Amsterdam - Il portone
di
Browserfast
genere
etero
– Abbiamo lasciato l’ovetto a casa di Frederieke… – dico a Debbie che pedala un paio di metri davanti a me.
– Anche le mutandine, se è per questo… – risponde.
– Quelle non ce le siamo dimenticate…
– Magari domani torniamo al sexy shop così ti puoi fare finalmente la commessa italiana… – dice ancora continuando a guardare davanti a sé.
Io penso che scherzi, anche se dal tono non si capisce. Sarà che siamo tutte e due stravolte, ma mi resta il dubbio. E anche un po’ di ansia.
Si sta facendo chiaro. Debbie accenna a voltare la testa verso di me, sbanda un po’. Mi fa “abitavo qui vicino, prima” e mi indica una direzione. La imbocca, frena, scende dalla bicicletta. Si siede su una panchina. “Fumiamoci una sigaretta prima di arrivare a casa”. Smonto dalla bicicletta anche io, perplessa. Non ne avverto un particolare bisogno e non so come faccia, soprattutto lei, a non sentire il richiamo di un letto su cui buttarsi a dormire.
Eravamo ancora da Frederieke, ci stavamo preparando per tornarcene a casa. Almeno, io mi preparavo. Quando sono uscita dal bagno ho trovato Debbie già vestita e la ragazza che per l’ennesima volta la stringeva a sé e le leccava il collo sussurrandole, ne ero certa, oscenità. In piedi, in mezzo al corridoio. Debbie la lasciava fare abbandonata, quasi inerte, stravolta. Non so nemmeno se i brividi che la scuotevano fossero quelli dell’ennesimo orgasmo. Può essere che la Pellegrini l’avesse giustiziata ancora una volta, ma non ci giurerei. Ciò che mi ha colpito di più è stato il volto di Debbie, la sua espressione. Quasi una non-espressione, anzi. Come se fosse rassegnata a giocare fino in fondo la parte dell’oggetto di piacere.
Una volta uscite in strada, l’aria fresca dell’alba l’ha un po’ scossa, come del resto ha scosso me. Ma fino a che punto non saprei dire.
Smontate dalle biciclette, tira fuori le Marlboro Lights e me ne porge una, fumiamo in silenzio finché mi domanda “come stai?”. “Un fiore”, le rispondo, ma non so se lei comprenda l’ironia. Magari è un modo di dire che usiamo solo in Italia. Si volta verso di me mi accarezza il viso, dice “hai una faccia così stanca, ma sei così bella…”. Più che gratificarmi, mi sorprende. Non me l’aspettavo proprio, le sorrido. Quale sia la riuscita del sorriso non saprei dire, mi sento davvero stravolta anche io, ma è assolutamente sincero.
Debbie si alza, mi tende la mano, mi aiuta a rimettermi in piedi. Dice “vieni, vediamo se è aperto il forno”. Indica un portone a una decina di metri dalla panchina e aggiunge “abitavo lì”. Poi mi fa segno di lasciare la bicicletta ma di portare con me il sacchetto con le scarpe. Ci avviamo ciabattando con le Havaianas sul selciato.
– Una mattina… tornavo a casa in queste condizioni, pure peggio forse. Sicuramente molto ubriaca… Io rientravo e un vicino di casa usciva per fare jogging, era più o meno quest’ora. Aveva una bambina piccola che non l’aveva lasciato dormire granché… si è messo a fare stretching su quella panchina dove stavamo noi… Non so perché ma gli ho chiesto di accompagnarmi al forno dove stavo andando.
La ascolto mentre svoltiamo per una via laterale. Più che altro la seguo e mi auguro davvero che sto cazzo di forno non sia così lontano. “Si chiamava Mitchell…”, aggiunge Debbie restando poi in silenzio per qualche secondo.
Poi, il raptus. Cioè, non so dire se lo avesse preparato o se sia proprio un raptus. Fatto sta che mi trascina dentro un portone e mi bacia. Resto abbastanza interdetta. Non reagisco, non ce la faccio. Non riesco nemmeno a dirle “no Debbie, sono stanca, non voglio”. Anche perché, in tutta sincerità, non so se sarei mai in grado di dire a Debbie “non voglio”.
Stacca le sue labbra dalle mie e ci sussurra sopra guardandomi negli occhi “gli ho succhiato il cazzo proprio dentro questo portone, alla faccia di quella cicciona stronza della moglie… non la smetteva mai di sborrare…”. Mentre lo fa mi infila una mano sotto la mini, tra le cosce, sul mio sesso indifeso. Miagolo “oddio” e sento il crampo caldo. Il suo dito cerca la mia fessura e mi sto già bagnando. Mi infilza, brucia un po’. Due secondi dopo sono così bagnata che potrebbe tranquillamente infilarci un altro dito. Lo fa, le ginocchia mi cedono. Non posso reprimere un urletto. Mi sta scopando esattamente come, forse, la Pellegrini ha scopato lei non più tardi di mezz’ora fa, con il vantaggio che io sono almeno appoggiata a un muro. Mi rendo conto che la sto guardando con gli occhi sgranati, lei non stacca un attimo il suo sguardo dal mio. E’ proprio quello che mi scopa, più delle sue dita. Non c’è nulla di crudele nei suoi gesti. Anzi, mi bacia ancora e mi bacia con dolcezza. Ma il suo sguardo, quello sì che è feroce. E’ come se mi volesse prendere, possedere, rendermi chiaro che sono sua.
Ansimo e la guardo mentre mi dice “ti sei divertita con quella, uh? Anche a farmi tutto quello che diceva lei…”. Mi ribacia, stavolta il suo lingua in bocca è quasi furioso ma ho un momento di panico. Temo la gelosia, la sua rabbia verso di me. Sarebbe tutto così irrazionale, ma chi ha il tempo in questo momento di pensare cosa è razionale e cosa no? Mi sento come doveva sentirsi lei appena arrivate a casa della Pellegrini, spinta contro la parete e con le dita così dentro che si sentiva lo sciacquettìo.
***
– Non spogli la tua amica?
Sono un’egoista, lo so. Perché il mio primo sentimento è stato la delusione. Perché appena entrate a casa sua avrei voluto che lo facesse a me, o anche meglio che dicesse a Debbie di farlo a me. Avrei voluto essere io la prima. Ma mi rendevo conto benissimo di come stavano le cose e ciò che vedevo e che facevo, in fondo, era come se avessi cominciato a vederlo e a farlo quando siamo uscite dal locale.
Ogni percezione era esasperata. Erano esasperate la tensione e la perplessità che mi accompagnavano mentre seguivamo la Pellegrini a casa sua. Ero lucida e piena di voglia. Vivevo ogni momento nella sua intensità assoluta e al tempo stesso era come se potessi vedere ciò che sarebbe stato il momento successivo. Vedevo avanti. Merito dell’additivo che io e Debbie ci eravamo sparate nei bagni di quel bar. E mentre camminavamo costeggiando un canale, mi eccitavo sapendo benissimo che anche ogni sensazione sessuale sarebbe stata di lì a poco esasperata, ingigantita. L’altra cosa che mi faceva impazzire era una specie di simbiosi con Debbie. Non saprei spiegarlo e non c’è nemmeno bisogno di spiegarlo: sapevo che Debbie, mentre camminava allacciata alla Pellegrini-Frederieke, provava e vedeva le stesse cose che provavo e vedevo io, con la stessa consapevolezza. Con in più, e anche questa era una cosa che conoscevo con precisione assoluta, la sensazione di avere la figa devastata da quell’ovetto che portava dentro. Che vibrasse o meno non saprei. Forse lo faceva a bassa intensità. Ma ciò che conta è che a me sembrava di provare ciò che provava lei.
