire una parola passò di fianco a me, uscì per tirare giù la serranda e rientrò.
Chiuse a chiave la porta della vetrina, mi raggiunse e mettendomi una mano sulla spalla mi invitò a seguirla nel retro.
Il locale era immerso nella penombra, una semplice lampadina da pochi watt pendeva dal soffitto, spenta.
Solo un poco di luce penetrava dalla piccola finestra da cui l’avevo spiata quel famoso pomeriggio.
I raggi rosei del sole che stava per andare a dormire coloravano anche quel retrobottega dando a tutte le cose una sfumatura calda e sensuale.
Nell’aria un odore indistinguibile, un misto di odore di formaggio, di latte cagliato, di cose buone, un odore forte e dolce, molto eccitante.
Mi fece sedere su una seggiola di formica verdina, con le lunghe gambe di metallo cromato, mi si accosciò davanti e guardandomi negli occhi mi disse: “ti è piaciuto quello che ha visto l’altro giorno?”
Mentre lo diceva si stava sbottonando il grembiule, permettendo al petto imperioso di espandersi.
Non portava il reggiseno e il seno era a malapena contenuto in una leggera maglia di cotone azzurro.
Carmela la prese dalla scollatura tirandola energicamente in giù con entrambe le mani, liberando le tette, in modo che queste mi esplodessero letteralmente in faccia in tutta la loro maestosità.
Alla vista di quei seni enormi i miei occhi si dilatarono e la mia mandibola cadde verso il basso lasciandomi a bocca aperta.
In mezzo alle mie mutande invece qualcosa ebbe una spinta contraria, crescendo prepotentemente verso l’alto e chiedendo a gran voce di essere liberato!
Del resto era la prima volta in vita mia che vedevo un seno, e quello non era un seno normale, era un seno enorme, era un seno da Guinness dei primati.
Era il re di tutti i seni del mondo.
“Le hai mai viste un paio di zinne?”
Mi chiese, mentre mettendomi un dito sotto il mento, faceva richiudere la mia bocca spalancata e mi obbligava a guardarla negli occhi?
Io non risposi ma nelle mie mutande la situazione era ormai fuori controllo.
“Le hai mai toccate un paio di zinne?” Mi chiese ancora, feci un cenno di no con la testa, probabilmente dovetti sembrarle un po’ scemo...
Carmela mi prese le mani e le guidò in modo da portarle a posarsi su quel ben di Dio.
Le toccai titubante, come se potessero eslodere da un momento all’altro.
Erano morbide, ma sode, e calde, e lisce e bianche e... Madonna Santa, i capezzoli... due meravigliosi capezzoli rosa scuro, circondati da auree enormi, di un rosa appena più chiaro.
Il mio pene là sotto lanciò un ruggito disperato, lo sentivo pulsare e dimenarsi come fosse dotato di vita propria, come un serpente che tenta di liberarsi dalla stretta di una mano crudele.
Carmela mi prese di nuovo le mani e mi obbligò a toccare quei due bottoni di carne.
Erano vagamente gommosi e reagirono al timido tocco dei miei polpastrelli facendosi più duri.
Oddio no!
Il mio pisello non resse l’emozione e ohoooho mmmm ohhhhh CAZZO!
Esplose, riempiendomi le mutande di roba calda e viscida.
Cazzo cazzo cazzo, che figura di merda, che figura da bambino, che figura da pirla.
A lei la situazione non era sfuggita, ovviamente se ne era perfettamente accorta, ma non rise, non mi prese in giro nemmeno un po’, anzi sembrò lusingata di aver scatenato una reazione tanto entusiasta solo facendosi toccare i capezzoli.
Mi slacciò i bottoni della patta e mi tirò giù pantaloni e mutande, ormai fradici di sperma.
“Fammi un po’ vedere che è successo qua dentro” mi disse sorridendo, mentre mi tirava fuori, non senza una certa difficoltà il cazzo, tutto fradicio e grondante.
“Però!” Esclamò alla vista del mio arnese, ancora duro come se non fosse successo niente.
“Niente male” rimarcò, e intanto con le dita raccoglieva il frutto della mia eiaculazione, spalmandoselo accuratamente tra i grossi seni.
