Un metro 14 - Deve succedere adesso
di
Browserfast
genere
trio
Con il cuore in gola mi avvicino a Sven e all’uomo che è con lui. Ha ancora il cappotto indosso e la sua prima reazione un po’ mi rassicura, perché lo sguardo che rivolge al padrone di casa è di quelli che dicono “ma hai ospiti, non volevo disturbare”. E’ un uomo dalla carnagione un po’ scura, nemmeno olivastra. Diciamo che sembra uno mediamente abbronzato. I capelli sono neri, cortissimi, forse crespi ma è impossibile dirlo con certezza. Sven mi presenta Rami, un suo amico. Si pronuncia con l’accento sulla i, alla francese. Mi dice che è un ministro tunisino. Io penso, cazzo, giovane per essere un ministro, visto che avranno pressappoco la stessa età. Sven però mi spiega che, nel loro linguaggio, un “ministro” è un alto funzionario di ambasciata. Fa parte del suo giro del calcetto, aggiunge. Perfetto, penso, così se volete sapere cosa fanno i diplomatici stranieri in Italia ve lo dico io: si rompono il cazzo l’un l’altro mentre stanno per scopare, oppure giocano a calcetto. Magari dopo avere sparso il loro seme nella bocca della puttanella di turno, proprio come è successo a me l’altro giorno. Qui, in questa casa.
Stringo la mano al tunisino sperando di non avvampare dalla vergogna, guardando verso il basso. Non ci sono basi logiche, ma secondo me è impossibile che non abbia capito cosa stavamo facendo io e Sven. Voglio dire, che ci fa una ragazzina in tiro qui? A casa di un uomo che avrà quindici anni più di me? E io dimostro pure meno dei miei diciannove anni. Mica penserà che il nostro è un rapporto di amicizia basato sulla stima reciproca e sull’affinità intellettuale. Sì, lo so, è qualcosa che assomiglia molto a un senso di colpa che me lo fa pensare, ci potrebbero essere altre cento ragioni. Ma poiché ci ha interrotti mentre stavo per fargli un pompino, cosa volete che pensi?
Gli faccio “Annalisa” e gli tendo la mano, lui la stringe e risponde “enchanté”. Sven lo invita a togliersi il cappotto e a unirsi a noi. Il tunisino risponde che non vuole disturbare. Sven insiste e gli prende il cappotto. Adesso guardo meglio Rami. E’ pure troppo elegante nel suo completo blu, camicia bianca e cravatta gialla. E, non ci potrei giurare, ma quelle scarpe sono di Salvatore Ferragamo. E’ più basso di Sven, e anche meno imponente. Soprattutto, direi, se Sven è tutto muscoli lui è tutto nervi. Mi dà questa impressione. Ha il naso piccolo e le labbra sottili. E anche le mani sono lunghe e sottili. Il bianco dei denti risalta molto sulla sua carnagione.
Sven gli dice “stiamo aspettando la cena, Annalisa prepara degli ottimi vodka martini, ne vuoi uno?”. Rami ci mette un po’ a capire e poi rifiuta, con un sorriso che è al tempo stesso un gesto di sorpresa. Sven si corregge al volo: “E’ vero, scusa, non ci pensavo... un tè?”. L’uomo ci pensa su, un po’ titubante, poi accetta. Sven mi fa: “Sletje, ti dispiace?”. Il suo “sletje” è come una frustata che mi riporta indietro a quello che stavamo facendo su questo divano qualche minuto fa. Balbetto un “no... certamente” e faccio per allontanarmi. Sven mi richiama e mi dice “prendi”, porgendomi il telefono. Altro brivido: non riesco a ricordarmi se, toccando il vetro, si svelerebbe l’ultima schermata rimasta o quella home, io non uso nemmeno il codice di blocco, tra l’altro. Mi avvio confusa verso la cucina pensando che sotto il nero del display si nasconde la foto dell’erezione da 23 centimetri di Sven. Sono sola ma avvampo lo stesso. E torno a sentirmi umida.
Mentre preparo tutto, arriva il ding del WhatsApp. E’ Sven. Lo apro, incuriosita ma anche inquieta. Che cazzo mi deve dire che non può dire a voce, siamo a tre metri in linea d’aria... Apro il messaggio e mi prende un colpo: “Quando torni presentati nuda, solo calze e scarpe”. Resto senza fiato. Un po’ per la richiesta un po’ per la contrazione. Vado in affanno e da quel momento in poi mi viene tutto molto più difficile. Quasi non riesco a posare la tazza e i bicchieri sul vassoio, tremo e ho paura di far cadere tutto mentre torno nel salone. Non mi sono spogliata, è chiaro che non mi sono spogliata.
Servo Rami per primo, Earl Grey con scelta tra miele e zucchero. Lui ringrazia molto garbatamente in francese, che non comprendo (vabbè, “merci mademoiselle” lo capisco), prende la tazza ma ignora il resto. Porgo il vodka martini a Sven che mi guarda con un sorrisino ed è come se mi spogliasse e mi facesse sua solo con quello. Vado in confusione totale mentre lui mi domanda “e tu?”. Gli sorrido e gli dico “torno subito”, lui mi risponde “ti avevo detto una cosa”. Gli sorrido con il battito cardiaco a mille e praticamente scappo in cucina. Mi è tornato il fiatone e non so che cazzo fare. Sì, lo so, in teoria lo saprei benissimo che cazzo fare, andare via. Oppure dirgli “mi spoglio ma quando se ne va lui”. In pratica però, perché è solo la pratica quella che conta, come vi dicevo non so che cazzo fare. Prendo un bicchierino e ci verso la Absolut poi, prima di rimettere il tappo, mi attacco direttamente alla bottiglia e do una lunga sorsata. All’inizio il freddo, poi il fuoco mi esplode dentro lo stomaco. Ma quando torno in salotto ansimo molto meno. Forse sono appena un po’ più accaldata.
Sven mi rivolge lo stesso sorrisino ironico di pochi secondi prima. Anche la sua espressione di rimprovero mi sembra ironica, ma non si può mai dire. Noto che il dialogo con Rami va avanti a fatica. Il tunisino parla un inglese molto basic, meglio scordarsi costruzioni sintattiche complicate. Mi pare che anche il suo vocabolario sia molto ridotto. Per non parlare della pronuncia, che mi ricorda quando mio padre mi faceva vedere le scene più buffe dell’ispettore Clouseau su Youtube. In compenso, dopo che gli dico che studio matematica, apprendo che è laureato in scienze diplomatiche alla Sorbona.
- Sletje è una mia amica italiana, è molto bella, vero? - fa d'un tratto Sven alzandosi e muovendo alla mie spalle e stringendomi con affetto.
Rami ha la faccia di uno che non capisce. Gli ho detto che mi chiamo Annalisa, chi è sta Sletje? In Olanda Sletje sta per Annalisa?
- No, è Anneliese - risponde Sven - ma una ragazza così carina e così giovane, così... la chiamiamo Sletje.
Rami annuisce, gentile. Mi sorride dicendo "very very young, mademoiselle". Io abbasso lo sguardo sulle punte delle mie scarpe. Sven con una mano mi accarezza i capelli, con l’altra sento che mi sfiora il culo. Resto un momento interdetta, perché Rami sta guardando la sua tazza di tè ma probabilmente non potrebbe vedere nulla nemmeno se avesse gli occhi verso di me. Ma il tocco di Sven è stato comunque esplicito.
