Un metro 15 - Il ballo di Giovanna
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orge
- Non ti serve una safeword, te l'ho detto. E io... se vedi qualcosa che non ti piace non ti preoccupare… la mia safeword con Ermanno ce l’ho, ma non è mai servita… Sei nervosa? Vuoi lasciar perdere?
Obiettivamente sì, sono nervosa. E a lasciar perdere ci ho pensato. Cazzo, sì che ci ho pensato. Tutto il giorno ci ho pensato. Solo che, se mi trovo qui stasera al tavolino del bar di questo albergo con Giovanna, è segno che ho deciso, no? O forse nemmeno quello. Diciamo che mi sono detta sticazzi e sono venuta. Però nervosa sì, cazzo. E le lucine del Natale ormai imminente tutto intorno non fanno altro che aumentarlo, il nervosismo. Una puttana, ecco che cosa sono. Ma non come me lo dicono i maschi mentre mi scopano o glielo succhio. Quelli, se non altro, me li scelgo, più o meno. Parlo di una puttana vera, professionista. Non ci sono soldi di mezzo, d’accordo. Ma una che viene qui a farsi sbattere da tre sconosciuti come la chiamereste? Giovanna, almeno, lo fa perché le piace. Anzi, perché ne ha bisogno, così almeno dice lei. La chiama, scherzando ma fino a un certo punto, “la mia malattia”. Sesso di gruppo, o comunque mai con meno di due alla volta. Sin dalle primissime volte. Che però non mi ha voluto rivelare a quando risalgono, né con chi, né perché. “Magari un’altra volta ti racconto. Però non è corretto dire che non vado mai con uno solo. Ne vuoi sentire un’altra? Mi piacciono quelli con l’età di mio padre. Perché? Non lo so, è così”.
Se penso alle mie, di primissime volte, mi viene quasi da ridere. Soprattutto se ripenso a quanto ci ho messo a mollare la mia verginità, in attesa di “quello giusto”. E non è mica un caso che ci ripensi adesso, sapete? Dopo ieri sera non è un caso.
Già, ieri sera. Sono tornata a casa, round midnight, trovandola vuota per fortuna. Mi ero dimenticata che i miei sarebbero andati fuori a cena. E Martina, boh, Martina sarà stata con Massimo, il suo ragazzo. Ma io, dopo la serata con Sven e Rami, non avevo bisogno di nessuno. Avevo solo bisogno di riposo, zero chiacchiere e acqua fredda. Solo una cosa non potevo esimermi dal farla, mandare a Serena le foto.
“Dove l’hai presa sta svanzica?”, mi ha domandato dopo avere visto i 23 centimetri di Sven. “Ahahahahah… dove l’hai presa non è una cosa molto carina da chiedere”, ho risposto. Quando le ho mandato anche la foto di Rami non ci credeva, “è un fake”. Così ho dovuto inviarle anche un video. Cioè, un video per modo di dire, due secondi. Rami aveva fatto casino con il mio iPhone. Ma comunque mi si vedeva di schiena, con la mia coda un po’ scarmigliata e con il mio culetto, che risalivo su ululando dal ventre di Sven. E quando il video si interrompeva, la bestia dell’olandese si vedeva benissimo. Voleva che le raccontassi ogni cosa, sta troia, ma a me non andava di stare lì a parlare mentre lei si faceva un ditalino, si eccita sempre quando le racconto le mie scopate. “Eeeeeeee… poi Sere, vorrei dirti che stiamo 88 a 59”. Però mi è toccato prometterle che le avrei detto tutto un’altra volta, “la prossima volta che ti lecco la fica”.
Quando ho sentito suonare di nuovo il telefono ho pensato che fosse di nuovo lei. Sbagliato, era Tommy. Che, per chi non se lo ricordasse, è per l’appunto il ragazzo cui ho concesso l’alto onore di deflorarmi. La nostra non è mai stata nemmeno una storia. O in un certo senso lo è stata di più. Non ci sono tanti ragazzi della nostra età che hanno un rapporto come l’abbiamo avuto noi. Non lo sentivo da un paio di mesi, almeno. Da quando si è messo con quella puttana di Sharon soffro ogni volta. Non è nemmeno gelosia, è che mi chiedo come cazzo sia stato possibile che si sia scelto quella troia da niente. Non avevo proprio nessuna idea del motivo della sua telefonata. Ma quando me l’ha detto, momenti ci resto secca. Ok, era appena passata mezzanotte, 15 dicembre, un anno. La prima scopata, un anno esatto fa. La prima scopata mia, non certo la sua. Figuriamoci, io che lo mandavo a sbattersi una nostra compagna di scuola dopo avergli fatto un pompino. Gli dicevo “così duri di più” e poi lo mandavo via. E andavo a nascondermi con il mio magone, figuriamoci che me ne fregava di quell’altra troia di Benedetta. Un’altra puttana con le tettone, come Sharon. E’ che a lui piacciono le tette grosse, che cazzo volete ci faccia con le mie? “Ma che cazzo fai, Tommy, davvero mi hai chiamata per questo?”, “Beh, pensavo che per te fosse una ricorrenza importante”. Non sapevo nemmeno che cazzo rispondergli, qualcosa di banale, del tipo che la vita è fatta di prove di passaggio o giù di lì. Ma mentre gli parlavo pensavo che due o tre mesi fa avevo fatto l’inventario ed ero arrivata a diciassette, per dire solo dei maschi. E poi c’era stato quello incontrato al parco, dopo uno jogging massacrante, che mi ha scopata sotto la doccia e al quale ho anche chiesto di incularmi, che poi ci ha beccati la moglie e quella mi ha menata. Chissà che cazzo di fine hanno fatto. Poi Lapo, quel cazzetto di Giampaolo, Sven. Stasera anche Rami insieme a Sven. Sono ventidue, Senza contare le ragazze. E senza contare quel tizio che non mi ricordo nemmeno come si chiamasse cui ho fatto un pompino sotto la pioggia, da Eataly. I pompini non li conto, sennò starei fresca. Tra l’altro con quello non siamo nemmeno andati fino in fondo perché la sua ragazza gli rompeva il cazzo al telefono. Chissà, magari avrei fatto bene ad accettare la sua proposta e a farmi sbattere la sera dopo. In quel momento non mi andava, ma ora come ora penso di avere fatto una cazzata, non era male il tipo.