“Ora ti insegno una cosa, bello di mamma...”
Mi fece alzare e prese il mio posto sulla sedia, mi tirò giù ben bene i pantaloni fino alle caviglie e prese il cazzo in mano ficcandoselo in mezzo le tette.
Io ero in piedi davanti a lei, le braccia inermi lungo i fianchi, la bocca di nuovo spalancata per la sorpresa, e il cazzo... il cazzo era sparito in mezzo a quei seni enormi.
Mi guardò in faccia, un sorrisetto malizioso le increspava le belle labbra carnose.
Mi spinse indietro, facendomi appoggiare al tavolaccio che stava dietro di me.
“Mettiti comodo e rilassati, bello”
Si prese le tette con entrambe le mani e si mise a farle andare su e giù lungo il mio cazzo.
Queste, calde, morbide e burrose, lubrificate a dovere dalla mia sborra di poco prima, avvolgevano il mio pene aderendo perfettamente, trattenendolo in mezzo a loro e massaggiandolo in su e in giù come facevo io con la mia mano sinistra, chiuso in bagno quando i miei non erano in casa.
Solo che era dieci miliardi di volte più fico e più eccitante.
Dio, era bellissimo, Carmela mi stava facendo una sega con le tette.
Il mio cazzo era sempre più duro, quando le poppe si abbassavano la cappella faceva capolino e lei la sollecitava con le labbra socchiuse o addirittura con dei colpi di lingua.
Si fermò un attimo, mi guardò compiaciuta dell’evidente piacere che mi stava facendo provare.
Prese le mie mani, se le mise dietro la nuca in modo che potessi afferrarla per accompagnare i suoi movimenti e ricominciò il lavoro lungo il mio cazzo.
La cappella era ormai arrossata e particolarmente sensibile, lei la prendeva sempre più a fondo, le mie mani le afferrarono i capelli costringendola ad andare ancora più giù, sempre più veloce, finché non esplosi di nuovo.
Sentii l’orgasmo arrivare dal. Basso, dalle dita dei piedi un formicolio risalì lungo le mie terminazioni nervose fino a darmi una scossa elettrica.
Anche lei aveva intuito che stavo per venire e allontanò il viso godendosi lo spettacolo dei miei fiotti di sperma che partivano verso l’alto e ricadevano verso il basso disegnando plastiche volute biancastre.
Dio che bello!
Carmela m guardò soddisfatta, si rimise le tette dentro la maglietta, mi tirò su i calzoni, si alzò dalla sedia e mi accompagnò senza tanti preamboli all’uscita sul retro.
“Ciao bello, passa ancora nei prossimi giorni, che ti faccio vedere qualcos’altro...”
Mi sembrò che mi liquidasse un po’ troppo frettolosamente, e all’inizio ci rimasi un po’ male.
Ma mentre rientravo verso casa mezzo stordito vidi arrivare la macchina del rappresentante.
Giusto in tempo pensai, e tutto sommato mi rincuorai di essere stato oggetto di un regalo così fantastico.
E poi mi aveva detto di ritornare, chissà quante altre cose meravigliose e proibite mi avrebbe insegnato.
La mia vita, tutto ad un tratto mi sembrò bellissima.
Al tempo non lo sapevo, ma crescendo imparai che quello che mi aveva appena fatto si chiamava “Spagnola”, molte altre me ne avrebbero fatte, ma nessuna fu come quella prima volta, come dice il detto: “la prima spagnola non si scorda mai”…
Nel cielo, lunghe strisce di nuvole grigie si coloravano di mille sfumature rosse, rosa e arancione, creando un effetto assai melodrammatico, o almeno, a me che camminavo col cuore in gola, facevano quell’impressione, come se quei colori volessero dirmi qualcosa.
Poche ore prima ero stato invitato da Carmela, la lattaia del quartiere a passare a trovarla.
All’inizio della settimana aveva scoperto me e Piero che la spiavamo mentre si faceva scopare dal appresentante della Invernizzi, e quando, tre giorni dopo, vergognandomi come un cane, mi ero recato da lei per comprare del latte, invece di darmi un ceffone, mi aveva appunto invitato a ritornare all’ora di chiusura.