Un attimo dopo il significato di quel tocco scompare, evapora. Sovrastato dalla mano dell’olandese che smette di accarezzarmi i capelli e scende in basso, a stringermi una tetta da sopra il tessuto. Resto letteralmente senza fiato. Non prima però che un mio sospiro abbia attirato l’attenzione di Rami verso noi due. Quei tre-quattro secondi durante i quali i nostri sguardi rimangono incastrati l’uno dentro l’altro mi sembrano un’eternità. Nei suoi occhi leggo lo stupore, ma non solo. E’ come se fossero uno specchio, per me. Non so bene come spiegarvelo ma è come se, da questo momento in poi io fossi per lui un’altra persona. E’ l’impressione di un attimo, ma è nettissima. Del resto, il gesto di possesso di Sven è stato così chiaro che ha gettato per aria tutta la configurazione precedente. In questa stanza, da un momento all’altro, è cambiato tutto. Gemo “Sven, no, dai”, ma mi sa che sarebbe chiaro a chiunque che sono la prima a non crederci.
Sven mi bacia il collo, ci passa la lingua sopra con una lentezza ostentata. Non so dire bene se quel passaggio umido me lo godo o lo subisco, ma sta di fatto che perdo il contatto visivo con Rami. Resto con la bocca mezza aperta a cercare di prendere fiato. “Sven, dai...”.
- E’ una puttana – sento Sven dire all’amico.
Ho un brivido. La mano si muove un po’ sulla mia mammella e sento distintamente la pressione del pacco sul mio sedere. Ormai mi stringe senza ritegno, mi schiaccia contro di sé. Rami domanda perplesso "slut?", come se non capisca, o non voglia capire. E’ l’ultimo diaframma da rompere. E’ una sensazione che mi fa tendere tutti i nervi, come se il mio destino dipendesse dalla sua capacità di comprendere il significato di quella parola. “Non è vero...”, piagnucolo.
Il tunisino mi guarda interrogativo e io guardo lui. Poi riabbasso gli occhi e con un filo di voce gli traduco "salope". Se poi volete interpellare uno psicanalista per sapere perché, dal weekend a Nizza della scorsa estate con Edoardo, una delle poche parole francesi che mi siano rimaste nel cervello sia "salope", beh... ecco, non lo fate, sarebbero soldi buttati. La conoscevo già da prima, avete presente i video francesi su Youporn? Se invece volete sapere perché sia stata proprio io fargli la traduzione, sì, telefonategli allo psicanalista. Quelli sarebbero soldi ben spesi. Poi magari mi fate sapere cosa vi ha detto. Dopo, però. Adesso avrei bisogno di asciugarmi un’altra volta tra le gambe.
- Tu paghi lei? – chiede Rami all’amico, a metà tra il sorpreso e il costernato. In realtà gli domanda uno sgrammaticato “you pay she?” che in un altro momento avrebbe smosso la mia mania di ipercorrettivismo linguistico, ma in questo momento proprio non mi sembra il caso.
- No, no no, she just wants to be fucked, no money – risponde Sven quasi ridacchiando, come se ci fosse da chiarire un banale equivoco.
Forse, anzi ne sono certa, Rami non ha capito un’altra volta. Ma io sì che ho capito. “La paghi?”. “No, vuole solo essere scopata”. E vi confesso che, proprio perché ridotta alla sua brutale essenzialità, la loro conversazione mi fa sbroccare. Caccio un gemito senza neanche rendermene conto né poterlo fermare. Ho il cuore che batte impazzito. Miagolo “Sven, ti prego”. Giusto per dire basta, giusto per dire che siamo andati troppo in là. In rapidissima successione mi paralizzano tre cose. La sua mano che mi abbassa la zip del vestito, così priva di tentennamenti. Lo sguardo di Rami sulla mia nudità, tra la fine della camicetta e le balze delle autoreggenti. La domanda di Sven.
- Te la vuoi scopare?
Ho un vuoto allo stomaco. Ha detto proprio all'amico "te la vuoi scopare?", come se la mia opinione non contasse un cazzo, come se io stessa non contassi un cazzo. Rami però non capisce. E' difficile dire se non capisca le parole che compongono "do you want to fuck her?" o se non capisca proprio un cazzo in assoluto di ciò che sta succedendo. Sven ripete “fuck” e anche se non lo vedo immagino accompagni quella parola con un gesto inequivocabile. Esorta l’amico con un “prendila, è tua” che anche in questo caso non so se il tunisino capisce, ma sticazzi. Primo, perché ho proprio altri pensieri in questo momento che la sua comprensione dell’inglese. Secondo, perché Sven mi sussurra all’orecchio “digli che sei una puttana, digli che vuoi che ti scopi”. Ho un crampo e, immediatamente dopo, un senso bagnato di apertura.
- No... per favore...
- Diglielo.
- Oui... sletje is slut, is... salope... monsieur – e mi accorgo di ansimare mentre eseguo l’ordine di Sven – if you want...
- You... salope, mademoiselle? – chiede Rami.
- No... – piagnucolo.
- Svestilo – sussurra Sven.
E io mi lagno ancora dicendo “no Sven, per favore”, ma intanto lo faccio, cazzo, non ci posso credere ma lo faccio. Avanzo mezza nuda verso Rami, mi inginocchio tra le sue gambe e allungo le mani verso i risvolti della sua giacca, per togliergliela. E’ semi paralizzato anche lui dalla sorpresa. Adagio con cura la giacca sul pavimento e passo alla cravatta. La slaccio, non sono molto pratica ma miracolosamente non faccio casini. Gli sbottono la camicia e la lascio aperta sul suo petto.
Sven mi accarezza ancora la testa e mi dice "go down on him, back in a while", Mi volto verso di lui. No, un attimo, come sarebbe a dire "fagli un pompino torno subito?", dove cazzo vai? In realtà riesco solo a piagnucolare "Sven... no". Lui nemmeno si volta ma agita il bicchiere vuoto. Torno a guardare Rami, che mi osserva. Non ha una espressione arrogante, e nemmeno da porco. Ha l'espressione sbigottita di uno che è stato trascinato dentro una cosa che non si aspettava e che adesso, certo, lo capisco, sta iniziando ad aspettarsi qualcosa. Né io né lui sappiamo bene cosa. Sono, vi prego di credermi, sinceramente sbigottita anche io da ciò che ho appena fatto. Distolgo lo sguardo e mi concentro di nuovo sul suo petto. Gli passo le mani sopra, lo accarezzo leggera e gli piagnucolo “non sono una puttana... non sono una salope”. Inizia ad ansimare leggermente anche lui, sotto la sua pelle ambrata è come se lo sentissi guizzare. Mi abbasso giusto un poco per baciarlo all'altezza degli addominali e sui capezzoli. Lo stuzzico, lo lecco, lo sento irrigidirsi. “Tu non gli credi, vero?”, ma non so se mi capisce. E del resto, pure io che cazzo pretendo? Dico una cosa e faccio l’esatto opposto.