Non vedevo bene, era buio, ma già salendo le scale la ragazza aveva già cominciato a darsi da fare pesantemente con Debbie, lo capivo dalle reazioni della mia amica, dal suo modo di piagnucolare ogni volta che la stringeva a sé, ridacchiando. E appena entrate tutte e tre in casa ne ho avuto la conferma. La Pellegrini l’ha letteralmente appiccicata al muro baciandola, toccandola tra le gambe e sulle tette, biascicandole parole per me incomprensibili. Anche se “nymfomane” si capiva benissimo, e chissà se ce l’aveva solo con lei o con tutte e due. Debbie era un concentrato di contraddizioni. Remissiva ma con gli occhi accesi.
Non pensate a una scena brutale, anzi. La brutalità, semplicemente, non serviva. Frederieke la sovrastava, fisicamente e psicologicamente, era evidente. E Debbie aveva la faccia di chi si sta per arrendere, o che si è già arresa da un pezzo. Aveva la faccia di chi diceva “che aspetti?”, “quanto ci hai messo?”, “non ce la faccio più”. Più di ogni altra cosa però io ero attratta dalle sue lunghe gambe nude e dal piccolo seno che faceva su e giù sotto la tutina.
Di colpo la Pellegrini si è voltata verso di me, lasciando Debbie appoggiata alla parete come una racchetta da tennis sulla recinzione di un court. Con l’unica differenza che una racchetta da tennis non ansima.
– Adesso divertiti un po’ tu con Objèkt – mi ha detto sorridendo.
Le ho rivolto uno sguardo interrogativo mentre lei apriva una porta scorrevole all’inglese che, ho capito, introduceva alla zona notte della casa. Mi era sembrato di averla sentita sussurrare un paio di volte quel suono mentre la schiacciava al muro, mentre si “prendeva cura” di lei, ma non ne ero sicura. O meglio, non capivo.
– Objèkt, oggetto. Non lo vedi che non ha più una sua volontà? Se tu sei Little Pervert, lei è Objèkt…
Debbie ha lanciato un sospiro, chiudendo gli occhi e appoggiando mani, schiena e nuca al muro. Poteva sembrare una che diceva “fucilatemi” oppure “scopatemi finché non mi ammazzate”, sarebbe stata la stessa cosa. La capivo, la capivo benissimo. Troppe ore, troppi giorni passati a negarci il piacere in modo quasi masochista per seguire la sua filosofia: “Portati al limite ma non esplodere, lo farai quando sarà il momento”.
Noi due nel letto a Roma, all’aeroporto, a casa sua, nel sexy shop, al ristorante, nei bar in cui siamo state prima del locale queer in cui abbiamo incontrato Frederieke. Avevamo compresso tutto il desiderio del mondo dentro noi stesse e ora stava per uscire fuori, doveva uscire fuori. Se non in quella notte, quando?
Sono andata alle spalle di Debbie, quasi tremava. Le ho abbassato la zip della tutina grigio-argento baciandole prima il collo e poi la schiena. La visione posteriore del suo splendore mi ha abbagliata. Ho ringraziato il cielo che il suo elegante perizoma di trasparenze bianche le lasciasse scoperte le natiche. Le ho accarezzate facendola rabbrividire. Le ho sganciato il reggiseno. Frederieke ha intimato “not the underwear!”, ma era troppo tardi. E’ scivolato per terra, lasciandole le tette nude, che ho accarezzato prendendole da dietro, sentendo i piccoli capezzoli rosa appuntiti. Ho passato labbra e lingua sulla sua pelle, sul suo odore. La mia fica era impazzita, supplicava e piangeva almeno quanto, ero disposta a scommetterci, la fica di Debbie. Frederieke si è avvicinata a lei, quasi a volerla mettere in un sandwich tra noi due. L’ha penetrata velocemente e altrettanto velocemente le ha sciacquato dentro, poi ha offerto le sue dita alla mia bocca. “Vieni, Objekt”, le ha detto prendendola per mano e portandomela via, ma lasciandomi il suo sapore.
Ci ho messo qualche secondo a seguirle. Quando sono arrivata in camera da letto, una camera arredata in modo molto funzionale, senza fronzoli, quasi maschile nei suoi gusti, erano già distese su un sovracoperta azzurro. Debbie gemeva e ansimava sotto i baci e le carezze della Pellegrini. Il seno che si alzava e si abbassava continuava a calamitare la mia attenzione, era eccitantissimo. Ma anche il culo della ragazza lo era. La gonna si era sollevata scoprendole a metà le natiche, lasciando intravedere la fine di un tatuaggio e un perizoma nero davvero microscopico.
Frederieke si è voltata verso di me, con il suo solito sorrisino ironico e superiore. Mi ha detto “e tu che ci fai ancora vestita?”. Ho abbassato quasi senza rendermene conto la zip facendo scivolare il vestito, restando con le sole culotte fluo lime indosso. Ha fatto una smorfia divertita osservandole e mi ha detto “togli tutto” continuando ad accarezzare Debbie sul ventre. Ho eseguito, ero così indecentemente fradicia… Mi ha fatto segno di inginocchiarmi tra le gambe di Debbie, mi ha preso la mano e l’ha portata tra le sue cosce, stendendomi addirittura un dito, il medio. Ok, ok, più chiaro di così non poteva essere. Ho scostato con il dito le mutandine di Debbie mentre non riuscivo a smettere di fissare il fiocchettino nero a mini pois bianchi che campeggiava al centro dell’elastico. Gliel’ho infilato dentro, piano, lei ha avuto un piccolo sobbalzo. Quando l’ho tirato fuori era talmente bagnato che una goccia stava per staccarsi. Mi sono chinata verso il centro del suo mondo, il suo odore mi faceva impazzire. Stavo per mettere all’opera labbra e lingua quando la Pellegrini mi ha bloccata: “Dopo, Little Pervert… questo dopo”.
– Ti piacciono le sue tette? – mi ha domandato.
– Sì…
– Baciale allora, baciale e falle sentire quanto ti piacciono.
Mi sono abbassata facendo sussultare ancora una volta Debbie. Frederieke si è allontanata per ritornare dopo una trentina di secondi. La luce è esplosa nella stanza. Debbie è scattata quasi gridando e io mi sono voltata d’istinto verso la Pellegrini. Aveva in mano il telecomando dell’ovetto e doveva averci dato un bel po’ sotto, visto come si agitava la mia amica. Nel vederla smaniare la ragazza ha avuto un sorriso di soddisfazione e di desiderio. Doveva sembrarle una scena bellissima ed in effetti lo era. Io per prima mi sorprendevo di non essermi ancora tuffata con mani e testa tra le gambe di Debbie.