Parlo con Tommy, penso a queste cose e, chiudendo gli occhi, rivedo lui sopra di me, risento il terrore di essere violata per sempre, il suo cazzo che prova a intrufolarsi nel solco della mia umidità. Quel momento preciso lì. Se il primo amore non si scorda mai non lo so. Ma l’attimo prima che Tommy mi lacerasse l’imene credo che non me lo scorderò più finché campo.
“Annalisa, ci sei?”. “Sì Tommy… no, è che davvero mi sembra strano che mi chiami per questo…”. “Tutto bene?”, “sì”. Sì, Tommy, faccio le solite cose. Cioè in sostanza studio e vedo sempre le amiche. “A te come ti va, Tommy?”. “Così… hai qualcuno?”. “No, Tommy, non ho nessuno”. “Nemmeno un amico, nemmeno qualcuno che vedi ogni tanto?”. No, nemmeno quello, Tommy. Mi pare inverosimile che dopo mesi se ne esca così, out of the blue. Ma non mi va di raccontargli i cazzi miei, con tutto l’arco di significati che l’espressione “cazzi miei” può circoscrivere. “Tu stai sempre con Sharon?”. “Non la vedo da un po’, è tornata a studiare dalle parti sue, sempre che continui davvero a studiare…”. Ah, ecco. “Ma non è quello, chi se ne frega di Sharon”. “Tommy cosa hai?”. “Nulla”. No, non è vero che non ha nulla, lo conosco troppo bene. “Cosa c’è?”. “Niente, ti dico, ti ho chiamata solo per farti gli auguri”. “Per… diciamo così… l’anniversario?”. “Sì”. “Tommy, mi sembra una cazzata”. “No, no davvero, un bacio, ci sentiamo”. “Buon Natale, Tommy”. “Eh? Ah, sì, buon Natale”.
Nonostante tutta la stanchezza che avevo addosso e i miei indolenzimenti, ci ho messo parecchio ad addormentarmi, dopo quella telefonata. In compenso stamattina mi sono svegliata tardissimo. E da quel momento, non ho fatto altro che pensare alla serata che mi attendeva.
Vestiti elegante, non da mignotta. Per quanto riguarda il dress code Giovanna è stata chiara, anche se non così brusca come ve la racconto io. E infatti, come spesso le accade, si è presentata in modo un po’ eccessivo, con un vestito blu scuro in pizzo che le arriva alle ginocchia e le valorizza un po’ troppo le spalle. Proprio le spalle, un po’ tipo Federica Pellegrini, e il viso abbastanza anonimo e inespressivo, sono le cose che la penalizzano di più. Per il resto, ha un fisico da sballo. Io l’ho vista nuda in palestra, credetemi. E per essere sincera, perdonate la contraddizione con quanto ho detto prima, a volte devo resistere alla tentazione di accarezzargliele, quelle spalle. Sarà la pelle perfetta, o sarà che sembrano quelle di un uomo.
Io invece più sul classico di così non sarei potuta andare: trucco leggero, tubino nero con le maniche ai gomiti, un po’ corto ma non troppo, scarpe col tacco, autoreggenti color carne. Mi era pure venuta la tentazione di sfidare il freddo e lasciare le gambe nude, ma una boccata d’aria fuori dalla finestra di casa mia, mentre mi preparavo, mi ha convinta a desistere. Se non fosse che sotto non porto nulla, sarei davvero irreprensibile. E’ la seconda sera di fila che esco senza mutandine e reggiseno e con i complimenti di mia madre per quanto mi sono messa carina. Sì, una piccola festa con i compagni di corso, prima di salutarci e di rivederci dopo le vacanze. Ciao pà, ciao mà, non faccio tardi.
– Tu non farai nulla che non ti va di fare – mi dice Giovanna – nulla. Anzi, una forse sì, Ermanno ha messo solo una condizione. Se ti chiede di fare qualcosa a me… beh… falla…
– Gio, io…
– No, bella, tranquilla… Io… scusa, sai… Vedi… io lo so che tu e Serena scopate. Ma io… ecco, io a farmi fare qualcosa da una ragazza proprio non… nemmeno se sei tu, nemmeno se fosse Serena… Io proprio… mi fa… Però credo che sia proprio quello che ti chiederà di fare Ermanno…
– Ma perché, se non ti piace?
– Eh… lo capirai…
Chi cazzo sia questo Ermanno di cui parla Giovanna, proprio non lo so. Ma capisco che per lei si tratta di qualcuno di importante. Ho fatto una cazzata, una volta, e lui mi ha proprio tirata fuori dai guai, mi racconta. Non aggiunge altro, mentre io me la immagino appesa per le braccia a una catena in un fetido garage mentre una banda di assatanati e sadici abusa di lei, magari con un sacchetto in testa per non farla respirare. Non lo so, eh? Non dico che sia andata così e sinceramente spero proprio di no. Ma ho letto di ragazze che si fanno fare queste cose e se penso a Giovanna in una situazione del genere mi vengono i brividi di paura. Mi fa paura che si possa provare piacere e dare piacere andando contro il piacere stesso.