Quel pomeriggio, anche se non era sabato, mi ero addirittura fatto il bagno, mi ero cambiato la biancheria e mi ero messo la camicia più bella che avevo, avevo anche usato un po’ dell’acqua di Colonia di papà sperando che non se ne accorgesse.
Ed ora eccomi lì, davanti alla porta della piccola latteria, il cuore batteva all’impazzata, ma mi feci coraggio ed entrai.
Lei era dietro il bancone, raggiante come sempre, il corpo formoso stretto dentro uno dei suoi grembiuli attillati che ne mettevano in risalto le forme giunoniche.
Senza dire una parola passò di fianco a me, uscì per tirare giù la serranda e rientrò.
Chiuse a chiave la porta della vetrina, mi raggiunse e mettendomi una mano sulla spalla mi invitò a seguirla nel retro.
Il locale era immerso nella penombra, una semplice lampadina da pochi watt pendeva dal soffitto, spenta.
Solo un poco di luce penetrava dalla piccola finestra da cui l’avevo spiata quel famoso pomeriggio.
I raggi rosei del sole che stava per andare a dormire coloravano anche quel retrobottega dando a tutte le cose una sfumatura calda e sensuale.
Nell’aria un odore indistinguibile, un misto di odore di formaggio, di latte cagliato, di cose buone, un odore forte e dolce, molto eccitante.
Mi fece sedere su una seggiola di formica verdina, con le lunghe gambe di metallo cromato, mi si accosciò davanti e guardandomi negli occhi mi disse: “ti è piaciuto quello che ha visto l’altro giorno?”
Mentre lo diceva si stava sbottonando il grembiule, permettendo al petto imperioso di espandersi.
Non portava il reggiseno e il seno era a malapena contenuto in una leggera maglia di cotone azzurro.
Carmela la prese dalla scollatura tirandola energicamente in giù con entrambe le mani, liberando le tette, in modo che queste mi esplodessero letteralmente in faccia in tutta la loro maestosità.
Alla vista di quei seni enormi i miei occhi si dilatarono e la mia mandibola cadde verso il basso lasciandomi a bocca aperta.
In mezzo alle mie mutande invece qualcosa ebbe una spinta contraria, crescendo prepotentemente verso l’alto e chiedendo a gran voce di essere liberato!
Del resto era la prima volta in vita mia che vedevo un seno, e quello non era un seno normale, era un seno enorme, era un seno da Guinness dei primati.
Era il re di tutti i seni del mondo.
“Le hai mai viste un paio di zinne?”
Mi chiese, mentre mettendomi un dito sotto il mento, faceva richiudere la mia bocca spalancata e mi obbligava a guardarla negli occhi?
Io non risposi ma nelle mie mutande la situazione era ormai fuori controllo.
“Le hai mai toccate un paio di zinne?” Mi chiese ancora, feci un cenno di no con la testa, probabilmente dovetti sembrarle un po’ scemo...
Carmela mi prese le mani e le guidò in modo da portarle a posarsi su quel ben di Dio.
Le toccai titubante, come se potessero eslodere da un momento all’altro.
Erano morbide, ma sode, e calde, e lisce e bianche e... Madonna Santa, i capezzoli... due meravigliosi capezzoli rosa scuro, circondati da auree enormi, di un rosa appena più chiaro.
Il mio pene là sotto lanciò un ruggito disperato, lo sentivo pulsare e dimenarsi come fosse dotato di vita propria, come un serpente che tenta di liberarsi dalla stretta di una mano crudele.
Carmela mi prese di nuovo le mani e mi obbligò a toccare quei due bottoni di carne.
Erano vagamente gommosi e reagirono al timido tocco dei miei polpastrelli facendosi più duri.
Oddio no!
Il mio pisello non resse l’emozione e ohoooho mmmm ohhhhh CAZZO!
Esplose, riempiendomi le mutande di roba calda e viscida.
Cazzo cazzo cazzo, che figura di merda, che figura da bambino, che figura da pirla.
A lei la situazione non era sfuggita, ovviamente se ne era perfettamente accorta, ma non rise, non mi prese in giro nemmeno un po’, anzi sembrò lusingata di aver scatenato una reazione tanto entusiasta solo facendosi toccare i capezzoli.