E’ stata una specie di splendida, lunghissima e terribile tortura. Quel cazzo d’ovetto ogni volta la portava a tanto così dall’esplodere. Lo vedevo, lo sentivo. Debbie mi fremeva sotto mentre le baciavo e le leccavo i seni, il collo, le labbra. Piagnucolava e lanciava urletti, andava in apnea, si mordeva le labbra. Si muoveva a scatti, sentivo la sua mano premermi sulla nuca e le sue unghie passarmi sulla schiena. Una volta così forte che mi avrà pure graffiata. E ogni volta che stava per arrivare Frederieke la portava indietro. In piedi al bordo del letto a guardarci, ancora vestita. E io completamente nuda. E Debbie con le sole mutandine indosso. Anche questo rendeva perfettamente chiaro chi conducesse il gioco. Era lei, armata del telecomando e del suo sorriso enigmatico, del suo fisico stratosferico che in quel momento ha deciso di mostrarci. La prima a cadere è stata la gonna, poi è stata la volta della sua canotta con gli strass. Mi ha fissata negli occhi mentre si sganciava il reggiseno a fascia. Reggiseno inutile, tra l’altro, visto che le sue belle tette stavano su da sole. Non avrei mai pensato che avesse i capezzoli così grandi e scuri. Oltre al tatuaggio che da una spalla le scendeva verso il seno, e che avevo già notato, se ne vedevano altri due: una specie di dragone che partendo da sotto lo stesso seno si attorcigliava sul fianco e sulla schiena e poi sulla natica, terminando dove l’avevo intravisto qualche secondo prima; degli ideogrammi che scendevano lungo tutto l’altro fianco, fino alla coscia. E poi sì, la sua fica glabra, leggermente carnosa, che mi ha ipnotizzata mentre Debbie si contorceva sotto le vibrazioni dell’ovetto e mi stritolava un braccio. Devo avere fatto lo sguardo della golosità, visto che il sorriso di Frederieke si è allargato quasi in una risata.
– Avrai tempo per baciare tutto ciò che vedi, Little Pervert, adesso continua a leccare la tua bella amica – mi ha detto placida come sempre.
Pensavo che dopo quell’ennesimo piccolo ordine sarei impazzita, e infatti sono impazzita. Tre cose, in rapida successione, mi hanno fatta sbroccare. Il sapore salato del sudore di Debbie, ormai copioso, sulla mia lingua. L’imperioso “ferma!” di Frederieke quando, del tutto istintivamente, ho portato la mano sul ventre di Debbie. La scena che mi si è spalancata davanti agli occhi quando la ragazza le ha sfilato le mutandine. Aiutatemi a dirlo, cazzo, che io nemmeno ci riesco: il lago di Bracciano, sotto il sole delle due del pomeriggio a luglio, luccica di meno. Debbie stringeva ritmicamente le cosce e, quando le riapriva, scintillava. La lingua, le labbra, le mani, avrei voluto bagnarmi tutto di lei, ma ancora una volta la voce della Pellegrini mi ha bloccata: “Stop, Little Pervert!”. Ebbè, non ce l’ho fatta più. Mi sono messa a piangere dalla voglia e dalla frustrazione. Ho gridato “falla venire!”. Ma avrei potuto tranquillamente gridare “fammi venire!”. Ho sbroccato, ho indecentemente sbroccato.
Ho visto la Pellegrini infilare lentamente le dita dentro Debbie e ho sentito la mia amica urlare. Ho visto l’ovetto imbrattato uscire dalla sua fica mentre lei non smetteva di tremare. Ho ubbidito come un automa all’ordine di aprire le gambe e ho gridato anche io quando ho sentito passare e ripassare quel giocattolo vibrante sul grilletto. Mi sono contorta a cosce strette quando me l’ha infilato dentro con la sua espressione indecifrabile stampata sul volto.
Ma poi ho sentito il peso di un altro corpo sul letto e quando dopo un po’ sono riuscita a voltarmi me la sono ritrovata stesa su un fianco accanto a Debbie. La mia amica cercava baci e carezze, lei le parlava ridacchiando. Non capivo nulla, ma dai suoi occhi ero certa che le stesse dicendo qualcosa tipo “lo sai cosa succede adesso, vero?”. Dolcemente, ma con una sicurezza da mettere i brividi.
Fisicamente, un bel contrasto. Forse solo in palestra ho visto corpi così tonici, ipertrofici e aggraziati allo stesso tempo. Forse solo la mia amica Giovanna. E anche quelle spalle. Se solo Giovanna fosse così bella, ho pensato…
Poi, all’improvviso, l’ho visto. Non ne avevo mai visto uno così, ma del resto non è che sia così esperta. Ovetto a parte, l’unico sex toy che abbia mai conosciuto è stato il plug che Edoardo, il Capo, si divertì a infilarmi nel sedere a Nizza. E poi sì, anche quel dildo con cui Li, quella troia cinese di Torpignattara, mi ha scopata insieme a Serena. Tutti oggetti il cui utilizzo, al solo guardarli, è abbastanza intuitivo. Ma questo no, non l’avrei mai detto. Rosso, con una base larga forse poco più di un dito e uno stelo lungo, flessibile. Non sapevo da dove fosse sbucato ma era pur vero che per un po’ di secondi ero rimasta a contorcermi sul letto. Debbie aveva gli occhi spalancati mentre la Pellegrini la trafiggeva con quel coso. Lentamente. Indossando per la prima volta un’espressione intensa. Quasi sadica, avrei detto, ma probabilmente sono io che esagero. Credo che mi abbia detto di dedicarmi ancora ai suoi capezzoli, ormai irreversibilmente svettanti. Ma la prima cosa che ho fatto a Debbie è stata baciarla ancora. Le sue labbra semiaperte erano troppo invitanti per me. E lei mi ha accolta, almeno fino a quando Frederieke ha cambiato marcia, ha iniziato un altro tipo di gioco. Ho visto Debbie iniziare a dimenarsi e a guaire, a stringere qualsiasi cosa le capitasse a portata di mano. Il lenzuolo, di nuovo il mio braccio, persino i miei capelli. Ho guardato in basso e ho visto la mano della Pellegrini in mezzo alle sue gambe spalancate che cominciava a muoversi più veloce, inesorabilmente. La ragazza adagiata tra le sue cosce la guardava sorridendo, pronunciando parole di cui non mi serviva la traduzione. Ogni tanto si chinava a lappare il grilletto di Debbie, facendola gemere, tendere, arcuare, scattare.
In ginocchio sul letto, osservavo e desideravo. Con una mano mi toccavo il seno e con l’altra mi stavo sgrillettando guardando Debbie muoversi e guaire sempre più velocemente, forse supplicare. Improvvisamente mi sono accorta di non sentire nemmeno più l’ovetto dentro di me e, un attimo dopo, l’ho vista esplodere e schizzare proprio in faccia alla Pellegrini. Due, tre, quattro spruzzi accompagnati da altrettanti urletti, il suo corpo che si scomponeva e la sua mente che andava chissà dove. Sono rimasta paralizzata ad osservare la faccia stupita di Frederieke colpita in sequenza da quegli spruzzi, Debbie ripiegata su se stessa con le mani sulla vagina che si contorceva e tremava schizzando per l’ultima volta. Sapevo cos’era e sapevo come si sentiva, il più sublime dei supplizi.