Io però ho anche un’altra curiosità, che mi frulla in testa da qualche giorno, da quando ho saputo di lei. Ed è una curiosità che rimanda a quel pomeriggio a casa di sua sorella, quando Edoardo, il cognato di Giovanna, mi ha scopata dentro una stanza-guardaroba. Cercavo di stare zitta, un po’ perché mi aveva intimato di non fare rumore e un po’ perché il suo cazzo monumentale, anziché farmi strillare, mi aveva letteralmente lasciata senza fiato. Ma non eravamo così silenziosi, mi disse Giovanna, che mi era venuta a cercare e ci aveva sentiti. “Vorrei essere come te”, mi aveva poi detto mentre io cercavo di sprofondare da qualche parte. Ma cazzo, Giovanna, tu fai cose che io non mi sarei mai sognata, io non l’avrei mai detto, cosa significa che vorresti essere come me? Ecco, questo vorrei sapere.
Ma ad un tratto, quando ho appena finito di mandare giù quello che potrebbe essere il penultimo sorso del mio mojito e ho trovato la forza di domandarglielo, Giovanna si alza di scatto e mi fa “andiamo!”. Cazzo, è stata una molla. La seguo a fatica ma non riesco a capire se lei stia facendo altrettanto con qualcuno. Quello che capisco molto chiaramente, invece, è che il ballo è cominciato.
Ci avviciniamo all’ascensore proprio mentre le porte si aprono e un uomo sta per entrarci dentro. Sento Giovanna dire “siamo qua” e in un attimo ci ritroviamo dentro. “Lui è Ermanno”, mi dice Giovanna. Non lo vedo tanto bene, perché subito lei gli si abbandona addosso per baciarlo. Un bacio leggero, a sfiorarsi le labbra. Poi lui la gira facendole appoggiare la schiena contro il suo petto, le prende le tette tra le mani, come a soppesarle e a palparle. Le sussurra all’orecchio “come stai?”. Basta guardare in faccia Giovanna per capire che non c’è bisogno di risposta. Lo so io e lo sa lui, che la vede attraverso lo specchio. Però cioè, ok, va bene che siamo qui per questo. E che ciò che sta succedendo in questo ascensore non è che un piccolissimo antipasto. Va bene. Però un minimo di imbarazzo me lo concederete, no? Non abbiamo nemmeno finito le presentazioni… L’uomo mi fissa, io tengo la testa un po’ abbassata ma cerco di sostenere il suo sguardo. E’ quasi un bell’uomo. Soprabito e vestito scuro, bella cravatta. Non è proprio il tipo che mi fa impazzire, ma se dovessi dire che è brutto mentirei. E’ vero, mi sento un po’ soggiogata. Ma più per la situazione che per lui. Giovanna, invece, beh… Giovanna è proprio cotta di questo tipo qui, si vede benissimo. “Questa è la tua amica?”, le chiede continuando a squadrarmi. “Come si chiama?”, le domanda ancora iniziando a lavorarle le tette in maniera pesante. “Annalisa”, sospira Giovanna iniziando a contorcersi addosso a lui. Rimango un attimo interdetta, capisco che avrete un vostro codice, ma almeno il nome… sono sedici o diciassette anni che so rispondere alla domanda “come ti chiami?”. “Pensavo fossi più grande di Giovanna”, mi dice. “Beh, di un mese lo sono…”, rispondo. “Sei carina”, dice la sua voce. Il suo sorrisetto dice invece “e devi essere anche parecchio troia”. Né io né loro ci siamo accorti del contraccolpo dell’ascensore, delle porte che si aprivano. Ermanno e Giovanna danno le spalle all’uscita, ma la coppia di anziani turisti che attende di fuori vede benissimo le mani di lui che stringono e massaggiano le tette della mia amica, come altrettanto bene vede lei che gli si struscia addosso e me che osservo la scena rispondendo “grazie” al complimento di Ermanno. I due turisti non mostrano alcuna emozione, o forse la reprimono, difficile dirlo. Soprattutto per me, che esco dalla cabina con gli occhi bassi e un principio di incendio sulle gote. Appena fuori, forse perché il mio cervello cerca una via di fuga, mi viene in mente che abbiamo lasciato i cappotti al bar. Ermanno mi risponde di non preoccuparmi, che li ritroveremo lì o al guardaroba. “Avete appena fatto la figura delle zoccole”, aggiunge quando siamo nel bel mezzo del corridoio, mettendo sfacciatamente una mano sul culo di Giovanna. Lei ridacchia, io penso che non abbiamo fatto la figura, penso che siamo proprio due zoccole. E penso anche che non ci credo, che devo ancora abituarmi a questa dimensione di Giovanna.
Mentre il ronzio della tesserina magnetica fa scattare la serratura, Ermanno le dice che si aspettava di trovarci già in camera. Giovanna gli risponde che ci siamo attardate un po’ giù al bar, che doveva spiegarmi alcune cose. Lui le dà un altro bacio leggero sulle labbra poi le risponde che sì, immagina, non c’è problema, non deve preoccuparsi di nulla. Mi ero fatta un film diverso, dentro di me. Non pensavo proprio a questa intimità complice, quasi dolce, tra loro due. E soprattutto non pensavo proprio che da parte di Giovanna ci fosse, come dire, tutto questo sentimento. Ma c’è, è innegabile. E’ innegabile. Cretina io, in fondo che cazzo ne so di queste cose?
Appena entrati, la prima cosa che mi chiedo è quanto cazzo avranno speso per una serata del genere. Non è una stanza normale, è una specie di suite, come quella che i miei presero una volta a Ginevra, perché non c’erano altre sistemazioni disponibili per loro due, per me e mia sorella Martina. Solo che stavolta ho l’impressione che quel divano non sarà utilizzato come un divano letto per due ragazze. Improvvisamente, mentre sto pensando a queste cose, la scena cambia di colpo.