Sven ritorna e mi lancia un’occhiata divertita come a dire “ancora così?”. Beh, ok, non ho fatto quello che mi ha detto di fare, mi viene quasi da chiedergli scusa. Me lo ripete. Gli domando "sei sicuro?", come se la cosa dipendesse interamente da lui. Mi risponde "sei tu che lo vuoi". Gli faccio “davvero?” con un tono di voce che sembra quasi che stia implorando pietà. Non risponde, mi tira leggermente la coda e mi fa rialzare il busto. Si piega a sbottonarmi la camicetta, me la toglie. Magnifico: resto in ginocchio davanti a uno sconosciuto con addosso solo le scarpe, le autoreggenti e la catenina d'oro della nonna. Nemmeno fossimo sul set della più scontata delle clip porno. Subito dopo, la pressione leggera della mano di Sven sulla nuca mi avvisa che è ora di cominciare. Tutto ciò che deve succedere, deve succedere adesso.
Ma io, incredibilmente, non mi decido. Sono letteralmente bloccata e non riesco a fare ciò che, per me, è una delle cose più facili del mondo. Non oso nemmeno guardare Rami. Non in faccia, voglio dire. Di lui ho solo davanti agli occhi quel gonfiore sotto i pantaloni che riconosco benissimo. Poi la voce di Sven, che è come un’altra frustata: “Dai succhialo”. La fica mi si squaglia all’istante e dalla mia bocca semi aperta esce un lamento come se quelle parole mi avessero scopata.
Mi avvento sulla cintura di Rami per aprirla, in mezzo secondo sono diventata una bambina che cerca disperatamente di scartare un regalo. Un regalo gelosamente custodito da cinghia, zip, bottoni, tessuto di lana, boxer morbidi. Libero tutto, tiro, abbasso, tolgo persino scarpe e calzini. Lo voglio nudo, con la sola camicia bianca e sbottonata indosso. Lui è sulla buona strada, ma non è ancora perfettamente pronto. Forse è per questo che la prima cosa che mi colpisce sono i testicoli. Non so dire se siano gonfi o meno. Sono... semplicemente enormi, credo i più grossi che abbia mai visto. Ne resto affascinata, li guardo a lungo, mi chino a sfiorarli con la lingua mentre l’odore di maschio già comincia a stordirmi. E poi, osservo e assaggio ciò che lo rende un Lui. Lo devo dire, Rami ha davvero un bel cazzo. Scuro, più scuro della sua pelle. Grosso, con le vene anch’esse scure che lo fanno sembrare ricoperto da nodosità. Anche una volta eretto, però, il confronto con quello di Sven è impietoso.
Tuttavia, avvolto tra le mie labbra, ogni paragone perde senso. E’ duro, è impegnativo anche questo, mi piace da morire. Gli do la mia testa e la perdo dentro questo pompino. Tanto che non capisco nemmeno perché la mano di Sven mi fermi prendendomi un’altra volta per la coda. Mi volto a guardarlo interrogativa e lo vedo che ha in mano il mio telefono. Lo scuote come a dire “a lui non lo misuri?”. Non so se lo faccia per vantarsi o per prendermi in giro, ma ai fini della gara con Serena è proprio una fortuna. Perché la gara, in questo momento, è davvero l’ultima cosa che mi verrebbe in mente.
Rami ci guarda ancora più interrogativo e sento Sven che gli dice qualcosa che non capisco nemmeno io, ma probabilmente gli fa anche qualche cenno con le mani. Aggiunge “picture”, con il tono di chi dice “questa e solo una povera scema”. Rami sorride perplesso e divertito. Io gli lascio cadere una lunga colata di saliva sulla cappella, lo imbocco e lo spompino un altro po’. Poi, lucido come l’ebano lucidato, lo misuro e lo fotografo: diciassette centimetri. Mentre poso il telefono per terra, la mano di Sven mi riafferra i capelli. Non mi fa male, li tira dolcemente. E’ il suo modo per dirmi qualcosa. Anzi, quel qualcosa me lo dice proprio esplicitamente.
- I pompini dopo, ora fatti scopare.
- Devo? – domando con una voce gonfia di pianto e di voglia nello stesso momento.
La voglia, vorrei precisare, non è tanto quella di essere scopata. E’ quella di sentirmi dire un’altra volta da lui di farmi scopare.
- Devi. Fallo.
Mi tiro su e mi metto a sedere sul divano. Quel “devi”, quel “fallo”, mi hanno fatto perdere ogni controllo. Me ne sto lì oscena, con le ginocchia piegate e i piedi appoggiati sui cuscini. Mi spalanco, guardo il cazzo di Rami e poi i suoi occhi. Spero non ci sia bisogno di dire nulla, vero? No, infatti, non c’è bisogno di dire nulla. Si inginocchia davanti a me mentre Sven gli passa un preservativo della sua dotazione, poi mi tira un po’ avanti e si china a leccarmela mentre lo scarta e se lo infila. Risale a passarmi la lingua sullo stomaco, a succhiarmi i capezzoli. Gemo come una cagnetta e mi fa impazzire. Ma sinceramente in questo momento ho solo voglia di essere scopata.
Quando mi afferra per le anche e mi infilza lo fa piano. Non è esattamente il modo in cui piace a me ma va benissimo lo stesso, vi assicuro. Mi apre e mi riempie lentamente, e il mio cervello vorrebbe che dalla mia bocca uscisse una frase sola: “dio, che bella mazza che hai”. Ma dalla mia bocca, invece, esce solo un lunghissimo “oooooooh” piagnucolato. Per un po’ mi scopa così, con un lento avanti e indietro. E non è che me lo goda di meno, anzi. Assorbo i suoi affondi con un miagolio continuo, ad occhi chiusi, mentre lui mi bacia il collo. Ma quando gli occhi li riapro, aggancio lo sguardo di Sven, che ci osserva appoggiato al tavolo. Ne vengo rapita. E’ come se mi stesse scopando lui, attraverso qualcun altro, per procura. Quando questa consapevolezza mi investe, cambia tutto.
Metto le mani sul petto di Rami, facendogli segno di fermarsi un attimo. Mi libero e mi muovo sul divano. Mi metto di traverso, a pecora, con la testa appoggiata sul bracciolo e il sedere per aria. Esposta in un invito indecente. Lui si sistema dietro di me e, accarezzandomi una natica, biascica qualcosa in francese di cui afferro solo l’ultima parola, ancora una volta “mademoiselle”, ma capisco che sta magnificando la perfezione del disegno del mio culo. Poi mi afferra di nuovo per le anche e mi fotte.
Rami è un gentiluomo. Ma questo è il momento in cui la gentilezza scompare e resta solo l’uomo, il maschio che ti prende. E in questo preciso momento io smetto di essere “mademoiselle”, ora sono solo una troia da sbattere e da far urlare.
E’ la posizione che mi piace di più, questa. Perché lo sento entrare fino in fondo e perché, psicologicamente, mi fa sentire soggiogata, senza altra possibilità che subire. Stavolta però c’è molto di più. Sven mi osserva, i suoi occhi sono puntati sulla profanazione del mio ventre. Sapere che mi ha ceduta all’amico senza neanche chiedermelo, che non solo è pronto a usarmi come una puttana ma anche a dire a qualcun altro di farlo, beh... che vi devo dire, è una cosa che mi fa uscire di senno, mi manda davvero ai matti. E’ una cosa che mi fa godere anche di più dei colpi di cazzo di Rami. Non lo so nemmeno io quante volte muoio e quante volte rinasco. So solo che lo sento spingere come un matto e vibrarmi dentro, arrivare grugnendo alla sua fine. Un momento dopo, so anche un’altra cosa. Che è stato un bene che Sven gli abbia concesso di precederlo. Perché quando si piazza dietro di me della delicatezza della prima volta non c’è nulla. Entra di colpo e mi sbatte, mi sfonda, mi toglie il respiro. E per qualche secondo la cosa più bagnata del mio corpo non è più la fica, sono gli occhi. Ma dura poco, dura poco. Perché subito dopo spruzzo strillando.