Frederieke mi ha guardata con un sorriso quasi compiaciuto, ironico. Ha dato un’occhiata al dildo commentando qualcosa come “con questo non fallisco mai” oppure “questo fa sempre il suo lavoro”, adesso non ricordo. Quello che ricordo bene è stata la sua risata dopo avermi guardata, dovevo avere gli occhi imploranti. “Con te il gioco è un altro, Little Pervert”, mi ha sussurrato cercando il telecomando dell’ovetto. Ha schiacciato il tasto ma non e successo niente. E così la seconda volta, la terza. Come se fosse nulla ha estratto l’ovetto dalla mia fica, incurante del mio urlo e degli spasmi, mi ha sorriso commentando semplicemente “battery…” e poi mi ha detto “d’accordo, ma prima pulisci quello che ha fatto la tua amica”. Non ce ne sarebbe stato bisogno, avrei capito da sola, lei però mi ha preso la testa e l’ha portata vicino alla sua per farmi leccare via tutto il piacere che Debbie le aveva lanciato, tutto il suo sapore. Quando ho finito, le ho piagnucolato solo un indecente “please”. Ero letteralmente sull’orlo delle lacrime dalla voglia.
Anche se il suo piano originario non era questo, alla fine mi ha riservato lo stesso trattamento riservato a Debbie. Eccezion fatta per un dito che mi ha infilato anche nel sedere. Per qualche strana ragione doveva essere convinta che “i ragazzi italiani”, come dice lei, siano abituati ad imperversarmi tra le chiappe. E poiché la mia reazione è stata come sempre un urletto di gioia deve essersi rafforzata in questa sua convinzione. Per il resto, davvero, stesso trattamento. Ma molto più veloce, almeno credo. E’ difficile dirlo con quell’affare che ti frulla dentro e tocca tutti i punti, tutti, finché non senti quella contrazione pazzesca e ti viene il bisogno urgente di buttare fuori qualcosa. E tu per prima sai che non è pipì. Ho avuto comunque l’impressione di andare in frantumi molto prima di quanto avesse fatto Debbie. Con l’aggiunta, che mi avrebbe regalato già da sola un orgasmo se fossi stata più presente a me stessa, della sua mano che stringeva la mia mentre mi preparavo a trasferirmi su Urano.
Poi non lo so, è stato tutto molto confuso e lo è stato per molto tempo. Non riuscivo proprio a tornare in me stessa e il mio corpo faceva un po’ quello che cazzo gli pareva. La prima cosa che ricordo è stato il “nooo bastaaaa!” gridato a Debbie che mi leccava tra le cosce. Con Frederieke che gli diceva di continuare a farlo nonostante le mie proteste. Era tutto troppo e credo che qualsiasi zona del mio corpo fosse sensibilizzata in modo esagerato, figuratevi quella zona lì. Devo avere flippato ancora una volta, ma davvero non saprei dire.
Come non saprei dire quanto tempo dopo mi sono sentita rotolare Debbie sopra, spinta dalla ragazza. Mi ansimava addosso stravolta, con la bocca aperta e la lingua di fuori che cercava la mia. Frederieke era tornata a guardarci con il suo sorriso criptico, la sua voce sembrava irridente. Verso la mia amica, ma anche verso di me.
– Cosa ha detto? – ho domandato a Debbie.
– Je bent twee poppen… – ha mormorato – siete due bamboline…
– Nessuna mi ha mai bagnato il letto come voi due – ha aggiunto Frederieke, stavolta in inglese.
Poi il suo ghignetto divertito, inaspettatamente imbarazzato. E’ da quel ghignetto che è ricominciato tutto, almeno per me. Ma dovrei dire che sono cominciate altre cose, in realtà. Labbra, lingue e denti di due ragazze diverse che danzavano sui miei capezzoli. Mentre le mani, di due ragazze diverse, si contendevano il mio ventre. Dita che mi esploravano, di due ragazze diverse, che mi trafiggevano, che accarezzavano lentamente la mia pelle. Odori diversi. Sul mio muso, sul loro, sapori diversi sulle dita succhiate. Il peso di una ragazza che si appoggia sulla mia bocca a cosce aperte, mentre un’altra mi soffia sul grilletto. Una lunga, lenta, umida lappata per una. Dal grilletto fino all’ingresso, fino a spingere leggermente la lingua dentro. Prima una lingua poi l’altra. Sono stata io a gridare “così mi ammazzate?” o è stata Debbie? O è stata Frederieke?
***
– Slet – sussurra Debbie, non Sletje come mi chiama lei, ma Slet, puttana – ti è piaciuto infilarmi quattro dita nella fica? Lei ti ha detto di farlo e tu l’hai fatto…
Sì, l’ho fatto. Assecondando come ipnotizzata le indicazioni di Frederieke. Un dito dopo l’altro, piano piano, per darle il tempo di abituarsi e non farle male. E soprattutto per il gusto di eseguire. Per sentirmi prigioniera di lei come Debbie lo era di me, di noi due. Debbie sobbalzava ad ogni dito, ad ogni piccola spinta. Con un occhio mi supplicava “basta, non farlo”, con l’altro implorava di andare avanti.
– E a te è piaciuto? A te è piaciuto? Sono tua, lo sai che sono tua! – piango quasi disperata.
Sì, piango. Per le sue dita che mi stanno fottendo. Ma anche perché la cosa che mi sembra più importante in questo momento è che mi dica che le è piaciuto. Dimmi che ti ho fatto stare bene, Debbie, e poi ammazzami, me lo merito. Sono tua, puoi fare quello che vuoi.
– Non sai come ho goduto a vederti così troia, così… scopami anche tu… ti prego…
Prende la mia mano e se la porta tra le gambe. La tutina è fradicia. Forse lo sarebbe comunque ma senza perizoma a coprirle la fica è sicuramente peggio. Io vorrei, ma non ce la faccio. Non ce la faccio proprio. La mia vagina decide da sola e stringe le sue dita. Il piacere elettrico che mi attraversa mi fa irrigidire. Le gambe mi cedono, chiudo gli occhi, scatto, mi aggrappo. Griderei il mio orgasmo se lei non mi tappasse la bocca fin quasi a soffocarmi. Non capisco più nulla. Cedo, semplicemente cedo addosso a lei ansimando, non so per quanto tempo.
Quando riapro gli occhi ho le sue dita davanti che luccicano di me. Se le asciuga sulla sua guancia e mi sorride. Scosto la sua tutina e la infilzo anche io, con un dito. Geme, ma è un attimo. La guardo, le sorrido, asciugo il dito sulla mia guancia. Ci tracciamo, ci marchiamo così l’un l’altra. Poi il suo bacio soffice prima che i suoi capelli biondi precipitino in basso scomparendomi alla vista. Le sue mani che mi inducono a sollevare la già striminzita gonna del mio vestitino prima di afferrarmi le natiche. Il calore del suo fiato, la sua voce sussurrata.