– Spogliati vacca, e mettiti a quattrozampe, come al solito…
Ok, quel “come al solito” sta a significare che l’ordine è rivolto a Giovanna. Ma per me è ugualmente uno shock. Mi sbagliavo, il ballo vero comincia adesso. Mi volto e vedo la scena quasi fosse al rallentatore. La mia amica che si tira giù la lampo sulla schiena e fa scivolare il vestito alle caviglie, lo scavalca. Resta con un body anch’esso di pizzo, dello stesso blu del vestito, le autoreggenti color carne, come le mie. A occhio, anche quelle con una texture delicata, venti denari, direi. I tacchi a spillo che io non so portare. La sua espressione è cambiata, è tornata spenta come sempre, giurerei che respira a bocca aperta, anche se debolmente. Ma del resto, me ne rendo conto solo ora, anche io sto respirando a bocca aperta. La osservo inginocchiarsi e poi posare i palmi delle mani per terra, far crollare la testa in basso. Ermanno si china a sganciare gli automatici del body e glielo tira su, all’altezza delle reni, scoprendole completamente il culo. Anche Giovanna, sotto, non porta nulla. Ermanno le dice “brava” e poi le ammolla uno schiaffone violentissimo sul sedere. Giovanna trattiene un gemito mordendosi le labbra e stringendo gli occhi, il respiro le trema, la natica si colora di rosso quasi immediatamente. Anche stavolta con due o tre secondi di ritardo mi accorgo che quel colpo mi ha fatta scattare dalla sorpresa. Con lo stesso ritardo, realizzo che Ermanno mi sta guardando con un ghigno sarcastico. “Tranquilla, a lei piace… a te no?”. Chiaro, lo so bene che dovrei rispondere “certo che mi piacciono gli sculaccioni, soprattutto quando vengo scopata ma non solo”. Sarebbe la risposta perfetta, no? Un po’ perché è la verità, ma soprattutto perché così mettiamo subito in chiaro le cose. E invece non riesco a dire nulla, se non un “devo spogliarmi anche io?” pieno di tensione.
Ermanno ha appena iniziato a rispondere “no, resta così” che due colpi alla porta mi fanno sobbalzare un’altra volta. Mi fa cenno con la testa di andare ad aprire. Prima di muovermi guardo Giovanna. E se fosse qualcuno dell’albergo? E’ chiaro che dalla porta la vedrebbe sin troppo facilmente in quella posa oscena. Probabilmente la vedrebbe anche uno che passasse per caso nel corridoio. Ma Ermanno ripete il cenno con la testa e a me non resta altro che andare ad aprire.
Si presentano due tizi. Uno lo riconosco subito, è uno di quei due con cui avevo visto Giovanna l’estate scorsa, in una discoteca all’aperto. Sarà più vicino ai quaranta che ai trenta, come Ermanno del resto. Anche lui è in giacca, ma senza cravatta, e indossa un paio di jeans e delle sneakers. Allora mi era sembrato molto meno raccomandabile, a dire il vero. Ma non posso proprio dire che sia uno che ti ruba l’attenzione: ha gli occhi chiari ma acquosi, e il viso un po’ flaccido. L’altro invece è più giovane. Non bello nemmeno lui, parecchio stempiato, ma con un fisico che promette bene. Il primo mi fa “ci siamo già visti? io comunque sono Pino” e allunga la mano. La stringo e gli dico “può essere, Annalisa”. L’altro si toglie il giaccone e lo butta per terra, ha una felpa con su scritto esercito italiano. Non dice nulla, mi squadra e basta. Io lo saluto con un cenno silenzioso e sento il cuore battermi a mille. Poi si rivolge a Ermanno e gli dice “cazzo, Ermà, ma questa è una ragazzina…”. L’amico gli risponde che ho “la stessa età della vacca” e l’altro controbatte “sei sicuro? questa va ancora a scuola…”. Ermanno si volta verso di me e mi chiede “quanti anni hai, piccoletta?”. Gli dico diciannove, quasi diciannove e mezzo. “Se va ancora a scuola significa che è una somara…”, sorride Ermanno chiudendo la questione.
Non saranno passati più di trenta secondi, eh? Tuttavia in questi trenta secondi mi sono quasi dimenticata di Giovanna. E’ sempre lì, a quattrozampe sulla moquette, la testa in basso. Pino si accovaccia accanto a lei abbassa un po’ la parte superiore del body, liberando le tette grosse e sode. Le accarezza e fa l’atto di mungerle, il respiro di Giovanna si fa leggermente più intenso. “Te la sei già fatta?”, chiede Pino infilandole di colpo un dito nella vagina. La mia amica scatta, mugolando, mentre Ermanno risponde “non ancora, siamo appena saliti”. “Sta vacca è già in calore”, commenta Pino asciugandosi il dito sul sedere di lei. Poi ripete l’operazione, e Giovanna stavolta inspira profondamente, Ma invece si contrae tutta e lancia un urlo soffocato quando Pino, anziché asciugarselo ancora una volta, il dito glielo infila nel sedere.
– Questa muore dalla voglia di cazzo… ti dispiace se me la inculo subito? – chiede l’uomo a Ermanno iniziando già a slacciarsi la cintura.
– C’è tempo – risponde Ermanno – dobbiamo prima sistemare un po’ di cose con la signorina qui…
Sono tanto attonita da non realizzare immediatamente che l’attenzione dei tre maschi è adesso rivolta verso di me. E nemmeno da accorgermi che il più giovane si è tolto la felpa ed è venuto alle mie spalle. Con un tono abbastanza sarcastico domanda “e che ci dobbiamo fare con questa qui? come la tocchi se rompe… però a culo sta messa bene…”. Le sue mani mi abbrancano le chiappe e me le stringono, per qualche secondo resto senza fiato. Poi il giovane aggiunge “e non c’ha nemmeno nulla sotto, sta porca…”.