Anche quando mi afferra per la coda e mi strappa i capelli come piace a lui lancio un urlo pazzesco. Né lui né il suo amico possono capire quanto in quell’urlo, dietro il dolore, ci sia un piacere immenso. Intercetto lo sguardo sbigottito di Rami, che ci guarda. Non so se sia più stupito di vedere un fuscello come me chiavata senza ritegno e senza pietà da Sven, o se sia impressionato dalla mastodonticità del suo randello. Forse tutte e due le cose. In due associazioni mentali, che durano sì e no il tempo di due botte di cazzo, penso che nello spogliatoio del calcetto avrà avuto più di una volta modo di osservare la dotazione del suo compagno, anche se forse non così. E immediatamente dopo me li figuro a raccontare a tutti gli altri che un venerdì sera si sono fatti una ragazzina molto troia che non aspettava altro che di essere massacrata da loro. Sai quelle fighette che te la sventolano davanti e non te la danno mai? Beh, noi ce la siamo fatta, dovevate sentire come strillava, come godeva. Perché in effetti sì, godo da fare spavento. E a questo pensiero godo addirittura da fare schifo. Vorrei che li chiamassero adesso tutti qui, gli amici del calcetto, ci morirei volentieri su questo divano.
L’orribile stridio del citofono arriva a spezza tutto un’altra volta. E stavolta sì, cazzo, stavolta sì che deve essere il runner con la cena. Sven si infila il cazzo duro nei pantaloni, ha il preservativo ancora indosso. Ha fatto in tempo a devastarmi, non a riempirlo del suo sperma. Risponde e immediatamente dopo ci fa segno di tagliare la corda. Io a muovermi non ce la faccio proprio. Deve essere Rami a prendermi in braccio e portarmi via. Mezza morta, gli indico la camera da letto alla fine del corridoio. Nel centro del mio corpo sento un vuoto enorme. Ma nonostante questo non posso fare a meno di immaginare lo spettacolo che si presenterà tra qualche secondo davanti al fattorino. La porta di Sven dà quasi immediatamente nel salone. Il ragazzo vedrà un uomo concitato ma perfettamente vestito, forse noterà il bozzo nei pantaloni. Dietro di lui, sparsi sul pavimento, un vestito grigio da ragazza e una camicetta. Pantaloni, giacca, boxer e calzini da uomo. Scarpe. Una cravatta, un preservativo usato. Bicchieri sul tavolo, una tazza di tè. In un altro contesto, forse mi vergognerei.
Finiamo sul letto a baciarci, mentre sentiamo Sven che se la sbriga con il fattorino. Cerchiamo di fare piano. Mi accarezza il culo e me lo stringe forte. Lo so che lo vuole, lo sento.
Dopo che ieri Lapo ci si è divertito due volte, mi fa ancora molto male. Ma se lo prendesse lo lascerei fare. Non lo so perché, ma è come se avessi io stessa per prima il bisogno di sapere che può fare di me ciò che desidera. Non ho più pensieri, non ho più timori. Ho solo voglie. Quelle più indecenti, naturalmente.
Sven ci trova così, lo sento arrivare di colpo ridacchiando “era il mio turno, a dire il vero”. Mi volto a guardarlo. E’ completamente nudo, ora. Ha in una mano il pacchetto di sigarette e quello degli accendini, nell’altra un bicchiere vuoto. Tra le gambe gli penzola quel megacazzo ormai in disarmo ma ancora vestito dal profilattico. Lo guardo e scoppio a ridere, in breve siamo lì sul letto che sghignazziamo tutti e tre. Fa per accendersi una sigaretta ma lo blocco, me la faccio dare. Mi inginocchio di fronte a loro sul materasso allargando le cosce e gli faccio vedere il gioco della sigaretta infilata nella fica. Gliela restituisco con il filtro zuppo dicendogli “adesso puoi fumare”. La accende gustandosi il mio sapore e guardandomi leggermente stupefatto. Ne vuole una Rami, di sigaretta, e ne voglio una anche io. Tutte aromatizzate allo stesso modo. Mi stendo in mezzo a loro, a fumare, con Sven che appoggia il bicchiere sulla mia pancia per usarlo come posacenere.
La sensazione di essere stretta tra i corpi dei due uomini è, semplicemente, pazzesca. Così come sono pazzeschi gli addominali di Sven, chiudo gli occhi per immaginarmeli all’opera sopra di me. Le mani differenti che mi accarezzano le tettine, mi liberano dalle autoreggenti, mi frugano ovunque, difficilmente potrò dimenticarle. Così come difficilmente potrò dimenticare cosa significa essere baciata, leccata, morsa da due bocche diverse nello stesso momento.
Non è la prima volta che mi ritrovo nuda o quasi nelle mani di due maschi. Ma la prima fu una cosa brutale, senza senso. Tranne quello di svuotarli e di riempirmi la bocca e la fica della carne e del seme di due decerebrati. Qui la cosa è completamente diversa. Quattro mani sul mio corpo. Quelle di Rami, strette sulle anche, che dettano il ritmo e mi impongono l'impalatura. Quelle di Sven che si impossessano dei miei seni, da dietro, senza che lo veda e che me ne accorga, dapprima sfiorando e poi stringendo. Che aggiungono al brivido travolgente del contatto quello, infinitamente più devastante, della mia nuova consapevolezza: sono di uno e sono dell'altro. Sono roba loro.
Mi fanno la festa due volte per uno, che per me significa quattro volte. Mi adorano, mi giocano, mi passano tra loro come una palla. Mi fanno ridere e mi fanno sentire desiderata. Mi sbattono come l’ultima delle troie e si scambiano parole che né l’uno né l’altro comprendono. E che nemmeno io comprendo. Ma di cui tutti e tre conosciamo il significato.
Però una cosa la devo dire: mi usano come una puttana e mi scopano come una puttana, d’accordo. Ma non mi trattano mai davvero come una puttana. Nemmeno quando Sven mi spinge con forza la testa sul cazzo di Rami prima di infilarmi dentro il suo. Forse perché sono fatti così, o forse perché sono la loro ragazzina, non lo so. Sono allo stesso tempo il centro delle loro voglie e della loro ammirazione. E per me è un modo di godere anche questo.
A un certo punto Sven mi dice una cosa, dopo avermi baciata, che sul momento non colgo appieno (non sono molto lucida, sono impalata su Rami e sto decollando per l’ennesima volta) ma che credo sia uno dei complimenti migliori che mi siano mai stati fatti: “I tuoi dovevano chiamarti Eva”. Poi mi offre il cazzo alla bocca e credo di non avere mai messo tanta felicità in un pompino.
Solo in un momento ho paura, quando sto sopra Sven che mi squarta e Rami mi spinge un dito nel sedere. Mi fa male e penso “ecco, ci siamo”. Mi metto a piangere e dico “no, per favore, insieme no”, senza nemmeno rendermi conto di quanto sia da troia quello che in pratica gli sto chiedendo. Perché sì, in effetti gli sto chiedendo “scopatemi uno alla volta”. Che per la moralità di una ragazza, ammetterete, non è proprio il massimo.