Mi slacciò i bottoni della patta e mi tirò giù pantaloni e mutande, ormai fradici di sperma.
“Fammi un po’ vedere che è successo qua dentro” mi disse sorridendo, mentre mi tirava fuori, non senza una certa difficoltà il cazzo, tutto fradicio e grondante.
“Però!” Esclamò alla vista del mio arnese, ancora duro come se non fosse successo niente.
“Niente male” rimarcò, e intanto con le dita raccoglieva il frutto della mia eiaculazione, spalmandoselo accuratamente tra i grossi seni.
“Ora ti insegno una cosa, bello di mamma...”
Mi fece alzare e prese il mio posto sulla sedia, mi tirò giù ben bene i pantaloni fino alle caviglie e prese il cazzo in mano ficcandoselo in mezzo le tette.
Io ero in piedi davanti a lei, le braccia inermi lungo i fianchi, la bocca di nuovo spalancata per la sorpresa, e il cazzo... il cazzo era sparito in mezzo a quei seni enormi.
Mi guardò in faccia, un sorrisetto malizioso le increspava le belle labbra carnose.
Mi spinse indietro, facendomi appoggiare al tavolaccio che stava dietro di me.
“Mettiti comodo e rilassati, bello”
Si prese le tette con entrambe le mani e si mise a farle andare su e giù lungo il mio cazzo.
Queste, calde, morbide e burrose, lubrificate a dovere dalla mia sborra di poco prima, avvolgevano il mio pene aderendo perfettamente, trattenendolo in mezzo a loro e massaggiandolo in su e in giù come facevo io con la mia mano sinistra, chiuso in bagno quando i miei non erano in casa.
Solo che era dieci miliardi di volte più fico e più eccitante.
Dio, era bellissimo, Carmela mi stava facendo una sega con le tette.
Il mio cazzo era sempre più duro, quando le poppe si abbassavano la cappella faceva capolino e lei la sollecitava con le labbra socchiuse o addirittura con dei colpi di lingua.
Si fermò un attimo, mi guardò compiaciuta dell’evidente piacere che mi stava facendo provare.
Prese le mie mani, se le mise dietro la nuca in modo che potessi afferrarla per accompagnare i suoi movimenti e ricominciò il lavoro lungo il mio cazzo.
La cappella era ormai arrossata e particolarmente sensibile, lei la prendeva sempre più a fondo, le mie mani le afferrarono i capelli costringendola ad andare ancora più giù, sempre più veloce, finché non esplosi di nuovo.
Sentii l’orgasmo arrivare dal. Basso, dalle dita dei piedi un formicolio risalì lungo le mie terminazioni nervose fino a darmi una scossa elettrica.
Anche lei aveva intuito che stavo per venire e allontanò il viso godendosi lo spettacolo dei miei fiotti di sperma che partivano verso l’alto e ricadevano verso il basso disegnando plastiche volute biancastre.
Dio che bello!
Carmela m guardò soddisfatta, si rimise le tette dentro la maglietta, mi tirò su i calzoni, si alzò dalla sedia e mi accompagnò senza tanti preamboli all’uscita sul retro.
“Ciao bello, passa ancora nei prossimi giorni, che ti faccio vedere qualcos’altro...”
Mi sembrò che mi liquidasse un po’ troppo frettolosamente, e all’inizio ci rimasi un po’ male.
Ma mentre rientravo verso casa mezzo stordito vidi arrivare la macchina del rappresentante.
Giusto in tempo pensai, e tutto sommato mi rincuorai di essere stato oggetto di un regalo così fantastico.
E poi mi aveva detto di ritornare, chissà quante altre cose meravigliose e proibite mi avrebbe insegnato.
La mia vita, tutto ad un tratto mi sembrò bellissima.
Al tempo non lo sapevo, ma crescendo imparai che quello che mi aveva appena fatto si chiamava “Spagnola”, molte altre me ne avrebbero fatte, ma nessuna fu come quella prima volta, come dice il detto: “la prima spagnola non si scorda mai”…
5
voti
voti
valutazione
2.6
2.6
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Un indimenticabile week endracconto sucessivo
Arianna
Commenti dei lettori al racconto erotico