Vedete, il mio problema in questo momento è che sono lucida, assolutamente lucida. E proprio per questo non so che cazzo fare. O dire.
CONTINUA
Obiettivamente sì, sono nervosa. E a lasciar perdere ci ho pensato. Cazzo, sì che ci ho pensato. Tutto il giorno ci ho pensato. Solo che, se mi trovo qui stasera al tavolino del bar di questo albergo con Giovanna, è segno che ho deciso, no? O forse nemmeno quello. Diciamo che mi sono detta sticazzi e sono venuta. Però nervosa sì, cazzo. E le lucine del Natale ormai imminente tutto intorno non fanno altro che aumentarlo, il nervosismo. Una puttana, ecco che cosa sono. Ma non come me lo dicono i maschi mentre mi scopano o glielo succhio. Quelli, se non altro, me li scelgo, più o meno. Parlo di una puttana vera, professionista. Non ci sono soldi di mezzo, d’accordo. Ma una che viene qui a farsi sbattere da tre sconosciuti come la chiamereste? Giovanna, almeno, lo fa perché le piace. Anzi, perché ne ha bisogno, così almeno dice lei. La chiama, scherzando ma fino a un certo punto, “la mia malattia”. Sesso di gruppo, o comunque mai con meno di due alla volta. Sin dalle primissime volte. Che però non mi ha voluto rivelare a quando risalgono, né con chi, né perché. “Magari un’altra volta ti racconto. Però non è corretto dire che non vado mai con uno solo. Ne vuoi sentire un’altra? Mi piacciono quelli con l’età di mio padre. Perché? Non lo so, è così”.
Se penso alle mie, di primissime volte, mi viene quasi da ridere. Soprattutto se ripenso a quanto ci ho messo a mollare la mia verginità, in attesa di “quello giusto”. E non è mica un caso che ci ripensi adesso, sapete? Dopo ieri sera non è un caso.
Già, ieri sera. Sono tornata a casa, round midnight, trovandola vuota per fortuna. Mi ero dimenticata che i miei sarebbero andati fuori a cena. E Martina, boh, Martina sarà stata con Massimo, il suo ragazzo. Ma io, dopo la serata con Sven e Rami, non avevo bisogno di nessuno. Avevo solo bisogno di riposo, zero chiacchiere e acqua fredda. Solo una cosa non potevo esimermi dal farla, mandare a Serena le foto.
“Dove l’hai presa sta svanzica?”, mi ha domandato dopo avere visto i 23 centimetri di Sven. “Ahahahahah… dove l’hai presa non è una cosa molto carina da chiedere”, ho risposto. Quando le ho mandato anche la foto di Rami non ci credeva, “è un fake”. Così ho dovuto inviarle anche un video. Cioè, un video per modo di dire, due secondi. Rami aveva fatto casino con il mio iPhone. Ma comunque mi si vedeva di schiena, con la mia coda un po’ scarmigliata e con il mio culetto, che risalivo su ululando dal ventre di Sven. E quando il video si interrompeva, la bestia dell’olandese si vedeva benissimo. Voleva che le raccontassi ogni cosa, sta troia, ma a me non andava di stare lì a parlare mentre lei si faceva un ditalino, si eccita sempre quando le racconto le mie scopate. “Eeeeeeee… poi Sere, vorrei dirti che stiamo 88 a 59”. Però mi è toccato prometterle che le avrei detto tutto un’altra volta, “la prossima volta che ti lecco la fica”.
Quando ho sentito suonare di nuovo il telefono ho pensato che fosse di nuovo lei. Sbagliato, era Tommy. Che, per chi non se lo ricordasse, è per l’appunto il ragazzo cui ho concesso l’alto onore di deflorarmi. La nostra non è mai stata nemmeno una storia. O in un certo senso lo è stata di più. Non ci sono tanti ragazzi della nostra età che hanno un rapporto come l’abbiamo avuto noi. Non lo sentivo da un paio di mesi, almeno. Da quando si è messo con quella puttana di Sharon soffro ogni volta. Non è nemmeno gelosia, è che mi chiedo come cazzo sia stato possibile che si sia scelto quella troia da niente. Non avevo proprio nessuna idea del motivo della sua telefonata. Ma quando me l’ha detto, momenti ci resto secca. Ok, era appena passata mezzanotte, 15 dicembre, un anno. La prima scopata, un anno esatto fa. La prima scopata mia, non certo la sua. Figuriamoci, io che lo mandavo a sbattersi una nostra compagna di scuola dopo avergli fatto un pompino. Gli dicevo “così duri di più” e poi lo mandavo via. E andavo a nascondermi con il mio magone, figuriamoci che me ne fregava di quell’altra troia di Benedetta. Un’altra puttana con le tettone, come Sharon. E’ che a lui piacciono le tette grosse, che cazzo volete ci faccia con le mie? “Ma che cazzo fai, Tommy, davvero mi hai chiamata per questo?”, “Beh, pensavo che per te fosse una ricorrenza importante”. Non sapevo nemmeno che cazzo rispondergli, qualcosa di banale, del tipo che la vita è fatta di prove di passaggio o giù di lì. Ma mentre gli parlavo pensavo che due o tre mesi fa avevo fatto l’inventario ed ero arrivata a diciassette, per dire solo dei maschi. E poi c’era stato quello incontrato al parco, dopo uno jogging massacrante, che mi ha scopata sotto la doccia e al quale ho anche chiesto di incularmi, che poi ci ha beccati la moglie e quella mi ha menata. Chissà che cazzo di fine hanno fatto. Poi Lapo, quel cazzetto di Giampaolo, Sven. Stasera anche Rami insieme a Sven. Sono ventidue, Senza contare le ragazze. E senza contare quel tizio che non mi ricordo nemmeno come si chiamasse cui ho fatto un pompino sotto la pioggia, da Eataly. I pompini non li conto, sennò starei fresca. Tra l’altro con quello non siamo nemmeno andati fino in fondo perché la sua ragazza gli rompeva il cazzo al telefono. Chissà, magari avrei fatto bene ad accettare la sua proposta e a farmi sbattere la sera dopo. In quel momento non mi andava, ma ora come ora penso di avere fatto una cazzata, non era male il tipo.