L’ultima, la mia quinta, Sven la vuole dopo la doccia, dopo che Rami è andato via. Mi ha messo prima la lingua in bocca e poi mi ha fatto il baciamano. Mi ha stretta contro il suo cappotto facendomi sentire la lana sulla pelle. Quando si è chiusa la porta sono entrata in bagno. Sven stava fumando una sigaretta.
E’ venuto in bagno che mi ero appena tolta l’accappatoio dopo essermi asciugata, mi ha offerto una sigaretta. Me la teneva lui mentre iniziavo a sistemarmi i capelli con pettine e phon. Quando sono arrivata al filtro, l’ha buttata e mi ha fatto appoggiare sul lavandino. Da dietro e senza preservativo. Lo schizzo di sperma caldo sulle reni è valso quanto un ultimo orgasmo.
CONTINUA
Stringo la mano al tunisino sperando di non avvampare dalla vergogna, guardando verso il basso. Non ci sono basi logiche, ma secondo me è impossibile che non abbia capito cosa stavamo facendo io e Sven. Voglio dire, che ci fa una ragazzina in tiro qui? A casa di un uomo che avrà quindici anni più di me? E io dimostro pure meno dei miei diciannove anni. Mica penserà che il nostro è un rapporto di amicizia basato sulla stima reciproca e sull’affinità intellettuale. Sì, lo so, è qualcosa che assomiglia molto a un senso di colpa che me lo fa pensare, ci potrebbero essere altre cento ragioni. Ma poiché ci ha interrotti mentre stavo per fargli un pompino, cosa volete che pensi?
Gli faccio “Annalisa” e gli tendo la mano, lui la stringe e risponde “enchanté”. Sven lo invita a togliersi il cappotto e a unirsi a noi. Il tunisino risponde che non vuole disturbare. Sven insiste e gli prende il cappotto. Adesso guardo meglio Rami. E’ pure troppo elegante nel suo completo blu, camicia bianca e cravatta gialla. E, non ci potrei giurare, ma quelle scarpe sono di Salvatore Ferragamo. E’ più basso di Sven, e anche meno imponente. Soprattutto, direi, se Sven è tutto muscoli lui è tutto nervi. Mi dà questa impressione. Ha il naso piccolo e le labbra sottili. E anche le mani sono lunghe e sottili. Il bianco dei denti risalta molto sulla sua carnagione.
Sven gli dice “stiamo aspettando la cena, Annalisa prepara degli ottimi vodka martini, ne vuoi uno?”. Rami ci mette un po’ a capire e poi rifiuta, con un sorriso che è al tempo stesso un gesto di sorpresa. Sven si corregge al volo: “E’ vero, scusa, non ci pensavo... un tè?”. L’uomo ci pensa su, un po’ titubante, poi accetta. Sven mi fa: “Sletje, ti dispiace?”. Il suo “sletje” è come una frustata che mi riporta indietro a quello che stavamo facendo su questo divano qualche minuto fa. Balbetto un “no... certamente” e faccio per allontanarmi. Sven mi richiama e mi dice “prendi”, porgendomi il telefono. Altro brivido: non riesco a ricordarmi se, toccando il vetro, si svelerebbe l’ultima schermata rimasta o quella home, io non uso nemmeno il codice di blocco, tra l’altro. Mi avvio confusa verso la cucina pensando che sotto il nero del display si nasconde la foto dell’erezione da 23 centimetri di Sven. Sono sola ma avvampo lo stesso. E torno a sentirmi umida.
Mentre preparo tutto, arriva il ding del WhatsApp. E’ Sven. Lo apro, incuriosita ma anche inquieta. Che cazzo mi deve dire che non può dire a voce, siamo a tre metri in linea d’aria... Apro il messaggio e mi prende un colpo: “Quando torni presentati nuda, solo calze e scarpe”. Resto senza fiato. Un po’ per la richiesta un po’ per la contrazione. Vado in affanno e da quel momento in poi mi viene tutto molto più difficile. Quasi non riesco a posare la tazza e i bicchieri sul vassoio, tremo e ho paura di far cadere tutto mentre torno nel salone. Non mi sono spogliata, è chiaro che non mi sono spogliata.
Servo Rami per primo, Earl Grey con scelta tra miele e zucchero. Lui ringrazia molto garbatamente in francese, che non comprendo (vabbè, “merci mademoiselle” lo capisco), prende la tazza ma ignora il resto. Porgo il vodka martini a Sven che mi guarda con un sorrisino ed è come se mi spogliasse e mi facesse sua solo con quello. Vado in confusione totale mentre lui mi domanda “e tu?”. Gli sorrido e gli dico “torno subito”, lui mi risponde “ti avevo detto una cosa”. Gli sorrido con il battito cardiaco a mille e praticamente scappo in cucina. Mi è tornato il fiatone e non so che cazzo fare. Sì, lo so, in teoria lo saprei benissimo che cazzo fare, andare via. Oppure dirgli “mi spoglio ma quando se ne va lui”. In pratica però, perché è solo la pratica quella che conta, come vi dicevo non so che cazzo fare. Prendo un bicchierino e ci verso la Absolut poi, prima di rimettere il tappo, mi attacco direttamente alla bottiglia e do una lunga sorsata. All’inizio il freddo, poi il fuoco mi esplode dentro lo stomaco. Ma quando torno in salotto ansimo molto meno. Forse sono appena un po’ più accaldata.
Sven mi rivolge lo stesso sorrisino ironico di pochi secondi prima. Anche la sua espressione di rimprovero mi sembra ironica, ma non si può mai dire. Noto che il dialogo con Rami va avanti a fatica. Il tunisino parla un inglese molto basic, meglio scordarsi costruzioni sintattiche complicate. Mi pare che anche il suo vocabolario sia molto ridotto. Per non parlare della pronuncia, che mi ricorda quando mio padre mi faceva vedere le scene più buffe dell’ispettore Clouseau su Youtube. In compenso, dopo che gli dico che studio matematica, apprendo che è laureato in scienze diplomatiche alla Sorbona.
- Sletje è una mia amica italiana, è molto bella, vero? - fa d'un tratto Sven alzandosi e muovendo alla mie spalle e stringendomi con affetto.
Rami ha la faccia di uno che non capisce. Gli ho detto che mi chiamo Annalisa, chi è sta Sletje? In Olanda Sletje sta per Annalisa?
- No, è Anneliese - risponde Sven - ma una ragazza così carina e così giovane, così... la chiamiamo Sletje.
Rami annuisce, gentile. Mi sorride dicendo "very very young, mademoiselle". Io abbasso lo sguardo sulle punte delle mie scarpe. Sven con una mano mi accarezza i capelli, con l’altra sento che mi sfiora il culo. Resto un momento interdetta, perché Rami sta guardando la sua tazza di tè ma probabilmente non potrebbe vedere nulla nemmeno se avesse gli occhi verso di me. Ma il tocco di Sven è stato comunque esplicito.
Un attimo dopo il significato di quel tocco scompare, evapora. Sovrastato dalla mano dell’olandese che smette di accarezzarmi i capelli e scende in basso, a stringermi una tetta da sopra il tessuto. Resto letteralmente senza fiato. Non prima però che un mio sospiro abbia attirato l’attenzione di Rami verso noi due. Quei tre-quattro secondi durante i quali i nostri sguardi rimangono incastrati l’uno dentro l’altro mi sembrano un’eternità. Nei suoi occhi leggo lo stupore, ma non solo. E’ come se fossero uno specchio, per me. Non so bene come spiegarvelo ma è come se, da questo momento in poi io fossi per lui un’altra persona. E’ l’impressione di un attimo, ma è nettissima. Del resto, il gesto di possesso di Sven è stato così chiaro che ha gettato per aria tutta la configurazione precedente. In questa stanza, da un momento all’altro, è cambiato tutto. Gemo “Sven, no, dai”, ma mi sa che sarebbe chiaro a chiunque che sono la prima a non crederci.