– E’ destino che mi debba inginocchiare dentro questo portone.
CONTINUA
– Anche le mutandine, se è per questo… – risponde.
– Quelle non ce le siamo dimenticate…
– Magari domani torniamo al sexy shop così ti puoi fare finalmente la commessa italiana… – dice ancora continuando a guardare davanti a sé.
Io penso che scherzi, anche se dal tono non si capisce. Sarà che siamo tutte e due stravolte, ma mi resta il dubbio. E anche un po’ di ansia.
Si sta facendo chiaro. Debbie accenna a voltare la testa verso di me, sbanda un po’. Mi fa “abitavo qui vicino, prima” e mi indica una direzione. La imbocca, frena, scende dalla bicicletta. Si siede su una panchina. “Fumiamoci una sigaretta prima di arrivare a casa”. Smonto dalla bicicletta anche io, perplessa. Non ne avverto un particolare bisogno e non so come faccia, soprattutto lei, a non sentire il richiamo di un letto su cui buttarsi a dormire.
Eravamo ancora da Frederieke, ci stavamo preparando per tornarcene a casa. Almeno, io mi preparavo. Quando sono uscita dal bagno ho trovato Debbie già vestita e la ragazza che per l’ennesima volta la stringeva a sé e le leccava il collo sussurrandole, ne ero certa, oscenità. In piedi, in mezzo al corridoio. Debbie la lasciava fare abbandonata, quasi inerte, stravolta. Non so nemmeno se i brividi che la scuotevano fossero quelli dell’ennesimo orgasmo. Può essere che la Pellegrini l’avesse giustiziata ancora una volta, ma non ci giurerei. Ciò che mi ha colpito di più è stato il volto di Debbie, la sua espressione. Quasi una non-espressione, anzi. Come se fosse rassegnata a giocare fino in fondo la parte dell’oggetto di piacere.
Una volta uscite in strada, l’aria fresca dell’alba l’ha un po’ scossa, come del resto ha scosso me. Ma fino a che punto non saprei dire.
Smontate dalle biciclette, tira fuori le Marlboro Lights e me ne porge una, fumiamo in silenzio finché mi domanda “come stai?”. “Un fiore”, le rispondo, ma non so se lei comprenda l’ironia. Magari è un modo di dire che usiamo solo in Italia. Si volta verso di me mi accarezza il viso, dice “hai una faccia così stanca, ma sei così bella…”. Più che gratificarmi, mi sorprende. Non me l’aspettavo proprio, le sorrido. Quale sia la riuscita del sorriso non saprei dire, mi sento davvero stravolta anche io, ma è assolutamente sincero.
Debbie si alza, mi tende la mano, mi aiuta a rimettermi in piedi. Dice “vieni, vediamo se è aperto il forno”. Indica un portone a una decina di metri dalla panchina e aggiunge “abitavo lì”. Poi mi fa segno di lasciare la bicicletta ma di portare con me il sacchetto con le scarpe. Ci avviamo ciabattando con le Havaianas sul selciato.
– Una mattina… tornavo a casa in queste condizioni, pure peggio forse. Sicuramente molto ubriaca… Io rientravo e un vicino di casa usciva per fare jogging, era più o meno quest’ora. Aveva una bambina piccola che non l’aveva lasciato dormire granché… si è messo a fare stretching su quella panchina dove stavamo noi… Non so perché ma gli ho chiesto di accompagnarmi al forno dove stavo andando.
La ascolto mentre svoltiamo per una via laterale. Più che altro la seguo e mi auguro davvero che sto cazzo di forno non sia così lontano. “Si chiamava Mitchell…”, aggiunge Debbie restando poi in silenzio per qualche secondo.
Poi, il raptus. Cioè, non so dire se lo avesse preparato o se sia proprio un raptus. Fatto sta che mi trascina dentro un portone e mi bacia. Resto abbastanza interdetta. Non reagisco, non ce la faccio. Non riesco nemmeno a dirle “no Debbie, sono stanca, non voglio”. Anche perché, in tutta sincerità, non so se sarei mai in grado di dire a Debbie “non voglio”.
Stacca le sue labbra dalle mie e ci sussurra sopra guardandomi negli occhi “gli ho succhiato il cazzo proprio dentro questo portone, alla faccia di quella cicciona stronza della moglie… non la smetteva mai di sborrare…”. Mentre lo fa mi infila una mano sotto la mini, tra le cosce, sul mio sesso indifeso. Miagolo “oddio” e sento il crampo caldo. Il suo dito cerca la mia fessura e mi sto già bagnando. Mi infilza, brucia un po’. Due secondi dopo sono così bagnata che potrebbe tranquillamente infilarci un altro dito. Lo fa, le ginocchia mi cedono. Non posso reprimere un urletto. Mi sta scopando esattamente come, forse, la Pellegrini ha scopato lei non più tardi di mezz’ora fa, con il vantaggio che io sono almeno appoggiata a un muro. Mi rendo conto che la sto guardando con gli occhi sgranati, lei non stacca un attimo il suo sguardo dal mio. E’ proprio quello che mi scopa, più delle sue dita. Non c’è nulla di crudele nei suoi gesti. Anzi, mi bacia ancora e mi bacia con dolcezza. Ma il suo sguardo, quello sì che è feroce. E’ come se mi volesse prendere, possedere, rendermi chiaro che sono sua.
Ansimo e la guardo mentre mi dice “ti sei divertita con quella, uh? Anche a farmi tutto quello che diceva lei…”. Mi ribacia, stavolta il suo lingua in bocca è quasi furioso ma ho un momento di panico. Temo la gelosia, la sua rabbia verso di me. Sarebbe tutto così irrazionale, ma chi ha il tempo in questo momento di pensare cosa è razionale e cosa no? Mi sento come doveva sentirsi lei appena arrivate a casa della Pellegrini, spinta contro la parete e con le dita così dentro che si sentiva lo sciacquettìo.
***
– Non spogli la tua amica?
Sono un’egoista, lo so. Perché il mio primo sentimento è stato la delusione. Perché appena entrate a casa sua avrei voluto che lo facesse a me, o anche meglio che dicesse a Debbie di farlo a me. Avrei voluto essere io la prima. Ma mi rendevo conto benissimo di come stavano le cose e ciò che vedevo e che facevo, in fondo, era come se avessi cominciato a vederlo e a farlo quando siamo uscite dal locale.
Ogni percezione era esasperata. Erano esasperate la tensione e la perplessità che mi accompagnavano mentre seguivamo la Pellegrini a casa sua. Ero lucida e piena di voglia. Vivevo ogni momento nella sua intensità assoluta e al tempo stesso era come se potessi vedere ciò che sarebbe stato il momento successivo. Vedevo avanti. Merito dell’additivo che io e Debbie ci eravamo sparate nei bagni di quel bar. E mentre camminavamo costeggiando un canale, mi eccitavo sapendo benissimo che anche ogni sensazione sessuale sarebbe stata di lì a poco esasperata, ingigantita. L’altra cosa che mi faceva impazzire era una specie di simbiosi con Debbie. Non saprei spiegarlo e non c’è nemmeno bisogno di spiegarlo: sapevo che Debbie, mentre camminava allacciata alla Pellegrini-Frederieke, provava e vedeva le stesse cose che provavo e vedevo io, con la stessa consapevolezza. Con in più, e anche questa era una cosa che conoscevo con precisione assoluta, la sensazione di avere la figa devastata da quell’ovetto che portava dentro. Che vibrasse o meno non saprei. Forse lo faceva a bassa intensità. Ma ciò che conta è che a me sembrava di provare ciò che provava lei.