Parlo con Tommy, penso a queste cose e, chiudendo gli occhi, rivedo lui sopra di me, risento il terrore di essere violata per sempre, il suo cazzo che prova a intrufolarsi nel solco della mia umidità. Quel momento preciso lì. Se il primo amore non si scorda mai non lo so. Ma l’attimo prima che Tommy mi lacerasse l’imene credo che non me lo scorderò più finché campo.
“Annalisa, ci sei?”. “Sì Tommy… no, è che davvero mi sembra strano che mi chiami per questo…”. “Tutto bene?”, “sì”. Sì, Tommy, faccio le solite cose. Cioè in sostanza studio e vedo sempre le amiche. “A te come ti va, Tommy?”. “Così… hai qualcuno?”. “No, Tommy, non ho nessuno”. “Nemmeno un amico, nemmeno qualcuno che vedi ogni tanto?”. No, nemmeno quello, Tommy. Mi pare inverosimile che dopo mesi se ne esca così, out of the blue. Ma non mi va di raccontargli i cazzi miei, con tutto l’arco di significati che l’espressione “cazzi miei” può circoscrivere. “Tu stai sempre con Sharon?”. “Non la vedo da un po’, è tornata a studiare dalle parti sue, sempre che continui davvero a studiare…”. Ah, ecco. “Ma non è quello, chi se ne frega di Sharon”. “Tommy cosa hai?”. “Nulla”. No, non è vero che non ha nulla, lo conosco troppo bene. “Cosa c’è?”. “Niente, ti dico, ti ho chiamata solo per farti gli auguri”. “Per… diciamo così… l’anniversario?”. “Sì”. “Tommy, mi sembra una cazzata”. “No, no davvero, un bacio, ci sentiamo”. “Buon Natale, Tommy”. “Eh? Ah, sì, buon Natale”.
Nonostante tutta la stanchezza che avevo addosso e i miei indolenzimenti, ci ho messo parecchio ad addormentarmi, dopo quella telefonata. In compenso stamattina mi sono svegliata tardissimo. E da quel momento, non ho fatto altro che pensare alla serata che mi attendeva.
Vestiti elegante, non da mignotta. Per quanto riguarda il dress code Giovanna è stata chiara, anche se non così brusca come ve la racconto io. E infatti, come spesso le accade, si è presentata in modo un po’ eccessivo, con un vestito blu scuro in pizzo che le arriva alle ginocchia e le valorizza un po’ troppo le spalle. Proprio le spalle, un po’ tipo Federica Pellegrini, e il viso abbastanza anonimo e inespressivo, sono le cose che la penalizzano di più. Per il resto, ha un fisico da sballo. Io l’ho vista nuda in palestra, credetemi. E per essere sincera, perdonate la contraddizione con quanto ho detto prima, a volte devo resistere alla tentazione di accarezzargliele, quelle spalle. Sarà la pelle perfetta, o sarà che sembrano quelle di un uomo.
Io invece più sul classico di così non sarei potuta andare: trucco leggero, tubino nero con le maniche ai gomiti, un po’ corto ma non troppo, scarpe col tacco, autoreggenti color carne. Mi era pure venuta la tentazione di sfidare il freddo e lasciare le gambe nude, ma una boccata d’aria fuori dalla finestra di casa mia, mentre mi preparavo, mi ha convinta a desistere. Se non fosse che sotto non porto nulla, sarei davvero irreprensibile. E’ la seconda sera di fila che esco senza mutandine e reggiseno e con i complimenti di mia madre per quanto mi sono messa carina. Sì, una piccola festa con i compagni di corso, prima di salutarci e di rivederci dopo le vacanze. Ciao pà, ciao mà, non faccio tardi.
– Tu non farai nulla che non ti va di fare – mi dice Giovanna – nulla. Anzi, una forse sì, Ermanno ha messo solo una condizione. Se ti chiede di fare qualcosa a me… beh… falla…
– Gio, io…
– No, bella, tranquilla… Io… scusa, sai… Vedi… io lo so che tu e Serena scopate. Ma io… ecco, io a farmi fare qualcosa da una ragazza proprio non… nemmeno se sei tu, nemmeno se fosse Serena… Io proprio… mi fa… Però credo che sia proprio quello che ti chiederà di fare Ermanno…
– Ma perché, se non ti piace?
– Eh… lo capirai…
Chi cazzo sia questo Ermanno di cui parla Giovanna, proprio non lo so. Ma capisco che per lei si tratta di qualcuno di importante. Ho fatto una cazzata, una volta, e lui mi ha proprio tirata fuori dai guai, mi racconta. Non aggiunge altro, mentre io me la immagino appesa per le braccia a una catena in un fetido garage mentre una banda di assatanati e sadici abusa di lei, magari con un sacchetto in testa per non farla respirare. Non lo so, eh? Non dico che sia andata così e sinceramente spero proprio di no. Ma ho letto di ragazze che si fanno fare queste cose e se penso a Giovanna in una situazione del genere mi vengono i brividi di paura. Mi fa paura che si possa provare piacere e dare piacere andando contro il piacere stesso.