Sven mi bacia il collo, ci passa la lingua sopra con una lentezza ostentata. Non so dire bene se quel passaggio umido me lo godo o lo subisco, ma sta di fatto che perdo il contatto visivo con Rami. Resto con la bocca mezza aperta a cercare di prendere fiato. “Sven, dai...”.
- E’ una puttana – sento Sven dire all’amico.
Ho un brivido. La mano si muove un po’ sulla mia mammella e sento distintamente la pressione del pacco sul mio sedere. Ormai mi stringe senza ritegno, mi schiaccia contro di sé. Rami domanda perplesso "slut?", come se non capisca, o non voglia capire. E’ l’ultimo diaframma da rompere. E’ una sensazione che mi fa tendere tutti i nervi, come se il mio destino dipendesse dalla sua capacità di comprendere il significato di quella parola. “Non è vero...”, piagnucolo.
Il tunisino mi guarda interrogativo e io guardo lui. Poi riabbasso gli occhi e con un filo di voce gli traduco "salope". Se poi volete interpellare uno psicanalista per sapere perché, dal weekend a Nizza della scorsa estate con Edoardo, una delle poche parole francesi che mi siano rimaste nel cervello sia "salope", beh... ecco, non lo fate, sarebbero soldi buttati. La conoscevo già da prima, avete presente i video francesi su Youporn? Se invece volete sapere perché sia stata proprio io fargli la traduzione, sì, telefonategli allo psicanalista. Quelli sarebbero soldi ben spesi. Poi magari mi fate sapere cosa vi ha detto. Dopo, però. Adesso avrei bisogno di asciugarmi un’altra volta tra le gambe.
- Tu paghi lei? – chiede Rami all’amico, a metà tra il sorpreso e il costernato. In realtà gli domanda uno sgrammaticato “you pay she?” che in un altro momento avrebbe smosso la mia mania di ipercorrettivismo linguistico, ma in questo momento proprio non mi sembra il caso.
- No, no no, she just wants to be fucked, no money – risponde Sven quasi ridacchiando, come se ci fosse da chiarire un banale equivoco.
Forse, anzi ne sono certa, Rami non ha capito un’altra volta. Ma io sì che ho capito. “La paghi?”. “No, vuole solo essere scopata”. E vi confesso che, proprio perché ridotta alla sua brutale essenzialità, la loro conversazione mi fa sbroccare. Caccio un gemito senza neanche rendermene conto né poterlo fermare. Ho il cuore che batte impazzito. Miagolo “Sven, ti prego”. Giusto per dire basta, giusto per dire che siamo andati troppo in là. In rapidissima successione mi paralizzano tre cose. La sua mano che mi abbassa la zip del vestito, così priva di tentennamenti. Lo sguardo di Rami sulla mia nudità, tra la fine della camicetta e le balze delle autoreggenti. La domanda di Sven.
- Te la vuoi scopare?
Ho un vuoto allo stomaco. Ha detto proprio all'amico "te la vuoi scopare?", come se la mia opinione non contasse un cazzo, come se io stessa non contassi un cazzo. Rami però non capisce. E' difficile dire se non capisca le parole che compongono "do you want to fuck her?" o se non capisca proprio un cazzo in assoluto di ciò che sta succedendo. Sven ripete “fuck” e anche se non lo vedo immagino accompagni quella parola con un gesto inequivocabile. Esorta l’amico con un “prendila, è tua” che anche in questo caso non so se il tunisino capisce, ma sticazzi. Primo, perché ho proprio altri pensieri in questo momento che la sua comprensione dell’inglese. Secondo, perché Sven mi sussurra all’orecchio “digli che sei una puttana, digli che vuoi che ti scopi”. Ho un crampo e, immediatamente dopo, un senso bagnato di apertura.
- No... per favore...
- Diglielo.
- Oui... sletje is slut, is... salope... monsieur – e mi accorgo di ansimare mentre eseguo l’ordine di Sven – if you want...
- You... salope, mademoiselle? – chiede Rami.
- No... – piagnucolo.
- Svestilo – sussurra Sven.
E io mi lagno ancora dicendo “no Sven, per favore”, ma intanto lo faccio, cazzo, non ci posso credere ma lo faccio. Avanzo mezza nuda verso Rami, mi inginocchio tra le sue gambe e allungo le mani verso i risvolti della sua giacca, per togliergliela. E’ semi paralizzato anche lui dalla sorpresa. Adagio con cura la giacca sul pavimento e passo alla cravatta. La slaccio, non sono molto pratica ma miracolosamente non faccio casini. Gli sbottono la camicia e la lascio aperta sul suo petto.
Sven mi accarezza ancora la testa e mi dice "go down on him, back in a while", Mi volto verso di lui. No, un attimo, come sarebbe a dire "fagli un pompino torno subito?", dove cazzo vai? In realtà riesco solo a piagnucolare "Sven... no". Lui nemmeno si volta ma agita il bicchiere vuoto. Torno a guardare Rami, che mi osserva. Non ha una espressione arrogante, e nemmeno da porco. Ha l'espressione sbigottita di uno che è stato trascinato dentro una cosa che non si aspettava e che adesso, certo, lo capisco, sta iniziando ad aspettarsi qualcosa. Né io né lui sappiamo bene cosa. Sono, vi prego di credermi, sinceramente sbigottita anche io da ciò che ho appena fatto. Distolgo lo sguardo e mi concentro di nuovo sul suo petto. Gli passo le mani sopra, lo accarezzo leggera e gli piagnucolo “non sono una puttana... non sono una salope”. Inizia ad ansimare leggermente anche lui, sotto la sua pelle ambrata è come se lo sentissi guizzare. Mi abbasso giusto un poco per baciarlo all'altezza degli addominali e sui capezzoli. Lo stuzzico, lo lecco, lo sento irrigidirsi. “Tu non gli credi, vero?”, ma non so se mi capisce. E del resto, pure io che cazzo pretendo? Dico una cosa e faccio l’esatto opposto.
Sven ritorna e mi lancia un’occhiata divertita come a dire “ancora così?”. Beh, ok, non ho fatto quello che mi ha detto di fare, mi viene quasi da chiedergli scusa. Me lo ripete. Gli domando "sei sicuro?", come se la cosa dipendesse interamente da lui. Mi risponde "sei tu che lo vuoi". Gli faccio “davvero?” con un tono di voce che sembra quasi che stia implorando pietà. Non risponde, mi tira leggermente la coda e mi fa rialzare il busto. Si piega a sbottonarmi la camicetta, me la toglie. Magnifico: resto in ginocchio davanti a uno sconosciuto con addosso solo le scarpe, le autoreggenti e la catenina d'oro della nonna. Nemmeno fossimo sul set della più scontata delle clip porno. Subito dopo, la pressione leggera della mano di Sven sulla nuca mi avvisa che è ora di cominciare. Tutto ciò che deve succedere, deve succedere adesso.