Non vedevo bene, era buio, ma già salendo le scale la ragazza aveva già cominciato a darsi da fare pesantemente con Debbie, lo capivo dalle reazioni della mia amica, dal suo modo di piagnucolare ogni volta che la stringeva a sé, ridacchiando. E appena entrate tutte e tre in casa ne ho avuto la conferma. La Pellegrini l’ha letteralmente appiccicata al muro baciandola, toccandola tra le gambe e sulle tette, biascicandole parole per me incomprensibili. Anche se “nymfomane” si capiva benissimo, e chissà se ce l’aveva solo con lei o con tutte e due. Debbie era un concentrato di contraddizioni. Remissiva ma con gli occhi accesi.
Non pensate a una scena brutale, anzi. La brutalità, semplicemente, non serviva. Frederieke la sovrastava, fisicamente e psicologicamente, era evidente. E Debbie aveva la faccia di chi si sta per arrendere, o che si è già arresa da un pezzo. Aveva la faccia di chi diceva “che aspetti?”, “quanto ci hai messo?”, “non ce la faccio più”. Più di ogni altra cosa però io ero attratta dalle sue lunghe gambe nude e dal piccolo seno che faceva su e giù sotto la tutina.
Di colpo la Pellegrini si è voltata verso di me, lasciando Debbie appoggiata alla parete come una racchetta da tennis sulla recinzione di un court. Con l’unica differenza che una racchetta da tennis non ansima.
– Adesso divertiti un po’ tu con Objèkt – mi ha detto sorridendo.
Le ho rivolto uno sguardo interrogativo mentre lei apriva una porta scorrevole all’inglese che, ho capito, introduceva alla zona notte della casa. Mi era sembrato di averla sentita sussurrare un paio di volte quel suono mentre la schiacciava al muro, mentre si “prendeva cura” di lei, ma non ne ero sicura. O meglio, non capivo.
– Objèkt, oggetto. Non lo vedi che non ha più una sua volontà? Se tu sei Little Pervert, lei è Objèkt…
Debbie ha lanciato un sospiro, chiudendo gli occhi e appoggiando mani, schiena e nuca al muro. Poteva sembrare una che diceva “fucilatemi” oppure “scopatemi finché non mi ammazzate”, sarebbe stata la stessa cosa. La capivo, la capivo benissimo. Troppe ore, troppi giorni passati a negarci il piacere in modo quasi masochista per seguire la sua filosofia: “Portati al limite ma non esplodere, lo farai quando sarà il momento”.
Noi due nel letto a Roma, all’aeroporto, a casa sua, nel sexy shop, al ristorante, nei bar in cui siamo state prima del locale queer in cui abbiamo incontrato Frederieke. Avevamo compresso tutto il desiderio del mondo dentro noi stesse e ora stava per uscire fuori, doveva uscire fuori. Se non in quella notte, quando?
Sono andata alle spalle di Debbie, quasi tremava. Le ho abbassato la zip della tutina grigio-argento baciandole prima il collo e poi la schiena. La visione posteriore del suo splendore mi ha abbagliata. Ho ringraziato il cielo che il suo elegante perizoma di trasparenze bianche le lasciasse scoperte le natiche. Le ho accarezzate facendola rabbrividire. Le ho sganciato il reggiseno. Frederieke ha intimato “not the underwear!”, ma era troppo tardi. E’ scivolato per terra, lasciandole le tette nude, che ho accarezzato prendendole da dietro, sentendo i piccoli capezzoli rosa appuntiti. Ho passato labbra e lingua sulla sua pelle, sul suo odore. La mia fica era impazzita, supplicava e piangeva almeno quanto, ero disposta a scommetterci, la fica di Debbie. Frederieke si è avvicinata a lei, quasi a volerla mettere in un sandwich tra noi due. L’ha penetrata velocemente e altrettanto velocemente le ha sciacquato dentro, poi ha offerto le sue dita alla mia bocca. “Vieni, Objekt”, le ha detto prendendola per mano e portandomela via, ma lasciandomi il suo sapore.
Ci ho messo qualche secondo a seguirle. Quando sono arrivata in camera da letto, una camera arredata in modo molto funzionale, senza fronzoli, quasi maschile nei suoi gusti, erano già distese su un sovracoperta azzurro. Debbie gemeva e ansimava sotto i baci e le carezze della Pellegrini. Il seno che si alzava e si abbassava continuava a calamitare la mia attenzione, era eccitantissimo. Ma anche il culo della ragazza lo era. La gonna si era sollevata scoprendole a metà le natiche, lasciando intravedere la fine di un tatuaggio e un perizoma nero davvero microscopico.
Frederieke si è voltata verso di me, con il suo solito sorrisino ironico e superiore. Mi ha detto “e tu che ci fai ancora vestita?”. Ho abbassato quasi senza rendermene conto la zip facendo scivolare il vestito, restando con le sole culotte fluo lime indosso. Ha fatto una smorfia divertita osservandole e mi ha detto “togli tutto” continuando ad accarezzare Debbie sul ventre. Ho eseguito, ero così indecentemente fradicia… Mi ha fatto segno di inginocchiarmi tra le gambe di Debbie, mi ha preso la mano e l’ha portata tra le sue cosce, stendendomi addirittura un dito, il medio. Ok, ok, più chiaro di così non poteva essere. Ho scostato con il dito le mutandine di Debbie mentre non riuscivo a smettere di fissare il fiocchettino nero a mini pois bianchi che campeggiava al centro dell’elastico. Gliel’ho infilato dentro, piano, lei ha avuto un piccolo sobbalzo. Quando l’ho tirato fuori era talmente bagnato che una goccia stava per staccarsi. Mi sono chinata verso il centro del suo mondo, il suo odore mi faceva impazzire. Stavo per mettere all’opera labbra e lingua quando la Pellegrini mi ha bloccata: “Dopo, Little Pervert… questo dopo”.
– Ti piacciono le sue tette? – mi ha domandato.
– Sì…
– Baciale allora, baciale e falle sentire quanto ti piacciono.
Mi sono abbassata facendo sussultare ancora una volta Debbie. Frederieke si è allontanata per ritornare dopo una trentina di secondi. La luce è esplosa nella stanza. Debbie è scattata quasi gridando e io mi sono voltata d’istinto verso la Pellegrini. Aveva in mano il telecomando dell’ovetto e doveva averci dato un bel po’ sotto, visto come si agitava la mia amica. Nel vederla smaniare la ragazza ha avuto un sorriso di soddisfazione e di desiderio. Doveva sembrarle una scena bellissima ed in effetti lo era. Io per prima mi sorprendevo di non essermi ancora tuffata con mani e testa tra le gambe di Debbie.