Io però ho anche un’altra curiosità, che mi frulla in testa da qualche giorno, da quando ho saputo di lei. Ed è una curiosità che rimanda a quel pomeriggio a casa di sua sorella, quando Edoardo, il cognato di Giovanna, mi ha scopata dentro una stanza-guardaroba. Cercavo di stare zitta, un po’ perché mi aveva intimato di non fare rumore e un po’ perché il suo cazzo monumentale, anziché farmi strillare, mi aveva letteralmente lasciata senza fiato. Ma non eravamo così silenziosi, mi disse Giovanna, che mi era venuta a cercare e ci aveva sentiti. “Vorrei essere come te”, mi aveva poi detto mentre io cercavo di sprofondare da qualche parte. Ma cazzo, Giovanna, tu fai cose che io non mi sarei mai sognata, io non l’avrei mai detto, cosa significa che vorresti essere come me? Ecco, questo vorrei sapere.
Ma ad un tratto, quando ho appena finito di mandare giù quello che potrebbe essere il penultimo sorso del mio mojito e ho trovato la forza di domandarglielo, Giovanna si alza di scatto e mi fa “andiamo!”. Cazzo, è stata una molla. La seguo a fatica ma non riesco a capire se lei stia facendo altrettanto con qualcuno. Quello che capisco molto chiaramente, invece, è che il ballo è cominciato.
Ci avviciniamo all’ascensore proprio mentre le porte si aprono e un uomo sta per entrarci dentro. Sento Giovanna dire “siamo qua” e in un attimo ci ritroviamo dentro. “Lui è Ermanno”, mi dice Giovanna. Non lo vedo tanto bene, perché subito lei gli si abbandona addosso per baciarlo. Un bacio leggero, a sfiorarsi le labbra. Poi lui la gira facendole appoggiare la schiena contro il suo petto, le prende le tette tra le mani, come a soppesarle e a palparle. Le sussurra all’orecchio “come stai?”. Basta guardare in faccia Giovanna per capire che non c’è bisogno di risposta. Lo so io e lo sa lui, che la vede attraverso lo specchio. Però cioè, ok, va bene che siamo qui per questo. E che ciò che sta succedendo in questo ascensore non è che un piccolissimo antipasto. Va bene. Però un minimo di imbarazzo me lo concederete, no? Non abbiamo nemmeno finito le presentazioni… L’uomo mi fissa, io tengo la testa un po’ abbassata ma cerco di sostenere il suo sguardo. E’ quasi un bell’uomo. Soprabito e vestito scuro, bella cravatta. Non è proprio il tipo che mi fa impazzire, ma se dovessi dire che è brutto mentirei. E’ vero, mi sento un po’ soggiogata. Ma più per la situazione che per lui. Giovanna, invece, beh… Giovanna è proprio cotta di questo tipo qui, si vede benissimo. “Questa è la tua amica?”, le chiede continuando a squadrarmi. “Come si chiama?”, le domanda ancora iniziando a lavorarle le tette in maniera pesante. “Annalisa”, sospira Giovanna iniziando a contorcersi addosso a lui. Rimango un attimo interdetta, capisco che avrete un vostro codice, ma almeno il nome… sono sedici o diciassette anni che so rispondere alla domanda “come ti chiami?”. “Pensavo fossi più grande di Giovanna”, mi dice. “Beh, di un mese lo sono…”, rispondo. “Sei carina”, dice la sua voce. Il suo sorrisetto dice invece “e devi essere anche parecchio troia”. Né io né loro ci siamo accorti del contraccolpo dell’ascensore, delle porte che si aprivano. Ermanno e Giovanna danno le spalle all’uscita, ma la coppia di anziani turisti che attende di fuori vede benissimo le mani di lui che stringono e massaggiano le tette della mia amica, come altrettanto bene vede lei che gli si struscia addosso e me che osservo la scena rispondendo “grazie” al complimento di Ermanno. I due turisti non mostrano alcuna emozione, o forse la reprimono, difficile dirlo. Soprattutto per me, che esco dalla cabina con gli occhi bassi e un principio di incendio sulle gote. Appena fuori, forse perché il mio cervello cerca una via di fuga, mi viene in mente che abbiamo lasciato i cappotti al bar. Ermanno mi risponde di non preoccuparmi, che li ritroveremo lì o al guardaroba. “Avete appena fatto la figura delle zoccole”, aggiunge quando siamo nel bel mezzo del corridoio, mettendo sfacciatamente una mano sul culo di Giovanna. Lei ridacchia, io penso che non abbiamo fatto la figura, penso che siamo proprio due zoccole. E penso anche che non ci credo, che devo ancora abituarmi a questa dimensione di Giovanna.
Mentre il ronzio della tesserina magnetica fa scattare la serratura, Ermanno le dice che si aspettava di trovarci già in camera. Giovanna gli risponde che ci siamo attardate un po’ giù al bar, che doveva spiegarmi alcune cose. Lui le dà un altro bacio leggero sulle labbra poi le risponde che sì, immagina, non c’è problema, non deve preoccuparsi di nulla. Mi ero fatta un film diverso, dentro di me. Non pensavo proprio a questa intimità complice, quasi dolce, tra loro due. E soprattutto non pensavo proprio che da parte di Giovanna ci fosse, come dire, tutto questo sentimento. Ma c’è, è innegabile. E’ innegabile. Cretina io, in fondo che cazzo ne so di queste cose?
Appena entrati, la prima cosa che mi chiedo è quanto cazzo avranno speso per una serata del genere. Non è una stanza normale, è una specie di suite, come quella che i miei presero una volta a Ginevra, perché non c’erano altre sistemazioni disponibili per loro due, per me e mia sorella Martina. Solo che stavolta ho l’impressione che quel divano non sarà utilizzato come un divano letto per due ragazze. Improvvisamente, mentre sto pensando a queste cose, la scena cambia di colpo.