Ma io, incredibilmente, non mi decido. Sono letteralmente bloccata e non riesco a fare ciò che, per me, è una delle cose più facili del mondo. Non oso nemmeno guardare Rami. Non in faccia, voglio dire. Di lui ho solo davanti agli occhi quel gonfiore sotto i pantaloni che riconosco benissimo. Poi la voce di Sven, che è come un’altra frustata: “Dai succhialo”. La fica mi si squaglia all’istante e dalla mia bocca semi aperta esce un lamento come se quelle parole mi avessero scopata.
Mi avvento sulla cintura di Rami per aprirla, in mezzo secondo sono diventata una bambina che cerca disperatamente di scartare un regalo. Un regalo gelosamente custodito da cinghia, zip, bottoni, tessuto di lana, boxer morbidi. Libero tutto, tiro, abbasso, tolgo persino scarpe e calzini. Lo voglio nudo, con la sola camicia bianca e sbottonata indosso. Lui è sulla buona strada, ma non è ancora perfettamente pronto. Forse è per questo che la prima cosa che mi colpisce sono i testicoli. Non so dire se siano gonfi o meno. Sono... semplicemente enormi, credo i più grossi che abbia mai visto. Ne resto affascinata, li guardo a lungo, mi chino a sfiorarli con la lingua mentre l’odore di maschio già comincia a stordirmi. E poi, osservo e assaggio ciò che lo rende un Lui. Lo devo dire, Rami ha davvero un bel cazzo. Scuro, più scuro della sua pelle. Grosso, con le vene anch’esse scure che lo fanno sembrare ricoperto da nodosità. Anche una volta eretto, però, il confronto con quello di Sven è impietoso.
Tuttavia, avvolto tra le mie labbra, ogni paragone perde senso. E’ duro, è impegnativo anche questo, mi piace da morire. Gli do la mia testa e la perdo dentro questo pompino. Tanto che non capisco nemmeno perché la mano di Sven mi fermi prendendomi un’altra volta per la coda. Mi volto a guardarlo interrogativa e lo vedo che ha in mano il mio telefono. Lo scuote come a dire “a lui non lo misuri?”. Non so se lo faccia per vantarsi o per prendermi in giro, ma ai fini della gara con Serena è proprio una fortuna. Perché la gara, in questo momento, è davvero l’ultima cosa che mi verrebbe in mente.
Rami ci guarda ancora più interrogativo e sento Sven che gli dice qualcosa che non capisco nemmeno io, ma probabilmente gli fa anche qualche cenno con le mani. Aggiunge “picture”, con il tono di chi dice “questa e solo una povera scema”. Rami sorride perplesso e divertito. Io gli lascio cadere una lunga colata di saliva sulla cappella, lo imbocco e lo spompino un altro po’. Poi, lucido come l’ebano lucidato, lo misuro e lo fotografo: diciassette centimetri. Mentre poso il telefono per terra, la mano di Sven mi riafferra i capelli. Non mi fa male, li tira dolcemente. E’ il suo modo per dirmi qualcosa. Anzi, quel qualcosa me lo dice proprio esplicitamente.
- I pompini dopo, ora fatti scopare.
- Devo? – domando con una voce gonfia di pianto e di voglia nello stesso momento.
La voglia, vorrei precisare, non è tanto quella di essere scopata. E’ quella di sentirmi dire un’altra volta da lui di farmi scopare.
- Devi. Fallo.
Mi tiro su e mi metto a sedere sul divano. Quel “devi”, quel “fallo”, mi hanno fatto perdere ogni controllo. Me ne sto lì oscena, con le ginocchia piegate e i piedi appoggiati sui cuscini. Mi spalanco, guardo il cazzo di Rami e poi i suoi occhi. Spero non ci sia bisogno di dire nulla, vero? No, infatti, non c’è bisogno di dire nulla. Si inginocchia davanti a me mentre Sven gli passa un preservativo della sua dotazione, poi mi tira un po’ avanti e si china a leccarmela mentre lo scarta e se lo infila. Risale a passarmi la lingua sullo stomaco, a succhiarmi i capezzoli. Gemo come una cagnetta e mi fa impazzire. Ma sinceramente in questo momento ho solo voglia di essere scopata.
Quando mi afferra per le anche e mi infilza lo fa piano. Non è esattamente il modo in cui piace a me ma va benissimo lo stesso, vi assicuro. Mi apre e mi riempie lentamente, e il mio cervello vorrebbe che dalla mia bocca uscisse una frase sola: “dio, che bella mazza che hai”. Ma dalla mia bocca, invece, esce solo un lunghissimo “oooooooh” piagnucolato. Per un po’ mi scopa così, con un lento avanti e indietro. E non è che me lo goda di meno, anzi. Assorbo i suoi affondi con un miagolio continuo, ad occhi chiusi, mentre lui mi bacia il collo. Ma quando gli occhi li riapro, aggancio lo sguardo di Sven, che ci osserva appoggiato al tavolo. Ne vengo rapita. E’ come se mi stesse scopando lui, attraverso qualcun altro, per procura. Quando questa consapevolezza mi investe, cambia tutto.
Metto le mani sul petto di Rami, facendogli segno di fermarsi un attimo. Mi libero e mi muovo sul divano. Mi metto di traverso, a pecora, con la testa appoggiata sul bracciolo e il sedere per aria. Esposta in un invito indecente. Lui si sistema dietro di me e, accarezzandomi una natica, biascica qualcosa in francese di cui afferro solo l’ultima parola, ancora una volta “mademoiselle”, ma capisco che sta magnificando la perfezione del disegno del mio culo. Poi mi afferra di nuovo per le anche e mi fotte.
Rami è un gentiluomo. Ma questo è il momento in cui la gentilezza scompare e resta solo l’uomo, il maschio che ti prende. E in questo preciso momento io smetto di essere “mademoiselle”, ora sono solo una troia da sbattere e da far urlare.
E’ la posizione che mi piace di più, questa. Perché lo sento entrare fino in fondo e perché, psicologicamente, mi fa sentire soggiogata, senza altra possibilità che subire. Stavolta però c’è molto di più. Sven mi osserva, i suoi occhi sono puntati sulla profanazione del mio ventre. Sapere che mi ha ceduta all’amico senza neanche chiedermelo, che non solo è pronto a usarmi come una puttana ma anche a dire a qualcun altro di farlo, beh... che vi devo dire, è una cosa che mi fa uscire di senno, mi manda davvero ai matti. E’ una cosa che mi fa godere anche di più dei colpi di cazzo di Rami. Non lo so nemmeno io quante volte muoio e quante volte rinasco. So solo che lo sento spingere come un matto e vibrarmi dentro, arrivare grugnendo alla sua fine. Un momento dopo, so anche un’altra cosa. Che è stato un bene che Sven gli abbia concesso di precederlo. Perché quando si piazza dietro di me della delicatezza della prima volta non c’è nulla. Entra di colpo e mi sbatte, mi sfonda, mi toglie il respiro. E per qualche secondo la cosa più bagnata del mio corpo non è più la fica, sono gli occhi. Ma dura poco, dura poco. Perché subito dopo spruzzo strillando.