E’ stata una specie di splendida, lunghissima e terribile tortura. Quel cazzo d’ovetto ogni volta la portava a tanto così dall’esplodere. Lo vedevo, lo sentivo. Debbie mi fremeva sotto mentre le baciavo e le leccavo i seni, il collo, le labbra. Piagnucolava e lanciava urletti, andava in apnea, si mordeva le labbra. Si muoveva a scatti, sentivo la sua mano premermi sulla nuca e le sue unghie passarmi sulla schiena. Una volta così forte che mi avrà pure graffiata. E ogni volta che stava per arrivare Frederieke la portava indietro. In piedi al bordo del letto a guardarci, ancora vestita. E io completamente nuda. E Debbie con le sole mutandine indosso. Anche questo rendeva perfettamente chiaro chi conducesse il gioco. Era lei, armata del telecomando e del suo sorriso enigmatico, del suo fisico stratosferico che in quel momento ha deciso di mostrarci. La prima a cadere è stata la gonna, poi è stata la volta della sua canotta con gli strass. Mi ha fissata negli occhi mentre si sganciava il reggiseno a fascia. Reggiseno inutile, tra l’altro, visto che le sue belle tette stavano su da sole. Non avrei mai pensato che avesse i capezzoli così grandi e scuri. Oltre al tatuaggio che da una spalla le scendeva verso il seno, e che avevo già notato, se ne vedevano altri due: una specie di dragone che partendo da sotto lo stesso seno si attorcigliava sul fianco e sulla schiena e poi sulla natica, terminando dove l’avevo intravisto qualche secondo prima; degli ideogrammi che scendevano lungo tutto l’altro fianco, fino alla coscia. E poi sì, la sua fica glabra, leggermente carnosa, che mi ha ipnotizzata mentre Debbie si contorceva sotto le vibrazioni dell’ovetto e mi stritolava un braccio. Devo avere fatto lo sguardo della golosità, visto che il sorriso di Frederieke si è allargato quasi in una risata.
– Avrai tempo per baciare tutto ciò che vedi, Little Pervert, adesso continua a leccare la tua bella amica – mi ha detto placida come sempre.
Pensavo che dopo quell’ennesimo piccolo ordine sarei impazzita, e infatti sono impazzita. Tre cose, in rapida successione, mi hanno fatta sbroccare. Il sapore salato del sudore di Debbie, ormai copioso, sulla mia lingua. L’imperioso “ferma!” di Frederieke quando, del tutto istintivamente, ho portato la mano sul ventre di Debbie. La scena che mi si è spalancata davanti agli occhi quando la ragazza le ha sfilato le mutandine. Aiutatemi a dirlo, cazzo, che io nemmeno ci riesco: il lago di Bracciano, sotto il sole delle due del pomeriggio a luglio, luccica di meno. Debbie stringeva ritmicamente le cosce e, quando le riapriva, scintillava. La lingua, le labbra, le mani, avrei voluto bagnarmi tutto di lei, ma ancora una volta la voce della Pellegrini mi ha bloccata: “Stop, Little Pervert!”. Ebbè, non ce l’ho fatta più. Mi sono messa a piangere dalla voglia e dalla frustrazione. Ho gridato “falla venire!”. Ma avrei potuto tranquillamente gridare “fammi venire!”. Ho sbroccato, ho indecentemente sbroccato.
Ho visto la Pellegrini infilare lentamente le dita dentro Debbie e ho sentito la mia amica urlare. Ho visto l’ovetto imbrattato uscire dalla sua fica mentre lei non smetteva di tremare. Ho ubbidito come un automa all’ordine di aprire le gambe e ho gridato anche io quando ho sentito passare e ripassare quel giocattolo vibrante sul grilletto. Mi sono contorta a cosce strette quando me l’ha infilato dentro con la sua espressione indecifrabile stampata sul volto.
Ma poi ho sentito il peso di un altro corpo sul letto e quando dopo un po’ sono riuscita a voltarmi me la sono ritrovata stesa su un fianco accanto a Debbie. La mia amica cercava baci e carezze, lei le parlava ridacchiando. Non capivo nulla, ma dai suoi occhi ero certa che le stesse dicendo qualcosa tipo “lo sai cosa succede adesso, vero?”. Dolcemente, ma con una sicurezza da mettere i brividi.
Fisicamente, un bel contrasto. Forse solo in palestra ho visto corpi così tonici, ipertrofici e aggraziati allo stesso tempo. Forse solo la mia amica Giovanna. E anche quelle spalle. Se solo Giovanna fosse così bella, ho pensato…
Poi, all’improvviso, l’ho visto. Non ne avevo mai visto uno così, ma del resto non è che sia così esperta. Ovetto a parte, l’unico sex toy che abbia mai conosciuto è stato il plug che Edoardo, il Capo, si divertì a infilarmi nel sedere a Nizza. E poi sì, anche quel dildo con cui Li, quella troia cinese di Torpignattara, mi ha scopata insieme a Serena. Tutti oggetti il cui utilizzo, al solo guardarli, è abbastanza intuitivo. Ma questo no, non l’avrei mai detto. Rosso, con una base larga forse poco più di un dito e uno stelo lungo, flessibile. Non sapevo da dove fosse sbucato ma era pur vero che per un po’ di secondi ero rimasta a contorcermi sul letto. Debbie aveva gli occhi spalancati mentre la Pellegrini la trafiggeva con quel coso. Lentamente. Indossando per la prima volta un’espressione intensa. Quasi sadica, avrei detto, ma probabilmente sono io che esagero. Credo che mi abbia detto di dedicarmi ancora ai suoi capezzoli, ormai irreversibilmente svettanti. Ma la prima cosa che ho fatto a Debbie è stata baciarla ancora. Le sue labbra semiaperte erano troppo invitanti per me. E lei mi ha accolta, almeno fino a quando Frederieke ha cambiato marcia, ha iniziato un altro tipo di gioco. Ho visto Debbie iniziare a dimenarsi e a guaire, a stringere qualsiasi cosa le capitasse a portata di mano. Il lenzuolo, di nuovo il mio braccio, persino i miei capelli. Ho guardato in basso e ho visto la mano della Pellegrini in mezzo alle sue gambe spalancate che cominciava a muoversi più veloce, inesorabilmente. La ragazza adagiata tra le sue cosce la guardava sorridendo, pronunciando parole di cui non mi serviva la traduzione. Ogni tanto si chinava a lappare il grilletto di Debbie, facendola gemere, tendere, arcuare, scattare.
In ginocchio sul letto, osservavo e desideravo. Con una mano mi toccavo il seno e con l’altra mi stavo sgrillettando guardando Debbie muoversi e guaire sempre più velocemente, forse supplicare. Improvvisamente mi sono accorta di non sentire nemmeno più l’ovetto dentro di me e, un attimo dopo, l’ho vista esplodere e schizzare proprio in faccia alla Pellegrini. Due, tre, quattro spruzzi accompagnati da altrettanti urletti, il suo corpo che si scomponeva e la sua mente che andava chissà dove. Sono rimasta paralizzata ad osservare la faccia stupita di Frederieke colpita in sequenza da quegli spruzzi, Debbie ripiegata su se stessa con le mani sulla vagina che si contorceva e tremava schizzando per l’ultima volta. Sapevo cos’era e sapevo come si sentiva, il più sublime dei supplizi.