– Spogliati vacca, e mettiti a quattrozampe, come al solito…
Ok, quel “come al solito” sta a significare che l’ordine è rivolto a Giovanna. Ma per me è ugualmente uno shock. Mi sbagliavo, il ballo vero comincia adesso. Mi volto e vedo la scena quasi fosse al rallentatore. La mia amica che si tira giù la lampo sulla schiena e fa scivolare il vestito alle caviglie, lo scavalca. Resta con un body anch’esso di pizzo, dello stesso blu del vestito, le autoreggenti color carne, come le mie. A occhio, anche quelle con una texture delicata, venti denari, direi. I tacchi a spillo che io non so portare. La sua espressione è cambiata, è tornata spenta come sempre, giurerei che respira a bocca aperta, anche se debolmente. Ma del resto, me ne rendo conto solo ora, anche io sto respirando a bocca aperta. La osservo inginocchiarsi e poi posare i palmi delle mani per terra, far crollare la testa in basso. Ermanno si china a sganciare gli automatici del body e glielo tira su, all’altezza delle reni, scoprendole completamente il culo. Anche Giovanna, sotto, non porta nulla. Ermanno le dice “brava” e poi le ammolla uno schiaffone violentissimo sul sedere. Giovanna trattiene un gemito mordendosi le labbra e stringendo gli occhi, il respiro le trema, la natica si colora di rosso quasi immediatamente. Anche stavolta con due o tre secondi di ritardo mi accorgo che quel colpo mi ha fatta scattare dalla sorpresa. Con lo stesso ritardo, realizzo che Ermanno mi sta guardando con un ghigno sarcastico. “Tranquilla, a lei piace… a te no?”. Chiaro, lo so bene che dovrei rispondere “certo che mi piacciono gli sculaccioni, soprattutto quando vengo scopata ma non solo”. Sarebbe la risposta perfetta, no? Un po’ perché è la verità, ma soprattutto perché così mettiamo subito in chiaro le cose. E invece non riesco a dire nulla, se non un “devo spogliarmi anche io?” pieno di tensione.
Ermanno ha appena iniziato a rispondere “no, resta così” che due colpi alla porta mi fanno sobbalzare un’altra volta. Mi fa cenno con la testa di andare ad aprire. Prima di muovermi guardo Giovanna. E se fosse qualcuno dell’albergo? E’ chiaro che dalla porta la vedrebbe sin troppo facilmente in quella posa oscena. Probabilmente la vedrebbe anche uno che passasse per caso nel corridoio. Ma Ermanno ripete il cenno con la testa e a me non resta altro che andare ad aprire.
Si presentano due tizi. Uno lo riconosco subito, è uno di quei due con cui avevo visto Giovanna l’estate scorsa, in una discoteca all’aperto. Sarà più vicino ai quaranta che ai trenta, come Ermanno del resto. Anche lui è in giacca, ma senza cravatta, e indossa un paio di jeans e delle sneakers. Allora mi era sembrato molto meno raccomandabile, a dire il vero. Ma non posso proprio dire che sia uno che ti ruba l’attenzione: ha gli occhi chiari ma acquosi, e il viso un po’ flaccido. L’altro invece è più giovane. Non bello nemmeno lui, parecchio stempiato, ma con un fisico che promette bene. Il primo mi fa “ci siamo già visti? io comunque sono Pino” e allunga la mano. La stringo e gli dico “può essere, Annalisa”. L’altro si toglie il giaccone e lo butta per terra, ha una felpa con su scritto esercito italiano. Non dice nulla, mi squadra e basta. Io lo saluto con un cenno silenzioso e sento il cuore battermi a mille. Poi si rivolge a Ermanno e gli dice “cazzo, Ermà, ma questa è una ragazzina…”. L’amico gli risponde che ho “la stessa età della vacca” e l’altro controbatte “sei sicuro? questa va ancora a scuola…”. Ermanno si volta verso di me e mi chiede “quanti anni hai, piccoletta?”. Gli dico diciannove, quasi diciannove e mezzo. “Se va ancora a scuola significa che è una somara…”, sorride Ermanno chiudendo la questione.
Non saranno passati più di trenta secondi, eh? Tuttavia in questi trenta secondi mi sono quasi dimenticata di Giovanna. E’ sempre lì, a quattrozampe sulla moquette, la testa in basso. Pino si accovaccia accanto a lei abbassa un po’ la parte superiore del body, liberando le tette grosse e sode. Le accarezza e fa l’atto di mungerle, il respiro di Giovanna si fa leggermente più intenso. “Te la sei già fatta?”, chiede Pino infilandole di colpo un dito nella vagina. La mia amica scatta, mugolando, mentre Ermanno risponde “non ancora, siamo appena saliti”. “Sta vacca è già in calore”, commenta Pino asciugandosi il dito sul sedere di lei. Poi ripete l’operazione, e Giovanna stavolta inspira profondamente, Ma invece si contrae tutta e lancia un urlo soffocato quando Pino, anziché asciugarselo ancora una volta, il dito glielo infila nel sedere.
– Questa muore dalla voglia di cazzo… ti dispiace se me la inculo subito? – chiede l’uomo a Ermanno iniziando già a slacciarsi la cintura.
– C’è tempo – risponde Ermanno – dobbiamo prima sistemare un po’ di cose con la signorina qui…
Sono tanto attonita da non realizzare immediatamente che l’attenzione dei tre maschi è adesso rivolta verso di me. E nemmeno da accorgermi che il più giovane si è tolto la felpa ed è venuto alle mie spalle. Con un tono abbastanza sarcastico domanda “e che ci dobbiamo fare con questa qui? come la tocchi se rompe… però a culo sta messa bene…”. Le sue mani mi abbrancano le chiappe e me le stringono, per qualche secondo resto senza fiato. Poi il giovane aggiunge “e non c’ha nemmeno nulla sotto, sta porca…”.
Vedete, il mio problema in questo momento è che sono lucida, assolutamente lucida. E proprio per questo non so che cazzo fare. O dire.
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