Anche quando mi afferra per la coda e mi strappa i capelli come piace a lui lancio un urlo pazzesco. Né lui né il suo amico possono capire quanto in quell’urlo, dietro il dolore, ci sia un piacere immenso. Intercetto lo sguardo sbigottito di Rami, che ci guarda. Non so se sia più stupito di vedere un fuscello come me chiavata senza ritegno e senza pietà da Sven, o se sia impressionato dalla mastodonticità del suo randello. Forse tutte e due le cose. In due associazioni mentali, che durano sì e no il tempo di due botte di cazzo, penso che nello spogliatoio del calcetto avrà avuto più di una volta modo di osservare la dotazione del suo compagno, anche se forse non così. E immediatamente dopo me li figuro a raccontare a tutti gli altri che un venerdì sera si sono fatti una ragazzina molto troia che non aspettava altro che di essere massacrata da loro. Sai quelle fighette che te la sventolano davanti e non te la danno mai? Beh, noi ce la siamo fatta, dovevate sentire come strillava, come godeva. Perché in effetti sì, godo da fare spavento. E a questo pensiero godo addirittura da fare schifo. Vorrei che li chiamassero adesso tutti qui, gli amici del calcetto, ci morirei volentieri su questo divano.
L’orribile stridio del citofono arriva a spezza tutto un’altra volta. E stavolta sì, cazzo, stavolta sì che deve essere il runner con la cena. Sven si infila il cazzo duro nei pantaloni, ha il preservativo ancora indosso. Ha fatto in tempo a devastarmi, non a riempirlo del suo sperma. Risponde e immediatamente dopo ci fa segno di tagliare la corda. Io a muovermi non ce la faccio proprio. Deve essere Rami a prendermi in braccio e portarmi via. Mezza morta, gli indico la camera da letto alla fine del corridoio. Nel centro del mio corpo sento un vuoto enorme. Ma nonostante questo non posso fare a meno di immaginare lo spettacolo che si presenterà tra qualche secondo davanti al fattorino. La porta di Sven dà quasi immediatamente nel salone. Il ragazzo vedrà un uomo concitato ma perfettamente vestito, forse noterà il bozzo nei pantaloni. Dietro di lui, sparsi sul pavimento, un vestito grigio da ragazza e una camicetta. Pantaloni, giacca, boxer e calzini da uomo. Scarpe. Una cravatta, un preservativo usato. Bicchieri sul tavolo, una tazza di tè. In un altro contesto, forse mi vergognerei.
Finiamo sul letto a baciarci, mentre sentiamo Sven che se la sbriga con il fattorino. Cerchiamo di fare piano. Mi accarezza il culo e me lo stringe forte. Lo so che lo vuole, lo sento.
Dopo che ieri Lapo ci si è divertito due volte, mi fa ancora molto male. Ma se lo prendesse lo lascerei fare. Non lo so perché, ma è come se avessi io stessa per prima il bisogno di sapere che può fare di me ciò che desidera. Non ho più pensieri, non ho più timori. Ho solo voglie. Quelle più indecenti, naturalmente.
Sven ci trova così, lo sento arrivare di colpo ridacchiando “era il mio turno, a dire il vero”. Mi volto a guardarlo. E’ completamente nudo, ora. Ha in una mano il pacchetto di sigarette e quello degli accendini, nell’altra un bicchiere vuoto. Tra le gambe gli penzola quel megacazzo ormai in disarmo ma ancora vestito dal profilattico. Lo guardo e scoppio a ridere, in breve siamo lì sul letto che sghignazziamo tutti e tre. Fa per accendersi una sigaretta ma lo blocco, me la faccio dare. Mi inginocchio di fronte a loro sul materasso allargando le cosce e gli faccio vedere il gioco della sigaretta infilata nella fica. Gliela restituisco con il filtro zuppo dicendogli “adesso puoi fumare”. La accende gustandosi il mio sapore e guardandomi leggermente stupefatto. Ne vuole una Rami, di sigaretta, e ne voglio una anche io. Tutte aromatizzate allo stesso modo. Mi stendo in mezzo a loro, a fumare, con Sven che appoggia il bicchiere sulla mia pancia per usarlo come posacenere.
La sensazione di essere stretta tra i corpi dei due uomini è, semplicemente, pazzesca. Così come sono pazzeschi gli addominali di Sven, chiudo gli occhi per immaginarmeli all’opera sopra di me. Le mani differenti che mi accarezzano le tettine, mi liberano dalle autoreggenti, mi frugano ovunque, difficilmente potrò dimenticarle. Così come difficilmente potrò dimenticare cosa significa essere baciata, leccata, morsa da due bocche diverse nello stesso momento.
Non è la prima volta che mi ritrovo nuda o quasi nelle mani di due maschi. Ma la prima fu una cosa brutale, senza senso. Tranne quello di svuotarli e di riempirmi la bocca e la fica della carne e del seme di due decerebrati. Qui la cosa è completamente diversa. Quattro mani sul mio corpo. Quelle di Rami, strette sulle anche, che dettano il ritmo e mi impongono l'impalatura. Quelle di Sven che si impossessano dei miei seni, da dietro, senza che lo veda e che me ne accorga, dapprima sfiorando e poi stringendo. Che aggiungono al brivido travolgente del contatto quello, infinitamente più devastante, della mia nuova consapevolezza: sono di uno e sono dell'altro. Sono roba loro.
Mi fanno la festa due volte per uno, che per me significa quattro volte. Mi adorano, mi giocano, mi passano tra loro come una palla. Mi fanno ridere e mi fanno sentire desiderata. Mi sbattono come l’ultima delle troie e si scambiano parole che né l’uno né l’altro comprendono. E che nemmeno io comprendo. Ma di cui tutti e tre conosciamo il significato.
Però una cosa la devo dire: mi usano come una puttana e mi scopano come una puttana, d’accordo. Ma non mi trattano mai davvero come una puttana. Nemmeno quando Sven mi spinge con forza la testa sul cazzo di Rami prima di infilarmi dentro il suo. Forse perché sono fatti così, o forse perché sono la loro ragazzina, non lo so. Sono allo stesso tempo il centro delle loro voglie e della loro ammirazione. E per me è un modo di godere anche questo.
A un certo punto Sven mi dice una cosa, dopo avermi baciata, che sul momento non colgo appieno (non sono molto lucida, sono impalata su Rami e sto decollando per l’ennesima volta) ma che credo sia uno dei complimenti migliori che mi siano mai stati fatti: “I tuoi dovevano chiamarti Eva”. Poi mi offre il cazzo alla bocca e credo di non avere mai messo tanta felicità in un pompino.
Solo in un momento ho paura, quando sto sopra Sven che mi squarta e Rami mi spinge un dito nel sedere. Mi fa male e penso “ecco, ci siamo”. Mi metto a piangere e dico “no, per favore, insieme no”, senza nemmeno rendermi conto di quanto sia da troia quello che in pratica gli sto chiedendo. Perché sì, in effetti gli sto chiedendo “scopatemi uno alla volta”. Che per la moralità di una ragazza, ammetterete, non è proprio il massimo.
L’ultima, la mia quinta, Sven la vuole dopo la doccia, dopo che Rami è andato via. Mi ha messo prima la lingua in bocca e poi mi ha fatto il baciamano. Mi ha stretta contro il suo cappotto facendomi sentire la lana sulla pelle. Quando si è chiusa la porta sono entrata in bagno. Sven stava fumando una sigaretta.
E’ venuto in bagno che mi ero appena tolta l’accappatoio dopo essermi asciugata, mi ha offerto una sigaretta. Me la teneva lui mentre iniziavo a sistemarmi i capelli con pettine e phon. Quando sono arrivata al filtro, l’ha buttata e mi ha fatto appoggiare sul lavandino. Da dietro e senza preservativo. Lo schizzo di sperma caldo sulle reni è valso quanto un ultimo orgasmo.
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