Frederieke mi ha guardata con un sorriso quasi compiaciuto, ironico. Ha dato un’occhiata al dildo commentando qualcosa come “con questo non fallisco mai” oppure “questo fa sempre il suo lavoro”, adesso non ricordo. Quello che ricordo bene è stata la sua risata dopo avermi guardata, dovevo avere gli occhi imploranti. “Con te il gioco è un altro, Little Pervert”, mi ha sussurrato cercando il telecomando dell’ovetto. Ha schiacciato il tasto ma non e successo niente. E così la seconda volta, la terza. Come se fosse nulla ha estratto l’ovetto dalla mia fica, incurante del mio urlo e degli spasmi, mi ha sorriso commentando semplicemente “battery…” e poi mi ha detto “d’accordo, ma prima pulisci quello che ha fatto la tua amica”. Non ce ne sarebbe stato bisogno, avrei capito da sola, lei però mi ha preso la testa e l’ha portata vicino alla sua per farmi leccare via tutto il piacere che Debbie le aveva lanciato, tutto il suo sapore. Quando ho finito, le ho piagnucolato solo un indecente “please”. Ero letteralmente sull’orlo delle lacrime dalla voglia.
Anche se il suo piano originario non era questo, alla fine mi ha riservato lo stesso trattamento riservato a Debbie. Eccezion fatta per un dito che mi ha infilato anche nel sedere. Per qualche strana ragione doveva essere convinta che “i ragazzi italiani”, come dice lei, siano abituati ad imperversarmi tra le chiappe. E poiché la mia reazione è stata come sempre un urletto di gioia deve essersi rafforzata in questa sua convinzione. Per il resto, davvero, stesso trattamento. Ma molto più veloce, almeno credo. E’ difficile dirlo con quell’affare che ti frulla dentro e tocca tutti i punti, tutti, finché non senti quella contrazione pazzesca e ti viene il bisogno urgente di buttare fuori qualcosa. E tu per prima sai che non è pipì. Ho avuto comunque l’impressione di andare in frantumi molto prima di quanto avesse fatto Debbie. Con l’aggiunta, che mi avrebbe regalato già da sola un orgasmo se fossi stata più presente a me stessa, della sua mano che stringeva la mia mentre mi preparavo a trasferirmi su Urano.
Poi non lo so, è stato tutto molto confuso e lo è stato per molto tempo. Non riuscivo proprio a tornare in me stessa e il mio corpo faceva un po’ quello che cazzo gli pareva. La prima cosa che ricordo è stato il “nooo bastaaaa!” gridato a Debbie che mi leccava tra le cosce. Con Frederieke che gli diceva di continuare a farlo nonostante le mie proteste. Era tutto troppo e credo che qualsiasi zona del mio corpo fosse sensibilizzata in modo esagerato, figuratevi quella zona lì. Devo avere flippato ancora una volta, ma davvero non saprei dire.
Come non saprei dire quanto tempo dopo mi sono sentita rotolare Debbie sopra, spinta dalla ragazza. Mi ansimava addosso stravolta, con la bocca aperta e la lingua di fuori che cercava la mia. Frederieke era tornata a guardarci con il suo sorriso criptico, la sua voce sembrava irridente. Verso la mia amica, ma anche verso di me.
– Cosa ha detto? – ho domandato a Debbie.
– Je bent twee poppen… – ha mormorato – siete due bamboline…
– Nessuna mi ha mai bagnato il letto come voi due – ha aggiunto Frederieke, stavolta in inglese.
Poi il suo ghignetto divertito, inaspettatamente imbarazzato. E’ da quel ghignetto che è ricominciato tutto, almeno per me. Ma dovrei dire che sono cominciate altre cose, in realtà. Labbra, lingue e denti di due ragazze diverse che danzavano sui miei capezzoli. Mentre le mani, di due ragazze diverse, si contendevano il mio ventre. Dita che mi esploravano, di due ragazze diverse, che mi trafiggevano, che accarezzavano lentamente la mia pelle. Odori diversi. Sul mio muso, sul loro, sapori diversi sulle dita succhiate. Il peso di una ragazza che si appoggia sulla mia bocca a cosce aperte, mentre un’altra mi soffia sul grilletto. Una lunga, lenta, umida lappata per una. Dal grilletto fino all’ingresso, fino a spingere leggermente la lingua dentro. Prima una lingua poi l’altra. Sono stata io a gridare “così mi ammazzate?” o è stata Debbie? O è stata Frederieke?
***
– Slet – sussurra Debbie, non Sletje come mi chiama lei, ma Slet, puttana – ti è piaciuto infilarmi quattro dita nella fica? Lei ti ha detto di farlo e tu l’hai fatto…
Sì, l’ho fatto. Assecondando come ipnotizzata le indicazioni di Frederieke. Un dito dopo l’altro, piano piano, per darle il tempo di abituarsi e non farle male. E soprattutto per il gusto di eseguire. Per sentirmi prigioniera di lei come Debbie lo era di me, di noi due. Debbie sobbalzava ad ogni dito, ad ogni piccola spinta. Con un occhio mi supplicava “basta, non farlo”, con l’altro implorava di andare avanti.
– E a te è piaciuto? A te è piaciuto? Sono tua, lo sai che sono tua! – piango quasi disperata.
Sì, piango. Per le sue dita che mi stanno fottendo. Ma anche perché la cosa che mi sembra più importante in questo momento è che mi dica che le è piaciuto. Dimmi che ti ho fatto stare bene, Debbie, e poi ammazzami, me lo merito. Sono tua, puoi fare quello che vuoi.
– Non sai come ho goduto a vederti così troia, così… scopami anche tu… ti prego…
Prende la mia mano e se la porta tra le gambe. La tutina è fradicia. Forse lo sarebbe comunque ma senza perizoma a coprirle la fica è sicuramente peggio. Io vorrei, ma non ce la faccio. Non ce la faccio proprio. La mia vagina decide da sola e stringe le sue dita. Il piacere elettrico che mi attraversa mi fa irrigidire. Le gambe mi cedono, chiudo gli occhi, scatto, mi aggrappo. Griderei il mio orgasmo se lei non mi tappasse la bocca fin quasi a soffocarmi. Non capisco più nulla. Cedo, semplicemente cedo addosso a lei ansimando, non so per quanto tempo.
Quando riapro gli occhi ho le sue dita davanti che luccicano di me. Se le asciuga sulla sua guancia e mi sorride. Scosto la sua tutina e la infilzo anche io, con un dito. Geme, ma è un attimo. La guardo, le sorrido, asciugo il dito sulla mia guancia. Ci tracciamo, ci marchiamo così l’un l’altra. Poi il suo bacio soffice prima che i suoi capelli biondi precipitino in basso scomparendomi alla vista. Le sue mani che mi inducono a sollevare la già striminzita gonna del mio vestitino prima di afferrarmi le natiche. Il calore del suo fiato, la sua voce sussurrata.
– E’ destino che mi debba inginocchiare dentro questo portone.
CONTINUA
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